L’avvocato può mentire se serve per difendersi

L’avvocato ha il diritto di difendersi tacendo o anche mentendo sulle proprie responsabilità, alla luce della libertà di scegliere la strategia difensiva più opportuna.

L'avvocato può mentire se serve per difendersi. È questo il principio che si ricava in sintesi dalla sentenza n. 373/2024, con la quale il Consiglio Nazionale Forense coglie l'occasione per rammentare il bilanciamento tra il dovere di verità dell'avvocato e il suo diritto alla difesa, incluso il diritto al silenzio e alla non auto-incriminazione. I fatti Nella vicenda portata all'esame del CNF, l'incolpato era stato sanzionato, all'esito di procedimento disciplinare, dal Consiglio Distrettuale di Disciplina Forense di Brescia con la censura. Gli veniva contestato, a seguito di segnalazione giunta al COA di Brescia, la mancata spontanea esecuzione dei compensi per i crediti professionali vantati da un notaio, che aveva costretto quest'ultimo ad avviare azione esecutiva a tutela del proprio credito. L'avvocato veniva condannato in sede civile e in sede disciplinare, il CDD, ritenuta la responsabilità per violazione dei doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza di cui all'articolo 9 CDF da parte dell'incolpato, per aver tenuto una condotta reticente e per aver falsamente affermato di non essere mai stato attinto da una procedura esecutiva promossa dal notaio, irrogava la sanzione della censura. Il legale, a questo punto, adiva il CNF, chiedendo l'annullamento del provvedimento sanzionatorio impugnato e, in via subordinata, la rivalutazione della gravità della condotta e l'applicazione di una sanzione inferiore. Il Consiglio, tuttavia, rigetta le tesi difensive su tutta la linea. Mancato adempimento obbligazioni nei confronti di terzi Innanzitutto, il CNF rammenta il principio pacifico, in tema di inadempimento delle obbligazioni, secondo il quale «commette e consuma illecito deontologico l'avvocato che non provveda al puntuale adempimento delle proprie obbligazioni nei confronti dei terzi e ciò indipendentemente dalla natura privata o meno del debito, atteso che tale onere di natura deontologica, oltre che di natura giuridica, è finalizzato a tutelare l'affidamento dei terzi nella capacità dell'avvocato al rispetto dei propri doveri professionali e la negativa pubblicità che deriva dall'inadempimento si riflette sulla reputazione del professionista ma ancor più sull'immagine della classe forense. E ancora più grave risulta essere l'illecito deontologico nel caso in cui il professionista, non adempiendo ad obbligazioni titolate, giunga a subire protesti, sentenze, atti di precetto e richieste di pignoramento, considerato che l'immagine dell'avvocato risulta in tal modo compromessa agli occhi dei creditori e degli operatori del diritto quali giudici ed ufficiali giudiziari» (cfr., ex plurimis, CNF n. 290/2023; Cass. SS.UU. n. 19163/2017). Nel caso di specie, è comprovato documentalmente che l'avvocato era debitore del notaio e che egli ha adempiuto solo con estremo ritardo all'obbligazione assunta ed oggetto finanche di accertamento giudiziale e solo all'esito di un accordo transattivo intervenuto dopo la conoscenza del capo di incolpazione. Il dovere di “verità e di collaborazione” Quanto al dovere di “verità” e di “collaborazione” con le istituzioni forensi ex articolo 71 cdf (già articolo 24 codice previgente), è vero che lo stesso, chiarisce il Collegio, «non preclude all'avvocato, sottoposto a procedimento o ad indagine disciplinare, il diritto di difendersi “tacendo” o anche “mentendo” sulle proprie responsabilità, ossia negando l'addebito mossogli anche col silenzio o rendendo dichiarazioni non vere, perché altrimenti ne risulterebbe coartata la sua libertà di scegliere la strategia difensiva ritenuta più opportuna, che ha il suo referente costituzionale nell'articolo 24 Cost. e nel più generale diritto a difendersi e non ad auto incolparsi – tuttavia, nella fattispecie, l'incolpato – ha fornito una falsata rappresentazione dei fatti ed è stato sanzionato non già per quanto dedotto nell'ambito della difesa procedimentale esplicitata in concreto, bensì per il fatto dell'inadempimento alle obbligazioni assunte, protrattosi anche oltre l'accertamento giudiziale del suo debito nei confronti del notaio, dopo aver subito l'azione esecutiva e dopo non avere puntualmente adempiuto neppure alla rateizzazione concessa con una condotta protrattasi sino al momento dell'intervenuto accordo transattivo successivo all'avvio del procedimento disciplinare». La decisione Circa la misura della sanzione disciplinare, infine, il Consiglio, rigettando in toto il ricorso, ha ritenuto adeguata la censura inflitta, in virtù della gravità delle condotte correttamente accertate nel procedimento disciplinare e poste in essere per un prolungato periodo di tempo in spregio ai doveri di probità, dignità e decoro, compromettendo la dignità della professione e l'affidamento dei terzi.

CNF, sentenza n. 373/2024