Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione degli articoli 2, 3 e 4 Cost., gli articoli 57 e 17.16 della legge professionale forense che impongono il divieto di deliberare la cancellazione dall’albo quando sia in corso un procedimento disciplinare.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 70/2025. Le disposizioni vigenti Nell'ordinamento professionale forense è sempre stato operante il divieto di cancellazione dall'albo nel corso di un procedimento disciplinare. Così era disposto nell'articolo 37, comma ottavo, della ormai remota legge del 1933, e così è negli artt.17.16 e 57 della attuale legge professionale n. 247 del 2012: addirittura due articoli, quasi identici, l'uno in tema di iscrizione e cancellazione e l'altro in tema di procedimento disciplinare, per ribadire comunque il principio che è vietato procedere alla cancellazione dall'albo «durante lo svolgimento del procedimento, dal giorno dell'invio degli atti al Consiglio distrettuale di disciplina». Non sarebbe infatti procedibile l'azione disciplinare ove venisse a mancare lo status professionale con la cancellazione dell'iscritto dall'albo. La ratio della disposizione La legge non distingue tra cancellazione d'ufficio, quando vengano meno i requisiti necessari per l'iscrizione, e volontaria, quando vi sia una richiesta personale dell'incolpato. In entrambi i casi è sempre stato considerato operante il divieto, anche se il fondamento della disposizione appare diverso. Nel primo caso, si vuole proteggere l'incolpato da un provvedimento autoritativo che potrebbe essere assunto dal Consiglio dell'ordine per estromettere il professionista dall'albo, privandolo anche del diritto di difesa; nel secondo caso, si vuole tutelare la credibilità e l'immagine dell'avvocatura, evitando che l'iscritto, assoggettato a procedimento disciplinare, possa eludere lo svolgimento di tale iniziativa e sfuggire alle conseguenti sanzioni domandando la cancellazione dall'albo. Ed è questo secondo caso, a cui più spesso si è fatto ricorso, con la sottile variante della richiesta di trasferimento, che pure impone la preventiva cancellazione dall'albo di provenienza per consentite l'iscrizione nel diverso albo di arrivo. La questione di costituzionalità Nel caso in esame, l'incolpato aveva richiesto la cancellazione dall'albo per gravi ragioni di salute e la necessità di fruire di trattamenti previdenziali e assistenziali; richiesta respinta dal Consiglio dell'ordine per l'esistenza di diversi procedimenti disciplinari, ma accolta invece dal Consiglio nazionale forense, per l'esigenza di garantire all'iscritto l'esercizio dei propri diritti. La decisione del CNF è stata impugnata dal Consiglio dell'ordine e la Cassazione ha quindi sollevato questione di legittimità costituzionale ritenendo violati plurimi principi (Cass., sez. un., 12 luglio 2024, n. 19197). La pronuncia della Corte Costituzionale Con molta precisione la Corte costituzionale ha ripercorso la normativa in vigore, e quella precedente, alla luce anche della giurisprudenza del Consiglio nazionale forense, comparando da un lato il rischio che il professionista, rinunciando alla iscrizione, possa vanificare l'essenza del procedimento disciplinare, con conseguente danno per l'ordinamento, e d'altro lato il diritto costituzionale dello stesso professionista di attuare le proprie legittime aspettative, esercitando ad esempio il diritto alla pensione, o il diritto al lavoro subordinato, situazioni tutte che presuppongono la cancellazione dall'albo. Nella comparazione quindi dei valori in discussione, la Corte Costituzionale ha ritenuto che il divieto assoluto di cancellazione contrasti con l'articolo 2 Cost., poiché restringe la libertà dell'iscritto di autodeterminarsi; con l'articolo 3, poiché pone inammissibili distinzioni e limitazioni di diritti fondamentali; e con l'articolo 4, poiché incide in misura sproporzionata sulla libertà di lavoro dell'iscritto, che intende cessare l'esercizio della professione. Di qui la pronuncia di incostituzionalità dell'articolo 57 (e in via consequenziale dell'articolo 17.16) della legge 31 dicembre 2012 n. 247. Le conseguenze della pronuncia La stessa Corte Costituzionale si è data carico delle conseguenze che la cancellazione comporta, estinguendo l'azione disciplinare, e ha quindi suggerito una serie di soluzioni normative che il legislatore potrebbe adottare (il divieto di reiscrizione o la sospensione e riapertura del procedimento, ad esempio). Con la conclusione, tuttavia, che «non spetta alla Corte indicare la soluzione più idonea a bilanciare gli interessi in conflitto, rientrando nella discrezionalità del legislatore la scelta dello strumento a tal fine più adeguato». Toccherà dunque al legislatore intervenire sul punto.