Ciò nei limiti del pactum fiduciae, la cui proprietà sostanziale permane in capo al fiduciante (non trattandosi di fiducia c.d. romanistica con effetti traslativi, detta anche “fiducia mancipatoria”).
Nella società fiduciaria, i fiducianti vanno identificati come gli effettivi proprietari dei beni da loro affidati alla fiduciaria e a questa strumentalmente intestati, ex legge n. 1966/1939, che disciplina la fiducia c.d. “germanistica”, nella quale il fiduciario assume un compito di amministrazione e gestione patrimoniale, senza tuttavia divenire in alcun modo titolare dei beni in gestione fiduciaria. Per questo motivo, con riguardo all’esercizio dell’azione ex articolo 2395 c.c. riferita ai danni derivanti dalle minusvalenze dei titoli acquistati dalla fiduciaria per conto dei fiducianti, la legittimazione ad agire compete a questi ultimi, in quanto è nel patrimonio dei fiducianti che viene ad integrarsi la lesione patrimoniale per il cui risarcimento si viene ad agire. La disciplina delle società fiduciarie e la fiducia germanistica contrapposta alla fiducia romanistica L’intestazione fiduciaria (realizzata a mezzo di società fiduciarie con cui viene attribuito ad un soggetto - mandatario - la facoltà di esercitare i diritti che ne scaturiscono, ovvero la cd. legittimazione formale, in nome proprio, ma per conto di un altro soggetto –mandante--cui rimane la piena proprietà) può essere effettuata a favore di una società operante ai sensi della l. n. 1966/1939, oppure a favore di un diverso soggetto fiduciario. La l. n. 1966/1939 ne individua la definizione: «sono società fiduciarie e di revisione e sono soggette alla presente legge quelle che, comunque denominate, si propongono, sotto forma di impresa, di assumere l’amministrazione dei beni per conto di terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni». La presente ordinanza si colloca nell’ambito dell’orientamento dominante di questa Corte: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22099 del 26/09/2013 - in vicenda connessa a quella qui in esame - Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4943 del 21/05/1999; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10031 del 14/10/1997; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9355 del 23/09/1997, nonché – espressamente in comparazione rispetto ad un caso di intestazione fiduciaria di tipo invece “romanistico” - Cass. Sez. 1 - Ordinanza n. 3656 del 14/02/2018). I. n. 1966/1939, occorre (…) dare atto del radicarsi di un orientamento di questa Corte di legittimità che intende come meramente «formale» il dato dell'intestazione del bene alla società fiduciaria, valorizzando, di contro, l'elemento «sostanziale» della titolarità del bene stesso in capo al fiduciante (Cass. Sez. 1 - Ordinanza n. 7364 del 23/03/2018: «Le attività tipiche sono svolte dalle società fiduciarie in virtù di un contratto (mandato fiduciario) che legittima le stesse ad agire in nome proprio e per conto del proprio mandante/fiduciante sui beni affidati alla società, senza spendita del nome del mandante/fiduciante (mandato senza rappresentanza). Tuttavia, la fiduciaria può operare anche in nome e per conto del fiduciante (mandato con rappresentanza»). Precipitato tecnico di questa normativa è: che i beni oggetto di intestazione restano sempre nella proprietà sostanziale del fiduciante, mentre la società fiduciaria ne acquisisce soltanto la legittimazione a disporne nei limiti del pactum fiduciae sottostante; le società fiduciarie ex legge n. 1966/1939 non sono istituzionalmente proprietarie dei titoli loro affidati in gestione e strumentalmente intestati, tanto che gli stessi sono sottratti alla soddisfazione dei creditori delle stesse fiduciarie, appartenendo essi ai fiducianti - dotati di una tutela di carattere reale azionabile in via diretta ed immediata nei confronti di ogni consociato – i quali vanno identificati come gli effettivi proprietari dei titoli da loro affidati alla società ed a questa intestati. L’esercizio del particolare rimedio ex articolo 2395 c.c. è incardinato in capo agli intestatari sostanziali dei titoli, quindi i fiducianti Non essendovi un trasferimento di proprietà come nella fiducia romanistica, la legittimazione della società fiduciaria gode di opponibilità, ma con riguardo allo specifico esercizio dell’azione ex articolo 2395 c.c. riferita ai danni derivanti dalle minusvalenze dei titoli acquistati dalla fiduciaria per conto dei fiducianti, la legittimazione ad agire spetta agli intestatari sostanziali dei titoli, il cui patrimonio ha subito una lesione. Pertanto, solo in capo a questi si forma una legitimatio ad causam per