Contratto di apprendistato: nullo in assenza di effettiva formazione

Nel contratto di apprendistato, l'obbligo formativo è elemento essenziale: la sua assenza comporta la nullità del contratto e la conseguente trasformazione automatica ab origine in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Il Tribunale di Pisa, Sezione Lavoro, con la sentenza in commento, ha analizzato le conseguenze della nullità del contratto di apprendistato in assenza di effettiva formazione, nonché la responsabilità datoriale per ambiente stressogeno e la nullità del licenziamento per superamento del periodo di comporto. Nello specifico, la causa nasceva dal ricorso di una lavoratrice assunta come apprendista anziché con contratto a tempo indeterminato con mansioni di banconiera addetta alla vendita e inquadramento nel 4° livello del CCNL per i dipendenti del commercio. La ricorrente ha, infatti, sottolineato l'assenza di ausilio da parte di un tutor e di un reale percorso formativo, salvo un unico corso che aveva peraltro provocato attacchi personali da parte del datore di lavoro contrariato dall'assenza della lavoratrice. Il Tribunale adìto, verificando se il rapporto tra le parti fosse stato qualificato come apprendistato professionalizzante solo formalmente, ha rammentato che «l'apprendistato è un contratto di lavoro a causa mista, nel quale oltre alla causa caratterizzata dallo scambio tra retribuzione e prestazione lavorativa, si pone la finalità formativa. In particolare, il contratto di apprendistato è professionalizzante quando è volto a far acquisire competenze tali da poter conseguire una qualificazione attraverso la formazione sul lavoro: il datore di lavoro assume l'obbligo di formare il giovane lavoratore e, alla fine del periodo di formazione, può decidere di recedere liberamente dal rapporto ovvero proseguire a tempo indeterminato. L'elemento formativo qualifica la causa stessa del contratto di apprendistato e ciò rende particolarmente stringente la necessità che la volontà negoziale del lavoratore, nell'accedere al tipo contrattuale in questione, si formuli sulla base della piena consapevolezza del percorso formativo proposto e della sua idoneità a consentire l'acquisizione della qualifica alla quale l'apprendistato è finalizzato (sul punto, Cass. Civ., Sez. Lav., 24.04.2023, n. 10826).» Nel caso di specie, nonostante il contratto di apprendistato professionalizzante, sottoscritto dalle parti, citasse un piano formativo, il datore di lavoro aveva attivato il voucher per l'erogazione dell'offerta formativa solo dopo quasi due anni e il primo corso formativo online era stato eseguito dalla ricorrente a due anni dall'assunzione. Non rileva – ha spiegato il giudice - neppure la giustificazione addotta dalla parte datoriale, secondo cui la formazione sarebbe stata impedita dalla pandemia da Covid-19, trattandosi di un evento successivo all'assunzione e, comunque, privo di incidenza nel caso specifico, poiché fino all'attivazione dell'unico corso online non era stata fornita alcuna attività formativa. Inoltre, la proroga prevista dall'articolo 93, comma 1-bis d.l. 34/2020 (conv. l.n. 77/2020, successivamente abrogato dal d.l.104/2020), che estendeva la durata dei contratti di apprendistato per il periodo di sospensione dovuto all'emergenza epidemiologica, non era stata applicata, essendo rimasta invariata la scadenza contrattuale. Un ulteriore elemento di prova dell'assenza di formazione adeguata per la lavoratrice è il mancato raggiungimento del monte ore previsto dal CCNL Commercio rilevante per la fattispecie, che impone per il conseguimento del 4° livello almeno 180 ore di formazione professionalizzante (articolo 54). Alla luce delle suddette considerazioni, il giudice ha dichiarato: la nullità del contratto di apprendistato, con conseguente trasformazione automatica del rapporto in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; il diritto della ricorrente all'inquadramento nel 4° livello di cui al CCNL per il settore Commercio triennio 2019-2021 e per l'effetto la corresponsione in favore della ricorrente delle differenze retributive.

