«In data anteriore alla estinzione per cancellazione di una società, la volontà societaria di dare una determinata destinazione alle aspettative creditorie, derivanti dall’esito di un giudizio in corso, di cui la società sia parte, si forma mediante delibera assembleare adottata con il quorum ordinario, e non richiede la manifestazione di volontà da parte di tutti i soci che, a seguito della estinzione della società, ne diverranno successori quanto al patrimonio ancora in capo a quella del quale non fanno più parte le aspettative validamente dismesse e trasferite».
Una società cooperativa srl nel 1998 agisce in via giudiziale nei confronti di due professionisti per danni derivati dalla erroneità della progettazione di un complesso residenziale sito in un comune, chiedendo che fosse accertato che nulla era loro dovuto a titolo di compenso oltre alla somma già versata di lire 70 milioni o, in subordine che l'eventuale credito residuo fosse compensato con l'importo dovuto a titolo risarcitorio. I convenuti formulano domanda riconvenzionale per il pagamento del compenso. Il Tribunale di Fermo, con sentenza emessa il 28 agosto 2002, rigetta la domanda proposta dalla Cooperativa e la domanda di uno dei professionisti che vi aveva rinunciato, mentre accoglie la domanda riconvenzionale formulata dall'altro professionista. La società Cooperativa impugna la sentenza di primo grado, ma nel corso del giudizio di appello, e precisamente nel 2004, si estingue per cancellazione volontaria e viene cancellata dal registro delle imprese. La Corte D'Appello di Ancona, con sentenza n. 107 emessa nel 2013, accoglie parzialmente l'appello proposto dalla società Cooperativa; accerta l'inadempimento del professionista convenuto che non aveva rinunciato alla domanda; liquida il danno subito dalla società Cooperativa; dispone la compensazione dei crediti reciproci e condanna il professionista convenuto non rinunciante alla domanda al pagamento della somma dovuta per differenza. Il professionista soccombente impugna la sentenza della Corte territoriale dinanzi la Suprema Corte di Cassazione, sostenendo che la vicenda estintiva aveva comportato la rinuncia alla pretesa avanzata nei suoi confronti. La liquidatrice della società Cooperativa nonché ex socia propone ricorso incidentale. Nel 2015, l'ex socia e liquidatrice della società Cooperativa cancellata ed estinta notifica al professionista convenuto dinanzi la Corte D'Appello di Ancona, non rinunciante alla domanda, atto di precetto per il pagamento della somma stabilita dalla Corte d'Appello di Ancona con la sentenza n. 107del 2013. Il professionista precettato propone opposizione avverso l'atto di precetto, sostenendo che la liquidatrice ed ex socia della società Cooperativa non ha la legittimazione attiva a richiedere il pagamento della somma portata dalla sentenza della Corte d'Appello di Ancona in quanto , essendosi la società estinta nel 2004 , nel fenomeno successorio non avrebbero dovuti essere ricompresi i crediti ancora incerti o illiquidi e la cui inclusione nel bilancio avrebbe richiesto una attività ulteriore; che nel caso di specie detta attività ulteriore non era stata espletata da parte della liquidatrice e che , di conseguenza , la società aveva rinunciato al credito e la stessa liquidatrice non poteva qualificarsi come successore di quest'ultima nel credito. Si costituisce la liquidatrice ed ex socia sostenendo la propria legittimazione attiva e la propria esclusiva titolarità del credito portato dalla sentenza della Corte d'Appello di Ancona n. 107/2013. Il Tribunale di Fermo, con sentenza n. 16/2018, rigetta la opposizione e condanna il professionista opponente al precetto alla rifusione delle spese di lite. Il professionista soccombente impugna la sentenza chiedendo alla Corte d'Appello di Ancona di riformare la sentenza di primo grado e di dichiarare inammissibile, invalido, inefficace l'atto di precetto opposto, essendo la liquidatrice ed ex socia carente della legittimazione a procedere al recupero della somma del credito azionato La Corte D'Appello di Ancona, con sentenza n. 86/2023, accoglie parzialmente l'appello, dichiara la nullità del precetto limitatamente all'importo eccedente la somma corrispondente la quota sociale della liquidatrice ed ex socia e regolamenta le spese in relazione ad entrambi i gradi di giudizio. La liquidatrice ed ex socia impugna la sentenza della Corte d'Appello di Ancona dinanzi la Suprema Corte di Cassazione; nel giudizio si costituisce il professionista