agire ed ottenere un eventuale risarcimento . Posizione isolata di senso opposto disattesa dalla ordinanza in oggetto Cass. Sez. 1 - Ordinanza n. 29410 del 23/12/2020, «Allorché una società fiduciaria sia incaricata dal fiduciante di stipulare un contratto di gestione del portafoglio titoli, l'intero complesso di poteri ed obblighi derivanti causalmente dalla stipula del contratto e dall'intestazione dei titoli è, nella vigenza fisiologica del pactum fiduciae , in capo alla società fiduciaria; ne consegue che a quest'ultima spetta la legittimazione attiva relativamente alle azioni di nullità o di accertamento dell'inadempimento agli obblighi informativi con finalità solutorie o risarcitorie, proposte nei confronti della banca intermediaria, trattandosi di azioni che non riguardano la proprietà in senso statico della provvista ma la corretta esecuzione dell'incarico, secondo lo schema del mandato senza rappresentanza». Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza con la quale la Corte di appello aveva escluso la legittimazione della società fiduciaria ad esercitare l'azione di nullità del contratto quadro per difetto di forma. In questo caso, si assomma nel pactum fiduciae anche il contratto di investimento e gestione di portafoglio. Si tratta di una ipotesi con valenza specifica, per il caso di specie oggetto di pronuncia. Pertanto, la Corte inferisce dall’esecuzione del mandato, secondo buona fede, e dalle istruzioni fiduciarie, il compito di una tutela latu sensu completa ed efficiente dei titoli. Determinante diventa l’estensione del mandato fiduciario in base alle singole clausole dello stesso, concesso in quella occasione, senza che tuttavia tale affermazione valga ad infirmare il costante orientamento di questa Corte che è stato poc’anzi ricostruito ed al quale in questa sede ci si intende conformare.
Presidente Scoditti – Relatore Rolfi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 2610/2020, pubblicata in data 16 ottobre 2020, la Corte d'appello di Milano, nella regolare costituzione dell'appellata (OMISSIS) S.P.A., ha accolto solo parzialmente l'appello proposto da (OMISSIS) S.R.L. avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 1315/2019, pubblicata in data 8 febbraio 2019, riformando la statuizione sulle spese del giudizio di prime cure, disattendendo per il resto il gravame e compensando le spese dei due gradi di giudizio. 2. Come riferito dalla decisione impugnata, la controversia traeva origine dalla domanda con la quale A.L.S. ed altri soggetti intervenuti in giudizio, tra cui (OMISSIS) S.R.L., avevano chiesto di accertare il proprio diritto al risarcimento dei danni sofferti in conseguenza degli investimenti effettuati nel titolo della (OMISSIS) S.p.a. tra il 2008 e il 2011, investimenti che attori ed intervenuti assumevano essere stati operati sulla base di documenti - bilanci, situazioni patrimoniali infrannuali, comunicati ufficiali, Prospetto informativo a servizio dell'aumento di capitale depositato presso la Consob il 24.6.2011 - contenenti informazioni non veritiere o incomplete o ingannevoli e, comunque, inidonee a soddisfare gli standards richiesti alle società quotate su di un mercato regolamentato. Costituitasi (OMISSIS) S.p.a. – ora (OMISSIS) S.P.A. – contestando le avverse domande, il Tribunale di Milano, aveva accolto l'eccezione di difetto di legittimazione attiva di (OMISSIS) S.R.L. sollevata dalla convenuta, gravando la stessa (OMISSIS) S.R.L. delle spese di lite. 3. La Corte d'appello, nel disattendere il gravame di (OMISSIS) S.R.L. ha escluso che la stessa – società fiduciaria disciplinata dalla Legge n. 1966/1939 – fosse legittimata ad agire per il risarcimento dei danni subiti dai terzi i cui titoli erano in gestione fiduciaria, riconducendo la fattispecie di cui alla medesima Legge n. 1966/1939 alla fiducia c.d. “germanistica”. La Corte territoriale, conseguentemente, ha escluso – sulla scorta di richiami alla giurisprudenza di questa Corte - che la società fiduciaria possa considerarsi proprietaria dei titoli ad essa affidati in gestione, essendo titolare dei soli poteri di amministrazione dei beni per conto dei fiducianti, ed ha ribadito la persistente titolarità delle partecipazioni in capo ai fiducianti, da considerarsi quindi unici soggetti legittimati ad agire per la tutela del diritto di proprietà sulle partecipazioni medesime. La Corte territoriale ha altresì escluso che la società appellante potesse ritenersi titolare di una rappresentanza processuale dei fiducianti in quanto, esaminando le previsioni statutarie invocate dalla stessa appellante, ha concluso che le stesse non fondavano un