Minore senza patente alla guida di un motociclo: multa salata per il padre

Ragazzino beccato a guidare un motociclo pur non avendo la necessaria patente: la multa è stata inflitta al padre, colpevole, in sostanza, di non avere controllato adeguatamente il figlio.

Scenario dell’episodio che dà il la  alla vicenda giudiziaria è il territorio di Lecce dove un ragazzino veniva fermato dalla Polizia stradale e scoperto a guidare un motociclo senza la necessaria patente. A subire le conseguenze economicamente è il padre del minore. All’uomo difatti, viene notificato il verbale con cui gli si contestava, in qualità di genitore, la violazione del Codice della Strada, in particolare il fatto di avere «consentito al proprio figlio di condurre il motociclo pur essendo privo della patente di guida, mai conseguita». Pesante la conseguente sanzione pecuniaria, pari a ben 5 mila e 110 euro. A fronte delle obiezioni sollevate dall’uomo, il Giudice di pace, prima, e i giudici del Tribunale, poi, confermano la legittimità del verbale emesso dalla Polizia stradale. Ciò perché l’uomo, in quanto «soggetto tenuto alla sorveglianza del figlio minorenne» e «gravato dell’onere di provare di non avere potuto impedire il fatto», non ha «né provato né, ancor prima, articolato la prova di aver esercitato la massima vigilanza sul figlio e di aver fatto il possibile al fine di evitare che commettesse l’infrazione» accertata. Sulla stessa lunghezza d’onda anche i magistrati di Cassazione, i quali ritengono lampante la responsabilità del padre, a fronte della condotta illecita e irresponsabile tenuta dal figlio. Decisivo il riferimento al principio secondo cui «in tema di sanzioni amministrative di carattere pecuniario per violazioni al Codice della Strada, per gli illeciti commessi da minori di età, la responsabilità del genitore per culpa in vigilando – presunta, diretta e personale – è superata ove il genitore dimostri di non aver potuto impedire il fatto, fornendo la prova rigorosa di avere esercitato la massima vigilanza sul minore e», considerando la specifica vicenda, «di aver compiuto il possibile per evitare che il minore circolasse su strada con un veicolo senza avere conseguito la corrispondente patente di guida». Irrilevante la «disponibilità, da parte del figlio, delle chiavi dell’officina paterna» come «conferma della fiducia che il genitore riponeva nel figlio in virtù dell’educazione datagli».

