In tema di licenziamento disciplinare, la Corte d'Appello di Torino ha confermato la legittimità del recesso per molestie sessuali sul luogo di lavoro, valorizzando l'attendibilità della vittima e la rilevanza della violazione del vincolo fiduciario.
La sentenza in commento affronta la delicata tematica del licenziamento per giusta causa in caso di molestie a sfondo sessuale sul luogo di lavoro, soffermandosi in particolare sull'attendibilità delle dichiarazioni della vittima e sulla rilevanza della sua deposizione ai fini della prova. Il procedimento trae origine dal ricorso di un lavoratore licenziato, accusato di aver baciato una collega contro la sua volontà e di averle rivolto ripetuti apprezzamenti a sfondo sessuale, dopo aver consumato alcolici durante una festa aziendale. La Corte, ribaltando la decisione di primo grado, ha riconosciuto la piena credibilità della testimonianza della collega molestata, sottolineando come, in ambito civile, la testimonianza della persona offesa sia sufficiente a provare il fatto, senza la necessità di riscontri esterni, a differenza del processo penale. L'analisi dei giudici di secondo grado si concentra su elementi che rafforzano la veridicità della narrazione della vittima: la coerenza delle dichiarazioni, l'assenza di motivi plausibili per una calunnia, la tempestività della denuncia all'azienda, nonché la mancanza di benefici personali per la testimone in caso di falsa accusa. Viene, inoltre, evidenziato che le eventuali incongruenze o “défaillance mnemoniche” tipiche delle testimonianze non minano la credibilità sostanziale della denuncia e che giudicare la veridicità dei fatti sulla base del comportamento post-molestia della vittima (come la mancata richiesta di aiuto immediata) costituisce un errore di prospettiva, rischiando di colpevolizzare la parte offesa piuttosto che il reale autore della condotta illecita. La Corte, dopo aver richiamato l'articolo 26, c. 2, d.lgs. 198/2006 che definisce come molestie sessuali «tutti quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice» e l'articolo 48, par. B), del CCNL di settore, che prevede il licenziamento senza preavviso per condotte costituenti delitto, ha accolto l'appello.
Presidente Rocchetti - Relatore Aprile Fatto/Diritto 1. Con ricorso tempestivamente depositato e ritualmente notificato, l'I.I. S.p.A. proponeva appello avverso la sentenza n. 2089/24 in data 5-10/09/2024 del Tribunale di Torino, che aveva respinto (sanzionando la temerarietà della lite) la domanda di accertamento della legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato con lettera del 12/05/2023 a P.G. (assunto il 1/07/2021 con mansioni di operaio addetto alla reception presso la palazzina B dell'Università degli Studi di Trieste inquadrate nel 2 livello Ccnl Imprese di Pulizie/Multiservizi), e che aveva invece accolto la 'simmetrica' domanda riconvenzionale di annullamento del recesso datoriale a fronte della sua natura ritorsiva (a 'punizione' di pregresse pretese retributive), con reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro. Il Tribunale aveva ritenuto infondata e non provata la giusta causa disciplinare - consistita nel fatto che il lavoratore, nella giornata del 7/04/2023, aveva ingiustificatamente abbandonato, lasciandola incustodita, la propria postazione di lavoro, era stato sorpreso in grave e visibile stato di ebbrezza (doc. n. 4 di parte appellante) dopo avere partecipato alla festa di pensionamento del collega D.L.L. e avervi bevuto vari bicchieri di vino, e aveva posto in essere comportamenti di gravissima molestia fisica nei confronti della Sua collega sig.ra C.S., abbracciandola e baciandola sulla bocca contro la sua volontà, formulando frasi quali che bella donna che sei e affermando che la sig.ra S. le piace e che è innamorato di lei (ibid.) - in considerazione dell'inattendibilità e falsità delle testimonianze rese da S.C. e G.P. (capo squadra del servizio pulizia) e dell'insussistenza di un'effettiva e rilevante condotta di abbandono del posto di lavoro così come descritta e sanzionata dall'articolo 48, A), lett. d), Ccnl. Parte appellante, in particolare (e in estrema sintesi), lamentava che il primo Giudice: - aveva fatto malgoverno