Occupazione senza titolo dopo la morte dell’assegnatario: legittima la condanna per occupazione abusiva

Catalogabile come occupazione abusiva la scelta di vivere in una casa popolare, di proprietà pubblica, su autorizzazione del legittimo assegnatario ormai deceduto. La tutela penale si fonda sulla salvaguardia del patrimonio pubblico e sulla necessità di assicurare l'assegnazione secondo criteri legali ed imparziali.

La vicenda in esame riguarda una donna che viveva illegittimamente in una casa nella disponibilità dell’ Istituto autonomo case popolari . Inevitabile lo strascico giudiziario, che vede la donna condannata, sia in primo che in secondo grado, alla pena di otto mesi di reclusione per il reato di invasione di edificio pubblico. In Cassazione la difesa prova a ridimensionare i fatti, ricordando che «l’elemento oggettivo del reato consiste nell’invasione di un terreno o di un edificio e la condotta si sostanzia nell’introduzione arbitraria in un immobile posto da un soggetto privo di legittimazione» e quindi «l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico di occupare l’immobile traendone una qualsiasi utilità». Invece, nel caso di specie «non si è verificata nessuna invasione» poiché la donna sotto processo «ha continuato ad abitare, unitamente ai propri figli, all’interno dell’immobile che era stato assegnato ad un uomo che aveva consentito a lei e alla sua famiglia di vivere in quella casa». E «la donna è subentrata nel possesso dell’immobile dopo la morte del legittimo assegnatario, previo consenso della figlia dell’uomo», aggiunge, in chiusura, la difesa. A fronte di tale versione, però, i Giudici ritengono impossibile mettere in dubbio la condanna della donna, evidentemente colpevole del reato di invasione di immobile pubblico. Ciò innanzitutto alla luce del principio secondo cui è catalogabile come occupazione abusiva «la condotta di chi, ospitato in un immobile di edilizia residenziale pubblica in virtù del rapporto di parentela con il legittimo assegnatario, vi permanga anche dopo il decesso di quest’ultimo, comportandosi come dominus o possessore». Ampliando l’orizzonte, poi, la Cassazione sottolinea che, «qualora un soggetto subentri nell’immobile di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del legittimo detentore», «la nozione di invasione non si riferisce all’aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce arbitrariamente, ossia contra ius in quanto privo del diritto d’accesso, per cui la conseguente occupazione costituisce l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione. Perciò, i mezzi e il modo con cui avviene l’invasione sono indifferenti, né è necessario che ricorra il requisito della clandestinità, che costituisce uno degli elementi dello spoglio civile, di talché l’invasione può commettersi anche palesemente e senza violenza neppure sulle cose o senza inganno». Seguendo tale impostazione, quindi, «integra il reato di invasione di immobile pubblico la condotta di chi, inizialmente ospitato a titolo di cortesia dall’assegnatario di un immobile di edilizia residenziale pubblica, vi permanga anche dopo l’allontanamento dell’assegnatario, comportandosi come dominus o possessore, atteso che la mera ospitalità non costituisce un legittimo titolo per l’occupazione dell’immobile e che il versamento all’ente pubblico, proprietario dell’immobile, dell’indennità di occupazione ovvero il rilascio di un certificato di residenza indicante quale luogo d’abitazione l’immobile occupato e l’allaccio delle utenze domestiche non escludono la sussistenza del reato, già perfezionato con l’abusiva introduzione nell’immobile e la sua destinazione a propria stabile dimora». Tale visione è corretta, secondo la Corte, «perché oggetto specifico della tutela penale è l’interesse pubblico alla inviolabilità del patrimonio immobiliare, in relazione alla protezione del diritto – spettante ai privati, allo Stato o ad altri enti pubblici – di conservare i terreni o gli edifici legittimamente posseduti liberi da invasioni di persone non autorizzate». Ciò che rileva, poi, è «il mancato rispetto delle regole