potere di rappresentanza processuale dei fiducianti ma unicamente poteri di gestione delle partecipazioni per conto di questi ultimi. La Corte d'appello, ulteriormente, ha disatteso anche le deduzioni contenute nell'appello in ordine alla sussistenza di una pretesa risarcitoria – anche non patrimoniale – azionabile iure proprio dall'appellante, rilevando che tale deduzione era stata formulata solo in grado di appello. È stato invece accolto l'ultimo motivo di gravame, relativo alla regolamentazione delle spese di lite, avendo la Corte territoriale ritenuto che sussistessero ragioni – e cioè “l'esistenza di un precedente giurisprudenziale intervenuto tra le medesime parti (in relazione al quale va precisato che il giudizio di cassazione con rinvio non concerne il profilo della legittimazione) e il conseguente affidamento ingenerato nella società fiduciaria, la lacunosa previsione normativa, che richiederebbe un intervento integrativo del legislatore, la soluzione della controversa questione da parte della giurisprudenza di legittimità con un approccio ermeneutico dipendente dall'adesione alla tesi della fiducia germanistica piuttosto che a quella della fiducia romanistica” – per disporre la compensazione delle spese dei due gradi. 4. Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Milano ricorre (OMISSIS) S.R.L. Resiste con controricorso e ricorso incidentale (OMISSIS) S.P.A. 5. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli articolo 375, secondo comma, e 380-bis.1, c.p.c. Le parti hanno depositato memorie. Considerato in diritto 1. Il ricorso principale è affidato ad un solo motivo e deduce, in relazione all'articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli articolo 1, Legge n. 1966/1939 e 1705 c.c. Il ricorso viene in gran parte ad imperniarsi su un precedente di questa Corte (Cass. Sez. 1 - Ordinanza n. 29410 del 23/12/2020) per affermare, in senso contrario a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, che la società fiduciaria ex Legge n. 1966/1939 deve ritenersi legittimata ad agire – come è avvenuto nel caso di specie – ex articolo 2395 c.c. in relazione alle partecipazioni di cui ha la gestione fiduciaria. 2. Il ricorso è infondato. Costituisce, invero, approdo ormai consolidato della giurisprudenza di questa Corte il principio per cui, in virtù della disciplina legislativa che le regola, le società fiduciarie ex Legge n. 1966/1939 non sono istituzionalmente proprietarie dei titoli loro affidati in gestione e strumentalmente intestati, tanto che gli stessi sono sottratti alla soddisfazione dei creditori delle stesse fiduciarie, appartenendo essi ai fiducianti - dotati di una tutela di carattere reale azionabile in via diretta ed immediata nei confronti di ogni consociato – i quali vanno identificati come gli effettivi proprietari dei titoli da loro affidati alla società ed a questa intestati (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22099 del 26/09/2013 – in vicenda connessa a quella qui in esame - Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4943 del 21/05/1999; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10031 del 14/10/1997; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9355 del 23/09/1997, nonché – espressamente in comparazione rispetto ad un caso di intestazione fiduciaria di tipo invece “romanistico” - Cass. Sez. 1 - Ordinanza n. 3656 del 14/02/2018). Come osservato in altra decisione di questa Corte, quindi, “avendo specifico riguardo alla regolamentazione normativa introdotta dalla cit. I. n. 1966/1939, occorre (…) dare atto del radicarsi di un orientamento di questa Corte di legittimità che intende come meramente «formale» il dato dell'intestazione del bene alla società fiduciaria, valorizzando, di contro, l'elemento «sostanziale» della titolarità del bene stesso in capo al fiduciante.” (Cass. Sez. 1 - Ordinanza n. 7364 del 23/03/2018). Questa impostazione è stata recentemente confermata nell'ambito dell'impianto motivazione di altra decisione di questa Corte a Sezioni Unite (Cass. Sez. U - , Sentenza n. 13143 del 27/04/2022), la quale ha osservato, testualmente: “Va qui ricordato che le società fiduciarie sono dalla legge regolate secondo lo schema invalso sotto il nome di fiducia germanistica . Allorché sia svolta in forma di impresa, l'attività sottostante presuppone, in base alla legge citata, che la società assuma l'amministrazione di beni per conto di terzi e la rappresentanza dei portatori di azioni o di obbligazioni (articolo 1), sì da rimanere destinataria della sola legittimazione all'esercizio dei diritti relativi ai beni o ai capitali conferiti, senza trasferimento