Giudice Ferraro Fatto/Diritto 1. Con ricorso depositato in data 02.02.2023, (omissis) chiedeva a questo Tribunale di accertare e dichiarare la nullità del contratto di apprendistato per la mancata formazione della lavoratrice, di accertare e dichiarare la natura del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in qualità di operaia, a partire dal 13.08.2019, con condanna al pagamento delle differenze retributive, quantificate in euro 3.405,66 euro Inoltre, chiedeva di accertare e dichiarare la nullità del licenziamento intimato in data 21.06.2022, per superamento del periodo di comporto, con condanna alla reintegra della lavoratrice e al risarcimento dei danni, quantificate in tante mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto di euro 1.144,33, dalla data del licenziamento sino a quella dell'effettiva reintegra, con copertura contributiva. Infine, chiedeva di accertare di essere stata vittima di comportamenti rientranti nella fattispecie di mobbing ovvero bossing, con condanna del datore di lavoro al pagamento del risarcimento dei danni, quantificati in euro 60.077,32 a titolo di danno non patrimoniale ed euro 1.656,00 a titolo di danno patrimoniale, per complessivi euro 61.733,32. 2. La ricorrente, infatti, esponeva di essere stata assunta presso la ditta (omissis) in data 13.08.2019, con contratto di apprendistato professionalizzante illegittimo, in quanto instaurato in luogo di un contratto a tempo indeterminato con mansioni di banconiera addetta alla vendita e inquadramento nel 4° livello del CCNL per i dipendenti del commercio. Per tale ragione, chiedeva la condanna alle differenze retributive. Riferiva che lo stesso datore di lavoro la riteneva capace per aver già in precedenza lavorato nello stesso settore presso l'impresa della madre; per tale ragione, non aveva mai ricevuto ausilio da parte di un tutor e di non aver partecipato ad alcun percorso di formazione, eccetto un corso nel mese di dicembre 2021, circostanza che aveva al tempo provocato attacchi personali da parte del datore di lavoro, contrariato dall'assenza della ricorrente. Esponeva, dunque, di aver lavorato, da sola o in abbinamento con altra dipendente, come banconiera addetta alle vendite, occupandosi, al termine del turno, della pulizia nelle varie unità locali della ditta a (omissis) in via (omissis) e in via (omissis), a Pisa in via (omissis) e a (omissis) in via (omissis), alle quali veniva assegnata tramite comunicazione del datore di lavoro della sera prima o del giorno stesso, tramite la chat aziendale di whatsapp (omissis) ; tale circostanza, aveva comportato per la ricorrente un'assoluta impossibilità di organizzare la propria vita privata. Riferiva di un rapporto difficoltoso con il datore di lavoro, il quale aveva da sempre avuto un atteggiamento sgarbato e minaccioso nei suoi confronti come dai messaggi inviati dallo stesso sulla chat aziendale di whatsapp o dai post pubblicati sulla pagina Facebook della ditta in svariate occasioni, come richiesta di permesso per visita medica o assenza per ricovero per problemi all'appendice, a seguito del quale il datore di lavoro le ridusse l'orario lavorativo. Gli scontri erano sempre più frequenti tanto che la ricorrente si era rivolta a un sindacato per conoscere i propri diritti. Inoltre, deduceva di aver ricevuto diverse lettere di contestazioni disciplinari, alle quali non aveva mai fatto seguito alcun provvedimento. Riferiva che il datore aveva installato nei punti di vendita telecamere per controllare le lavoratrici e che controllava la ricorrente durante la sua vita privata. Tale atteggiamento di (omissis) contrario agli obblighi di cui all'articolo 2087 c.c. le aveva generato un forte stato di ansia tale da doversi rivolgere a una psicologa, la dott.ssa (omissis) mentre, il proprio medico curante, la dott.ssa (omissis) le diagnosticava un forte disturbo d'ansia, poi confermato dal Centro Diagnostico per le Patologie da Stress e Disadattamento Lavorativo presso l'Azienda Ospedaliero Universitario Pisana. Esponeva che, durante il periodo di malattia, l'atteggiamento di (omissis) continuava ad essere offensivo e, pertanto, la ricorrente aveva presentato atto di querela in data 22.03.2022 presso la Stazione Carabinieri di Bientina ai danni di Contro(omissis) e aveva inviato, tramite i propri difensori, una lettera in data 21.04.2022 per ottenere le buste paga non corrisposte e per rappresentare la condotta lesiva del datore di lavoro, che aveva ingenerato uno stato di malessere nella lavoratrice. Riferiva di aver presentato, successivamente, una richiesta di intervento dell'Ispettorato del Lavoro di Pisa, nonché un'ulteriore querela. Infine, in data 21.06.2022, le veniva intimato il licenziamento per superamento del periodo di comporto, di cui ne eccepiva la nullità, in quanto il periodo non era stato superato e le assenze per malattie, imputabili alla responsabilità del datore di lavoro, non erano comunque computabili ai fini del calcolo di comporto. Produceva i decreti ingiuntivi emessi a seguito di instaurazione di due procedimenti monitori per la consegna delle buste paga mancanti e per il pagamento delle retribuzioni e del TFR non corrisposto nonché l'atto di pignoramento presso terzi. 3. In data 25.03.2023, si costituiva in giudizio (omissis) in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale, contestando la ricostruzione fattuale fornita dalla ricorrente e così chiedendo il rigetto delle pretese attoree in quanto infondate. Chiedeva, in subordine, di limitare la pretesa risarcitoria della (omissis) per i danni non patrimoniali asseritamente subiti nella misura eventualmente indicata dalla consulenza medica. 