delle prove testimoniali ritenendo erroneamente inattendibili le predette testi, nonostante nessun profilo tra quelli indicati fosse tale da mettere seriamente in discussione la veridicità delle loro deposizioni; - aveva considerato disciplinarmente irrilevante l'abbandono ingiustificato della postazione di lavoro, nonostante non avesse trovato riscontro probatorio che il lavoratore, benché recatosi senza autorizzazione in altro locale non attiguo (ove era in corso il ricevimento del collega pensionando), sarebbe stato comunque in grado di accorrere prontamente nella portineria di adibizione in caso di necessità. Si è costituito P.G. evidenziando l'infondatezza dell'appello avversario, insistendo sulla carenza e sulla falsità delle prove in ordine alle condotte illecite contestategli, ritenendo pienamente attendibile la testimonianza, a sé favorevole, del collega L.E., direttamente presente ai fatti (ma pure lui ritenuto falso e inattendibile dal primo Giudice), e chiedendo la conferma del provvedimento reintegratorio e risarcitorio. All'udienza del 13/03/2025, la causa, all'esito della discussione, è stata decisa come da dispositivo trascritto in calce. 2. Il primo motivo di gravame è fondato e meritevole di accoglimento. 2.1. È opportuno, a parere di questo Collegio, soffermarsi soltanto sulla condotta riguardante, come si legge nella lettera di contestazione disciplinare dell'11/04/2023, la gravissima molestia fisica nei confronti della Sua collega sig.ra C.S., abbracciandola e baciandola sulla bocca contro la sua volontà, formulando frasi quali che bella donna che sei e affermando che la sig.ra S. le piace e che è innamorato di lei e ponendo quest'ultima in condizione di gravissimo disagio . Si accantonano, pertanto, sia la contestazione relativa allo stato di ubriachezza (oltretutto non fatta oggetto di specifico motivo d'appello, poiché le pur ampie motivazioni spese sul punto dal primo Giudice non risultano analiticamente criticate), sia quella relativa all'abbandono della postazione di lavoro; ciò allo scopo di porre in esclusivo risalto e di meglio mettere a fuoco l'episodio indubbiamente più serio e più grave, quello, ossia, delle molestie a sfondo sessuale a danno di S.C. 2.2. Ciò premesso, si osserva come costei abbia riferito testimonialmente che nel momento in cui sono arrivata sul posto la portineria dell'edificio A per dare il cambio al collega L.E., n.d.e., il P. si è alzato dalla sedia su cui stava, mi ha preso la faccia tra le sue mani e mi ha dato un bacio sulle labbra. Il P. mi ha solo detto ciao prima di baciarmi, non ha contestualizzato il bacio né giustificato il gesto con gli auguri di Pasqua. Non ricordo con precisione, ma non mi pare che il P. mi abbia abbracciata; subito dopo il bacio ricordo che si è rivolto ad E. facendomi dei complimenti, dicendo che ero bella, dicendo che il taglio di capelli che mi ero da poco fatta mi stava bene, il P. poi diceva che era innamorato di me alla follia; sostanzialmente ripeteva questo genere di frasi. Non c'era mai stato alcun rapporto confidenziale con il P. ; la teste ha quindi proseguito precisando che, nonostante il bacio rubato, il lavoratore, dopo averle offerto un succo di frutta e uno snack acquistati nel vicino bar dell'università, aveva continuato a farmi dei complimenti, ha cercato di prendermi la mano, io cercavo di fargli capire che eravamo sul posto di lavoro e che non si poteva comportare così, lui rispondevo che io gli piacevo e che era innamorato (verb. ud. 9/04/2024; sottolineature dell'estensore). La teste, dunque, ha pienamente confermato l'episodio di molestia occorsole il 7/04/2023 nel senso e nel contenuto poi trasfusi nella lettera di contestazione disciplinare; si tratta, oltretutto, di un'ordinaria causa civile, in cui (a differenza del processo penale, ove, per via dei diversi valori in gioco, si reputa di norma opportuno che la testimonianza della persona offesa trovi una qualche corroborazione esterna) la deposizione di un teste è di per sé sufficiente quale prova dell'accadimento 'storico' di un determinato fatto. In questo senso, la deposizione di S.C. è perfettamente credibile in quanto: a) ella ha affermato che il collega biascicava parlando e