La presenza in cella di ausili come la carrozzina o il deambulatore può costituire un ostacolo alla libertà di movimento degli altri detenuti, al pari di quanto avviene con i beni fissi. In tal caso, se lo spazio disponibile risulta significativamente ridotto, può configurarsi un diritto al risarcimento per il detenuto normodotato che ha condiviso lo spazio con una persona disabile.
Scenario della vicenda è la casa circondariale di Treviso dove in una cella occupata anche da un detenuto con disabilità erano presenti una carrozzina e un deambulatore che riducevano lo spazio disponibile, portandolo al di sotto della soglia minima consentita (tre metri quadrati); ciò ha consentito al disabile di ottenere un adeguato risarcimento. Tuttavia, l’identico ristoro economico è stato negato al detenuto compagno di cella. Per il Magistrato di sorveglianza, prima, e per il Tribunale di sorveglianza, poi, è impossibile parlare di detenzione in uno spazio (di movimento) inferiore a tre metri quadrati. Ciò perché l'altro detenuto «non è diretto portatore di handicap» e «pur condividendo la cella con soggetto disabile che necessitava di strumenti di deambulazione in camera, tali strumenti, in quanto non fissi, non hanno impedito il suo libero movimento e pertanto» non hanno «inciso sul computo della superficie minima» a disposizione nella cella. A fronte della decisione presa dal Tribunale di sorveglianza, il legale che rappresenta il detenuto normodotato lamenta «un’irragionevole disparita di trattamento, posto che detti ausilii» al detenuto disabile, ossia carrozzina e deambulatore, «pur essendo per loro natura mobili, restando all’interno della stanza determinavano un inevitabile restringimento dello spazio minimo vitale, soprattutto nel caso di uso da parte del disabile». Di conseguenza, il compagno normodotato ha diritto ad un adeguato ristoro economico. E questa tesi pare plausibile, secondo i Giudici di Cassazione. In premessa, per meglio inquadrare la questione, viene ribadito che «ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intramurario, pari o superiore a tre metri quadrati da assicurare a ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dalla Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali , dalla superficie lorda della cella devono essere detratte l’area destinata ai servizi igienici e quella occupata da strutture tendenzialmente fisse, tra cui il letto e gli armadi, appoggiati o infissi stabilmente alle pareti o al suolo, mentre non rilevano gli altri arredi facilmente amovibili come sgabelli o tavolini», e, inoltre, «neppure va computato lo spazio occupato dal letto singolo del soggetto ristretto, in quanto arredo tendenzialmente fisso al suolo, non suscettibile, per il suo ingombro o peso, di facile spostamento da un punto all’altro della cella e tale da compromettere il movimento agevole del detenuto» nella cella. Per quanto concerne poi il rimedio risarcitorio previsto dall’ordinamento penitenziario, «ai fini dell’accertamento della violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, se lo spazio delle celle è inferiore ai tre metri quadrati esiste una forte presunzione di violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ». Tornando alla disamina dell’istanza avanzata dal detenuto normodotato, ad essere sospetto, secondo la Cassazione, è «il mancato scomputo dallo spazio minimo individuale della carrozzina e del deambulatore del compagno di cella disabile». Anche perché «il Tribunale di sorveglianza ha accolto un reclamo analogo» a quello del compagno normodotato, «rideterminando la superficie in ragione dello spazio occupato da carrozzina e deambulatore» e precisando, però, che «la presenza in cella di strumenti di deambulazione, ancorché oggetti non fissi, determinava un’importante limitazione al movimento nella cella, tenuto conto della condizione di disabilita del detenuto», mentre, sempre secondo il Tribunale di sorveglianza, nel caso del detenuto normodotato, invece, «non può applicarsi quel ragionamento citato, non essendo lui diretto portatore di handicap». In sostanza, benché il ricorrente abbia condiviso la cella con soggetti disabili che necessitavano di strumenti di deambulazione in camera, «il carattere non fisso di quegli strumenti impedisce», secondo il Tribunale di sorveglianza, «di scomputare lo spazio da essi occupato ai fini del calcolo della superficie funzionale a garantire il libero movimento» del detenuto normodotato. Ma questa visione è illogica, secondo i Giudici, poiché, in teoria, «l’ingombro rappresentato dalla carrozzina e dal deambulatore, che potrebbero, altresì, essere in uso da parte del disabile, presentando in tal caso i medesimi limiti dei beni fissi al movimento dei detenuti, è di ostacolo al libero movimento del detenuto che condivide la cella con un soggetto disabile». Di conseguenza, «trattandosi comunque di strumenti mobili non fissi, il ragionamento svolto dal Tribunale di sorveglianza» per il detenuto disabile può, sempre in teoria, «valere anche per il detenuto convivente con un detenuto con handicap, rispetto al quale viene a realizzarsi un’irragionevole e ingiustificata disparita di trattamento».