4. In particolare, la parte resistente rilevava di aver assunto, in data 13.08.2019, la ricorrente, su richiesta della madre già dipendente del panificio, con un contratto di apprendistato fino al 13.08.2022, part time di 36 ore, poi ridotte a 24 ore presso il punto vendita di (omissis). Riferiva che talvolta, per esigenze di lavoro, la ricorrente poteva essere adibita al punto vendita di (omissis), previa comunicazione via whatsapp da parte dell'(omissis) come da accordi preventivi tra questi e il personale, tra cui la (omissis) che aveva dato disponibilità in tal senso. Quanto alla formazione, rilevava la realizzazione di un programma formativo di alternanza tra la fase pratica e la fase teorica, di cui è stata impossibile la realizzazione eccetto per il corso frequentato nel 2021 per impossibilità della lavoratrice a frequentare i corsi a causa dell'avvento della pandemia. Riferiva però che, durante la fase pratica, una collega affiancava sempre la ricorrente, di cui ne contestava la professionalità asserita: non erano chiare le competenze acquisite dalla ricorrente nell'attività della madre, presso la quale la affermava di aver lavorato fino al mese di settembre 2018, nonostante l'attività della madre risultasse cessata nel mese di dicembre 2017. Contestava che la riduzione dell'orario di lavoro fosse stata effettuata a causa della sua assenza per malattia, stante la comunicazione avvenuta in data 01.09.2020. Parte resistente proseguiva esponendo di gestire quattro negozi di produzione e vendita di pane e di essere una persona cordiale e gentile con tutte le proprie dipendenti, tra le quali nessuna aveva mai lamentato l'atteggiamento del proprio datore di lavoro. Le uniche eccezioni la ricorrente e una certa (omissis) le quali avevano adottato lo stesso copione iniziando il rapporto di lavoro con una buona attitudine, per poi approfittarsene della gentilezza dell'(omissis). Le due dipendenti suddette avevano iniziato a mostrarsi con la clientela spesso nervose e sbrigative ovvero non si presentavano a lavoro senza congruo preavviso o tardavano il turno di inizio, arrivando nel caso della (omissis) ad assentarsi per malattia oltre il periodo di comporto. Tale fu il motivo per cui l'(omissis) aveva contattato il medico di base della (omissis) che veniva vista, nonostante la sua assenza prolungata per malattia, in giro. Riferiva, infatti, che la (omissis) aveva ricevuto diverse contestazioni disciplinari, rese inevitabili per gli atteggiamenti assunti dalla lavoratrice sul posto di lavoro e oggetto di lamentela da parte della clientela. Rilevava come le azioni legali della ricorrente consistiti in azione stragiudiziale, monitoria ed esecuzione presso terzi avesse esasperato il datore di lavoro. Riteneva non configurata la fattispecie di mobbing e l'intento persecutorio sostenuto dalla ricorrente sulla base di trascrizioni di discorsi sgrammaticati ed espressioni volgari usate dall'(omissis) non avendo la stessa prodotto alcun messaggio diretto a lei come destinataria. Ed invero, in seguito alla querela presentata dalla (omissis) il pubblico ministero aveva ritenuto di escludere la configurazione del reato di cui all'articolo 612 c.p. Al pari infondata riteneva l'accusa di bossing. Quanto ai danni lamentati, deduceva l'insussistenza del nesso causale tra le presunte condotte mobbizzanti del datore di lavoro e l'insorgenza del disagio e dello stress lamentati dalla (omissis) che non ha mai ricevuto alcuna prescrizione farmacologica per il disagio psicologico lamentato, descritto nella Valutazione Psichiatrica come sofferenza di spettro ossessivo e panico agorafobico, elementi non correlati al tipo di lavoro. Riferiva che la (omissis) dal 2012 fumava ben 15 sigarette al giorno oltre al fatto che trattasi di soggetto che nell'arco di un anno ha subito ben due interventi chirurgici, che potrebbero essere stata la causa dell'ansia patita a partire dal 05.06.2020, mentre i messaggi incriminatoti risalivano a dicembre 2021. Quanto al licenziamento, ne sottolineava la sua legittimità per superamento del periodo di comporto di 180 giorni, in quanto il primo certificato risaliva al 23.12.2021. 5. La causa veniva istruita documentalmente e mediante l'espletamento di una consulenza medico legale. 6. Prima di procedere alla disamina delle diverse questioni giuridiche, occorre ricostruire sinteticamente i fatti di causa rilevanti, alla luce delle produzioni documentali. 