traballava; per traballare intendo che il P. un po' ciondolava con il corpo e che si percepiva che non riusciva a stare bene in asse ; odorava anche di alcool. Posso dire che l'alcool si sentiva in quanto subito dopo il nostro incontro il P. mi ha baciato in bocca ; se può essere vero che la teste ne aveva un po' sovrastimato la condizione psicofisica (un verosimile e tipico 'riflesso enfatizzante' post-evento traumatico), è altrettanto vero che P.G. (che non lo ha mai negato, fin dalla lettera di giustificazioni sub doc. n. 7) aveva bevuto due bicchieri di vino per altrettanti brindisi (sentenza, pag. 21) nel corso del ricevimento per il pensionamento del collega; b) detto altrimenti: per quanto il lavoratore non fosse propriamente in preda a ebbrezza, risulta nondimeno accertato ch'egli aveva ingerito (almeno) due bicchieri di vino pochi minuti prima di incontrare la teste - tenuto conto che, notoriamente, l'assunzione estemporanea e fuori pasto di due bicchieri di vino da parte di una persona diabetica, se non in grado di provocarle un'autentica ubriachezza, è comunque in grado di causarle uno stato di minima alterazione; c) tali dichiarazioni di S.C., specie sul particolare dell'alito vinoso, si sono pertanto rivelate non il frutto di una menzogna o di un'invenzione di sana pianta, bensì corrispondenti a un fatto oggettivo preciso: la teste, tra l'altro, neppure poteva sapere che il collega era stato a un ricevimento ove si era offerto vino (e infatti era stato lui a dirglielo), dato che lei non vi aveva partecipato; d) la deposizione in rassegna ricalca senza significative discontinuità quanto scritto dalla teste stessa nella mail (doc. n. 3) inviata l'11/04/2023 a C.F. (referente aziendale per i servizi di portineria) appena quattro giorni dopo l'accaduto e, quindi, nella quasi immediatezza dei fatti (e ben prima della denuncia-querela per diffamazione sporta dall'attuale appellato); e) anzi, il fatto che la teste, durante l'escussione, non abbia ricordato se il collega l'avesse anche abbracciata va a conferma della sua attendibilità: se di menzogna si trattava, allora tanto valeva rileggere bene la suddetta mail, memorizzarla a dovere e confermare anche tale circostanza. 2.3. La deposizione di S.C. regge, e regge da sola; e non c'è neppure bisogno del contributo testimoniale di G.P., di cui si può fare senz'altro a meno - così assecondando la difesa di parte appellata. Peraltro, a un attento esame della prima sentenza, le singolarità ivi evidenziate a riscontro dell'inattendibilità e della falsità di quest'ultima teste (cfr. pagg. 17-18) - il fatto ch'ella si fosse recata presso la palazzina A mentre S.C. e P.G. erano rimasti soli, le incongruenze sull'esatto orario del suo arrivo lì e sull'esatto momento in cui il lavoratore era andato al bar per acquistare lo snack e il succo di frutta, il diretto rimprovero alla volta del collega (e non s'intende perché non avrebbe dovuto farlo), ecc. - attengono a circostanze modeste e di scarso spessore, che non scalfiscono sensibilmente (sì da farlo svanire) il nucleo centrale ed essenziale della testimonianza di S.C. relativo al bacio rubato e agli apprezzamenti importuni e imbarazzanti sulla sua avvenenza fisica. Di più: tali discontinuità narrative, in realtà, finiscono con il confermare l'attendibilità della vittima, la quale, se davvero avesse voluto inscenare un'artata macchinazione a danno di P.G., avrebbe previamente e attentamente concordato e 'preparato' con G.P. una ricostruzione della vicenda in tutto identica, conforme e priva di sbavature e incongruenze; e proprio non si capisce come siffatte sbavature e incongruenze, pur insistentemente sottolineate dall'appellato, possano indurlo a ritenere, non senza palese contraddizione, che le due colleghe avevano deposto accordatesi sulle versioni da fornire in aula (memoria, pag. 27), trascurando che, di norma, sono proprio le testimonianze molto 'precise' e 'troppo concordanti' a generare sospetti di inattendibilità, quelle, cioè, che ostentano perfezione e che non fanno i conti con i fisiologici 'alti e bassi' della rievocazione mnemonica, specie se sollecitata dopo un certo tempo dai fatti. Pur tuttavia, come si è detto, e dando ragione all'appellato, si può tranquillamente non considerare la (e soprassedere sulla) testimonianza di G.P. - senza che ciò incida minimamente sull'intrinseca attendibilità di S.C. e rimuova il valore in sé probante della sua deposizione. 