La Suprema Corte, con la sentenza in commento, enuncia un importante principio di diritto circa la disciplina da applicare in materia di reati connessi dove almeno uno è soggetto alla deroga alla regola generale dell’espletamento dell’interrogatorio preventivo di garanzia.
Con ricorso per cassazione, la difesa deduceva inosservanza degli articolo 291, comma 1 quater e 292, comma 3 bis, c.p.p., lamentando l'omesso interrogatorio preventivo dell'indagato in relazione ai delitti non ricompresi nel novero dei reati per i quali l'interrogatorio è escluso. Secondo il legale infatti, in assenza di una previsione espressa, per le ipotesi di connessione con i reati per i quali l'interrogatorio preventivo è escluso, come nel caso di specie, «non può ritenersi che l'esclusione dell'interrogatorio preventivo per i reati più gravi si estenda a quelli meno gravi perché, se così fosse, l'indagato sarebbe privato di un suo diritto». Per la Suprema Corte il ricorso è infondato poiché il GIP ha legittimamente omesso di espletare il cd. interrogatorio preventivo di garanzia degli indagati. Seppur vero, spiega il Collegio, che il legislatore non ha regolamentato l'ipotesi in cui, come nel caso di specie, si proceda contestualmente sia per reati per i quali è obbligatorio l'interrogatorio preventivo, sia per reati a loro connessi per i quali invece opera la deroga, «deve ritenersi che debba considerarsi prevalente e dunque, operativa, la previsione derogatoria che inibisce l'espletamento dell'interrogatorio preventivo» e questo in armonia con il principio per cui «la disciplina del reato più grave viene comunemente applicata anche a tutti gli altri reati, prevalendo l'opportunità di una gestione unitaria del fascicolo». Secondo i giudici infatti, la deroga deve valere non solo per il reato più grave, ma per tutti quelli a esso connessi poiché prevalente l'esigenza di mantenere riservata l'iniziativa cautelare e di evitare, in tal modo, un possibile pregiudizio alla sua efficacia. Tali rilevanti premesse permettono infine, di affermare il seguente principio di diritto: «nel caso in cui si proceda per una pluralità di reati tra loro connessi, per almeno uno dei quali sia prevista la deroga alla regola generale dell'espletamento dell'interrogatorio preventivo di garanzia, quest'ultimo non debba avere luogo, dovendosi riconoscere prevalenza al più grave reato ritenuto a ciò ostativo dal legislatore».
Presidente Ramacci - Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 7 ottobre 2024, il Tribunale del riesame di Napoli confermava l'ordinanza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Benevento il 23 settembre 2024, con la quale era stata applicata agli indagati V.G. e Z.A. la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai reati di cui agli articolo 609 octies cod. pen. (capi 4 e 6, contestati a entrambi) 615 bis cod. pen. (capi 2, 5 e 7 contestati a entrambi, capi 9 e 14, contestati al solo V.G.), 348 cod. pen. (capo 3, contestato solo a V.G.). 612 ter cod. pen. (capi 7, 9, 11 e 15, contestato al solo V.G.) e 609 bis cod. pen. (capo 13, contestato solo a V.G.): fatti commessi in Benevento tra il settembre 2021 e il 6 settembre 2023 e consistiti, in estrema sintesi, nell'esecuzione di riprese non autorizzate di visite mediche e nel compimento di molestie sessuali durante il controllo cardiologico delle pazienti, avendo agito V.G. quale cardiologo in servizio presso l'Ospedale (OMISSIS) di (OMISSIS) e Z.A. quale asserito collega e assistente di V.G., pur essendo privo dei requisiti per l'esercizio della professione medica, essendo Vice Procuratore Onorario presso la Procura di (OMISSIS). 