nell’individuazione del soggetto assegnatario che deve avvenire secondo forme non arbitrarie e soggettive ma pubbliche e regolate, tanto che nemmeno l’acquiescenza dell’ente proprietario elide la situazione di arbitrarietà, non potendo gli organi dell’ente sottrarsi al dovere di assegnazione dell’immobile sulla base dei criteri legali». In definitiva, «il reato di invasione deve ritenersi configurabile ogniqualvolta si occupa un immobile sine titulo e tale deve considerarsi la condotta di chi subentra nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore», come nella vicenda in analisi, «ovvero di chi occupa l’immobile a titolo di mera cortesia o in virtù di un rapporto di parentela con l’originario e legittimo assegnatario. La conseguente occupazione deve ritenersi, pertanto, l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione. Difatti, l’autorizzazione del precedente legittimo detentore o la mera ospitalità ovvero il rapporto di parentela con il legittimo assegnatario non determina l’instaurazione di una relazione giuridica di detenzione qualificata ovvero di possesso con l’immobile e, pertanto, la permanenza dell’ospite o del congiunto, nonostante l’allontanamento o», come in questo caso, «il decesso dell’occupante legittimo, non può saldarsi con la precedente relazione del soggetto avente diritto all’immobile». Altrimenti, «anche un rapporto di amicizia potrebbe legittimare il passaggio della detenzione dell’immobile dal legittimo assegnatario a chi invece non ha i requisiti per l’assegnazione dell’alloggio», precisano i Giudici. Sacrosanto, quindi, parlare di «occupazione dell’immobile senza un titolo legittimo», poiché «l’assegnatario non è legittimato a trasferire la detenzione od il possesso dell’immobile, in quanto l’assegnazione avviene secondo procedure ed in presenza dei presupposti soggettivi stabiliti dalla legge, ragion per cui chi subentra con l’autorizzazione dell’originario assegnatario deve essere considerato occupante arbitrario dell’immobile, perché lo occupa contra ius». Confermata in via definitiva, quindi, la condanna della donna sotto processo. Impossibile, chiosano i Giudici, parlare di episodio non grave e quindi non punibile, soprattutto «valorizzando le modalità della condotta e il grado di colpevolezza e di intensità del dolo, nonché la prolungata occupazione arbitraria e la conseguente entità del danno cagionato, e» inoltre «la mancata allegazione della cessazione della condotta criminosa tramite rilascio dell’immobile, che risulta presupposto indefettibile di un eventuale proscioglimento».

Presidente Pellegrino - Relatore Borsellino Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza resa il 3 maggio 2022 dal Tribunale di Trapani, che ha affermato la responsabilità di C.A. in ordine al reato di invasione di un appartamento nella disponibilità dell'Istituto Autonomo Case popolari di Trapani e, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, l'ha condannata alla pena di 8 mesi di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l'imputata, con atto sottoscritto dal proprio difensore di fiducia deducendo: 2.1 vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità per il reato previsto dall'articolo 633 cod.pen. poiché l'elemento oggettivo del reato consiste nell'invasione di un terreno o di un edificio e la condotta si sostanzia nell'introduzione arbitraria in un immobile posto da un soggetto privo di legittimazione. L'elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico di occupare l'immobile traendone una qualsiasi utilità. Nel caso in esame è emerso che non si è verificata nessuna invasione e che la ricorrente ha continuato ad abitare, unitamente ai propri figli, all'Interno dell'immobile che era stato assegnato al signor L.G., il quale aveva consentito al nucleo della C.A. di vivere all'interno di quella abitazione; la C.A. era subentrata nel possesso dopo la morte del Giacalone stesso, previo consenso della figlia di quest'ultimo. 