2.4. Il primo Giudice, d'altronde, ha ritenuto che quest'ultima non fosse credibile per non avere chiesto aiuto al personale di sorveglianza subito dopo le molestie, di essere ciononostante rimasta sola per qualche minuto con il collega molestatore e di avere serbato un comportamento omissivo e quasi rassegnato (sentenza, pag. 16). Questi argomenti, in verità, non convincono e, anzi, la critica loro rivolta da parte appellante coglie nel segno: il Tribunale pretende di ritenere infondate le circostanze riferite dalla vittima di una molestia sulla base di un giudizio di plausibilità , peraltro basato su non meglio identificate regole di condotta che, a suo parere, la vittima avrebbe sbagliato a non seguire. Pertanto, è evidente che il Tribunale ha deciso non sulla base della condotta illecita contestata al P. ... ma sulla base del comportamento della vittima, ritenuto dal Giudice poco avveduto, omissivo , particolarmente bizzarro (ricorso, pag. 17). Il comportamento che una vittima di molestie a sfondo sessuale possa tenere dopo il loro accadimento - e, nella fattispecie, non avere subito chiesto aiuto al personale di sorveglianza, avere avvisato C.F. qualche giorno dopo invece che nell'immediato, avere ulteriormente tollerato l'atteggiamento del collega, essere rimasta ancora pochi minuti sola con lui, ecc. - non può riverberarsi retrospettivamente sulla (e inficiare la) veridicità dell'evento presupposto quand'esso sia stato confermato testimonialmente; se non a pena, per le persone coinvolte in episodi del genere, di non essere pregiudizialmente credute, come ancora diffusamente accade a quante rimangono oggetto di attenzioni sessuali indesiderate. E ha perciò ragione l'appellante quando lamenta la colpevolizzazione della vittima, ossia l' emergere di una sorta di pregiudizio - che faceva parte di un passato remoto e sinceramente auspicavamo non esistesse più - circa quello che, secondo il Giudicante, avrebbe dovuto essere il comportamento della dipendente nel momento in cui si è trovata essere vittima di condotte moleste, fisiche e verbali (ibid., pag. 15). In questi delicati contesti, l'atteggiamento susseguente non interferisce di per sé con la verosimiglianza del fatto che lo precede: una persona molestata - se non immaginando, inammissibilmente, l'esistenza in tal senso di una contegno post-evento tipico e 'ideale' - può avere mille ragioni per non attivarsi contro il molestatore e per non denunciarlo penalmente, fosse solo per banale tolleranza o per evitare ulteriori noie o per non sopportare il rischio, appunto, di non essere creduta; ma questo, da solo, non costituisce per nulla elemento escludente la verità della molestia patita, e certamente è così nella vicenda qui in esame, se si considera che S.C., da un lato, aveva subito una molestia di non efferata violenza (sicché non c'era poi tutta questa 'emergenza' di ricorrere a soccorritori e sorveglianti), e, dall'altro (come si dirà infra, n. 2.6), non desiderava affatto che l'episodio avesse un qualche seguito. 2.5. Piuttosto, l'interrogativo fondamentale e decisivo - che nessuno sembra essersi seriamente posto (neppure l'appellato, che forse era il più interessato a porselo) e a cui non pare sia stata data soddisfacente risposta - riguarda la ragione ultima (il 'movente' per dirla con i penalisti) in obbedienza alla quale S.C. avrebbe dovuto insolentemente e spudoratamente infamare e calunniare un collega sapendolo innocente e incolpandolo di una grave condotta non priva di rilevanza criminosa (ex articolo 609-bis c.p., posto che il bacio rubato è un atto di violenza sessuale: cfr. Cass. pen. n. 33697/23); in altre parole, quello che è mancato nella celebrata istruttoria e nella successiva ricostruzione interpretativa dei fatti sono stati proprio l'individuazione e il discernimento di un motivo plausibile, forte, convincente e tale da determinare la collega di P.G. ad accusarlo falsamente e a presentarsi davanti all'autorità giudiziaria (con tutti i rischi