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale partenopeo, V.G. e Z.A., tramite i rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione. 2.1. V.G. ha sollevato due motivi. Con il primo, la difesa deduce l'inosservanza degli articolo 291, comma 1 quater, e 292, comma 3 bis, cod. proc. pen., lamentando l'omesso interrogatorio preventivo dell'indagato in relazione ai delitti non ricompresi nel novero dei reati di cui all'elenco ex articolo 407, comma 2, lett. a) e 362, comma 1 ter, cod. proc. pen., ossia i reati di cui ai capi 2, 3, 5, 7, 8, 9, 11, 14 e 15, aventi ad oggetto i reati di cui agli articolo 615 bis, 612 ter e 348 cod. pen. Si evidenzia in proposito che, in assenza di una previsione espressa per le ipotesi di connessione con i reati per i quali l'interrogatorio preventivo è escluso, non può ritenersi che l'esclusione dell'interrogatorio preventivo per i reati più gravi si estenda a quelli meno gravi, perché, se così fosse, l'indagato sarebbe privato di un suo diritto, peraltro in una materia delicata come quella de libertate. Si precisa inoltre che tale eccezione è stata tempestivamente sollevata dalla difesa nel primo momento utile, ossia nella fase preliminare dell'interrogatorio di garanzia del 26 settembre 2024. Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il giudizio sulla sussistenza delle esigenze cautelari e sull'adeguatezza della misura di massimo rigore. Si rileva in proposito che il Tribunale ha indebitamente ritenuto irrilevanti sia il licenziamento dalla clinica dell'indagato, avvenuto il 5 settembre 2024, sia l'autosospensione dalle visite in regime di intramoenia, risalente al 15 giugno 2024, sia la sospensione dall'Ordine dei medici, disposta il 20 giugno 2024, a ciò aggiungendosi che i giudici cautelari hanno smentito se stessi rispetto all'ordinanza del 7 febbraio 2024, quando, sulla base perlopiù delle medesime contestazioni odierne, ritenute già all'epoca espressione di un sistema collaudato, hanno ritenuto sufficiente e adeguata la misura degli arresti domiciliari; si precisa inoltre che le condotte illecite sarebbero state realizzate in gran parte tra il 2021 e il 2022, con limitati episodi nel febbraio 2022, non potendo l'evocata gravità dei fatti sostituire il requisito dell'attualità delle esigenze cautelari, tanto più ove si consideri che i fatti per cui si procede non sono più ripetibili, essendo venuto meno il contesto spazio temporale nel quale si assume che gli stessi abbiano avuto luogo. 2.1.1. Con memoria trasmessa il 30 dicembre 2024, l'avvocato Nico Salomone, difensore di V.G., nel replicare alla requisitoria del Procuratore generale, ha insistito nell'accoglimento del ricorso, ribadendone e sviluppandone gli argomenti rispetto a ciascun motivo di impugnazione. 2.2. Z.A. ha sollevato due motivi. Con il primo, la difesa deduce l'inosservanza degli articolo 291, comma 1 quater, e 292, comma 3 bis, cod. proc. pen., lamentando l'omessa celebrazione dell'interrogatorio preventivo, sostanzialmente negli stessi termini del primo motivo del ricorso di V.G., alla cui esposizione pertanto si rinvia. Con il secondo motivo, infine, le critiche difensive investono il giudizio sulla sussistenza delle esigenze cautelari e sull'adeguatezza della misura di massimo rigore, evidenziandosi che il Tribunale non ha tenuto conto né della risalenza nel tempo dei fatti contestati, l'ultimo dei quali risale al 13 ottobre 2022, né del fatto che Z.A. si è autosospeso tanto dalla professione forense quanto dall'attività di Vice Procuratore Onorario, né della circostanza che il ricorrente già nel settembre 2023 ha rilasciato dichiarazioni spontanee al P.M., subito dopo il sequestro del 6 settembre e prima ancora di conoscere le accuse mosse a suo carico, atteggiamento questo idoneo, al pari della lontananza territoriale dal luogo dei fatti, a escludere la concretezza del pericolo di reiterazione dei reati. Considerato in diritto I ricorsi sono infondati. 