7. La ricorrente è stata assunta in data 13.08.2019 alle dipendenze della ditta (omissis) (omissis) con contratto di apprendistato professionalizzante, inquadrata nel 6° livello, al fine di raggiungere il 4° livello. Contestualmente, è stato stilato un piano formativo (all. 20, pp. 7-12, di parte ricorrente). Nel corso del rapporto di lavoro, il datore di lavoro ha chiesto in relazione al Patto Formativo Integrato sottoscritto in data 23.06.2021 l'attivazione del voucher per l'erogazione dell'offerta formativa pubblica per l'acquisizione delle competenze di base e trasversali dell'apprendista (all. 3 di parte resistente). La ricorrente ha partecipato a un solo corso online di formazione, tra i mesi di settembre e di dicembre 2021. L'attività lavorativa si è svolta presso i diversi negozi di vendita al dettaglio. L'orario contrattualmente previsto in origine consisteva in 36 ore settimanali, poi ridotte, in data 01.09.2020, in 24 ore settimanali distribuite tra turno mattutino e pomeridiano e in seguito, con lettera del 08.01.2021, l'orario già così ridotto veniva distribuito in soli turni mattutini (all. 20, pp. 6-5 di parte ricorrente). I turni e il luogo di svolgimento dell'attività lavorativa venivano comunicati tramite messaggi inviati dal datore di lavoro su whatsapp. Sul punto, non sono stati contestati dal datore di lavoro le produzioni dei messaggi di testo e dei vocali audio inviati dallo stesso nella chat di whatsapp, né le altre riproduzioni audio e video di cui agli atti (all.ti 1-3; 14-15 di parte ricorrente). È emerso che alla ricorrente sono state inviate tre lettere di contestazione di addebito: in data 06.07.2020 veniva inviato un richiamo per abbandono del posto di lavoro e mancata comunicazione delle assenze con riferimento alla giornata del 03.07.2020; in data 28.12.2020, le veniva contestato nuovamente l'abbandono del posto di lavoro, avvenuto in data 26.12.2020 (come da correzione del 08.01.2021), avendo la ricorrente terminato l'attività lavorativa alle ore 12:25, ossia 5 minuti prima dalla fine del turno; infine, in data 16.12.2021, veniva contestata la condotta della ricorrente, a seguito di lamentele da parte della clientela (all. 7 di parte resistente). Nessun procedimento disciplinare e, dunque, nessun provvedimento seguiva tali contestazioni. Infine, a partire dal 23.12.2021, la ricorrente prendeva un congedo per malattia, prorogato sino al 06.07.2022, con diagnosi di stato d'ansia , stato ansioso e disturbo d'ansia (all.ti 4 di parte ricorrente). In data 21.06.2022 le è stato intimato il licenziamento, con effetto immediato, per superamento del periodo di comporto secco (all. 10 di parte ricorrente). 8. Procedendo con ordine delle doglianze, occorre verificare se il rapporto tra le parti sia stato qualificato come apprendistato professionalizzante solo formalmente. Sul punto, giova rammentare che l'apprendistato è un contratto di lavoro a causa mista, nel quale oltre alla causa caratterizzata dallo scambio tra retribuzione e prestazione lavorativa, si pone la finalità formativa. In particolare, il contratto di apprendistato è professionalizzante quando è volto a far acquisire competenze tali da poter conseguire una qualificazione attraverso la formazione sul lavoro: il datore di lavoro assume l'obbligo di formare il giovane lavoratore e, alla fine del periodo di formazione, può decidere di recedere liberamente dal rapporto ovvero proseguire a tempo indeterminato. L'elemento formativo qualifica la causa stessa del contratto di apprendistato e ciò rende particolarmente stringente la necessità che la volontà negoziale del lavoratore, nell'accedere al tipo contrattuale in questione, si formuli sulla base della piena consapevolezza del percorso formativo proposto e della sua idoneità a consentire l'acquisizione della qualifica alla quale l'apprendistato è finalizzato (sul punto, Cass. Civ., Sez. Lav., 24.04.2023, n. 10826). 9. Ciò premesso, occorre accertare il corretto svolgimento del rapporto al fine di verificare se lo stesso si sia sviluppato attraverso un percorso formativo delineato e funzionale all'acquisizione delle competenze professionali proprie della qualifica finale. L'onere probatorio, in questo caso, è a carico del datore di lavoro. 10. Nel caso di specie, nonostante il contratto di apprendistato professionalizzante, sottoscritto dalle parti, citi un piano formativo ad esso allegato, emergono fondati dubbi sul fatto che esso sia stato adeguatamente eseguito. Ed invero, nel contratto di apprendistato viene precisato che i periodi di formazione potranno svolgersi all'interno dell'azienda, presso strutture all'uopo delegate ovvero con modalità e-learning . Tuttavia, il datore di lavoro ha attivato solo in data 23.06.2021 a distanza di quasi due anni il voucher per l'erogazione dell'offerta formativa (dato che dimostra la riluttanza da parte del datore di lavoro allegata dalla ricorrente e non contestata) e il primo corso formativo online è stato eseguito dalla ricorrente dopo ben due anni dall'assunzione, tra i mesi di settembre e dicembre 2021. Inoltre, nello stesso contratto viene previsto che lo svolgimento del PFI sarà attestato da specifiche registrazioni settimanali/mensili dei contenuti e della durata della formazione impartita . Relativamente a tale circostanza, non è stata prodotta alcuna documentazione volta ad attestare i contenuti della formazione impartita durante la prestazione lavorativa, con formazione on the job , né tantomeno altri percorsi formativi attivati nei primi due anni di contratto. 