Presidente Boni - Relatore Di Giuro Rilevato in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha rigettato il reclamo (-impugnazione) proposto da F.C., detenuto in espiazione di pena presso la Casa circondariale di Treviso, avverso la decisione del Magistrato di sorveglianza di Venezia del 5/03/2019, in materia di rimedi risarcitori per violazione dell'articolo 3 Cedu, con la quale era stato rigettato parzialmente il reclamo (-istanza) ex articolo 35 ter l. 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.) avanzato dal suddetto, venendogli riconosciuto il risarcimento per un periodo pari a 153 giorni in cui si riteneva accertata la detenzione in uno spazio di movimento inferiore a 3 mq. 2. Avverso tale ordinanza F.C. ricorre per cassazione, tramite il proprio difensore, deducendo violazione degli articolo 35-ter Ord. pen., 3Cedu e 3 Cost. in punto di mancato riconoscimento del beneficio invocato e violazione del principio di medesimo trattamento per casi analoghi, nonché assenza e/o apparenza di motivazione. Rileva il ricorrente che nel caso in esame la Direzione dell'Istituto penitenziario di Treviso si era limitata a depositare presso il Magistrato di sorveglianza una memoria che conteneva un mero specchietto con le misure delle celle e l'asserito spazio vitale per ciascuna di esse, mentre a fronte della contestazione delle misurazioni dedotte in sede di reclamo non faceva pervenire dinanzi al Tribunale di sorveglianza alcuna deduzione per confutarla. Lamenta che il Tribunale, pur non risultando smentite le affermazioni difensive da prove contrarie fornite dall'Amministrazione, rigettava il reclamo; e si spingeva oltre, violando il principio di eguaglianza sostanziale rispetto ad altro detenuto (A.C.), al quale veniva accordato il beneficio invocato in relazione al periodo di condivisione della cella con F.C.. E ciò sulla base del presupposto che il ricorrente non fosse diretto portatore di handicap, pur condividendo la cella con soggetto disabile che necessitava di strumenti di deambulazione in camera, che, in quanto non fissi, non avrebbero impedito il suo libero movimento e pertanto inciso sul computo della superficie minima. Si duole la difesa che in tal modo il Tribunale di sorveglianza determini un'irragionevole disparità di trattamento, posto che detti ausilii, pur essendo per loro natura mobili, restando all'interno della stanza determinavano un inevitabile restringimento dello spazio minimo vitale (soprattutto nel caso di uso da parte del disabile); e che comunque il suo percorso argomentativo sia talmente illogico e contraddittorio da integrare l'apparenza motivazionale. E insiste per l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti che di seguito verranno specificati. 2. Ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intramurario, pari o superiore a tre metri quadrati da assicurare a ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall'articolo 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte Edu in data 8 gennaio 2013 nel caso Torreggiani c. Italia, dalla superficie lorda della cella devono essere detratte l'area destinata ai servizi igienici e quella occupata da strutture tendenzialmente fisse, tra cui il letto e gli armadi, appoggiati o infissi stabilmente alle pareti o al suolo, mentre non rilevano gli altri arredi facilmente amovibili come sgabelli o tavolini (si veda in ultimo Sez. 1, n. 32412 del 20/06/2024, Parrino, Rv. 286659, che, ai fini della determinazione di detto spazio, rileva che neppure va computato lo spazio occupato dal letto singolo del soggetto ristretto, in quanto arredo tendenzialmente fisso al suolo, non suscettibile, per il suo ingombro o peso, di facile spostamento da un punto all'altro della cella e tale da compromettere il movimento agevole del predetto al suo interno). Va, inoltre, ricordato che in tema di rimedio risarcitorio ex articolo 35 ter Ord. pen., ai fini dell'accertamento della violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, se lo spazio delle celle è inferiore ai tre metri quadrati esiste una forte presunzione di violazione dell'articolo 3 della Convenzione Edu, superabile - in applicazione dei principi affermati dalla sentenza della Grande Camera della Corte Edu, 20 ottobre 2016, Mursic v. Croatia - solo attraverso la valutazione dell'esistenza di adeguati fattori compensativi che si individuano nella durata della restrizione carceraria, nei margini della libertà di circolazione concessa fuori dalla cella, nell'offerta di attività esterne alla cella e nel decoro complessivo delle condizioni di detenzione (Sez. 5, n. 53731 del 07/06/2018, Ministero della Giustizia, Rv. 275407; in senso conforme Sez. 2, n. 11980 del 10/03/2017 Mocanu, Rv. 269407). 3. Orbene, l'ordinanza in esame, sulla scia del provvedimento del Magistrato di sorveglianza di Venezia, non sembra aver fatto corretta applicazione di detti principi giurisprudenziali. Se è vero che i primi rilievi difensivi sopra riportati, in cui si insiste sulla mancata replica dell'Amministrazione penitenziaria alle doglianze di cui al reclamo circa le errate misurazioni delle celle, sono assolutamente generici e privi di autosufficienza, a fronte di una motivazione dell'ordinanza impugnata che fa leva sull'assenza di riscontri e sulla insufficienza di planimetrie della cella redatte dallo stesso reclamante con le relative indicazioni a smentire la documentazione prodotta dall'Amministrazione che, peraltro, non ha esitato ad indicare violazioni come quelle oggetto di risarcimento. E', tuttavia, anche vero che contrarie ai suddetti principi sembrano essere le argomentazioni - che neppure prendono in considerazione la sussistenza di eventuali fattori compensativi - sul mancato scomputo dallo spazio minimo individuale della carrozzina e del deambulatore del compagno di cella disabile. Invero, a tale riguardo, osserva il Tribunale di sorveglianza che:- l'ordinanza citata dallo stesso reclamante, con la quale il medesimo Tribunale, accogliendo analogo reclamo, rideterminava la superficie in ragione dello spazio occupato da tali strumenti riconoscendo ulteriori giorni di violazione, va relazionata alla peculiarità del caso specifico; - in detto caso la presenza in cella di strumenti di deambulazione, ancorché oggetti non fissi, determinava un'importante limitazione al movimento nella cella tenuto conto della condizione di disabilità dell'interessato; - nel caso di F.C., invece, non può applicarsi il ragionamento citato, non essendo lo stesso diretto portatore di handicap; - benché il suddetto abbia condiviso la cella con soggetti disabili che necessitavano di strumenti di deambulazione in camera, il carattere non fisso degli stessi impedisce di scomputare lo spazio da essi occupato ai fini del calcolo della superficie funzionale a garantire il libero movimento. Non si riesce a comprendere, incorrendo l'ordinanza impugnata sul punto nell'apparenza motivazionale (che, a differenza del vizio motivazionale, può essere censurata in questa sede, in cui il ricorso è proponibile solo per violazione di legge), per quale motivo l'ingombro rappresentato dalla carrozzina e dal deambulatore, che potrebbero, altresì, essere in uso da parte del disabile presentando in tal caso i medesimi limiti al movimento dei beni fissi, non sia di ostacolo al libero movimento di colui che condivide la cella col disabile; e per quale motivo, trattandosi comunque di strumenti mobili non fissi, lo stesso ragionamento svolto dal Tribunale a quo non valga per il convivente con handicap, rispetto al quale viene a realizzarsi un'irragionevole e ingiustificata disparità di trattamento. 4. Si impongono, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata ed il rinvio per nuovo giudizio, rispettoso dei principi sopra enunciati, al Tribunale di sorveglianza di Venezia. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Venezia