1. Iniziando dal primo motivo, declinato nei due ricorsi in termini analoghi, deve osservarsi che correttamente nel caso di specie non è stato espletato dal G.I.P. il cd. interrogatorio preventivo di garanzia degli indagati. Al riguardo occorre innanzitutto premettere che l'articolo 2, comma 1, lett. e), della legge n. 114 del 9 agosto 2024, entrata in vigore il 25 agosto, ha introdotto nell'articolo 291 cod. proc. pen. il comma 1 quater, secondo cui, «fermo il disposto dell'articolo 289, comma 2, secondo periodo, prima di disporre la misura, il giudice procede all'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini preliminari con le modalità indicate agli articoli 64 e 65, salvo che sussista taluna delle esigenze cautelari di cui all'articolo 274, comma 1, lettere a) e b), oppure l'esigenza cautelare di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c), in relazione ad uno dei delitti indicati all'articolo 407, comma 2, lettera a), o all'articolo 362, comma 1-ter, ovvero a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale». Il successivo articolo 292, cod. proc. pen., come modificato dalla lett. f), del medesimo articolo 2, comma 1, della citata legge n. 114 del 2024, che ha inserito il comma 3-bis, prevede, in coerenza con la finalità difensiva dell'interrogatorio preventivo, una specifica sanzione per l'inosservanza del modulo procedimentale appena introdotto, disponendo che «l'ordinanza è nulla se non è preceduta dall'interrogatorio nei casi previsti dall'articolo 291, comma 1-quater [...]». Come già precisato da questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 11921 del 23/01/2025, Rv. 287672), la legge n. 114 del 2024, prevedendolo come ordinaria forma procedimentale, ma senza generalizzarlo completamente, anzi con assai ampia casistica derogatoria, ha esteso questo modello a contraddittorio anticipato a tutti i casi in cui non risulti necessario che il provvedimento cautelare personale sia adottato a sorpresa ; con tale strumento, si mette il giudice nelle condizioni di poter avere un'interlocuzione e un contatto diretto con l'indagato prima dell'adozione della misura, salvo nei casi in cui vi siano preminenti esigenze o investigative (come il pericolo di inquinamento probatorio) o di tutela della collettività, ossia quando si procede in ordine a una peculiare tipologia di reati. Gli elementi emersi nel corso dell'interrogatorio preventivo, ove espletato nei casi di legge, saranno pertanto veicolati nel materiale complessivo sulla cui base il giudice per le indagini preliminari dovrà confermare, o meno, il proprio iniziale (e sempre rivedibile) intendimento, confluendo poi, per quanto di interesse, nell'apparato motivazionale del provvedimento che accoglie o rigetta la richiesta della parte pubblica. Non a caso, l'ordinanza cautelare dovrà contenere, a pena di nullità, ai sensi del comma 2 ter dell'articolo 292 cod. proc. pen., anche «una specifica valutazione degli elementi esposti dalla persona sottoposta alle indagini nel corso dell'interrogatorio». In tal modo l'interrogatorio preventivo assolve alla duplice funzione, da un lato, di consentire al potenziale destinatario della misura di fare valere le proprie ragioni prima dell'adozione eventuale del provvedimento restrittivo e, dall'altro, di regolare conseguentemente l'obbligo motivazionale del giudice cautelare, tenuto da subito a confrontarsi con le deduzioni difensive. 1.1. Dunque, premesso che l'odierna vicenda cautelare ricade nella vigenza della nuova norma processuale (l'ordinanza cautelare è del 23 settembre 2024), deve osservarsi che, come evidenziato dal Tribunale del Riesame, la decisione del G.I.P. di non dare luogo agli interrogatori preventivi degli indagati risulta legittima. E invero, partendo dal presupposto che il legislatore non ha regolamentato l'ipotesi in cui, come nel caso di specie, si proceda contestualmente sia per reati per i quali è obbligatorio l'interrogatorio preventivo, sia per reati a loro connessi per i quali invece opera la deroga (nella vicenda in esame si tratta dei delitti di cui agli articolo 609 bis e 609 octies cod. pen., quest'ultimo contestato a entrambi i ricorrenti), deve ritenersi che in tali casi debba considerarsi prevalente e dunque operativa la previsione derogatoria che inibisce l'espletamento