11. A nulla rileva la tesi di parte resistente secondo cui la formazione non è stata resa possibile a causa del decorso della pandemia di Covid19, in quanto trattasi di evento successivo all'assunzione della lavoratrice, che non ha ricevuto alcuna formazione tra il momento dell'assunzione e il primo e unico corso attivato. Inoltre, la proroga che ha interessato la formazione nei rapporti di apprendistato è stata prevista dall'articolo 93, comma 1 bis, del cd. Decreto Rilancio, d.l. n. 34/2020, conv. con mod. dalla l. 77/2020 (poi abrogato con d.l. 104/2020) che disponeva che il termine dei contratti di lavoro degli apprendisti di cui agli articoli 43 e 45 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, e dei contratti di lavoro a tempo determinato, anche in regime di somministrazione, è prorogato di una durata pari al periodo di sospensione dell'attività lavorativa, prestata in forza dei medesimi contratti, in conseguenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 . Tale previsione manteneva vigente la previsione dell'articolo 2, comma 4, del D.Lgs. 148/2015, secondo la quale alla ripresa dell'attività lavorativa a seguito di sospensione o riduzione dell'orario di lavoro, il periodo di apprendistato è prorogato in misura equivalente all'ammontare delle ore di integrazione salariale fruite . La ratio della proroga è stata quella di contemperare la perdita della prestazione e la necessità di formazione del lavoratore. La proroga riguardava tanto la programmazione formativa, quanto la durata del contratto: non è stata applicata nel caso di specie, in quanto la scadenza del termine contrattuale, inizialmente previsto, è rimasta invariata. In ogni caso, nel periodo di pandemia era ammessa la formazione in modalità elearning, già contrattualmente prevista. 12. Si aggiunga che il CCNL per il settore Commercio triennio 2019-2021 applicato al caso di specie prevede nella tabella di cui all'articolo 54 rubricato Attività formativa , che per il raggiungimento del 4° livello sono necessarie 180 ore di formazione professionalizzante. Non è stata provata la durata del corso online svolto dalla ricorrente tra il mese di settembre e dicembre 2021, circostanza che non permette di verificare se l'unico programma formativo tardivamente attivato sia stato sufficiente a coprire il monte orario minimo richiesto dalla disciplina contrattuale. 13. In assenza del requisito essenziale della formazione, il contratto deve essere dichiarato nullo. In tal caso, sussistendo un rapporto di subordinazione tra il formale apprendista e il datore di lavoro, il contratto nullo viene convertito ab origine in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (si veda, Cass. Civ., Sez. Lav., 22.06.2018, n. 16571). 14. Quanto all'inquadramento della lavoratrice, è stata genericamente contestata la mansione di commessa alla vendita al pubblico , inquadrata nel 4° livello, svolta dalla ricorrente. Tale mansione si evince anche dal tenore delle conversazioni di whatsapp, nonché dal contenuto degli audio vocali dal datore inviati, che si riferisce alla ricorrente quale commessa e fa riferimenti sull'attività di vendita. Ne consegue che alla ricorrente sono dovute le differenze retributive derivanti dal superiore inquadramento ossia 4° livello cui avrebbe avuto diritto se non fosse stato illegittimamente inquadrata in un livello inferiore, in forza delle regole applicabili all'apprendistato (che ammette infatti un inquadramento inferiore di due livelli all'articolo 42, comma 5, lett. b), D .Lgs. 81/2015). 15. In assenza di specifiche censure mosse dalla parte convenuta, si ritengono corretti i conteggi allegati dalla ricorrente e fondati sulle indicazioni del contratto collettivo. Pertanto, il datore di lavoro deve essere condannato alla corresponsione della differenza retributiva che ammonta a euro 3.405,66. 16. Proseguendo nel merito, la ricorrente chiede l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto, in quanto l'assenza per malattia è imputabile alla responsabilità del datore di lavoro, il quale con la sua condotta ha generato un disturbo dell'ansia nella ricorrente. Chiede, inoltre, che tale condotta venga ricondotta alla fattispecie di mobbing/bossing, con conseguente condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. 