convenuto (opponente all'atto di precetto). La liquidatrice ed ex socia, ricorrente, sostiene che la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 1347/2018, aveva rigettato il ricorso del professionista sostenendo che la società «in sede di approvazione del bilancio di liquidazione la società aveva espresso l'intento di non rinunciare alla pretesa, trasferendo sulla ex socia e liquidatrice gli esiti del contenzioso in corso». La ricorrente articola il ricorso con un unico motivo con il quale denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 2479 e 2479-bis, 2392,2303,2395 c.c. in relazione all'art 360, n. 3, c.p.c.; sottopone alla Corte di Cassazione la questione di diritto se, prima che la società si estingua, la volontà di dare una determinata destinazione alle aspettative creditorie derivanti dall'esito di un giudizio in corso di cui era parte la società e di cui non era conoscibile l'esito finale, debba essere manifestata attraverso una delibera assembleare oppure detta volontà debba essere manifestata individualmente, in forma negoziale, da tutti coloro che sarebbero poi potenzialmente interessati quali persone fisiche/ex soci, dal fenomeno successorio conseguente alla cancellazione dal Registro Delle Imprese ed alla estinzione. Nel caso specifico, la società, con la delibera assembleare di approvazione della proposta contenuta nella Relazione del liquidatore sul bilancio finale di liquidazione, aveva legittimamente disposto delle aspettative di credito attese dal giudizio pendente innanzi alla Corte d'Appello di Ancona nei confronti della società, in persona della liquidatrice, prima della sua estinzione e senza che tali aspettative entrassero a far parte delle previsioni del bilancio finale di liquidazione. La Suprema Corte, dunque, ha enunciato il seguente principio di diritto: «in data anteriore alla estinzione per cancellazione di una società , la volontà societaria di dare una determinata destinazione alle aspettative creditorie, derivanti dall'esito di un giudizio in corso, di cui la società sia parte, si forma mediante delibera assembleare adottata con il quorum ordinario, e non richiede la manifestazione di volontà da parte di tutti i soci che, a seguito della estinzione della società, ne diverranno successori quanto al patrimonio ancora in capo a quella del quale non fanno più parte le aspettative validamente dismesse e trasferite». La Suprema Corte richiama l'orientamento giurisprudenziale espresso con ordinanza del 31/12/2020 n. 30075 e con la sentenza 22 /05/2020 n. 9464, secondo il quale in caso di estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, salvo la remissione del debito ai sensi dell'art 1236 c.c. che deve essere allegata e provata con rigore da chi intende farla valere. Di recente, la Suprema Corte con sentenza del 14/6/2024 n. 16607 ha ribadito che la cancellazione della società dal registro delle imprese non implica automaticamente la remissione del credito fatto valere in giudizio dalla società stessa; quindi, in assenza di altri indici univoci sulla volontà remissoria, i crediti della società si trasferiscono in capo ai soci.
Presidente De Stefano – Relatore Gianniti Fatti di causa 1. Nel 1998 la Mercurio 2001 Cooperativa edilizia a r.l. agì nei confronti dell'ing. Gi.Sa. e del geom. Le.Lu. per i danni derivati dalla erroneità della progettazione di un complesso residenziale in Comune di San Elpidio, chiedendo che fosse accertato che nulla era dovuto ai due professionisti a titolo di compenso, oltre alla già versata somma di Lire 70 milioni, o, in subordine, che l'eventuale credito residuo fosse compensato con l'importo dovuto a titolo risarcitorio. I convenuti formularono domanda riconvenzionale per il pagamento del compenso. Il Tribunale di Fermo, con sentenza in data 28 agosto 2002: da un lato, rigettò la domanda proposta dalla Cooperativa edilizia Mercurio 2001 e quella del Le.Lu. (che vi aveva rinunciato); e, dall'altro, accolse la riconvenzionale del Gi.Sa. per Euro 51.654,69 oltre interessi. La sentenza di primo grado venne impugnata. Nel corso del giudizio di appello, e precisamente in data 17 novembre 2004, la Cooperativa edilizia Mercurio 2001 si estinse per cancellazione volontaria e venne cancellata dal registro delle imprese. La Corte d'Appello di Ancona, con sentenza n. 107/2013, in parziale accoglimento dell'appello proposto dalla Cooperativa edilizia Mercurio, accertò l'inadempimento del Gi.Sa. e liquidò il danno subito dalla Cooperativa, dispose la compensazione dei