2.2 Violazione di legge in relazione alla condizione di procedibilità del reato in contestazione poiché la persona offesa in questo caso non è l'Istituto autonomo case popolari, ma il legittimo titolare dell'immobile ovvero l'assegnatario, sul quale ricade lo ius excludendi. La tesi della Corte secondo la quale la figlia del de cuius non era subentrata nel rapporto di assegnazione dell'immobile si scontra con le norme in tema di assegnazione di alloggi popolari, poiché è noto che, in caso di decesso dell'assegnatario di una casa popolare, la titolarità dell'immobile passa ai parenti diretti dello stesso, come il coniuge e i figli, e l'unica che poteva pertanto porre in essere un'azione querelatoria era la figlia del G. 2.3 Vizio di motivazione e carenza di motivazione in ordine al diniego della causa di non punibilità di cui all'articolo 131 bis cod.pen. poiché la Corte di appello non ha considerato la tenuità dell'offesa, l'insussistenza del danno e la non abitualità del comportamento.3. Con memoria trasmessa in data 16 maggio 2025 l'avv. Agatino Scaringi ha replicato alle conclusioni del pubblico ministero, insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.1 Il primo motivo è manifestamente infondato. E' stato anche recentemente ribadito che integra il reato di cui all'articolo 633 cod. pen. la condotta di chi, ospitato in un immobile di edilizia residenziale pubblica in virtù del rapporto di parentela con il legittimo assegnatario, vi permanga anche dopo il decesso di quest'ultimo, comportandosi come dominus o possessore. (In motivazione, la Corte ha precisato che l' invasione va intesa nel senso di introduzione arbitraria non momentanea nell'edificio altrui allo scopo di occuparlo o, comunque, di trarne profitto, restando indifferenti i mezzi ed i modi con i quali essa avviene, non essendo necessaria la ricorrenza del requisito della clandestinità e risultando irrilevante che gli imputati avessero corrisposto i canoni di locazione all'Istituto proprietario dell'immobile). (Sez. 2, n. 27041 del 24/03/2023, Buccino, Rv. 284792 - 01). Detta pronunzia ha ricostruito la giurisprudenza in tema di occupazione abusiva di immobili osservando che la giurisprudenza di legittimità ha nel recente passato espresso due orientamenti contrastanti, qualora il soggetto subentri nell'Immobile di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del legittimo detentore. Un primo indirizzo ermeneutico parte dalla considerazione per cui nel reato di invasione di terreni o edifici la nozione di invasione non si riferisce all'aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce arbitrariamente , ossia contra ius in quanto privo del diritto d'accesso, per cui la conseguente occupazione costituisce l'estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l'abusiva invasione (Sez. 2, n. 26957 del 27/3/2019, Cerullo, Rv. 277019 - 01). Nella scia di tale impostazione è stato, altresì, sostenuto che integra il reato di cui all'articolo 633 cod. pen. la condotta di chi, inizialmente ospitato a titolo di cortesia dall'assegnatario di un immobile di edilizia residenziale pubblica, vi permanga anche dopo l'allontanamento dell'avente diritto, comportandosi come dominus o possessore, atteso che la mera ospitalità non costituisce un legittimo titolo per l'occupazione dell'immobile (Sez. 2, n. 49527 del 8/10/2019, Bevilacqua, Rv. 278828 - 01) e che il versamento all'ente pubblico proprietario dell'immobile dell'indennità di occupazione ovvero il rilascio all'imputato di un certificato di residenza indicante quale luogo d'abitazione l'immobile occupato e l'allaccio delle utenze domestiche non escludono la sussistenza del reato, già perfezionato con l'abusiva introduzione nell'immobile e la destinazione dello stesso a propria stabile dimora (Sez. 2, n. 3436 del 27/11/2019, Mancini, Rv. 277820 - 01). Secondo l'orientamento contrario, non integra il reato di invasione di terreni o edifici la condotta del soggetto che subentra nell'appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, atteso che la condotta tipica del reato di cui all'articolo 633 cod. pen. consiste nell'introduzione dall'esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione, sicché tutte le volte in cui il soggetto sia entrato legittimamente in possesso del bene