La mancata convalida della risoluzione consensuale mette in pausa il rapporto di lavoro

In materia di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, l’articolo 4, commi 17-22, legge n. 92/2012 ha introdotto una condizione sospensiva di efficacia dell’accordo estintivo concluso (espressamente o per facta concludentia) tra le parti, con la conseguenza che la mancata osservanza delle modalità di conferma ivi descritte pone il rapporto di lavoro in uno stato di quiescenza.

Una giornalista ha agito in giudizio per ottenere l'accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro in capo ad un'emittente televisiva. La sua domanda è stata respinta in entrambi i gradi del giudizio di merito poiché dal quadro probatorio raccolto erano emersi molteplici elementi concordanti per ritenere che le parti avessero risolto il rapporto di lavoro per fatti concludenti. La Corte territoriale aveva, inoltre, precisato che la risoluzione per facta concludentia non era impedita dalla previsione dell'articolo 4 c. 22 l.n. 92/2012 (applicabile ratione temporis) in quanto l'inefficacia della cessazione del rapporto era circoscritta all'ipotesi delle dimissioni. In ogni caso, anche a voler ritenere inefficace la risoluzione consensuale, era emerso il disinteresse della lavoratrice al rapporto di lavoro, che dimostrava dunque la volontà autentica ed efficace della stessa di terminare il rapporto. Con ricorso per cassazione, la giornalista ha denunciato il vizio di violazione e falsa applicazione dell'articolo 4 c.17-22, deducendo che la mancata previsione, nel comma 22, dell'inefficacia della risoluzione consensuale del contratto (al pari delle dimissioni) privo di convalida presso le sedi individuate è frutto di un mero refuso. In ogni caso, dal combinato disposto dei citati commi la risoluzione consensuale doveva reputarsi sospensivamente condizionata al procedimento di convalida, di talché in mancanza, appunto, di convalida la risoluzione risultava inefficace. L'efficacia della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è sospensivamente condizionata alla convalida La Suprema Corte parte dal presupposto che ai sensi dell'articolo 1372, comma 1, c.c. il contratto può essere sciolto per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge e che per giurisprudenza pacifica il mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto può essere desumibile da comportamenti concludenti, salvo che non sia richiesta la prova scritta ad substantiam. Dunque, bisogna distinguere il momento del perfezionamento del contratto (che nel caso di specie consiste nell'intervenuto accordo, per fatti concludenti, sulla risoluzione del rapporto di lavoro) dal momento successivo e distinto della produttività degli effetti giuridici. In generale, al perfezionamento del contratto segue l'efficacia dell'accordo stesso, ma altre volte (come nel caso di specie) gli effetti contrattuali possono prodursi solo a seguito di ulteriori atti integrativi. Il citato articolo 4 commi 17-22 ha espressamente previsto che l'efficacia delle dimissioni e della risoluzione consensuale sia sospensivamente condizionata alla convalida da effettuarsi in determinate sedi o dalla sottoscrizione di apposita dichiarazione in calce alla comunicazione di cessazione del rapporto del datore di lavoro. Tutti i commi precisano che tali modalità sono poste ai fini dell'efficacia dell'atto risolutivo e che la risoluzione del contratto è sottoposta all'efficacia sospensiva della conferma da parte del lavoratore. Il comma 22 non fa eccezione Ciò posto, la Corte di Cassazione ha stabilito che, se il comma 22 ricollega alla mancata convalida la definitiva perdita di efficacia delle “dimissioni”, il chiaro tenore dei commi precedenti consente di ritenere che la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro priva di conferma determina un'inefficacia provvisoria che sospende gli effetti propri del contratto estintivo: in attesa che questo diventi efficace, il rapporto di lavoro è collocato in quiescenza. Per tale ragione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso della lavoratrice ed ha cassato la sentenza con rinvio alla Corte d'Appello di Venezia, la quale – tenuto conto sia della risoluzione consensuale conclusa per facta concludentia sia della sospensione dell'efficacia della stessa in ottemperanza dell'articolo 4 commi 17-22 sia, infine, del comportamento delle parti definitivamente accertato – valuterà le sorti del rapporto di lavoro.