crediti reciproci e condannò il Gi.Sa. al pagamento della differenza, pari ad Euro 17.099,66 oltre interessi. Avverso la sentenza della corte territoriale propose ricorso per cassazione il Gi.Sa.; mentre Fa.Fa., in proprio e quale ex socio e liquidatore della soc. Edilizia Mercurio 2001 a r.l., propose ricorso incidentale affidato a due motivi. Questa Corte con ordinanza n. 1347/2018 rigettò entrambi i ricorsi. In particolare, nel respingere il primo motivo di ricorso del Gi.Sa. (a dire del quale la vicenda estintiva aveva comportato rinuncia alla pretesa avanzata nei suoi confronti), questa Corte osservo che era provato in atti, dalla documentazione prodotta dalla controricorrente, che non vi è stata rinuncia alla pretesa. In sede di approvazione del bilancio di liquidazione, la società ha espresso l'intento di non rinunciare alla pretesa, trasferendo sulla ex socia e liquidatrice gli esiti del contenzioso in atto, di modo che la presunzione di rinuncia, come enucleata dalla giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi nella specie superata (Cass. 25/10/2016, n. 21517; Cass. Sez. U. 12/03/2013, n. 6070) . 2. Nel febbraio 2015 la Fa.Fa., in proprio e quale già socia e liquidatore della soc. Edilizia Mercurio a r.l., notificava al Gi.Sa. atto di precetto per la somma di Euro 48.282.34, oltre accessori, in virtù della sentenza n. 107/2013 della Corte d'Appello di Ancona. Il Gi.Sa. proponeva opposizione avverso l'atto di precetto, deducendo in sintesi che la Fa.Fa. non aveva legittimazione attiva a richiedere il pagamento della somma portata dalla sentenza n. 107/2013 della Corte d'Appello, in quanto, essendosi la società estinta nel 2004, nel fenomeno successorio non avrebbero dovuto essere ricompresi i crediti ancora incerti o illiquidi (la cui inclusione in bilancio avrebbe richiesto una attività ulteriore), quale quello per cui è ricorso, e, poiché detta attività ulteriore non era stata espletata da parte della liquidatrice, avrebbe dovuto essere affermato che la società aveva rinunciato al credito e la Fa.Fa. non poteva qualificarsi come successore della società nel credito. Si costituiva la Fa.Fa., che replicava deducendo, nel merito: a) la propria legittimazione attiva; b) la propria esclusiva titolarità del credito di cui alla sentenza n. 107/2013 della Corte d'Appello di Ancona. Il Tribunale di Fermo - istruita documentalmente la causa - con sentenza n. 16/2018 rigettava l'opposizione, condannando l'opponente alla rifusione delle spese di lite in favore della opposta. Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello il Gi.Sa., chiedendo che, in accoglimento dell'impugnazione ed in integrale riforma della sentenza di primo grado, fosse dichiarato inammissibile, invalido e inefficace l'atto di precetto opposto, essendo la Fa.Fa. carente della legittimazione a procedere al recupero dell'importo del credito azionato. Si costituiva la Fa.Fa., in proprio e quale già socia e liquidatrice della soc. Edilizia Mercurio 2001 a r.l., contestando le motivazioni del gravame, delle quali chiedeva il rigetto, con conferma della impugnata sentenza. La Corte d'Appello di Ancona, con sentenza n. 86/2023, in parziale accoglimento dell'appello, dichiarava la nullità del precetto limitatamente all'importo eccedente la somma corrispondente alla quota sociale della Fa.Fa. e, conseguentemente, regolamentava le spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio. 3. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la Fa.Fa. Ha resistito con controricorso il Gi.Sa., che ha chiesto la distrazione delle spese a favore del difensore antistatario. Per l'odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte. Entrambi i difensori hanno depositato memoria. La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione. Ragioni della decisione 1. Nella sentenza impugnata, la corte territoriale (p. 8 e 9): - da un lato, ha ritenuto che la rivalutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado, in particolare del bilancio finale di liquidazione della società, della relazione del liquidatore su detto bilancio e del verbale di assemblea ordinaria del 30/12/2003, consente di affermare che non e minimamente ravvisabile alcuna volontà di remissione del debito in favore di Gi.Sa. ; - dall'altro - pur dando atto che l'approvazione del bilancio finale di liquidazione e dei relativi documenti che lo compongono contenga in sé, seppur implicitamente, anche l'approvazione della proposta del liquidatore di subentrare nella posizione della società per ciò che concerne l'esito del giudizio di appello - non ha ritenuto integrato un accordo implicito anche per i soci che, non avendo partecipato all'assemblea, neppure per delega, non hanno espresso alcuna volontà, neanche implicita, per cui l'approvazione adottata all'unanimità dei soci presenti, e non di tutti i soci, non consente di ravvisare la cessione integrale del credito, vale a dire anche da parte dei soci assenti . 