A fronte della posteriorità temporale delle violenze dedotta dall’uomo rispetto alla crisi coniugale, deve rilevarsi comunque l’inaccettabilità di un comportamento violento nella relazione coniugale e la sua incidenza causale preminente rispetto a qualsiasi causa preesistente di crisi dell’affectio coniugalis.
A dare il “la” alla vicenda giudiziaria è l’uomo – Paolo, nome di fantasia –, il quale fa partire il giudizio di separazione dalla moglie – Pina, nome di fantasia –, deducendo di «essere stato costretto a lasciare la casa coniugale» nel 2017 «perché la convivenza era divenuta insopportabile». In primo grado, finisce pari e patta tra Paolo e Pina: vengono respinte le reciproche domande di addebito. In secondo grado, invece, viene pronunciato l’addebito della separazione a carico di Paolo, avendo ravvisato i giudici condotte violente da lui poste in essere nei confronti dell’allora consorte. Con il ricorso proposto in Cassazione, però, l’avvocato che rappresenta Paolo contesta la valutazione compiuta in appello, soprattutto perché centrata su «fatti accaduti dopo il termine della convivenza tra i coniugi, quando il rapporto come coppia era già terminato» e perciò non catalogabili come «causa della crisi coniugale». In sostanza, il legale sostiene sia impossibile, contrariamente a quanto fatto dai giudici d’appello, parlare di «violenza psichica e fisica perpetrata negli anni» dall’uomo ai danni della donna e di «uno stato di prostrazione fisica» della donna, anche perché sono emersi «due litigi tra i coniugi, non due aggressioni dell’uomo verso la consorte». Peraltro, «anche a voler ritenere utilizzabili e probanti i referti medici del 2019 e del 2020, la decisione d’appello appare irragionevole», secondo il legale, «laddove ha affermato che le violenze che avrebbero determinato la crisi coniugale potevano considerarsi provate in base a fatti che risultano avvenuti successivamente, oltretutto con un grado di certezza tale da giustificare la pronuncia di addebito». Per chiudere il cerchio, infine, il legale richiama «la situazione della coppia prima 2017, quando l’uomo decise unilateralmente di lasciare la casa della suocera a causa dell’atteggiamento assunto dalla moglie di disprezzo verso di lui, e non a causa di presunte violenze commesse dall’uomo». Non a caso, «per ben due volte fu l’uomo a chiedere la separazione, non potendo sopportare le vessazioni contro di lui, e non la moglie, che aveva richiesto invece al marito di tornare sui suoi passi dopo il deposito del primo ricorso per la separazione», osserva il legale. Per i magistrati di Cassazione, però, le obiezioni sollevate dall’avvocato che rappresenta l’uomo non sono assolutamente sufficienti per escludere l’addebito della separazione all’uomo. Ciò perché, a fronte di una minuziosa ricostruzione delle vicende familiari, si è appurato «il verificarsi di tre episodi di violenza fisica e psicologica, e non solo di discussioni, come sostenuto dall’uomo, posti in essere da Paolo in danno della moglie, anche quando questa era in stato di gravidanza, in un contesto di grave alterazione del rapporto interpersonale coniugale, in cui la» originaria «discussione è trasmodata in forme di aggressione anche fisica correlate, peraltro, a motivi di scarso rilievo». Ragionando in questa ottica, quindi, «la documentazione del Pronto Soccorso del 2019 e del 2021, benché si tratti di periodi successivi all’allontanamento da parte dell’uomo dalla casa coniugale, getta», secondo i giudici, «una luce su quelle che erano state le dinamiche relazionali tra i coniugi nel periodo della convivenza». Logicamente, quindi, si è dedotto che «la progressiva ed irreversibile crisi coniugale è stata dovuta alle condotte violente poste in essere dal marito in più occasioni per futili motivi e che hanno indotto l’instaurazione di una modalità di relazione del tutto aliena dal coniugio». Tirando le somme, «l’accertamento di condotte violente» dell’uomo ai danni della consorte «è sufficiente, per la loro intrinseca gravità, a formulare la pronuncia di addebito» a carico dell’uomo. Ampliando l’orizzonte oltre la specifica vicenda, comunque, i magistrati richiamano il principio secondo cui «la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità della ulteriore convivenza». Di conseguenza, «grava sul coniuge che richieda l’addebito» a carico dell’altro coniuge «l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza». In particolare, «le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità al loro autore. Ne consegue che il loro accertamento esonera dal dovere di procedere alla comparazione col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei». E «tale principio è applicabile anche quando le violenze si siano concretizzate in un unico episodio di percosse». Quanto, infine, alla posteriorità temporale delle violenze, dedotta da Paolo, rispetto alla crisi coniugale, «deve rilevarsi comunque l’inaccettabilità di un comportamento violento nella relazione coniugale e la sua incidenza causale preminente rispetto a qualsiasi causa preesistente di crisi dell’affectio coniugalis», chiosano i magistrati di Cassazione.
