Divieto di avvicinamento al figlio minore: legittimo nonostante il diritto di visita riconosciuto al genitore con la separazione

La tutela del minore da ogni pregiudizio prevale su quella del soggetto maltrattante a esercitare le prerogative genitoriali.

Il caso in esame trae origine dall'ordinanza con la quale il Tribunale di Roma respingeva l'appello cautelare dell'indagato e confermava la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalle persone offese, identificate nella moglie e nelle due figlie, emessa nei suoi confronti in relazione all'ipotesi di maltrattamenti in famiglia. In particolare, la difesa, con ricorso per cassazione sottolinea che l'ordinanza si contraddice «ove afferma che le minorenni erano destinatarie dirette non delle condotte maltrattanti, ma dell'aggressività paterna, assunto che contrasta con l'interesse, manifestato dalle stesse apertamente e per iscritto, di voler rivedere il genitore, nonché ove sostiene che la tutela delle minori in sede penale prevale su un eventuale provvedimento emesso in sede civile, ma poi precisa che la misura deve essere mantenuta in attesa dei necessari provvedimenti del competente giudice civile». Sul punto, la Suprema Corte ritiene legittimo il provvedimento cautelare che dispone il divieto di avvicinamento dell'indagato al figlio minore vittima di violenza domestica, anche solo assistita, nonostante il diritto di visita riconosciuto dal giudice civile della separazione. Il Collegio rileva che dall'ordinanza emerge chiaramente che le figlie sono state vittime indirette dei maltrattamenti poiché costrette ad assistere alle violenze sulla loro madre. Tale circostanza, sulla base dell'articolo 570 c.p., le ha rese qualificabili come persone offese dal reato. Da qui, la legittimità del provvedimento che ha raggiunto l'uomo, la cui condotta nei confronti delle figlie è comunque connotata da aggressività verbale e strumentalizzazione nei confronti della madre. In funzione del best interest of the child, nonostante il diritto di visita riconosciuto dal giudice civile, tra il diritto a esercitare le prerogative genitoriali e la tutela del minore da ogni pregiudizio prevale quest'ultima.