2. Fa.Fa. - dopo aver premesso che: a) mentre era pendente il giudizio di opposizione all'atto di precetto (ora definito con la sentenza impugnata) era altresì pendente il giudizio di legittimità (promosso dal Gi.Sa. contro la predetta sentenza n. 107/2013 della Corte d'Appello di Ancona); b) detto giudizio di legittimità si è nelle more concluso con sentenza n. 1347/2018, che ha rigettato il ricorso del Gi.Sa. affermando che: ... In sede di approvazione del bilancio di liquidazione ha espresso l'intento di non rinunciare alla pretesa, trasferendo sulla ex socia e liquidatrice gli esiti del contenzioso in atto, di modo che la presunzione di rinuncia, come enunciata dalla giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi nella specie superata - articola in ricorso un unico motivo con il quale denuncia: violazione e falsa applicazione degli articolo 2479 e 2479 bis, 2392,2393,2395 c.c. in relazione all'articolo 360 n. 3 c.p.c. nella parte in cui la corte di merito ha ritenuto che: .... L'opposizione, in definitiva, va parzialmente accolta, sussistendo una carenza di legittimazione attiva in capo a Fa.Fa. per la parte di credito eccedente la somma corrispondente alla quota sociale della quale la stessa era titolare, con conseguente nullità del precetto nei limiti indicati in dispositivo... . Sottopone alla corte la seguente questione di diritto: se, prima che la società si estingua, la volontà di dare una determinata destinazione alle aspettative creditorie derivanti dall'esito di un giudizio in corso di cui era parte la società e di cui non era conoscibile l'esito finale, debba essere manifestata attraverso una delibera assembleare oppure detta volontà debba essere manifestata individualmente, in forma negoziale, da tutti coloro che sarebbero poi potenzialmente interessati quali persone fisiche/ex soci, dal fenomeno successorio (conseguente alla cancellazione dal RR.II. ed alla estinzione). Ripercorre la relazione del liquidatore sul bilancio finale di liquidazione e osserva che nel bilancio finale di liquidazione non era previsto alcun piano di riparto in favore dei soci. Osserva che: a) la società, nel momento in cui è stata chiamata ad approvare il bilancio finale di liquidazione, esisteva ancora e costituiva un autonomo soggetto di diritto, nella pienezza delle sue capacità dispositive; b) il fenomeno successorio - che, a certe condizioni ed entro certi limiti, può determinare per gli ex soci la posizione di aventi causa nei debiti e nelle pretese attive della società - si determina solo dopo la sua estinzione e la relativa cancellazione dal registro delle imprese; c) lei, quale socia liquidatrice, ... pur di favorire la definizione della fase di liquidazione... si era dichiarata disposta ad accollarsi gli oneri negativi derivanti dall'eventuale esito negativo del giudizio e perciò a subentrare ... con l'approvazione dell'assemblea nella posizione della società per ciò che concerne l'onere eventualmente derivante dall'esito negativo del giudizio o comunque derivante dall'attesa dell'esito del giudizio di appello. Allo stesso scopo, subentrerà e proseguirà nel giudizio traendone ogni conseguenza sfavorevole o vantaggiosa collegata all'esito finale... . In definitiva, secondo la ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto nell'impugnata sentenza, la società, con la delibera assembleare del 30.12.2003 (di approvazione della proposta contenuta nella Relazione del liquidatore sul bilancio finale di liquidazione), aveva legittimamente disposto delle aspettative di credito (attese dal giudizio pendente innanzi alla Corte d'Appello di Ancona nei confronti della società, in persona di essa liquidatrice) prima della sua estinzione e senza che tali aspettative entrassero a far parte delle previsioni del bilancio finale di liquidazione (nel senso che non era previsto che esse fossero attribuite ai soci ed in effetti non sono state liquidate ed attribuite ai soci). 