Presidente Manna - Relatore Guida Rilevato che: 1. De.An. propose opposizione davanti al Giudice di pace di Lecce avverso il verbale della polizia stradale di Lecce del 09/05/2020 che gli contestava, in qualità di genitore del figlio minorenne De.Fr., la violazione dell'articolo 116 commi 15 e 17 del codice della strada, per avere consentito al proprio figlio De.Fr. di condurre il motociclo Honda Pantheon 150 cc pur essendo privo della patente di guida perché mai conseguita, e gli applicava la sanzione pecuniaria di Euro 5.110,00. Il Giudice di pace respinse l'opposizione, con sentenza n. 2772 del 2020, confermata dal Tribunale di Lecce, il quale, nel contraddittorio della PA, ha rigettato l'appello di De.An. sul rilievo che quest'ultimo – nella veste di soggetto tenuto alla sorveglianza del figlio minorenne, gravato, in applicazione dell'articolo 2 della legge n. 689 del 1981, dell'onere di provare di non avere potuto impedire il fatto – né aveva provato né, ancor prima, aveva articolato la prova di aver esercitato la massima vigilanza sul figlio e di aver fatto il possibile al fine di evitare che questi commettesse l'infrazione; 2. per la cassazione della sentenza d'appello, De.An. ha proposto ricorso con tre motivi. La prefettura di Lecce ha resistito con controricorso. In data 22/05/2024 il consigliere delegato ha depositato proposta di definizione del giudizio, ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c., nella versione vigente ratione temporis, che è stata ritualmente comunicata alle parti. In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso. Pertanto, è stata fissata l'adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell'articolo 380-bis 1 c.p.c. Considerato che: 1. il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli articolo 132 c. 2 n. 3 – 118 disp. att. c.p.c. : la sentenza sarebbe viziata da motivazione apparente, in mancanza della puntuale indicazione delle ragioni per le quali non si è ritenuto raggiunta la prova liberatoria offerta dall'appellante rispetto alla presunzione di responsabilità dei genitori di cui all'articolo 2048 c.c.; il motivo è infondato; come si desume con chiarezza dalla sintesi del contenuto della decisione (v. punto 1 del Rilevato che ), la sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della pronuncia, e non è perciò affatto apparente , consentendo un effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 8053 del 2014; n. 22232 del 2016; n. 2767 del 2023). A ciò si aggiunga che la statuizione del giudice di merito è in linea con la giurisprudenza della Corte (Cass. nn. 9435/2008, citata dal Tribunale di Lecce, 22550/2009) e con il seguente principio di diritto: in tema di sanzioni amministrative di carattere pecuniario per violazioni al codice della strada, per gli illeciti commessi da minori di età, la responsabilità del genitore per culpa in vigilando - presunta, diretta e personale - è superata ove il genitore dimostri di non aver potuto impedire il fatto fornendo la prova rigorosa di avere esercitato la massima vigilanza sul minore e, ove ricorra la fattispecie in esame, di aver compiuto il possibile per evitare che il medesimo circolasse su strada con un veicolo senza avere conseguito la corrispondente patente di guida ; 2. il secondo motivo denuncia la violazione degli articolo 115,116 c.p.c., dell'articolo 2 della legge n. 689 del 1981 e dell'articolo 116 del c.d.s.: il Tribunale non avrebbe bene interpretato la dichiarazione di Ro.Vi., fidanzata dell'autore materiale dell'illecito (ed infatti la disponibilità, da parte del figlio, delle chiavi dell'officina del padre era la conferma della fiducia che il genitore riponeva nel figlio in virtù dell'educazione che gli aveva dato), e non avrebbe considerato che il minore si era fatto prestare la motocicletta da un amico a causa del diniego oppostogli dal genitore, il quale non riteneva consono che il figlio guidasse un motociclo senza avere la patente; il motivo è inammissibile; per la giurisprudenza della S.C.: (i)n materia di ricorso per cassazione, la violazione dell'articolo 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. 10/06/2016, n. 11892; conf., ex multis, Cass. 11/10/2016, n. 20382; Cass. 28/02/2018, n. 4699; Cass. 03/11/2020, n. 24395; Cass. 26/10/2021, n. 30173), e, ancora, (cfr. Cass. n. 11892/2016, cit.) la violazione dell'articolo 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all'articolo 360, n. 4, c.p.c., solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all'opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime . Nel caso in esame, a prescindere dal riferimento, nella rubrica del mezzo di impugnazione, agli errores in procedendo delineati dagli articolo 115,116 c.p.c., è chiaro che al giudice di appello non viene addebitato di aver posto a fondamento della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, ma gli si imputa piuttosto un ipotetico error in iudicando, consistente nel cattivo esercizio del potere di apprezzamento degli elementi istruttori, aspetto, quest'ultimo, insindacabile in sede di legittimità; 3. il terzo motivo denuncia la violazione degli articolo 200 del c.d.s., 383 comma 1 D.P.R. n. 495 del 1992: il verbale di accertamento impugnato sarebbe nullo per omessa indicazione della località nella quale la violazione è avvenuta, vale a dire del luogo in cui De.Fr. era stato fermato alla guida del motociclo in assenza della corrispondente patente; il motivo è inammissibile: si fa valere una questione – un vizio di forma-contenuto del verbale di contravvenzione – che la sentenza di appello non affronta e che non può essere proposta per la prima volta in questa sede. Trova infatti conferma il principio di diritto secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018, Sez. 2, Ord. n. 38228 del 2021, Sez. L, Ord. n. 18018 del 01/07/2024, Rv. 671850); 4. il ricorso, pertanto, è rigettato; 5. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza; 6. poiché il ricorso è deciso in conformità della proposta formulata ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c., vanno applicati – come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso articolo 380-bis c.p.c. – il terzo e il quarto comma dell'articolo 96 c.p.c., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore di parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad Euro 500 e non superiore a Euro 5.000. Cfr. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023, Rv. 668909 – 01; Sez. U, Ordinanza n. 27195 del 22/09/2023, Rv. 668850 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 27947 del 04/10/2023, Rv. 669107 – 01); 7. ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito. Condanna il ricorrente al pagamento della somma di Euro 750,00, in favore della parte controricorrente e di una ulteriore somma di Euro 750,00, in favore della cassa delle ammende.