Presidente Giusti - Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1.- La Corte di appello di Perugia, con sentenza pubblicata il 9 aprile 2024, per quanto interessa, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, nel giudizio di separazione personale dei coniugi C.R. e B.R.; segnatamente, ha statuito la pronuncia di addebito della separazione in capo al marito. Il giudizio di separazione era stato introdotto dal marito con ricorso depositato il 4 novembre 2019, deducendo di essere stato costretto a lasciare la casa coniugale fin dal 17.11.17 perché la convivenza era divenuta insopportabile, e di avere, in quella occasione, depositato un primo ricorso per separazione giudiziale poi rinunciato. In primo grado le reciproche domande di addebito erano state respinte. La Corte di appello, a seguito del gravame proposto da C.R., ha pronunciato l'addebito della separazione a carico del marito avendo ravvisato condotte violente da lui poste in essere. B.R. ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi, illustrati con memoria. C.R. ha replicato con controricorso. È stata disposta la trattazione camerale. Ragioni della decisione 2.1.- Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo345, terzo comma, c.p.c., per avere la Corte di merito diversamente valutato le prove acquisite in primo grado alla luce di documenti nuovi, prodotti solamente in grado di appello e riferiti a fatti asseritamene accaduti dopo il termine della convivenza tra i coniugi. Il ricorrente deduce che erroneamente sono stati ritenuti utilizzabili ai fini del giudizio la copia del certificato di Pronto soccorso del 16.9.19 (doc. 4 prodotto dalla moglie in appello) e del certificato del Pronto soccorso del 26.2.21 (doc.5 prodotto dalla moglie in appello), cioè due documenti prodotti per la prima volta in grado d'appello, nonostante ne fosse stata tempestivamente eccepita la inammissibilità per tardività della produzione e fosse stato rimarcato che attenevano a fatti nuovi sui quali non era stato mai accettato il contraddittorio. La controricorrente deduce che nel 2018 la coppia aveva tentato un percorso di terapia di coppia auspicando una riconciliazione e sostiene che proprio l'episodio del settembre 2019, a seguito del quale venne redatto il referto, aveva determinato la consapevolezza della irreversibilità della crisi coniugale, da posticipare rispetto alla data individuata dal marito. 2.2.- Con il secondo motivo si denuncia l'omesso esame su un fatto decisivo della causa e la contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia tratto dall'esame dei fatti desunti dai documenti “nuovi” conclusioni del tutto illogiche, perché il rapporto di coppia era terminato da tempo nel momento in cui questi fatti si sarebbero verificati, e dunque gli stessi non potevano essere considerati come causa della crisi coniugale. Il ricorrente si duole che, sulla scorta del certificato del 2019, la Corte umbra abbia affermato che vi sarebbe stato “un quadro di violenza psichica e fisica perpetrata negli anni e uno stato di prostrazione psicofica”, situazione che – a suo parere – non emergeva, né dalle prove testimoniali acquisite in primo grado (in cui vengono descritti due “litigi” tra i coniugi e non due “aggressioni” del marito verso la moglie), né dai due documenti versati in grado di appello. Lamenta altresì che si sia tenuto conto del secondo referto che documentava una “distorsione al polso sx”, nonostante si collocasse oltre tre anni dall'allontanamento del marito dalla casa familiare e nonostante la moglie, in quell'occasione, avesse rifiutato di sottoporsi a esame radiologico. 2.3.