Presidente Pagetta Relatore Boghetich Rilevato che 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Venezia, confermando la pronuncia del Tribunale di Verona, ha respinto la domanda di B.T. di accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro con (OMISSIS) s.p.a. anche successivamente alla data del 6.7.2015, quando aveva iniziato a lavorare per (OMISSIS) s.p.a. presso il Giornale di Vicenza. 2. La Corte territoriale ha accertato che il quadro probatorio raccolto aveva fornito molteplici e concordanti elementi per ritenere che le parti, la giornalista B.T. e la società (OMISSIS), avessero risolto, per facta concludentia, il rapporto di lavoro tra loro intercorso: l'inizio dell'attività lavorativa presso (OMISSIS) come giornalista della carta stampata (anziché come giornalista televisiva, mansioni svolte presso (OMISSIS)) a luglio 2015 e la messa in mora del precedente datore di lavoro (OMISSIS) solamente dopo la conclusione del rapporto con il successivo datore (OMISSIS); la comunicazione all'INPGI dell'inizio del rapporto di lavoro con (OMISSIS); l'istanza all'INPS per la concessione di permessi ex legge n. 104 del 1992 a decorrere da settembre 2015 con (OMISSIS); la Corte territoriale aggiungeva, inoltre, che il quadro probatorio acquisito rendeva chiaro che i due rapporti di lavoro non si erano sovrapposti, bensì avvicendati e che la risoluzione del rapporto di lavoro per facta concludentia non era impedita dalla previsione normativa di cui all'articolo 4, comma 22 della legge n. 92 del 2012 (applicabile ratione temporis) in quanto l'inefficacia della cessazione del rapporto (effettuata senza il prescritto iter) era circoscritta all'ipotesi delle dimissioni. In ogni caso, la Corte territoriale ha rilevato che, anche a voler ritenere inefficace la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro tra (OMISSIS) e la giornalista, gli elementi acquisiti avevano provato che la lavoratrice si era completamente disinteressata di detto rapporto di lavoro, con ciò dimostrando che la volontà autentica ed efficace era quella di detero minarne la cessazione. Infine, il principio di libertà delle forme e l'autonomia fra negozio costitutivo e quello risolutorio impediva di estendere all'atto di cessazione del contratto la forma scritta prevista, dal CNNL applicato, per la stipulazione del contratto, anche in considerazione del fatto che tali negozi avevano ratio completamente diversa. 3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice con cinque motivi; la società ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria. 4. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nei successivi sessanta giorni. Considerato che 1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell'articolo 4, commi da 17 a 22, della legge n. 92 del 2012 avendo, la Corte territoriale, trascurato che la mancata previsione, nel comma 22, della inefficacia della risoluzione consensuale del contratto (al pari delle dimissioni) privo di convalida presso le sedi ivi individuate è frutto di mero refuso; in ogni caso, dal combinato disposto dei commi citati, la risoluzione consensuale doveva reputarsi sospensivamente condizionata al procedimento di convalida, e, dunque, in mancanza di convalida risultava inefficace. 2. Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli articolo 1372 e 2729 c.c. avendo, la Corte territoriale, utilizzato elementi presuntivi palesemente e oggettivamente insussistenti; la società (OMISSIS) si era precipitata a licenziare la lavoratrice subito dopo che la stessa aveva chiesto di rientrare in servizio al suo posto originario; inoltre, all'udienza del 18.4.2016 avanti al Tribunale la lavoratrice aveva disconosciuto formalmente la sottoscrizione apposta in calce al modulo INPGI e la società aveva rinunciato ad avvalersi del suddetto documento. 3. Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli articolo 116 c.p.c. e 2729 c.c. avendo, la Corte territoriale, deciso la controversia sulla base di dati palesemente e oggettivamente insussistenti. 4. Con il quarto motivo si denunzia omesso esame di fatti decisivi avendo, la Corte territoriale, trascurato diversi elementi, opposti dalla lavoratrice, secondo i quali doveva ritenersi inconfutabilmente che la B.T. aveva posto in mora (OMISSIS) prima della cessazione del rapporto di lavoro con l'(OMISSIS) e che la dichiarazione all'INPGI era stata disconosciuta e ritirata dalla difesa di (OMISSIS). 5. Con il quinto motivo si denunzia “violazione per mancata applicazione dell'articolo 116 c.p.c.” avendo, la Corte territoriale, trascurato di dedurre argomenti dal comportamento processuale della società che ha preferito ritirare il documento concernente la dichiarazione INPGI adducendo a giustificazione la complessità della procedura di verificazione. 6. Il primo motivo di ricorso è fondato. 7. Come sottolineato dal ricorrente, l'articolo 1372, primo comma, c.c. stabilisce che il contratto può essere sciolto per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge e questa Corte ha costantemente affermato che il mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto di lavoro può essere desumibile, salvo che non sia richiesta la forma scritta ad substantiam, da comportamenti concludenti (Cass. S.U. n. 21691 del 2016, punto 55; Cass. n. 21764 del 2015, nonché Cass. n.15264 del 2006). 8. In via generale, dunque, la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro può essere adottata tramite atti espressi ovvero per facta concludentia. Il principio generale della libertà di forma degli atti negoziali previsto dall'articolo 1325, primo comma, n. 4, c.c. (secondo cui la forma è requisito essenziale dell'atto soltanto quando la legge lo richieda a pena di nullità) consente, invero, ai privati di usare i mezzi che essi ritengano congrui allo scopo di rendere manifesto il loro comportamento (entro il limite dell'adeguatezza del mezzo prescelto al fine da raggiungere). 