17. Tali domande necessitano un'osservazione sul rapporto personale intercorrente tra le parti. 18. Dalla registrazione della chiamata prodotta, intercorsa tra la (omissis) e l'(omissis) e dal tenore dei messaggi di testo e vocali inviati da quest'ultimo nella chat di whatsapp con la ricorrente e, specialmente, nella chat di gruppo dell'azienda nella quale partecipano tutti i dipendenti emerge un atteggiamento ostile del datore di lavoro nei confronti della lavoratrice, sia prima dell'insorgenza dello stato di ansia, sia nel periodo della sua malattia. 19. Il resistente conferma di aver assunto la ricorrente per fare un favore alla madre della (omissis) sua conoscente, e tale circostanza appare essere il principale motivo di ostilità da parte sua (pronuncia frasi come: Sei una grande, ringrazia sempre mammina tua, ringraziala sempre, ringrazia sempre mammina tua, capito? ; però m'è capitata e mi ammazzo? Ce l'ho messa. ; t'ho detto che ti devo fare litigare con tua mamma, ma arrivando a un certo punto, per arrivare a sti livelli che siete e per il carattere di merda che ci avete ; Va bene, tanto ti ho detto non ho bisogno di te, io bisogno di te non ce ne ho, stai con me per tua mamma, per tua mamma stai con me. all.ti 1-2 e 1-3 del 23.12.2021; Mi stai antipatica da sempre, sei entrata per tua madre e se c'era anche lei per te e basta all. 3-10 conversazione del 03.08.2020). 20. Nella chat di whatsapp con la ricorrente, l (omissis) si rivolge in maniera poco cortese alla ricorrente nel comunicare, la sera prima, il turno e il luogo di lavoro, scrivendo: Domani fai pomeriggio a (omissis) notte. E ora ti cambio contratto, sennò amici meglio di prima ; alla richiesta della (omissis) di conoscere il negozio presso il quale svolgere l'attività lavorativa, (omissis) risponde: A fare in culo. Tu domani mattina a (omissis) (all. 3-8 del 01.06.2020); oppure le scrive: Domani fai pomeriggio a (omissis) ti comunico che fai solo quattro ore e nne pago sei, perciò, cerca di capire (omissis) e poi dal prossimo mese si cambia orario buona serata (all. 3-9 del 01.09.2020). 21. Nell'agosto del 2020, dopo un periodo di malattia della ricorrente, l'Abbate scrive: Sei proprio simpatica. Al primo sbaglio sei fuori, Da oggi in poi fai quattro ore va bene. La mattina. Ti stavi al banco del pane ok e, a seguito della spiegazione della ricorrente sulla sua assenza, ribatte: Comunque rimani dal punto che ti devo mandare via e d'ora in poi fai quattro ore (all. 3-10 conversazione del 03.08.2020). 22. Inoltre, l (omissis) più volte minaccia il licenziamento o comunque la mancata conversione del contratto a tempo indeterminato, con frasi del tipo: Ma ora, se ti posso licenziare, farò di tutto (all 1-2 del 23.12.2021); Comunque rimani dal punto che ti devo mandare via e d'ora in poi fai quattro ore. (all. 3-10 conversazione del 03.08.2020); Io a tempo indeterminato non ti ci passerò mai, a costo che morirò (all. 3 di parte ricorrente, conversazione telefonica con la (omissis) del 01.07.2020); Tutte quelle che ci faccio il contratto indeterminato, tutte quelle là devono uscire. (all. 2 34 di parte ricorrente, chat di gruppo del 15.04.2022); e vi faccio il contratto a tempo indeterminato? Che sono folle? (all 2-39 chat di gruppo del 26.04.2022); e allora pensa se passava e mi inculava il contratto a tempo indeterminato ora vediamo appena manda il suo manager che la dovrebbe difendere cosa ci dice che faceva 24 ore settimanali e questi stesso non li vuole fare più e viene lui a rompere i coglioni lo faccio nuovo , riferendosi in maniera indiretta alla ricorrente alla quale aveva ridotto l'orario di lavoro prima che andasse in congedo per malattia (all. 1-14, chat di gruppo del 07.02.2022). 23. A tal proposito, le riduzioni dell'orario dell'attività lavorativa, regolarmente comunicati, appaiono da queste affermazioni non del tutto genuine. Anche le lettere di contestazione di addebito appaiono essere uno strumento utilizzato dal datore di lavoro per fare pressione psicologica sulla ricorrente, rilevato che nelle varie conversazioni cita di avere preparato la letterina (all. 1-3 del 23.12.2021) o che le avrebbe mandato un'altra lettera e poi te ne mando un'altra (all. 3-9 del 01.07.2020). 24. (omissis) inoltre, non si limitava ai soli messaggi sulla chat istantanea, ma provvedeva a comunicare il proprio risentimento nei confronti della ricorrente, in maniera velata e indiretta , pubblicando sulla pagina Facebook del (omissis) (omissis) nel quale afferma: Io gli operai non li pago e i soldi me li mangio io, se ci vogliono stare bene, se non ci vogliono stare se ne vanno da un'altra parte , poi precisa, quelli in malattia però, quelli buoni li pago, se no mi stanno a casa: i finti malati non li pago . Pubblicava successivamente una foto di un filoncino di pane nero accompagnata da una frase scurrile rivolta a due commesse , di cui è facile l'identificazione, in quanto dallo stesso (omissis) ammesso nella memoria di costituzione la (omissis) e la (omissis) erano le uniche commesse problematiche (all. 15 di parte ricorrente). 