3. I rilievi di inammissibilità, sollevati dal Gi.Sa. in sede di controricorso, sono in parte fondati, benché tanto non incida sull'esito finale della disamina del gravame. Invero, il ricorso è inammissibile nella parte in cui la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2479 e 2479 bis cc, nonché degli articolo 2392,2393,2395 c.c. Occorre qui ricordare che, secondo consolidato principio di diritto (ribadito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 23745 del 2020): In tema di ricorso per cassazione, l'onere di specificità dei motivi, sancito dall'articolo 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all'articolo 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d'inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare - con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni - la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa . Di tale consolidato principio di diritto non ha tenuto conto la ricorrente, che in ricorso non spiega in quali passaggi argomentativi le statuizioni adottate dal Giudice di merito si discostino dai precetti normativi, che assume essere stati violati e falsamente applicati, né li raffronta con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che restano sullo sfondo dell'esposizione, senza essere oggetto di conferenti critiche. Al contrario, la ricorrente ha rispettato l'ulteriore consolidato principio di diritto (affermato ad es. da Cass. n. 20694/2018) per cui: In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio . Nel caso di specie, vero è che la ricorrente si è limitata ad affermare genericamente che in sede di comparsa di costituzione nel giudizio di appello aveva dedotto sui motivi di appello al fine di dimostrarne la infondatezza, ma è anche vero che nella sentenza impugnata (p. 9) viene espressamente trattata la doglianza relativa al diritto della Fa.Fa. di agire per il recupero integrale del credito . D'altronde, nel ricorso viene indicata analiticamente la documentazione prodotta nella fase istruttoria svoltasi davanti al giudice di primo grado (e, tra questa, la relazione del liquidatore sul bilancio finale di liquidazione, che costituisce oggetto di disamina in più punti della sentenza impugnata). Tanto consente di concludere per l'ammissibilità delle censure della ricorrente, benché limitatamente all'aspetto ora esaminato. 4. Nella parte in cui è ammissibile, il ricorso è anche fondato. Questa Corte ha avuto modo di precisare, anche di recente (Cass. n. 30075 e n. 9464 del 2020), che - in caso di estinzione di una società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso - la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, salvo la remissione del debito ai sensi dell'articolo 1236 c.c., che deve essere allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere, dimostrando tutti i presupposti della fattispecie, ossia la inequivoca volontà remissoria e la destinazione della dichiarazione ad uno specifico creditore. In altri termini, l'estinzione di una società non determina anche l'estinzione della pretesa, dalla stessa azionata in vita, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare. Fermo restando detto principio e la configurata successione universale dei soci (col limite estrinseco o quantitativo della loro responsabilità intra vires o, cioè, entro l'importo ricevuto dal bilancio di liquidazione), nulla vieta che l'assemblea dei soci, ben inteso in tempo anteriore all'estinzione della società, possa deliberare una diversa destinazione dei residui attivi e passivi. Tanto è avvenuto nel caso di specie, nel quale dal giudizio di merito è risultato che già nel 2003 la Fa.Fa., quale liquidatrice, nella Relazione sul bilancio finale di liquidazione, aveva articolato una proposta in ordine alla destinazione da dare, prima dell'estinzione della società, alle aspettative creditorie derivanti dal giudizio pendente in grado di appello oltre che alla regolamentazione delle conseguenze dell'eventuale esito negativo del giudizio. Precisamente nella relazione, riportata in ricorso ai fini della autosufficienza, si legge: La fase di liquidazione risolti i problemi sommariamente esposti si sarebbe potuta chiudere nei tempi stimati se la prosecuzione della causa della cooperativa contro i progettisti per recuperare i danni dalla stessa arrecata, avesse avuto un esito in primo grado a noi favorevole..... La controversia, non di facile soluzione, si protrarrà sicuramente per diversi anni (prima udienza 2007) e questo procurerà un aggravio di spese di gestione e oneri finanziari che si stimano in 8.000 Euro per ogni anno, oltre all'eventuale compenso per il liquidatore, che la cooperativa