- Con il terzo motivo si denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo della causa, la contraddittorietà della motivazione e la violazione dell'articolo151 c.c. Il ricorrente lamenta l'omessa valutazione di fatti decisivi della causa, sotto due profili. Da un lato, rimarca che, anche a voler ritenere utilizzabili e probanti i referti medici del 2019 e del 2020, la decisione appariva irragionevole laddove aveva affermato che le violenze che avrebbero determinato la crisi coniugale - crisi, a suo parere, già in atto nell'anno 2017 -, potevano considerarsi provate in base a fatti che risultano avvenuti successivamente, oltretutto con un grado di certezza tale da giustificare la pronuncia di addebito. Dall'altro, sostiene che la Corte territoriale ha omesso di considerare la situazione della coppia prima del 17.11.17, quando il B.R. decise unilateralmente di lasciare la casa della suocera a causa dell'atteggiamento assunto dalla moglie di disprezzo verso il marito, e non a causa di presunte violenze da quest'ultimo commesse di cui non è stata fornita prova certa. A parere del ricorrente, la Corte, territoriale ha completamente omesso di considerare che per ben due volte fu B.R. a chiedere la separazione, non potendo sopportare le vessazioni contro di lui, e non la moglie, che aveva richiesto invece al marito di tornare sui suoi passi dopo il deposito del primo ricorso. Sostiene che , sebbene in primo grado non siano state ammesse le prove orali richieste dal ricorrente, tuttavia dai fatti allegati, mai smentiti da controparte e soprattutto dai documenti versati in atti, in forza dei quali il Tribunale di Spoleto aveva affermato che “la irreversibilità della crisi coniugale si era verificata già prima ed a prescindere dall'abbandono della casa familiare da parte del marito [17.11.17 n.d.r.]” è possibile accertare quale fosse il trattamento riservato dalla moglie al marito, prima che questi lasciasse la casa coniugale. 3.- Preliminarmente va respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di specificità dei motivi, in quanto l'esposizione dei vizi dedotti e delle norme invocate, così come la individuazione delle rationes decidendi censurate ed il raffronto con la regola giuridica ritenuta applicabile non incide in alcun modo sull'intellegibilità degli uni come delle altre, escludendo, così, che il ricorso possa ritenersi inammissibile. L'eccezione suddetta, dunque, va respinta, anche in ossequio a quell'interpretazione “non formalistica” delle cause di inammissibilità del ricorso per cassazione, raccomandata dalla giurisprudenza sovranazionale (cfr. Corte EDU, sent. Succi e altri c. Italia, del 28 ottobre 2021). 4.- I motivi sono strettamente avvinti e vanno trattati congiuntamente. Essi criticano la statuizione di addebito della separazione a carico del marito e la motivazione a corredo espressa dalla Corte territoriale (fol.4/6 della sent. imp.). I motivi vanno disattesi perché non colgono la ratio decidendi e non la censurano compiutamente. 5.- Secondo i consolidati principi di legittimità, la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza; pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova in relazione al fatto che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito (Cass. n.40795/2021). Inoltre, secondo i principi generali, in tema di separazione, grava sulla parte che richieda l'addebito l'onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l'efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza (Cass. n. 16691/2020). In particolare, le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità al loro autore; ne consegue che il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei (Cass. n.22294/2024; Cass. n. 3925/2018; Cass. n. 31351/2022). A ciò va aggiunto che tale principio è applicabile anche quando le violenze si siano concretizzate in un unico episodio di percosse e, quanto infine alla dedotta posteriorità temporale delle violenze rispetto alla crisi coniugale, a parte l'attinenza della censura a una valutazione di merito preclusa al giudice di legittimità, deve rilevarsi comunque, alla luce della giurisprudenza citata, l'inaccettabilità di un comportamento violento nella relazione coniugale e la sua incidenza causale preminente rispetto a qualsiasi causa preesistente di crisi dell'affectio coniugalis (Cass. n. 7388 del 22/03/2017; Cass. n. 30721/2024). Il volontario allontanamento dal domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, ove attuato unilateralmente dal coniuge, cioè senza il consenso dell'altro coniuge, costituisce violazione del dovere matrimoniale di convivenza ed è conseguentemente di per sé sufficiente a giustificare l'addebito della separazione personale in quanto porta all'impossibilità della convivenza, a meno che l'autore della condotta abbandonica non abbia dimostrato l'esistenza di una giusta causa ex articolo146 c.c. o che l'abbandono sia stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto (Cass. n. 10719/2013; Cass. n. 25663/2014; Cass. n. 648/2000). 6.