25. L'atteggiamento e il modo di porsi dell'(omissis) nei confronti della (omissis) sono particolarmente astiosi e appare del tutto verosimile che tale condotta abbia creato un ambiente di lavoro ostile e mal vissuto dalla ricorrente tanto da causarle uno stato di ansia e la sua persistenza durante il periodo di malattia fruito. 26. Il caso di specie non è però riconducibile alla fattispecie di mobbing/bossing, per la cui configurazione non è sufficiente l'accertata esistenza di plurime condotte datoriali illegittime, in quanto è necessario l'accertamento di una reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell'esprimere ostilità verso il lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione e isolamento ambientale lavorativo. La ricorrente non ha provato che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione. Non si ravvisa, infatti, un vero e proprio intento persecutorio da parte del datore di lavoro, in quanto non pare sussistere da parte sua un'intenzione psicologica di arrecare un danno alla lavoratrice, ma piuttosto un'antipatia e un atteggiamento pubblicamente ostile. 27. Tale la situazione, non possono passare inosservate le relazioni redatte dalla psicologa della ricorrente, dott.ssa (omissis) (all. 7 di parte ricorrente) e del medico del Centro Diagnostico per le Patologie da Stress e Disadattamento Lavorativo presso l'Azienda Ospedaliero Universitario Pisana, che hanno delineato un quadro di sindrome ansiosa dello spettro posttraumatico da stress compatibile con situazione lavorativa caratterizzata anamnesticamente da una rilevante presenza di rilievi avversativi (all. 6 di parte ricorrente). 28. A questo punto, si rammenta che in tema di responsabilità del datore di lavoro per danni alla salute del dipendente, anche ove non sia configurabile una condotta di mobbing , per l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificarela pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli, è ravvisabile la violazione dell'articolo 2087 c.c. nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute dei lavoratori ovvero ponga in essere comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi (Cass. Civ., Sez. Lav., 07.02.2023 n. 3692; n. 33639 del 2022; n. 33428 del 2022). Il giudice può modificare, anche d'ufficio, l'originaria impostazione della domanda e valutare se, dagli elementi dedotti per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto possa presuntivamente risalirsi (quanto meno) al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno (da ultimo, Cass. Civ., Sez. Lav., ordinanza del 30.11.2022, n. 35235; ma anche 10.07.2019 m. 18164; 19.02.2016, n. 3291). 29. Dalle risultanze della consulenza medica espletata dal CTU incaricato, dott. (omissis) qui condivise è stata ulteriormente accertata la sussistenza del nesso di causalità tra il disturbo dell'adattamento con sintomi ansiosi, di cui è affetta la ricorrente, e le condotte datoriali descritte. Viene osservato, nell'elaborato peritale, che il quadro clinico della ricorrente è migliorato una volta interrotto il rapporto di lavoro, con parziale recupero del controllo della fenomenica ansiosa, a riprova del collegamento causale. Il consulente ha evidenziato che la ricorrente ha subito un danno biologico temporaneo in misura pari al 50% per 196 giorni, in assenza di postumi permanenti. 30. Dunque, con la propria condotta precedente e contestuale all'insorgenza dello stato di ansia della ricorrente il datore di lavoro non ha impedito la creazione di un ambiente stressogeno per la lavoratrice, venendo meno al proprio dovere di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale della propria dipendente, obbligo derivante dall'articolo 2087 c.c. Tale violazione, comporta una responsabilità in capo al lavoratore, il cui atteggiamento ha contribuito eziologicamente allo sviluppo dello stato ansiolitico della lavoratrice. 31. Il danno non patrimoniale complessivamente sofferto può essere liquidato sulla base delle Tabelle di Milano 2021 applicabili al momento del fatto, tenendo conto dell'età della ricorrente, nella misura di euro 10.668,30 (di cui euro 966,30 per spese mediche uniche documentate da fatture e parcelle non contestate, trattandosi di disturbo da stress correlato e transeunte). 32. Gli ulteriori danni lamentati dalla ricorrente non sono stati provati. 33. Infine, quanto al licenziamento per superamento del comporto, si osserva che la ricorrente ha iniziato a fruire del congedo per malattia in data 23.12.2021 prorogato, senza soluzione di continuità, sino il 06.07.2022. In data 21.06.2022, superati i 180 giorni previsti dal CCNL Commercio applicabile, le è stato intimato il licenziamento con effetto immediato. Prima facie, il licenziamento irrogato sembrerebbe essere legittimo. 