Vizi, difetti, anomalie della cosa venduta e onere della prova

L’articolo, dopo aver illustrato le regole e i principi generali in tema di distribuzione dell’onere della prova nel processo civile, si sofferma sulla questione della individuazione della parte (compratore o venditore) gravata dall’onere di provare la sussistenza del vizio, della mancanza di qualità o del difetto di conformità della cosa compravenduta. Particolare attenzione viene dedicata alla più recente casistica giurisprudenziale in materia.

Disciplina della vendita di diritto comune e materia probatoria La disciplina codicistica della vendita di diritto comune (articolo 1470 – 1547 c.c.) non detta regole probatorie, se non in specifiche ipotesi. In particolare, l'articolo 1494 c.c. stabilisce una presunzione (relativa) di colpa del venditore chiamato a rispondere dei danni patiti dal compratore in conseguenza dei vizi o mancanza di qualità della cosa venduta, in cui la prova liberatoria è data dall'ignoranza incolpevole dell'esistenza di vizi o mancanza di qualità, con la conseguenza che soltanto un accertamento positivo dell'impiego della diligenza normalmente richiesta per scongiurare il rischio di una inesattezza dell'attribuzione traslativa può comportare l'esonero del venditore da una responsabilità per danni. In materia di evizione, l'articolo 1485 c.c. richiede la prova circa la fondatezza o meno della pretesa del terzo evincente perché tale forma di garanzia possa essere invocata o meno da parte del compratore, dopo che si sia verificato un fatto evizionale (giudiziale o stragiudiziale). L'articolo 1513 c.c., che attribuisce a ciascuno dei contraenti la facoltà di avvalersi del mezzo processuale dell'accertamento tecnico preventivo o dell'ispezione giudiziale per precostituire una prova della condizione della cosa venduta, si limita a richiedere una prova rigorosa dell'identità e dello stato della cosa, senza, però, incidere sulla distribuzione degli oneri probatori. I princìpi e i criteri generali di ripartizione dell'onere della prova La questione della ripartizione degli oneri probatori fra venditore e compratore in relazione a vizi, difetti e anomalie del bene compravenduto va, quindi, risolta alla luce della disposizione generale di cui all'articolo 2697 c.c., che però è considerata una ‘norma in bianco', perché demanda all'interprete la soluzione di tale questione. Come noto, la giurisprudenza ha negli ultimi tempi elaborato al riguardo un principio generale, ossia il principio c.d. di vicinanza della prova, che opera quando le disposizioni sostanziali attributive delle situazioni attive non offrono indicazioni univoche per distinguere le due categorie di fatti (costitutivi, ovvero estintivi, impeditivi, modificativi del diritto vantato in giudizio), fungendo da criterio ermeneutico alla cui stregua i primi vanno identificati in quelli più prossimi all'attore e dunque nella sua astratta disponibilità, mentre gli altri in quelli meno prossimi e quindi più facilmente suffragabili dal convenuto (sul punto, v. Cass. 22 aprile 2022, n. 12910; Trib. Milano, 2 gennaio 2023, n. 22). La giurisprudenza formatasi in tema di onere della prova del vizio o della mancanza di qualità della cosa venduta In passato, era controverso in giurisprudenza su chi dovesse gravare l'onere della prova circa il difetto o la mancanza di qualità della cosa venduta al momento della conclusione del contratto di vendita, e cioè se la prova della sussistenza di tale circostanza dovesse gravare sul compratore (in tal senso, v. ad es. Cass. 18 luglio 1991, n. 7986; Cass. 19 ottobre 1994, n. 8533; Cass. 10 settembre 1998, n. 8963; Cass. 12 giugno 2007, n. 13695; Cass. 26 luglio 2013, n. 18125), ovvero se la prova della insussistenza di tale circostanza dovesse gravare sul venditore chiamato a rispondere in base alle norme sulle garanzie c.d. edilizie (in tal senso, v. Cass. 20 settembre 2013, n. 20110; Cass. 2 dicembre 2016, n. 24731; Cass. 21 settembre 2017, n. 21927). La questione è