deve escludersi la sussistenza del reato (Sez. 2, n. 15874 del 30/1/2019, Sannais, Rv. 276416 - 01). Di conseguenza, non è configurabile il reato di cui all'articolo 633 cod. pen. laddove il ricorrente subentri nell'appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, legato a lui da vincoli di affinità: in tal caso deve escludersi la rilevanza del possesso o meno delle condizioni richieste per l'assegnazione, posto che detta circostanza può valere a fini amministrativi o civilistici, mentre non rileva sotto il profilo penalistico (Sez. 2, n. 48050 del 26/9/2018, Acquaro, non mass., che richiama tra le altre Sez. 2, n. 2337 del 1/12/2005, dep. 2006, Monea, Rv. 233140 e Sez. 2, n. 23756 del 4/6/2009, Rollin, Rv. 244667). Nello stesso senso è stato ritenuto che non integri il reato di invasione arbitraria di edifici il persistere nell'occupazione di un alloggio IACP, continuando a versare il canone locativo, da parte di soggetto legato da pregresso rapporto di convivenza con l'assegnatario, che abbia ivi la propria residenza, da intendersi quale luogo di volontaria e persistente dimora del soggetto, a prescindere da una corrispondenza di tale situazione di fatto con le relative annotazioni sui registri anagrafici (Sez. 2, n. 49101 del 4/12/2015, Maniglia, Rv. 265514 - 01). A fronte dei due indirizzi sopra sintetizzati, il Collegio ritiene di dover preferire il primo orientamento sia perché oggetto specifico della tutela penale è l'interesse pubblico alla inviolabilità del patrimonio immobiliare, in relazione alla protezione del diritto - spettante ai privati, allo Stato o ad altri enti pubblici - di conservare i terreni o edifici legittimamente posseduti liberi da invasioni di persone non autorizzate; il termine «invasione» non è assunto nel significato comune di questa parola, che richiama una azione irruenta e impetuosa, ma in quello di introduzione arbitraria non momentanea nel terreno o nell'edificio altrui allo scopo di occuparlo o comunque di trarne profitto. Di conseguenza, i mezzi e il modo con cui avviene l'invasione sono indifferenti, né è necessario che ricorra il requisito della clandestinità, che costituisce uno degli elementi dello spoglio civile (articolo 1168 cod. civ.), di talché l'invasione può commettersi anche palesemente e senza violenza neppure sulle cose o senza inganno. Unico requisito dell'occupazione è l'arbitrarietà, vale a dire che essa avvenga contra ius: agisce «arbitrariamente» chi non ha il diritto o altra legittima facoltà di entrare nell'altrui terreno o edificio allo scopo di occuparlo o di trarne altrimenti profitto. Non può essere condivisa l'ulteriore affermazione costantemente riconducibile al secondo orientamento secondo cui sarebbe irrilevante il possesso o meno delle condizioni richieste per l'assegnazione, in quanto tale circostanza potrebbe valere solo a fini amministrativi o civilistici, mentre non rileverebbe sotto il profilo penalistico. Sul punto, giova evidenziare che, poiché l'articolo 633 cod. pen. tutela la destinazione pubblicistica del bene, ciò che rileva è il mancato rispetto delle regole nell'Individuazione del soggetto assegnatario che deve avvenire secondo forme, non arbitrarie e soggettive, ma pubbliche e regolate, tanto che nemmeno l'acquiescenza dell'ente proprietario elide la situazione di arbitrarietà, non potendo gli organi dell'ente sottrarsi al dovere di assegnazione sulla base dei criteri legali (Sez. 2, n. 53005 del 11/11/2016, Crocilla, Rv. 268711 - 01; Sez. 5, n. 482 del 12/6/2014, dep. 2015, Cristallo, Rv. 262204 - 01). Il reato di invasione deve, dunque, ritenersi configurabile ogniqualvolta si occupa un immobile sine titulo e tale deve considerarsi la condotta di chi subentra nell'appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, ovvero di chi occupa l'immobile a titolo di mera cortesia o in virtù di un rapporto di parentela con l'originario e legittimo assegnatario. La conseguente occupazione deve ritenersi, pertanto, l'estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l'abusiva invasione. Ed in effetti, l'autorizzazione del precedente legittimo detentore o la