del caso) a deporre su circostanze inveritiere. Un simile comportamento sarebbe stato (forse) giustificabile, ad esempio, se S.C. avesse intrattenuto con l'attuale appellato una certa relazione (creditoria, familiare, coniugale, sentimentale, ecc.), oppure se fosse stata animata da ragioni di rivalsa, di astio e di rancore tali da (mal)consigliarle il ricorso alla calunnia. Ma nulla di tutto questo è emerso; e non c'è dubbio alcuno, si ribadisce, che questa semplice osservazione (sfuggita nel suo valore significante e tuttavia rimasta aleggiante e irrisolta) sia incompatibile con la lettura degli avvenimenti patrocinata dalla sentenza impugnata e proietti un'indissolvibile ombra su tutti gli argomenti difensivi di parte appellata. L'unica circostanza in questo senso evidenziata da P.G. è quella prendente spunto dalla dedotta adibizione di S.M., sorella minore di S.C. (figlia del medesimo padre, ex marito di G.P.), nella postazione di lavoro da lui lasciata libera in conseguenza del licenziamento. Ebbene, a parte il fatto che la cosa è stata evidenziata solo in appello, mancando la prova che si fosse trattato di elementi emersi successivamente non solo alla data di costituzione del lavoratore, ma al termine del giudizio di primo grado (memoria, pag. 27); a parte ancora l'assoluta sproporzione tra il mezzo (gravissimo) e il fine (inconsistente), si ricava dalla documentazione versata sub C), D) e E) da parte appellante - che si ritiene di acquisire ex articolo 437, co. 2, c.p.c. in quanto riscontro indispensabile ai fini della decisione - che S.M. era dipendente dell'I.I. S.p.A. fin dal 1/07/2021 e, dunque, da molto tempo prima dei fatti di causa; inoltre, c'è da chiedersi come mai S.C. fosse così sicura che, deponendo il falso, P.G. sarebbe stato certamente e definitivamente licenziato (auspicio poi disatteso) così da assicurare alla sorella il posto presso la reception della palazzina B. Né si comprende cosa ci fosse di così tanto allettante in tale postazione lavorativa, se è vero che lo stesso difensore di parte appellata, nel corso della discussione, non ne ha nascosto, condivisibilmente, la totale marginalità nell'economia della vertenza. 2.6. Ma c'è anche un'altra considerazione da fare, abbastanza dirimente: se questa era l'intenzione di tutta la messa in scena subdolamente allestita da S.C., non si spiega davvero perché costei, nell'immediatezza dei fatti, avrebbe risposto a C.F. (ritenuta, a ragione, attendibilissima dal primo Giudice, dall'appellante e, soprattutto, dall'appellato: memoria, pag. 18) non vorrei neanche portare avanti la cosa, per me siamo a posto così, si è risolta così (verb. ud. 10/06/2024), dimostrando in tal modo di non nutrire alcun interesse affinché il pur grave episodio di molestie fosse reso noto alla direzione aziendale e fossero presi provvedimenti contro il molestatore. Anzi, dal vocale sub (omissis) inviatole su Whatsapp da C.F. (l'appellato non vi ha speso una sola parola) si percepisce con cristallina chiarezza come S.C. avesse mostrato ritrosia nel rendere pubblica l'incresciosa vicenda e avesse sperato, benché incalzata in senso contrario dalla collega, che su di essa calassero riserbo, silenzio e anonimato. Ancora: se davvero S.C. e G.P. avevano tra di loro complottato e concordato un pactum sceleris per incastrare P.G., per calunniarlo e per farlo licenziare (così da soddisfare la premura datoriale di sbarazzarsene), tutto ciò non può essere scaturito dall'iniziativa solitaria delle due dipendenti e non sarebbe stato praticabile senza l'istigazione, l'adesione e la copertura dei vertici aziendali, pur essi, a questo punto, necessariamente e direttamente coinvolti in questo percorso delittuoso (ai limiti dell'associazione per delinquere), da perseguire anche a costo di inguaiare penalmente le due dipendenti quando il Giudice non le avesse credute (come puntualmente verificatosi). In sostanza, le due donne (in maniera assai implausibile) si sarebbero consapevolmente prestate a compiacere l'I.I. S.p.A. nel suo insopprimibile intento vendicatorio contro il lavoratore, senza alcuna concreta contropartita (denaro, avanzamento di carriera, utilità varie, ecc.) se non la mera e trascurabile promessa di collocare