In tema di legittimazione processuale degli studi associati, è stato sottolineato che il giudice non può dichiararne il difetto senza aver prima assegnato un termine per integrare la documentazione, qualora emerga un'incompletezza degli atti costitutivi o degli statuti prodotti in giudizio.
Nella vicenda in esame, uno studio legale associato aveva proposto ricorso contro una società per ottenere il pagamento dei compensi professionali, relativi a quattro distinti procedimenti civili. La società convenuta si era opposta e, a sua volta, aveva chiesto un risarcimento per i danni subiti a seguito della soccombenza in uno dei giudizi. Il Tribunale di Venezia, dunque, chiamato a pronunciarsi, aveva respinto sia la domanda dello studio che la riconvenzionale, ritenendo che il mandato fosse stato conferito solo a uno degli avvocati e non allo studio associato, così escludendo la legittimazione processuale attiva e passiva di quest'ultimo. Lo studio legale ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, contestando, tra l'altro, il mancato rispetto del contraddittorio e il mancato esercizio dei poteri del giudice previsti dall'articolo182 c.p.c. per sanare le irregolarità relative alla legittimazione processuale. La Suprema Corte - in linea con l'orientamento consolidato in materia - ha accolto il primo motivo di ricorso, richiamando il principio secondo cui lo studio associato, pur privo di personalità giuridica, può essere centro di imputazione di rapporti giuridici e agire in giudizio tramite i propri componenti o rappresentanti, secondo le regole dell'articolo 36 c.c. Inoltre, è stato sottolineato che, in presenza di vizi relativi alla legittimazione processuale, il giudice è tenuto ad assegnare un termine per la regolarizzazione, anche qualora il vizio riguardi la prova della legittimazione ad agire e non solo la rappresentanza processuale. La mancata produzione integrale degli atti costitutivi e dello statuto non può, dunque - hanno spiegato i Giudici - condurre automaticamente al rigetto della domanda, ma impone un'attenta gestione delle eccezioni e delle integrazioni documentali. Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione ha, quindi, cassato l'ordinanza del Tribunale di Venezia e rinviato la causa per un nuovo esame, valorizzando le garanzie processuali di effettività della difesa e di regolarità del contraddittorio e imponendo un approccio sostanzialistico che consenta alle parti di integrare la documentazione mancante, specie con riferimento alla produzione degli atti costitutivi e degli statuti dell'associazione.
Presidente Falaschi -Relatore Pirari Rilevato che 1. Con ricorso ex articolo 14 d.lgs. n. 150 del 2011, l'Associazione Studio Legale Associato-Avvocati M.M., A.Z., F.M., chiese la condanna della società (OMISSIS) s.r.l. al pagamento, in proprio favore, della somma di € 11.109,52 a titolo di compensi professionali maturati per quattro giudizi civili (r.g. 13358/16, giudizio ex articolo 702 bis cod. proc. civ., promosso contro l'avv. G. S.; r.g. 9653/2018, procedimento per A.T.P. contro (OMISSIS) + 1; r.g. 8699/2018 opposizione a decreto ingiuntivo contro (OMISSIS) s.r.l.; r.g. 9013/16 promosso dall'avv. S. L.). Costituitasi in giudizio, la (OMISSIS) s.r.l. si oppose alla domanda, chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna della ricorrente al pagamento della somma di € 19.266,05 a titolo di danno emergente patito per effetto della soccombenza nel primo giudizio. Con ordinanza n. 743/2023 del 24/11/2022, il Tribunale respinse sia la domanda di pagamento, sia quella riconvenzionale, sostenendo il difetto di legittimazione attiva e passiva in capo allo studio legale associato, in quanto il mandato era stato conferito al solo avv. M.M. e non allo studio associato, con conseguente titolarità del credito e della responsabilità in capo a lui in proprio. 2. Contro la predetta ordinanza, lo Studio Legale Associato-Avvocati M.M., A.Z., F.M., propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati anche con memoria. La (OMISSIS) s.r.l. si difende con controricorso. Considerato che 1.