dell'interrogatorio preventivo. Sul punto, come osservato anche dal Procuratore generale, deve rilevarsi che, nel codice di rito, in caso di pluralità di reati (e di persone) che sottostanno a norme regolatrici differenti, la norma che disciplina il reato più grave viene comunemente applicata anche a tutti gli altri reati, prevalendo l'opportunità di una gestione unitaria del fascicolo. Così, per esempio, avviene in tema di intercettazioni, laddove siano iscritti nel registro degli indagati soggetti per reati di criminalità organizzata (sottoposti alla disciplina speciale dettata dall'articolo 13 del decreto legge n. 152 del 1991) e soggetti indagati per reati comuni (per i quali vigono i termini e le condizioni di cui all'articolo 267 cod. proc. pen.): in tal caso si applicano infatti per tutti gli indagati intercettati i termini di 40 giorni per la durata del decreto di intercettazione e le successive proroghe avranno vigore per 20 giorni (in luogo dei 15 giorni sia iniziali che per i decreti di proroga previsti per le fattispecie ordinarie); in proposito, è stato infatti affermato (cfr. Sez. 2, n. 31440 del 24/07/2020, Rv. 280062 e Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017, Rv. 270565) che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, la valutazione del reato per il quale si procede, da cui dipende l'applicazione della disciplina ordinaria ovvero di quella speciale per la criminalità organizzata di cui al decreto legge, n. 151 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, va fatta in relazione all'indagine nel suo complesso e non con riguardo alla responsabilità di ciascun indagato. Analogamente, per quanto concerne i criteri di attribuzione della competenza, è stato chiarito (cfr. Sez. 1, n. 16123 del 12/11/2018, dep. 2019, Rv. 276391 e Sez. 4, n. 4484 del 09/12/2015, dep. 2016. Rv. 265944) che, in tema di competenza per territorio determinata da connessione, l'articolo 51, comma 3 bis, cod. proc. pen. prevede, limitatamente ai reati in esso contemplati, una deroga assoluta ed esclusiva agli ordinari criteri di determinazione della competenza sicché, ove si proceda per uno qualsiasi di essi e per reati connessi, anche più gravi, la competenza territoriale del primo esercita una vis attractiva anche sugli altri. 1.2. Sulla stessa falsariga, per quanto concerne l'interrogatorio preventivo, deve quindi escludersi che lo stesso debba essere celebrato qualora si proceda per reati connessi, per almeno uno dei quali sia prevista la deroga dall'applicazione del nuovo istituto: ed invero, nel momento in cui il legislatore ha individuato, per la peculiare tipologia dei reati, ragioni ostative all'interlocuzione anticipata con il possibile destinatario della misura personale, la deroga non può che valere non solo per il reato più grave, ma per tutti quelli a esso connessi, essendo chiaramente unitaria e prevalente l'esigenza di mantenere riservata l'iniziativa cautelare e di evitare in tal modo un possibile pregiudizio alla sua efficacia, essendo evidentemente questa la ratio che giustifica la (ampia) previsione derogatoria. Né per altro verso può sostenersi che, quando si proceda per reati connessi, possa procedersi a un interrogatorio preventivo frazionato, in relazione cioè ai soli reati per i quali ciò sia consentito, rischiando in tal modo di essere frustrate le ragioni per le quali il legislatore, rispetto ai reati connessi oggetto della medesima indagine, ha ritenuto di non prevedere il confronto preventivo con l'indagato, senza che al riguardo rilevi il rapporto numerico tra reati ordinari e reati ostativi. La stessa difesa, del resto, non trarrebbe alcun vantaggio da un interrogatorio preventivo ma parziale, riferito cioè non a tutti i reati a lui provvisoriamente ascritti, ma solamente ad alcuni, peraltro quelli riconosciuti come meno gravi. 