mera ospitalità ovvero il rapporto di parentela con il legittimo assegnatario non determina l'instaurazione di una relazione giuridica di detenzione qualificata ovvero di possesso con l'immobile e, pertanto, la permanenza dell'ospite o del congiunto, nonostante l'allontanamento o, come nel caso di specie, il decesso dell'occupante legittimo, non può saldarsi con la precedente relazione dell'avente diritto. Contrariamente argomentando, anche il rapporto di amicizia potrebbe legittimare il passaggio della detenzione dell'immobile dal legittimo assegnatario a chi invece non ha i requisiti per l'assegnazione dell'alloggio. In conclusione, ritiene il Collegio che in tutti questi casi si sia in presenza di una occupazione dell'immobile senza un titolo legittimo: l'assegnatario - si ribadisce - non è legittimato a trasferire la detenzione od il possesso dell'immobile, in quanto, come si è evidenziato, l'assegnazione avviene secondo procedure ed in presenza dei presupposti soggettivi stabiliti dalla legge, ragion per cui chi subentra con l'autorizzazione dell'originario assegnatario deve essere considerato occupante arbitrario dell'immobile, perché lo occupa contra ius. 1.2 La seconda censura è manifestamente infondata poiché l'appartamento era di proprietà dell'Istituto case popolari e, a prescindere dal carattere privato dell'ente, era destinato ad espletare una funzione pubblica tramite l'assegnazione a soggetti privati che presentano determinati requisiti; ai sensi dell'articolo 639-bis cod.pen. non necessita la presentazione della querela, trattandosi di reato perseguibile d'ufficio. E' stato infatti precisato che ai fini della perseguibilità di ufficio del delitto di invasione di terreni o edifici, devono considerarsi pubblici - secondo la nozione che si ricava dagli articolo 822 e seg. cod. civ., mutuata dal legislatore penale - i beni appartenenti a qualsiasi titolo allo Stato o ad un ente pubblico, e quindi non solo i beni demaniali ma anche quelli facenti parte del patrimonio disponibile o indisponibile degli enti predetti, e destinati ad uso pubblico quelli che appartengono a privati e detta destinazione abbiano concretamente avuto (Sez. 7, n. 27249 del 17/05/2022, Falleti, Rv. 283323 - 01; Sez. 2, n. 11822 del 05/02/2003, Lo Russo, Rv. 223908 - 01; Sez. 2, n. 14798 del 24/01/2003, Cipolla, Rv. 224302 - 01; Sez. 2, n. 6207 del 13/11/1997, Vido, Rv. 209146 - 01). 1.3 La terza censura in ordine al diniego della causa di non punibilità prevista dall'articolo 131-bis cod. pen. è manifestamente infondata poiché la Corte ha correttamente motivato al riguardo, valorizzando le modalità della condotta e il grado di colpevolezza e di intensità del dolo, nonché la prolungata occupazione arbitraria e la conseguente entità del danno cagionato, e ha comunque rilevato la mancata allegazione della cessazione della condotta criminosa tramite rilascio dell'immobile, che risulta presupposto indefettibile di un eventuale proscioglimento. Ed infatti è stato affermato che, il delitto di invasione di terreni demaniali di cui agli articolo 633 e 639-bis cod. pen., ha natura permanente, atteso che l'offesa al patrimonio demaniale perdura sino a che continua l'invasione arbitraria del terreno al fine di occuparlo o di trarne profitto, sicché è preclusa, sino a quando la permanenza non sia cessata, l'applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex articolo 131-bis cod. pen., in ragione della perdurante compressione del bene giuridico per effetto della condotta delittuosa (Sez. 2, n. 16363 del 13/02/2019, Bevilacqua, Rv. 276096 - 01). In conclusione, la Corte ha ritenuto che alla stregua di tutti questi elementi, l'imputata non possa fruire dell'istituto invocato. 2. Per le ragioni sin qui esposte si impone la dichiarazione di inammissibilità del ricorso con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento di un'ammenda, che si ritiene congruo liquidare in euro 3000 in ragione quella grado di colpa nella presentazione della impugnazione P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spesse processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.