S.M. presso la reception della palazzina B dell'ateneo - cosa, oltre che poco credibile, del tutto incongrua, come si è già notato, rispetto ai rischi dell'operazione calunnatoria. Oltretutto, occorre seriamente interrogarsi sul perché l'attuale appellante sarebbe giunta ad architettare tutta questa farsa, quando avrebbe potuto architettarne infinite altre, molto meno compromettenti e insidiose e senza necessità di coinvolgere dipendenti; così come c'è da chiedersi, non meno seriamente, se la causa scatenante il presunto fine ritorsivo verso P.G. - là dove questi aveva osato rivendicare un superminimo assorbibile dell'impressionante importo di euro 74,39 lordi mensili e riconosciutogli con un accordo conciliativo (ben poco compatibile con tanta presunta ostilità) - fosse tale da giustificare una rivalsa così implacabile e, come si è detto, così inutilmente sproporzionata. Qualcosa di persuasivamente contrario a tutta questa serie di elementi (che questo Collegio ritiene determinanti) non solo non è emerso neanche in dosi minime, ma non è stato neppure ipotizzato dallo stesso lavoratore - il quale, semmai, ha insistito solamente, a livello molto più basso, su un disegno di P.G. e C.S. volto a escludere F.C. dalla lista dei testimoni diretti (memoria, pag. 26), per quanto non si vede come quest'ultima, anche qualora la richiesta del suo intervento fosse stata tempestiva, avrebbe potuto 'presenziare' a una molestia già consumatasi. 3. L'insieme delle suesposte considerazioni converge sulla piena attendibilità di S.C. in ordine al profilo delle molestie a sfondo sessuale, attendibilità non scalfita da nessuna circostanza di apprezzabile segno contrario - che non siano gli ininfluenti dettagli di contorno e le lievi défaillance mnemoniche sempre insite in ogni deposizione testimoniale. Messa dunque da parte la deposizione di G.P., rimane quella di L.E., l'unico teste direttamente presente all'accaduto, il quale ha negato di avere avvertito odore di alcool, nonostante fossimo stati vicini con P.G. e ci fossimo scambiati anche un abbraccio di augurio , di averlo visto baciare sulla bocca S.C. e di averlo sentito rivolgerle le frasi molestatorie riportate nella lettera di contestazione, il tutto in carenza di situazioni imbarazzanti in quel momento (verb. ud. 9/04/2024). S. sull'assoluta inverosimiglianza dell'assenza di odore di vino, visto che il collega, pacificamente, ne aveva appena bevuto due bicchieri, è curioso che S.C. (profilo di ulteriore attendibilità) abbia dichiarato che il predetto teste si era scusato per il comportamento del P., mi ha detto che si sentiva in imbarazzo ; proprio la stessa parola che, all'udienza successiva, ha usato l'attendibilissima C.F., per cui L.E. le aveva confessato di essersi trovato in una situazione di imbarazzo (è la parola esatta usata dal L.) ; non solo, ma nel vocale sub (omissis) inviato a S.C., la predetta teste ribadiva che L.E. aveva ammesso di essersi sentito in difficoltà e fortemente a disagio e di avere detto, rivolto al collega, di non fare mai più una cosa del genere . C'è da chiedersi perché mai egli si sarebbe trovato in imbarazzo, in difficoltà e a disagio se non per lo sgradevole contegno che P.G. aveva assunto davanti ai suoi occhi; un'alternativa credibile il teste non l'ha fornita e, comunque, non si è materializzata. Di questo, per giunta, sembra essersi reso implicitamente conto anche il primo Giudice nell'affermare, correttamente, che le dichiarazioni della C. rendono evidente che il L., contrariamente a quanto dichiarato in sede di escussione testimoniale (ove questi ha escluso il crearsi di situazioni imbarazzanti o inopportune), ha sicuramente assistito, nel contesto del 7 aprile, presso la sua postazione di lavoro, a qualche episodio che lo ha messo in imbarazzo , che presumibilmente deve avere avuto ad oggetto comportamenti tenuti dal P. nei confronti della S. (sentenza, pagg. 20-21). Né è privo di rilievo, infine, il fatto che il predetto teste militasse nella squadra di calcio di cui l'attuale appellato era stato direttore sportivo fino al 28/05/2024: le convocazioni versate sub doc. G) dall'appellante (pur esse acquisibili ex articolo 437, co. 2, c.p.c.) attestano che L.E. aveva