9. Occorre, peraltro, distinguere il momento di perfezionamento del contratto (nel caso di specie, l'intervenuto accordo, per facta concludentia, sulla risoluzione del rapporto di lavoro) dal momento, successivo e distinto, della produttività degli effetti giuridici (efficacia che può essere regolata da disposizione, condizione, volontaria, quando fa parte del contenuto dell'accordo, o legale, ossia eteronoma). In generale, al perfezionamento del contratto segue l'efficacia dell'accordo stesso, ma talvolta gli effetti contrattuali possono richiedere altri presupposti, di carattere integrativo, che concorrono a disciplinare un rapporto che ha pur sempre nel contratto la sua fattispecie costitutiva. 8. L'articolo 4, commi 17-22, della legge n. 92 del 2012 ha introdotto specifiche formalità per l'efficacia delle dimissioni e della risoluzione consensuale del contratto di lavoro; in particolare, il legislatore ha espressamente previsto che l'efficacia delle dimissioni della lavoratrice o del lavoratore e della risoluzione consensuale del rapporto sia sospensivamente condizionata alla convalida da effettuarsi in determinate sedi ovvero alla sottoscrizione di apposita dichiarazione in calce alla comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro del datore di lavoro (adempimenti ai quali sono equiparati la mancata presentazione della lavoratrice o del lavoratore nelle sedi designate o la mancata sottoscrizione a fronte di invito inoltrato dal datore di lavoro entro il termine di 7 giorni, termine che delinea anche l'esercizio del potere di revoca da parte della lavoratrice/lavoratore); tutti i commi precisano e ribadiscono che le diverse modalità descritte sono poste ai fini dell'efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale, e che la risoluzione del contratto di lavoro è sottoposta alla “efficacia sospensiva” della conferma (nelle modalità citate) da parte della lavoratrice/lavoratore. Se, dunque, il comma 22, dell'articolo 4 in questione, ricollega alla mancata adozione delle modalità innanzi descritte la definitiva perdita di efficacia delle “dimissioni” (e solamente di quelle), il chiaro tenore dei commi precedenti consente di ritenere che la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro (conclusa dalle parti in modo espresso o per facta concludentia) che sia priva dei momenti di conferma descritti dalla disposizione normativa determina una inefficacia provvisoria che sospende gli effetti propri del contratto estintivo. In attesa che l'accordo estintivo diventi efficace, e che le parti realizzino il programma negoziale delineato nell'accordo (estintivo) tra loro concluso, il rapporto di lavoro è collocato in quiescenza. 9. In via incidentale, va rilevato (come espressamente indicato dall'incipit dell'articolo 4, comma 17, in commento) che questa previsione si distingue dalle ipotesi delle dimissioni o della risoluzione del rapporto di lavoro di lavoratrice in gravidanza (articolo 55,4 comma, d.lgs. n. 151/2001), ove viene in considerazione la tutela del diritto fondamentale di maternità e di paternità, e l'esegesi del testo è sistematicamente orientata anche dalla previsione (nel medesimo Testo unico) di specifici divieti di licenziamento (con conseguente inappropriatezza del richiamo, nella memoria del ricorrente, della sentenza n. 12128/2015). 10. Deve, pertanto, affermarsi il seguente principio di diritto: in materia di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, l'articolo 4, commi 17-22, ha introdotto una condizione sospensiva di efficacia dell'accordo estintivo concluso (espressamente o per facta concludentia) tra le parti, con la conseguenza che la mancata osservanza delle modalità di conferma ivi descritte pone il rapporto di lavoro in uno stato di quiescenza. 11. Gli ulteriori motivi di ricorso sono inammissibili. 12. Nel caso sottoposto all'attenzione del Collegio, i giudici del merito hanno ritenuto – secondo valutazione inferenziale degli elementi probatori acquisiti – che le parti hanno inteso risolvere tramite comportamenti concludenti il rapporto di lavoro; come risulta dallo storico della lite, il giudice del fatto ha considerato la durata del comportamento omissivo della lavoratrice nell'impugnare la risoluzione del contratto nei confronti di (OMISSIS) e la convergenza degli altri elementi formali (in specie l'istanza presentata all'INPS per i permessi ex legge n. 104 del 1992), sottolineando che ulteriori elementi deponevano per l'avvicendamento (e non per la sovrapposizione) dei due rapporti di lavoro (dapprima con (OMISSIS) e, poi, con (OMISSIS)), pervenendo alla valutazione complessiva e congruamente motivata che nella fattispecie concreta sia stata fornita la prova della risoluzione consensuale, per facta concludentia, del contratto di lavoro stipulato con (OMISSIS). 13. Secondo una risalente giurisprudenza di legittimità, mai smentita nel corso degli anni, l'accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici e giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità (ab imo, Cass. n. 1037 del 1968; conf. Cass. n. 2302 del 1953; tra le tante, recentemente, Cass. n. 29781 del 2017). Deriva come inevitabile conseguenza metodologica che, se l'accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del contratto costituisce un giudizio di fatto condotto dal giudice del merito, esso è sindacabile in sede di legittimità nei limiti in cui un tale apprezzamento di merito può esserlo in base alle rigorose regole imposte dalla disciplina del vizio che secondo i dettami dell'articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c., tempo per tempo vigentepuò colpire la ricostruzione di ogni vicenda storica che preceda il contenzioso giudiziale (vizio, peraltro, vietato nel caso di specie, a fronte di una pronunzia c.d. doppia conforme). 