La res di provenienza furtiva può formare oggetto di compossesso tra più interessati e a nulla rileva che ad uno di costoro non sia stata elevata la contestazione. Ciò che rileva è infatti, l’utilizzo del bene, in assenza di elementi che ne avvalorino un ipotetico affidamento, per il quale si esige notoriamente l’esistenza di un valido titolo di disponibilità.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, si è pronunciata sul ricorso di un imputato condannato per ricettazione ai sensi dell'articolo 648 c.p., confermando la responsabilità per il possesso di un telefono di provenienza furtiva. La difesa lamentava che l'apparecchio veniva utilizzato da diversi soggetti oltre il ricorrente che coabitavano nella stessa casa e che avevano la comune disponibilità del luogo nel quale questo veniva rinvenuto. Di conseguenza, secondo il legale, non poteva identificarsi l'imputato come primo percettore. La Corte, nel ritenere infondato il motivo, sottolinea che la ricettazione può configurarsi anche in forma concorsuale e che il mero utilizzo o la disponibilità del bene, in assenza di una valida giustificazione, consente la sussunzione della condotta nell'alveo del reato contestato, a prescindere dalla circostanza che altri familiari abbiano fatto uso dello stesso oggetto. Nel merito, la sentenza accoglie il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l'imputato, trovato nella disponibilità di un bene di provenienza illecita, ha l'onere di fornire una spiegazione attendibile sull'origine del possesso, senza che ciò comporti una vera e propria inversione dell'onere della prova. L'onere dell'imputato è qualificato come obbligo di allegazione e non come obbligo probatorio. In particolare, la Corte richiama la pronuncia Sez. 2, n. 25439/2017, secondo cui il silenzio o la mancata giustificazione dell'imputato sulla provenienza del bene può costituire un elemento sintomatico della consapevolezza della natura illecita dello stesso, purché tale valutazione sia supportata da ulteriori circostanze probatorie e non costituisca l'unico fondamento della condanna. La sentenza ribadisce inoltre la compatibilità di questo principio con il diritto al silenzio, sancito dagli articolo 63,64 e 350 c.p.p. e dall'articolo 24 Cost., chiarendo che la condanna non può basarsi esclusivamente sul silenzio dell'imputato, ma che quest'ultimo può essere utilizzato come elemento di riscontro in presenza di un quadro probatorio già sfavorevole. Un altro focus rilevante della pronuncia riguarda l'utilizzabilità dei tabulati telefonici, oggetto di contestazione difensiva per asserita acquisizione illegittima. La Cassazione chiarisce che, nel caso di specie, tali dati sono stati acquisiti regolarmente all'udienza, senza obiezioni della difesa, e che la disciplina sopravvenuta – introdotta dall'articolo 1-bis d.l. 132/2021, convertito nella legge 178/2021 – si applica retroattivamente anche ai tabulati acquisiti prima della sua entrata in vigore, derogando al principio del tempus regit actum. Inoltre statuisce che i tabulati telefonici possono essere utilizzati a carico dell'imputato solo se unitamente ad altri elementi di prova e solo per alcuni reati previsti dall'articolo 132, comma 3, d.lgs. 196/2003. Nel caso concreto, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione della suddetta disciplina poiché la responsabilità dell'imputato è fondata sia sui dati ricavati dai tabulati, sia sulla relazione di fatto che questo aveva con il bene di provenienza furtiva, comprovata dalla presenza dell'oggetto nell'abitazione dell'imputato e dalla consegna spontanea del telefono alla polizia giudiziaria.
Presidente Verga - Relatore Ariolli Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.