Presidente Fidelbo - Relatore Di Giovine Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Roma respingeva l'appello cautelare dell'indagato e confermava la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalle persone offese - identificate nella moglie e nelle due figlie -, emessa nei suoi confronti in relazione all'ipotesi di maltrattamenti in famiglia (articolo 572 cod. pen.). 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'Avv. Giovanna Mazza, nell'interesse di M.D., deducendo, con un unico motivo, vizio di motivazione. I Giudici non hanno argomentato i gravi indizi di colpevolezza, avendo preso le mosse dall'erroneo presupposto che la difesa avesse inteso contrastare le sole esigenze cautelari, mentre si era rappresentato - prima nell'istanza di revoca e poi nell'appello - che l'indagato aveva compiutamente risposto in sede di interrogatorio, fornendo precisazioni e riscontri documentali sul rapporto con la moglie e su quanto accaduto in prossimità della separazione. Del pari, il Tribunale non ha motivato la sussistenza delle esigenze cautelari, ma si è limitato: ad escludere l'asserita normalizzazione dei rapporti tra l'indagato e i suoi familiari dopo l'applicazione della misura, di fatto subordinando la revoca della misura al parere favorevole della persona offesa; ad affermare che i messaggi tra l'indagato e la moglie - tra cui gli auguri natalizi della seconda al primo - sono limitati nel tempo e come tali inidonei a fornire una rappresentazione completa e veritiera dei rapporti interpersonali tra i coniugi; a negare rilievo ai messaggi affettuosi tra l'uomo e le figlie. L'ordinanza si contraddice, inoltre, ove afferma che le minorenni erano destinatarie dirette non delle condotte maltrattanti, ma dell'aggressività paterna, assunto che contrasta con l'interesse, manifestato dalle stesse apertamente e per iscritto, di voler rivedere il genitore, nonché ove sostiene che la tutela delle minori in sede penale prevale su un eventuale provvedimento emesso in sede civile, ma poi precisa che la misura deve essere mantenuta in attesa dei necessari provvedimenti del competente giudice civile. La motivazione è, infine, incompleta perché: non valuta i messaggi intervenuti anche prima dell'applicazione della misura, che attestano il profondo legame tra padre e figlie; non esamina la posizione e la condizione dell'indagato; non confuta le deduzioni relative alle condotte poste in essere dopo l'allontanamento dall'abitazione; non valuta la personalità dell'indagato, l'occasionalità della condotta contestata, la risoluzione della conflittualità tra i coniugi, il volontario allontanamento di M.D. dall'abitazione; tace, infine, del sostegno emotivo alle figlie minorenni e, in ultima analisi, del pericolo di reiterazione dei supposti fatti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 2. Quanto ai gravi indizi di colpevolezza, va premesso che l'ordinanza impugnata afferma che si sarebbe formato, sul punto, il giudicato cautelare, desumendone che l'indagato intendesse dedurre fatti nuovi in vista del superamento delle esigenze cautelari. Tuttavia, il richiamo al giudicato cautelare è improprio, preclusioni processuali potendo formarsi soltanto a seguito di pronunzie emesse, all'esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte Suprema ovvero dal Tribunale in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze in tema di misure cautelari, coprendo le questioni dedotte, implicitamente o esplicitamente, nelle suddette impugnazioni (Sez. U, n. 11 del 08/07/1994, Buffa, Rv. 198213). Il che non è il caso in esame, in cui, prima dell'appello il cui rigetto è impugnato davanti a questa Corte, era stata presentata una istanza di revoca/modifica della misura. 3. Ciò precisato, le censure del ricorrente sulla gravità indiziaria non colgono nel segno, dal momento che: per un verso, erano state eccepite nell'atto di appello in modo incidentale e confuso, e non specificamente dedotte, come sarebbe stato invece necessario; per altro verso, l'ordinanza impugnata specifica che la gravità dei fatti e la natura delle condotte asseritamente non violente in cui si sarebbero sostanziati i maltrattamenti erano stati già vagliati all'atto dell'adozione dell'ordinanza genetica, il cui giudizio mostra evidentemente di condividere. 4. Quanto, poi, alle esigenze cautelari, i Giudici dell'appello cautelare negano la rilevanza dirimente dei dati indicati dal ricorrente - volti a dimostrare il ristabilimento dei rapporti tra l'indagato, la moglie e le due figlie, quali i bonifici con cui ha provveduto alle esigenze economiche della famiglia e i messaggi con moglie e figlie da cui risultano rapporti normali e cordiali - ritenendo che si tratti di elementi neutri oppure del mero adempimento ad obblighi morali e giuridici, con ciò argomentando in modo non manifestamente illogico, oltre che completo. Con la conseguenza che le deduzioni difensive si sottraggono al sindacato di legittimità. 5. Né si ravvisano nella motivazione del provvedimento impugnato le dedotte contraddizioni, tantomeno con riferimento al rapporto dell'indagato con le figlie minori. In merito, l'ordinanza impugnata precisa, infatti, che le figlie sono state vittime indirette giacché costrette ad assistere alle violenze sulla loro madre (è stata contestata l'aggravante dei maltrattamenti assistiti) e, di seguito, che, in base all'assetto legislativo dell'articolo 570 cod. pen., il minore di anni 18 che assiste ai maltrattamenti si considera persona offesa dal reato, richiamando, sul punto, giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, n. 20004 del 12/03/2024, S., Rv. 286478), secondo cui è legittimo il provvedimento cautelare che disponga il divieto di avvicinamento dell'indagato al figlio minore vittima di violenza domestica, anche solo assistita, nonostante il diritto di visita riconosciuto dal giudice civile della separazione, in ragione della prevalenza, in funzione del best interest of the child, delle ragioni di tutela del minore da ogni pregiudizio su quelle del soggetto maltrattante ad esercitare le prerogative genitoriali. Aggiunge che, peraltro, talvolta le due giovani sono state anche destinatarie dirette dell'aggressività (verbale) paterna. Richiama, infine, la tendenza dell'uomo a strumentalizzare i contatti con le figlie come pretesto di scontro con la madre o forma di indebita pressione nei suoi confronti, ravvisando proprio in tale aspetto la giustificazione della misura del divieto di avvicinamento alle minori. Offre, in ultima analisi, anche in ordine alle esigenze cautelari, una motivazione completa e non manifestamente illogica, come tale insindacabile in questa sede. 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ex articolo 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.