14. Laddove il giudice intenda desumere da fatti noti l'esistenza di una comune volontà delle parti tesa allo scioglimento del contratto, per il tramite di una inferenza logica, troveranno applicazione gli articolo 2727 e 2729 c.c., così come interpretati da una consolidata giurisprudenza che ha stabilito i fondamenti ed i limiti del ricorso alla prova presuntiva (per una estesa ricognizione v. Cass. n. 5787 del 2014): le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l'attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione; spetta al giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare il fatto da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto a lui riservato (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010). Non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (cfr. Cass. n. 16993 del 2007; Cass. n. 4306 del 2010; Cass. n. 22656 del 2011; Cass. n. 22898 del 2013), visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. n. 5787/2014 cit.). 14.1. Da tali principi di diritto deriva che, in tema di prova presuntiva della risoluzione per facta concludentia, spetta innanzi tutto al giudice del merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l'attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l'attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche circa l'esistenza ignota di una comune volontà risolutoria; indi compete sempre al giudice del merito procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari precedentemente selezionati ed accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione, e non piuttosto una visione parcellizzata di essi, sia in grado di fornire una valida prova presuntiva tale da ingenerare il convincimento in ordine all'esistenza o, al contrario, all'inesistenza di uno scioglimento del contratto. La delimitazione del campo affidato al dominio del giudice del merito consente innanzi tutto di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all'esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori. Non è poi sufficiente contestare l'equivocità di un singolo fatto valutato dalla sentenza impugnata proprio perché il convincimento del giudice del merito deve esprimere necessariamente una valutazione sintetica e globale in relazione al complesso degli indizi, atteso che, quand'anche uno di essi sia singolarmente sfornito di valenza indiziaria, può acquisirla nella combinazione con gli altri, nel senso che, come insegna la giurisprudenza citata, ognuno può rafforzarsi e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento. 14.2. Parimenti chi censura un ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare, così come escluso in tutti i casi in cui viene sottoposta a questa Corte l'interpretazione di una volontà negoziale (tra molte: Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), l'ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (in termini, Cass. n. 10847/2007 cit.) e, nel vigore del novellato articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014. Inoltre il fatto secondario che si assume trascurato dovrà avere carattere decisivo , nel senso che, se sussistente, porterebbe la controversia con certezza ad una soluzione diversa ed il non averlo tenuto presente ha escluso l'opzione tra due scelte possibili, altrimenti realizzandosi una indebita sostituzione del giudice di merito nella selezione delle fonti di convincimento (di recente v. Cass. n. 7916 del 2017). Infatti, per postulato indiscutibile, non è conferito alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, mentre trascende i limiti di tale controllo la mera denuncia di difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal giudice attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo, tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (v., tra le tante, Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013). 15. Alla stregua delle suesposte considerazioni, è evidente che, nel caso di specie, parte ricorrente, lungi dal denunciare un errore di diritto o l'omesso esame circa un fatto decisivo (nel rigoroso senso delineato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014), domanda sostanzialmente a questa Corte un'inammissibile rivalutazione del materiale probatorio alla luce del quale i giudici di merito hanno presuntivamente ritenuto intercorso tra le parti una risoluzione del contratto di lavoro per comportamenti concludenti. 15. In conclusione, la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibili tutti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia che, tenuti presenti sia la risoluzione consensuale conclusa (per facta concludentia) tra le parti ma – secondo il principio di diritto innanzi statuito provvisoriamente priva di efficacia in ottemperanza all'articolo 4, commi 17-22 della legge n. 92 del 2012 (disposizione normativa, peraltro, abrogata dall'articolo 26, comma 8, del d.lgs. n. 151 del 2015, con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo all'entrata in vigore del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ivi previsto) sia il comportamento delle parti definitivamente accertato (in specie, l'atto di messa in mora comunicato dalla lavoratrice), valuterà la sorte del rapporto di lavoro e dei reciproci obblighi delle parti. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili tutti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.