non può assolutamente sostenere. Quindi la soluzione proposta dal liquidatore ai soci è quella di chiudere la fase di liquidazione ed estinguere la cooperativa..... Sulle domande proposte nel summenzionato giudizio, la società non intende rinunciare né all'azione per ottenere il riconoscimento che nulla è dovuto per i compensi in favore del progettista, direttore lavori, né alla domanda di risarcimento danni. Allo scopo il socio liquidatore, pur di favorire la definizione della fase di liquidazione, attesi i costi è disposto a subentrare, con l'approvazione dell'assemblea nella posizione della società per ciò che concerne l'onere eventualmente derivante dall'esito negativo del giudizio o comunque derivante dall'attesa dell'esito del giudizio di appello. Allo stesso scopo, subentrerà e proseguirà nel giudizio traendone ogni conseguenza sfavorevole o vantaggiosa collegata all'esito finale . Occorre aggiungere che il bilancio finale di liquidazione fu anche approvato con deliberazione assembleare del 30.12.2003 (che non consta essere stata oggetto di alcuna successiva impugnazione). Ciò posto in fatto, occorre aggiungere che il fenomeno successorio, che può determinare per gli ex soci la posizione di aventi causa a titolo universale nei debiti e nelle pretese attive della società, si determina solo all'atto e in dipendenza dell'estinzione di quest'ultima e della relativa cancellazione dal registro delle imprese. Nel caso di specie, la società, nel momento in cui ha approvato il bilancio finale di liquidazione, costituiva ancora un autonomo soggetto di diritto, con la conseguenza che, per disporre giuridicamente dell'eventuale credito derivante dall'esito del giudizio di appello in favore della liquidatrice Fa.Fa., non necessitava dell'approvazione anche dei soci assenti (peraltro nella specie non è in contestazione che erano stati regolarmente convocati). Tanto più che nel bilancio finale di liquidazione non era previsto un piano di riparto in loro favore e, quindi, si trattava di posizioni che non soltanto non erano state liquidate, ma che neppure erano state attribuite ai soci in base a detto bilancio finale. Ha dunque errato la Corte d'Appello di Ancona nella parte in cui - dopo aver correttamente affermato (p. 8) che, in via generale, la estinzione della società dà luogo, anche dal lato attivo, ad un fenomeno successorio ed i crediti sociali risultanti dal bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci pro indiviso - ha concluso che: .... non può tuttavia ritenersi integrato un accordo implicito anche per i soci che, non avendo partecipato all'assemblea, neppure per delega, non hanno espresso alcuna volontà, neanche implicita, per cui l'approvazione adottata all'unanimità dei soci presenti, e non di tutti i soci, non consente di ravvisare la cessione integrale del credito, vale a dire anche da parte dei soci assenti... . In estrema sintesi, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, per disporre delle aspettative di credito derivanti dalla causa pendente, non era affatto necessario il consenso di tutti i soci, ma era sufficiente la volontà della società, legittimamente espressa nelle forme previste per gli atti dispositivi pendente societate. Il ricorso è così deciso sulla base del seguente principio di diritto: In data anteriore alla estinzione per cancellazione di una società, la volontà societaria di dare una determinata destinazione alle aspettative creditorie, derivanti dall'esito di un giudizio in corso, di cui la società sia parte, si forma mediante delibera assembleare, adottata con il quorum ordinario, e non richiede la manifestazione di volontà da parte di tutti i soci che, a seguito della estinzione della società, ne diverranno successori quanto al patrimonio ancora in capo a quella, del quale non fanno più parte le aspettative validamente dismesse e trasferite . 5. Per le ragioni che precedono, s'impone la cassazione dell'impugnata sentenza per quanto di ragione, con rinvio alla Corte d'Appello di Ancona, che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame dell'atto di appello del Gi.Sa. alla luce delle considerazioni sopra svolte. Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte: - accoglie il ricorso per quanto di ragione; - cassa, in relazione alle censure accolte, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'Appello di Ancona, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame dell'atto di appello del Gi.Sa., tenuto conto di quanto indicato nella motivazione che precede.