- La statuizione impugnata risulta conforme ai principi delineati e non merita censura, tenuto conto che sotto molteplici profili le critiche – pur svolte come violazione di legge – prevalentemente intendono sollecitare una diversa ricostruzione fattuale ed un apprezzamento alternativo delle risultanze istruttorie che esorbita dall'ambito del giudizio di legittimità. Innanzi tutto va respinto il primo motivo di ricorso, ricordando che «nell'appello in materia di separazione, così come per quello di divorzio, non operano i limiti posti dall'articolo 345 c.p.c., svolgendosi il relativo giudizio, dall'atto introduttivo (ricorso anziché citazione) alla decisione in camera di consiglio, con le forme del rito camerale, ai sensi dell'articolo 4 della l. n. 898 del 1970, come modificato dall'articolo 8 della l. n. 74 del 1987, applicabile ai giudizi di separazione personale secondo quanto disposto dall'articolo 23, comma 1, di quest'ultima legge» (Cass. n. 2012/2025; Cass. n. 20229/2022). Va, quindi, osservato che la Corte di appello ha proceduto ad una minuziosa ricostruzione delle vicende familiari (fol. 4/6 della sent. imp.) ed ha accertato, mediante l'escussione dei testi, il verificarsi di tre episodi (30/10/2015, 15/8/2016, 10/1/2017) di violenza fisica e psicologica, e non solo di discussioni, come sostiene il ricorrente, posti in essere da B.R. in danno della moglie, anche quando questa era in stato di gravidanza, in un contesto di grave alterazione del rapporto interpersonale coniugale, in cui la discussione è trasmodata in forme di aggressione anche fisica correlate, peraltro, a motivi di scarso rilievo. All'esito dell'accurata ricostruzione dei fatti la Corte di appello ha, quindi, evidenziato che la documentazione del Pronto soccorso del 18/1/2019 e del 26/2/2021 «Benché si tratti di periodi successivi all'allontanamento da parte di B.R. dalla casa coniugale, collegata alle altre emergenze processuali, getta una luce su quelle che erano state le dinamiche relazionali tra i coniugi nel periodo della convivenza.» (fol.4). E' evidente che la Corte di merito ha ricostruito con congrua motivazione che la progressiva ed irreversibile crisi coniugale è stata dovuta alle condotte violente poste in essere dal marito in più occasioni per futili motivi che hanno indotto l'instaurazione di una modalità di relazione del tutto aliena dal coniugio, non smentita nemmeno dal ricorrente – che per i primi tre episodi si limita a dedurre che si trattava di discussioni, esponendo la sua personale ricostruzione dei fatti – e che la valutazione dei documenti, di cui il ricorrente deduce, erroneamente, la tardiva produzione, ha costituito argomento a sostegno della pronuncia, fondata, tuttavia, in maniera inequivoca sull'apprezzamento dei tre episodi, verificatisi prima della cessazione di fatto della convivenza, rispetto ai quali la statuizione non risulta incisa dalle censure prima e seconda, che non risultano calzanti. Va aggiunto che la Corte di appello ha rimarcato che l'accertamento di condotte violente era sufficiente, per la loro intrinseca gravità, a formulare la pronuncia di addebito e che tali condotte erano incomparabili con le ragioni di addebito spiegate da B.R.. A fronte del percorso motivazionale appena riassunto, non ricorrono le violazioni di legge denunciate, né il vizio di omesso esame di fatti decisivi o di contraddittorietà della motivazione. Occorre, quindi, ribadire che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora i fatti storici, rilevanti in causa siano stati comunque presi in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. tra le tante Cass. Sez. U. n.8053/2014; Cass. n.27415/2018). Sono, infatti, riservate al giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell'attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. È, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. n. 21187/2019). Le censure sono, inoltre, inammissibili, nella parte in cui si risolvono, in realtà, nel sostenere, tramite l'apparente denuncia di vizi di violazione di legge o di omesso esame di fatti decisivi, un'alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (da ultimo Cass. n. 10927/2024). Nel presente caso, il ricorrente insiste nel sostenere che la colpa della separazione sia addebitale alla moglie, sostanzialmente proponendo ed auspicando una rivisitazione delle emergenze istruttorie, e così svolge doglianze che non superano il vaglio di ammissibilità. 7.- In conclusione il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. n. 196 del 2003, articolo 52. P.Q.M. - Rigetta il ricorso; - Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in euro 4.500,00=, oltre euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge; - Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto; - Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. n. 196 del 2003, articolo 52.