effettivo di proprietà. Le società fiduciarie sono soggette a vigilanza del Mise (articolo 2) in quanto strumento di costituzione di un patrimonio amministrato in forma anonima, senza trasferimento di proprietà. Ciò comporta che le attività tipiche prese in considerazione dalla L. n. 1966 del 1939 sono, in pratica, tutte sussumibili nel concetto di amministrazione di elementi patrimoniali altrui, mediante contratti che legittimano le società a operare in nome proprio sui capitali affidati secondo lo schema del mandato senza rappresentanza. Questa Corte ha da tempo riconosciuto la rilevanza di simile fenomeno, sempre sostanzialmente ripetendo che nella società fiduciaria i fiducianti vanno identificati come gli effettivi proprietari dei beni da loro affidati alla fiduciaria e a questa strumentalmente intestati (v. Cass. Sez. 1 n. 7364- 18)”. La persistente titolarità in capo al fiduciante di quanto affidato in gestione al fiduciario, quindi, evidenzia che l'ipotesi di intestazione ex Legge n. 1966/1939 deve essere ricondotta nell'ambito della fiducia c.d. “germanistica”, nella quale il fiduciario assume un compito di amministrazione e gestione patrimoniale senza tuttavia divenire titolare dei beni in gestione fiduciaria, la cui titolarità – in virtù della correlata segregazione patrimoniale - resta in capo al fiduciante secondo un meccanismo che – a differenza della fiducia c.d. “romanistica” – risulta opponibile anche ai terzi. Alla luce di tali principi, quindi, si deve ritenere che, con riguardo all'esercizio dell'azione ex articolo 2395 c.c. riferita ai danni derivanti dalle minusvalenze dei titoli acquistati dalla fiduciaria per conto dei fiducianti, la legittimazione ad agire spetti a questi ultimi, in quanto è nel patrimonio dei fiducianti – e non in quello della fiduciaria – che viene ad integrarsi la lesione patrimoniale per il cui risarcimento si viene ad agire. Come già evidenziato in precedenza, il motivo di ricorso viene a contrastare questa ricostruzione – fatta correttamente propria dalla Corte d'appello di Milano – unicamente mediante il richiamo ad un precedente di questa Corte (Cass. Sez. 1 - Ordinanza n. 29410 del 23/12/2020), il quale effettivamente, risulta massimato in senso apparentemente favorevole alla tesi della ricorrente (“Allorché una società fiduciaria sia incaricata dal fiduciante di stipulare un contratto di gestione del portafoglio titoli, l'intero complesso di poteri ed obblighi derivanti causalmente dalla stipula del contratto e dall'intestazione dei titoli è, nella vigenza fisiologica del pactum fiduciae , in capo alla società fiduciaria; ne consegue che a quest'ultima spetta la legittimazione attiva relativamente alle azioni di nullità o di accertamento dell'inadempimento agli obblighi informativi con finalità solutorie o risarcitorie, proposte nei confronti della banca intermediaria, trattandosi di azioni che non riguardano la proprietà in senso statico della provvista ma la corretta esecuzione dell'incarico, secondo lo schema del mandato senza rappresentanza. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza con la quale la Corte di appello aveva escluso la legittimazione della società fiduciaria ad esercitare l'azione di nullità del contratto quadro per difetto di forma).”). Si deve tuttavia ritenere che la decisione richiamata dalla ricorrente non integri un effettivo ripensamento della costante posizione assunta in passato da questa Corte, ma si riferisca ad una ipotesi specifica e ben circostanziata, al di là di quanto potrebbe apparire sulla scorta della mera lettura della massima, peraltro non vincolante, dovendosi desumere il principio di diritto da quanto direttamente ed effettivamente affermato nelle singole decisioni di questa Corte. L'esame della motivazione della decisione richiamata dalla ricorrente, infatti, evidenzia che la stessa – dopo aver espressamente e significativamente dichiarato di volersi armonizzare con i precedenti di questa Corte in materia – ha fissato una netta distinzione tra le azioni che “riguardano la proprietà in senso statico della provvista o dei titoli stessi (peraltro intestati alla società fiduciaria)” e le azioni che riguardano “la corretta ed adempiente esecuzione del mandato”, stabilendo che, nel momento in cui si concluda che il “fiduciante ha conferito la provvista ma l'intero complesso di poteri ed obblighi derivanti causalmente dalla stipula dei contratto e dall'intestazione dei titoli è, nella vigenza fisiologica del pactum fiduciae, in capo alla società fiduciaria”, deve ritenersi che “tale complesso di poteri ed obblighi non si risolve soltanto nell'ordine di acquisto o in