34. Va, tuttavia, osservato che le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro per superamento del limite di tollerabilità dell'assenza ove l'infermità sia comunque imputabile a responsabilità dello stesso datore di lavoro, in dipendenza della nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro, che egli abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza (Cass. Civ., Sez. Lav., 07.04.2003, n. 5413). La regola generale è quella per cui le assenze del lavoratore dovute a infortunio o malattia professionale dunque avente origine professionale sono normalmente computabili nel periodo di conservazione del posto ai sensi dell'articolo 2110 c.c. affinché l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto è necessario che sussista anche una responsabilità del datore di lavoro ex articolo 2087 c.c. (si veda, Cass. Civ., Sez. Lav., 27.09.2019, n. 5 749; ma anche 27.06.2017, n. 1 5972). Alla luce di ciò, il licenziamento di un lavoratore per superamento del periodo di comporto è nullo se le assenze per malattia sono causate da comportamenti illeciti del datore di lavoro che hanno provocato stress o danni psicofisici al lavoratore. Anche in assenza di mobbing, il datore di lavoro deve dimostrare di aver rispettato gli obblighi di sicurezza e di protezione della saluta del lavoratore e se le assenze per malattia sono legate a tali inadempienze, esse non possono essere considerate nel computo del periodo di comporto (si veda sul punto, Corte d'Appello di Milano, 30.07.2024, n. 365). 35. È evidente che l'impossibilità della prestazione lavorativa per causa di malattia è imputabile al comportamento del datore del lavoro, che non ha provato diversamente. Ne consegue che le assenze non potevano che essere detratte dal calcolo del termine di comporto. 36. Il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia od infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all'articolo 2110 c.c. (si veda, Cass. Civ., Sez. Un., 22.05.2018, n. 12568). Quanto alla tutela applicabile, si ricorre al disposto dell'articolo 2 del D.Lgs. n. 23/2015, secondo cui la tutela reintegratoria, unitamente a quella indennitaria, è prevista per il licenziamento discriminatorio e per i casi di recesso come il presente riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge (si veda anche, Corte d'Appello di Torino, 05.08.2022, n. 315). 37. Parte convenuta va, dunque, condannata alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro e alla corresponsione di un'indennità risarcitoria pari all'ultima retribuzione di riferimento (tenuto conto l'inquadramento 4° livello) per il calcolo del trattamento di finerapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nella misura di sei mensilità, oltre interessi e rivalutazione monetaria. 38. Le spese di lite, dunque, seguono la soccombenza e vengono liquidate, come in dispositivo, secondo gli importi minimi previsti dal D.M. del 10.03.2014 n. 55, pubbl. in GU n. 77 del 02.04.2014 e successive modifiche, per le cause di lavoro, tenuto conto del valore accertato e dell'attività espletata (scaglione da euro 5.201 a euro 26.000). P.Q.M. accerta e dichiara la nullità del contratto di apprendistato stipulato in data 13.08.2019; accerta e dichiara la natura del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra (omissis) e la ditta Contro(omissis) e il diritto della ricorrente all'inquadramento nel 4° livello di cui al CCNL per il settore Commercio triennio 2019-2021 e, per l'effetto, condanna la parte resistente alla corresponsione, in favore della ricorrente, delle differenze retributive tra quanto dovuto per effetto del superiore inquadramento ossia euro 3.405,66, oltre interessi e rivalutazione monetaria; nonché la regolarizzazione della posizione contributivoprevidenziale per effetto del superiore inquadramento; accerta e dichiara la nullità del licenziamento intimato alla ricorrente in data 21.06.2022. e, per effetto, condanna la parte resistente alla reintegra della ricorrente e alla corresponsione di un'indennità risarcitoria pari a dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione nella misura di sei mensilità, oltre interessi e rivalutazione monetaria; condanna la parte resistente alla rifusione delle spese di lite, in favore della parte ricorrente, che si liquidano in euro 2.695,00 oltre 15% per spese generali, I.V.A. qualora dovuta e C.P.A. come per legge, da distrarsi in favore degli avvocati (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis), dichiaratisi procuratori antistatari; pone definitivamente a carico di parte resistente le spese della consulenza tecnica d'ufficio, liquidate con separato decreto.