1.3. Deve pertanto affermarsi il principio secondo cui, nel caso in cui, come nella vicenda in esame, si proceda per una pluralità di reati tra loro connessi, per almeno uno dei quali sia prevista la deroga alla regola generale dell'espletamento dell'interrogatorio preventivo di garanzia, quest'ultimo non debba avere luogo, dovendosi riconoscere prevalenza al più grave reato ritenuto a ciò ostativo dal legislatore. Di qui l'infondatezza delle doglianze difensive sollevate sul punto. 2. Passando al secondo motivo di entrambi i ricorsi, formulato in termini sostanzialmente sovrapponibili, deve osservarsi che il giudizio dell'ordinanza cautelare sulla sussistenza delle esigenze cautelari e sull'adeguatezza della misura di massimo rigore non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede. Ed invero i giudici cautelari, in maniera non illogica, hanno valorizzato le modalità estremamente allarmanti dei fatti, organizzati nel dettaglio, anche con la predisposizione di un travestimento idoneo a indurre in inganno le vittime, ossia il camice fatto indossare a Z.A., avendo gli indagati approfittato della condizione di inferiorità in cui si trovavano le pazienti nel corso delle visite mediche, rivelando in tal modo una spregiudicatezza tale da rendere inidonea a scongiurare il pericolo di condotte recidivanti ogni misura diversa da quella di massimo rigore; parimenti significativo è stato inoltre ritenuto il fatto che dai dati estrapolati dai dispositivi informatici sequestrati agli indagati è emersa la presenza di un vasto repertorio di contenuti pornografici/sessuali capillarmente catalogati secondo generi, date e tipologia, generati non solo con l'utilizzo di videocamere abilmente occultate, ma anche con l'uso di scarpe sulle quali erano installate microcamere, ciò a riprova della morbosa concupiscenza dei ricorrenti e dell'assenza di ogni forma di autocontrollo rispetto a condotte illecite suscettibili dunque di essere replicate in ogni diverso contesto, ivi compreso, evidentemente, quello domestico. A fronte di ciò, la sospensione degli indagati dai loro rispettivi uffici è stata ritenuta non contrastante con la prognosi di reiterazione dei reati, posto che per V.G. l'esercizio della professione medica in ambito ospedaliero è stato solo funzionale al piano delinquenziale manifestatosi nei reati finora contestati, mentre per Z.A. i fatti sono risultati del tutto sganciati dalla sua attività di V.P.O. e di avvocato. Orbene, l'apparato argomentativo dell'ordinanza impugnata, in quanto sorretto da considerazioni tutt'altro che irrazionali, resiste alle obiezioni difensive, che sollecitano di fatto differenti valutazioni di merito, estranee al perimetro del giudizio di legittimità, dovendosi ribadire in tal senso l'affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Rv. 269884), secondo cui il ricorso per cassazione in tema di impugnazione delle misure cautelari personali è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero, come nella vicenda in esame, si risolvano in una valutazione alternativa delle circostanze esaminate dal giudice di merito. Né infine, si ravvisano criticità sotto il profilo dell'attualità, risalendo l'ordinanza cautelare al settembre 2024, mentre i fatti di causa risultano commessi negli anni 2021, 2022 e 2023 e si sono rivelati sintomatici, anche per la loro reiterazione, di una non trascurabile propensione a delinquere, dovendosi in proposito richiamare la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, Rv. 282991 e Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, Rv. 282769), secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo previsto dall'articolo 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all'imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un'analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, analisi che deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza. 3. In conclusione, stante l'infondatezza delle doglianze sollevate, i ricorsi di V.G. e Z.A. devono essere rigettati, con onere per ciascun ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.