quello di dismissione ma, come conseguenza diretta della stipula, in nome proprio, del contratto d'investimento, si estende alle azioni poste a tutela della conservazione e dell'implementazione del portafoglio”. Come è dato vedere, quindi, la decisione di questa Corte deve essere riferita all'ipotesi in cui si ritenga di ravvisare, nell'ambito del conferimento dell'incarico di gestione del portafoglio, un più ampio potere di gestione degli stessi titoli, tale da estendersi all'intero “complesso di poteri ed obblighi derivanti causalmente dalla stipula dei contratto e dall'intestazione dei titoli”, senza che tuttavia tale affermazione valga ad infirmare il costante orientamento di questa Corte che è stato poc'anzi ricostruito ed al quale in questa sede ci si intende conformare. Non è inopportuno puntualizzare, del resto, che nel caso ora in esame la Corte d'appello - con statuizione non impugnata nella presente sede - ha disatteso sia in rito sia nel merito altri profili come la configurabilità di un danno iure proprio in capo alla stessa società fiduciaria e l'esistenza in capo a quest'ultima di poteri di rappresentanza processuale dei fiducianti per effetto delle previsioni statutarie, dovendosi quindi concludere che la vicenda all'origine della decisione impugnata non appare in ogni caso riconducibile a quella esaminata dal precedente invocato dalla ricorrente. Esclusa la fondatezza del principale argomento speso nel motivo di ricorso, non è inopportuna una ulteriore serie di puntualizzazioni. Non pertinente risulta il richiamo a Cass. Sez. 1 - Ordinanza n. 3656 del 14/02/2018, in quanto tale decisione – come peraltro già osservato in precedenza - è stata assunta con riferimento ad una fattispecie estranea alla Legge n. 1966/1939, ed anzi con riguardo ad un caso di intestazione fiduciaria di tipo invece “romanistico”, rispetto al quale la stessa decisione ha avuto cura di evidenziare la differenza rispetto all'intestazione professionale a società fiduciaria. Ancor meno pertinente il richiamo – operato sempre in memoria ex articolo 380-bis.1 c.p.c. – a precedente delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U - , Sentenza n. 6459 del 06/03/2020) riferito alla radicalmente diversa ipotesi dell'intestazione fiduciaria di un immobile, fattispecie del tutto estranea a quella positivamente normata dalla Legge n. 1966/1939 con evidente divergenza rispetto a quelli che - anche all'epoca dell'adozione della legge – erano i principi generali in tema di fiducia “romanistica”. Non vale a suffragare la tesi della ricorrente l'affermazione – argomentata sempre in memoria ex articolo 380-bis.1 c.p.c. con richiamo a precedente di questa Corte (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 33841 del 2024) - che la legittimazione ad agire deriverebbe dalla violazione di un obbligo informativo di cui la ricorrente, quale società fiduciaria, sarebbe diretto “fruitore” (pag. 4 della memoria), giacché è la stessa ricorrente ad ammettere che tale violazione è “presupposto” della lesione, con la conseguenza che è con riferimento a quest'ultima che deve individuarsi la legittimazione ad agire per il risarcimento dei danni, come peraltro affermato dal precedente richiamato (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 33841 del 2024) in una vicenda nella quale ad agire non era una società fiduciaria, ma direttamente gli stessi investitori. Si deve, in conclusione, ritenere che, poiché le società fiduciarie ex Legge n. 1966/1939 non sono istituzionalmente proprietarie dei titoli loro affidati in gestione e strumentalmente intestati, appartenendo detti titoli ai fiducianti quali effettivi proprietari dei medesimi, la legittimazione all'esercizio dell'azione ex articolo 2395 c.c. per il risarcimento dei danni derivanti dalle minusvalenze dei titoli acquistati dalla fiduciaria per conto dei fiducianti deve essere riconosciuta non alla società fiduciaria ma ai singoli fiducianti, in quanto è nel patrimonio di questi ultimi – e non in quello della fiduciaria – che viene ad integrarsi la lesione patrimoniale per il cui risarcimento si viene ad agire. 3. Il ricorso incidentale è invece affidato a quattro motivi, il primo dei quali autonomo, mentre i restanti sono condizionati all'accoglimento del ricorso principale. 3.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all'articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli articolo 91 e 92 c.p.c. Si censura la decisione impugnata per aver disposto la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio, deducendo la radicale assenza dei presupposti per assumere tale statuizione. 3.