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o errata applicazione degli articolo 81,100,101,112 e 182 cod. proc. civ., in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito dichiarato il difetto di legittimazione dell'Associazione, in quanto dallo Statuto associativo non emergeva l'intervenuta cessione del credito all'Associazione da parte dell'associato avvocato per l'attività professionale espletata, senza che vi fosse stata eccezione di parte ovvero, in caso di ritenuta possibilità di rilievo d'ufficio, senza sottoporre la questione al contraddittorio delle parti e senza concedere alla parte un termine per sanare gli eventuali vizi. La ricorrente ha inoltre evidenziato come il giudice, ai sensi dell'articolo 182 cod. proc. civ., fosse tenuto a invitare la parte a completare o mettere in regola i documenti difettosi, una volta rilevata l'incompletezza dell'atto costitutivo prodotto in giudizio, siccome erroneamente depositato in forma non integrale. 1.2 Il primo motivo è fondato. Va innanzitutto esclusa l'inammissibilità del motivo, dedotta dalla controricorrente sul presupposto che esso affastelli plurime contestazioni sotto profili tra loro eterogenei, essendo il motivo fondato su una dedotta molteplicità di violazioni non in reciproco contrasto e formulate in modo chiaro e comprensibile. Venendo al merito, occorre partire dai principi formulati da questa Corte in merito alla capacità a stare in giudizio dello studio professionale associato, il quale, si è detto, quantunque privo di personalità giuridica, rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, dotati di capacità di stare in giudizio in persona dei loro componenti o di chi ne abbia la legale rappresentanza secondo l'articolo 36 cod. civ. (Cass., Sez. 1, 10/4/2018, n. 8768Cass., Sez. 3, 13/04/2007, n. 8853), fermo restando che il suddetto studio professionale associato non può legittimamente sostituirsi ai singoli professionisti nei rapporti con la clientela, ove si tratti di prestazioni per l'espletamento delle quali la legge richiede particolari titoli di abilitazione di cui soltanto il singolo può essere in possesso (Cass., Sez. 1, 28/07/2010, n. 17683). Ciò comporta che non vi siano astrattamente ostacoli all'ammissibilità del ricorso proposto da uno studio associato, né che possa essere ad esso negata, in termini generali, la capacità di essere titolare di diritti ed obblighi, né, di conseguenza, la capacità di stare in giudizio per quanto attiene a tali diritti ed a tali obblighi (in questi termini, Cass., Sez. 1, 23/05/1997, n. 4628), essendone riconosciuta dalla legge la configurabilità (sia pure a determinate condizioni e in determinate forme). Pertanto, i dubbi in ordine alla legittimazione sostanziale di uno studio legale associato a far valere un credito che (in quanto derivante da attività professionale) appare riferibile piuttosto al singolo professionista associato, non possono che essere risolti secondo i principi generali, in virtù dei quali occorre distinguere tra legittimazione al processo, riferita alla prospettazione contenuta nella domanda (l'attore deve infatti affermare di essere titolare del diritto dedotto in giudizio), e titolarità della posizione soggettiva oggetto dell'azione, riguardante, invece, la fondatezza, nel merito, della causa (Cass., Sez. U, 16/2/2016, n. 2951; Cass., Sez. 3, 18/07/2016, n. 14652; Cass., 21/07/2016, n. 15037; Cass., Sez. 6 - 3, 24/09/2018, n. 22525). Soltanto la carenza di legittimazione ad agire può essere eccepita in ogni grado e stato del giudizio e può essere rilevata d'ufficio dal giudice, senza che ciò ponga problemi probatori, atteso che, in siffatti casi, si ragiona sulla base della domanda e della prospettazione in essa contenuta, mentre la titolarità del diritto fatto valere in giudizio è un elemento costitutivo della domanda, che può consistere in meri fatti o in fatti-diritto e che deve essere allegato e provato, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (Cass., Sez. U, 16/2/2016, n. 2951). Orbene, nel