giocato (almeno) fino alla fine del 2023, in netto contrasto con quanto dichiarato in sede testimoniale ( Ho giocato diversi mesi, nel 2022, in squadra di calcio nella quale il P., da quel che ho capito, aveva un ruolo, forse di direttore sportivo, ma non lo so di preciso, in quanto ho incontrato il P. nell'ambito della squadra, ma non ho avuto modo di sapere quale ruolo preciso avesse ); ed è sorprendente (e del tutto incredibile) che un calciatore di una squadra di seconda categoria non sapesse chi ne sia il direttore sportivo. Si confermano così la reticenza di tale teste e la sua complessiva inattendibilità. D'altronde - e pure questo è particolare di non secondaria importanza - se davvero tutta la storia del bacio rubato si fosse generata in esito alla creatività dolosa di S.C., allora costei avrebbe certamente evitato di metterla in scena alla presenza di una terza persona, L.E. appunto, estranea al complotto mendace e potenziale testimone 'scomodo'; semmai, ci si sarebbe aspettati, in tale logica calunnatoria, la diretta presenza di G.P., la quale, come testimone oculare, si sarebbe poi fatta affidabile garante delle bugie della collega - cosa che, invece (molto stranamente) non si è verificata. 4. Tirando le somme, la versione di S.C. gode di veridicità e quanto da lei confermato integra l'ipotesi tipica della molestia sessuale - che l'articolo 26, co. 2, D.Lgs. n. 198 del 2006 ravvisa proprio in quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice - e integra altresì l'illecito disciplinare previsto e punito con il licenziamento senza preavviso dall'articolo 48, B), Ccnl di settore, allorché il dipendente si renda responsabile di azioni che costituiscono delitto a termine di legge . La Suprema Corte, in un caso analogo, ha richiamato la sufficienza dell' obiettiva offensività della condotta che è da valutare per la volgarità dei gesti compiuti dal lavoratore nella prospettiva del datore di lavoro che viene a conoscenza di simili attenzioni verbali e fisiche verso le proprie dipendenti, nonché per la contrarietà alle basilari norme della civile convivenza e dell'educazione (Cass. n. 27363/23), che mina inesorabilmente il vincolo fiduciario tra datore e prestatore e ne impedisce la prosecuzione del rapporto. La così accertata sussistenza di tale giusta causa disciplinare, da un lato, fa sì che le eventuali e presunte ragioni di ritorsione dell'azienda, quand'anche effettive (ancorché, come si è visto, intrinsecamente deboli), non siano state il motivo unico e determinante a suffragio del disposto licenziamento, e, dall'altro, si presenta di per sé sola meritevole della reazione espulsiva da parte dell'I.I. S.p.A. - il che esime il Collegio dal soffermarsi sul contestato abbandono della postazione di lavoro e, perciò, dal motivare sul secondo motivo d'appello, rimasto assorbito. 5. Per tutte le superiori osservazioni, che superano ogni altra doglianza ed escludono ulteriori approfondimenti istruttori, l'appello dev'essere accolto, e alla soccombenza dell'appellato segue l'obbligo di quest'ultimo alla restituzione all'appellante di quanto corrispostogli in esecuzione della prima sentenza, nell'importo (incontestato e indicato sub doc. H) di euro 76.066,03, gli accessori non sono stati chiesti; tale importo, per mero errore materiale, è stato riportato in euro 69.856,69 in dispositivo, da intendersi così corretto. Grava altresì sull'appellato il pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio, come liquidate in dispositivo. Consegue, infine (e ovviamente), la revoca della condanna della società ricorrente al risarcimento del danno ex articolo 96, co. 3, c.p.c. P.Q.M. Visto l'articolo 437 c.p.c., In accoglimento dell'appello, accerta e dichiara la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato a P.G. con lettera del 12.05.2023 e revoca la condanna al risarcimento del danno per lite temeraria; condanna l'appellato a restituire all'appellante la somma di euro 69.856,69, corrisposta in esecuzione della sentenza di primo grado, e al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio liquidate quanto al primo in euro 9.257,00 e per il presente in euro 6.946,00 oltre per entrambi, rimborso spese forfettarie IVA CPA.