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all'articolo 360, n. 4, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 103 e 105 c.p.c. Si argomenta la inammissibilità dell'intervento in giudizio dell'odierna ricorrente, in quanto la domanda di quest'ultima non presentava alcuna identità di causa petendi o di petitum rispetto a quella azionata dall'originaria attrice. 3.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all'articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli articolo 2395 c.c. e 2049 c.c. Si deduce che la pretesa azionata dalla ricorrente era da ritenersi prescritta, in quanto la ricorrente medesima era intervenuta in giudizio oltre cinque anni dopo il compimento dell'atto asseritamente illecito ex articolo 2395 c.c. 3.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all'articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell'articolo 94, comma 11, TUF. Si deduce che la pretesa azionata dalla ricorrente era da ritenersi ulteriormente prescritta, in quanto esercitata ben oltre due anni dopo la scoperta della falsità delle informazioni. 4.1. I motivi secondo, terzo e quarto risultano assorbiti per effetto del rigetto del ricorso principale, essendo stati formulati in via condizionata all'accoglimento di quest'ultimo. 4.2. Il primo motivo, invece, è infondato. È opportuno rammentare, in primo luogo, che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 77/2018 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione degli articolo 3, primo comma, 24, primo comma, e 111, primo comma, Cost. - l'articolo 92, secondo comma, c.p.c. - nel testo modificato dall'articolo 13, comma 1, D.L. n. 132/2014 (conv., con modif., con Legge n. 162/2014) - nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, in quanto la rigida elencazione prevista dalla previsione veniva a violare il principio di ragionevolezza e di eguaglianza escludendo altre analoghe fattispecie - rispetto alle quali quelle tassativamente indicate hanno carattere paradigmatico e svolgono una funzione parametrica ed esplicativa - riconducibili alla stessa ratio giustificativa. Questa Corte, conseguentemente, ha già chiarito che la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nelle ipotesi di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, nonché - per effetto della sentenza n. 77/2018 della Corte costituzionale - nelle analoghe ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e in quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle ipotesi tipiche espressamente previste dall'articolo 92, secondo comma, c.p.c. (Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 3977 del 18/02/2020; Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 4696 del 18/02/2019), chiarendo ulteriormente che è obbligo del giudice indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza le gravi ed eccezionali ragioni (Cass. Sez. 5 - Ordinanza n. 1950 del 24/01/2022; Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 22310 del 25/09/2017). Nella specie, si deve osservare che la Corte territoriale ha assolto al proprio onere di specificare ed individuare le ragioni che – presentando caratteri riconducibili alle fattispecie espressamente enunciate dall'articolo 92, comma secondo, c.p.c. - venivano a giustificare la statuizione di compensazione delle spese di lite. Tali ragioni sono state individuate dalla Corte di merito nell'esistenza tra le medesime parti di un precedente di merito il cui esito era tale determinare nell'odierna ricorrente un affidamento circa la propria legittimazione; nel carattere lacunoso della disciplina applicabile; nello stato della giurisprudenza al momento della decisione. La Corte d'appello, quindi, non solo ha pienamente assolto al proprio obbligo motivazionale ma, in tal modo conformandosi all'orientamento espresso da questa Corte, ha dettagliatamente individuato quegli specifici fattori che, in quanto riconducibili alle ipotesi paradigmatiche di cui all'articolo 92 c.p.c., giustificavano l'integrale compensazione delle spese di lite. 6. Alla luce delle considerazioni che precedono, entrambi i ricorsi, pertanto, devono essere respinti, risultando in tal modo giustificata l'integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità. 7. Stante il tenore della pronuncia per entrambe le ricorrenti, va dato atto, ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto , spettando all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020). P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale, compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte sia della ricorrente principale sia della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.