In materia di obblighi di restituzione, il CNF richiede all’avvocato un’azione attiva e immediata verso il cliente, non bastando la mera disponibilità dei documenti presso il suo studio legale.
Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza in analisi, ha chiarito il significato e la portata dell'obbligo, in capo all'avvocato, di restituire senza ritardo la documentazione ricevuta dal cliente, sottolineando che tale restituzione deve consistere in un comportamento attivo, non limitandosi alla mera disponibilità presso lo studio del professionista. La decisione trae origine da un procedimento disciplinare avviato su segnalazione degli ex assistiti di un avvocato, che chiedevano la restituzione di documenti rimasti in possesso del legale: il CDD di L'Aquila aveva sanzionato il professionista con la sospensione per due mesi, sanzione poi oggetto di impugnazione dinanzi al CNF. Quest'ultimo ha sottolineato che la mancata consegna dei documenti, a fronte di una precisa richiesta, integra una violazione deontologica rilevante ai sensi dell'articolo 33 del Codice Deontologico Forense, dell'articolo 2235 c.c. e dell'articolo 66 del R.d.l. n. 1578/1933. Nella pronuncia in commento, il CNF, dopo aver ribadito che il legale non può in alcun caso subordinare tale restituzione al pagamento di compensi o spese né trattenere la documentazione a titolo di autotutela, ha spiegato che la responsabilità disciplinare deriva dall'oggettiva mancata consegna, a nulla rilevando l'assenza di danno concreto per il cliente. Nel proprio ricorso, il professionista aveva sollevato obiezioni sia sulla ricostruzione dei fatti, sia sulla proporzionalità della sanzione, lamentando motivazioni poco chiare e una presunta insufficienza probatoria, in particolare per la mancata audizione degli esponenti. Il Consiglio Nazionale Forense ha, però, precisato che il giudice disciplinare dispone di un ampio margine di discrezionalità nella valutazione delle prove e può basare il proprio convincimento anche su elementi ricavati dall'esposto, purché non siano smentiti e trovino riscontro negli atti. Inoltre, la mancanza di giustificazioni specifiche da parte dell'avvocato è stata considerata un ulteriore indice di responsabilità. Quanto alla determinazione della sanzione, pur accertando la violazione deontologica, il CNF ha ritenuto sproporzionata la sospensione, osservando che la sanzione disciplinare deve essere adeguata alla gravità della condotta, al grado di colpa, alla possibile presenza del dolo e alle circostanze nel loro complesso, anche quando manca un danno concreto. In assenza di un pregiudizio dimostrato, la sanzione è stata quindi ridotta a una censura.
CNF n. 394/24