caso in cui la parte abbia mancato di fornire la prova della legitimatio ad causam, soccorre il disposto di cui all'articolo 182, cod. proc. civ., il quale, finalizzato al controllo della regolare costituzione delle parti, stabilisce, nella versione ratione temporis applicabile, che “il giudice istruttore verifica d'ufficio la regolarità della costituzione delle parti, invitandole a completare o mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi” (primo comma) e, ove rilevi “un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione […], assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona a cui spetta la rappresentanza o l'assistenza […]”, la cui osservanza “sana i vizi”. Come già osservato da questa Corte, la suddetta disposizione, in quanto collocata nel libro primo del codice di rito, ha portata di regola generale e non deroga, perciò, ad alcun diverso principio, sicché, non avendo natura eccezionale (contrariamente a quanto ipotizzato da una voce di dottrina), se ne deve ammettere l'interpretazione estensiva come l'applicazione analogica, la quale è ipotizzabile anche nel caso in cui la parte abbia mancato di fornire la prova della legitimatio ad causam, sebbene la stessa sia stata prospettata in modo coerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, sicché il giudice, anche in siffatti casi, è tenuto a concedere un termine per regolarizzare la costituzione in giudizio (Cass., Sez. 2, 17/6/2014, n. 13711; Cass., Sez. 3, 16/11/2020, n. 25869, che ha escluso l‘applicazione dell'articolo 182 in un caso in cui non veniva in rilievo la mancata dimostrazione della legittimazione spesa nell'atto di appello, ma l'inesistenza di tale legittimazione, per come univocamente prospettata nell'atto di gravame, in sé e già in astratto considerata). Ciò comporta che i giudici di merito hanno errato allorché hanno dichiarato il difetto di legittimazione attiva della ricorrente, sostenendo che “dall'atto costitutivo, prodotto peraltro in forma non completa” non emergesse “l'intervenuta cessione del credito all'associazione da parte dell'associato avvocato per l'attività professionale espletata da quest'ultimo”, che in tutti i giudizi civili il mandato fosse stato conferito all'avv. M.M. e non anche allo studio associato e che la domanda andasse proposta nei confronti di quest'ultimo, senza prima assegnare un termine per la regolarizzazione del documento versato in giudizio. Da ciò consegue la fondatezza della censura. 2.1 Col secondo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 36, 2697 cod. proc. civ., 702 bis e 702 quater cod. proc. civ. e 25 d.lgs. n. 96 del 2001, in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice errato nel ritenere priva di legittimazione l'associazione professionale alla stregua dell'atto costitutivo, affogliato al n. 32 del fascicolo documenti del procedimento R.G. 4325/21 e dimesso in atti in forma incompleta, e avere, dunque, omesso il suo integrale esame. Secondo la ricorrente, il giudice non avrebbe dovuto decidere sulla base di un documento incompleto già tempestivamente depositato e indicato negli atti difensivi, ma ne avrebbe dovuto disporre l'acquisizione integrale, essendo a ciò tenuto in presenza di contestazione sul potere rappresentativo dell'attore. La ricorrente ha, infine, evidenziato come lo statuto prevedesse, nella specie, che i compensi per l'attività svolta dagli associati spettassero all'associazione, sicché questa era ben legittimata a riscuotere quelli maturati da suoi singoli componenti, stante la prevista cessione dei crediti, e come il ricorso fosse stato sottoscritto anche dall'avvocato che aveva prestato la propria opera professionale 2.2 Il secondo motivo resta assorbito dall'accoglimento del primo. 3. In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo motivo e l'assorbimento del secondo, il ricorso deve essere accolto e l'ordinanza cassata, con rinvio al Tribunale di Venezia che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Venezia che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese di legittimità.