stata affrontata e risolta in chiave nomofilattica dalla Suprema Corte, secondo cui, anche in applicazione del principio c.d. di vicinanza della prova, la responsabilità del venditore per vizi o mancanza di qualità della cosa venduta sarebbe una responsabilità speciale, interamente disciplinata dalle norme sulla vendita, che porrebbe il venditore in situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all'iniziativa del compratore, volta alla caducazione del contratto o alla sua modificazione mediante l'esperimento, rispettivamente, della c.d. actio redibitoria o quanti minoris, basate sul mero dato obiettivo della sussistenza dell'anomalia materiale del bene alienato, con la conseguenza che la prova della sussistenza del vizio o della mancanza di qualità al momento della conclusione del contratto di vendita grava sul compratore (Cass., sez. un., 3 maggio 2019, n. 11748; in senso conforme, successivamente, v. Cass. 5 ottobre 2020, n. 21258; Cass., ord. 28 marzo 2022, n. 9960; Cass., ord. 15 novembre 2022, n. 33612; Cass. 29 maggio 2023, n. 14895; Cass. 22 novembre 2023, n. 32514; Cass. 3 aprile 2024, n. 8775; Cass. 26 settembre 2024, n. 25747; nel panorama della giurisprudenza di merito, v. da ultimo App. Firenze, 20 giugno 2023, n. 1303; Trib. Bologna, 11 gennaio 2024, n. 112; Trib. Forlì, 1° agosto 2024 , n. 709; Trib. Cuneo, 30 settembre 2024, n. 678). La disciplina della vendita di beni mobili al consumatore e l'onere della prova circa il difetto di conformità In materia di vendita di beni mobili al consumatore, l'articolo 135, 1° comma, c. cons. – analogamente a quanto era prima previsto dall'articolo 132, 3° comma, c. cons. – stabilisce una presunzione legale relativa, che sottrae il consumatore dall'onere di provare che il difetto di conformità lamentato sussisteva già al momento della consegna del bene, perché questi può avvalersi della presunzione di esistenza al momento della consegna del difetto che si manifesta entro un anno (mentre nella disciplina previgente era previsto un periodo di sei mesi) dalla data della consegna del bene mobile, a meno che l'invocazione di tale presunzione risulti incompatibile con la natura del bene (si pensi ai prodotti facilmente deperibili, come i beni consumabili) o del difetto di conformità (si pensi ai lievi deterioramenti derivanti dall'usura del bene). Trattandosi di presunzione legale relativa, l'onere di provare le circostanze idonee a precludere al consumatore la possibilità di avvalersi della presunzione (e cioè che la natura del bene o le caratteristiche del difetto impediscono di inferire, dalla presenza di un difetto manifestatosi successivamente alla consegna, l'esistenza del medesimo già all'atto della ricezione del bene da parte del consumatore, ovvero che il difetto di conformità si è manifestato successivamente alla consegna per cause esterne, non ricollegabili alle caratteristiche del bene all'atto della consegna) incombe sul professionista, interessato ad escluderne l'operatività. Anche la giurisprudenza ha di recente chiarito che, ai sensi dell'articolo 132, comma 3, c. cons., si presume che un difetto di conformità che si manifesta entro sei mesi dalla consegna del bene sia presente sin dall'origine, spostando l'onere della prova sul venditore, che deve dimostrare l'insussistenza del difetto al momento della consegna o la sua origine sopravvenuta (da ultimo, v. Cass. 22 aprile 2025, n. 10445). Vendita, aliud pro alio e onere della prova Da tempo la giurisprudenza italiana riconosce dignità e autonomia giuridica a una figura di inesattezza qualitativa della prestazione traslativa che consente al compratore di emanciparsi dal sistema delle garanzie edilizie, e segnatamente dai limiti temporali previsti dall'articolo 1495 c.c., per accedere ai rimedi contrattuali sinallagmatici generali: si tratta dell'aliud pro alio datum, ossia della fattispecie di consegna di una cosa radicalmente diversa da quella pattuita, ovvero inidonea ad assolvere la funzione economico-sociale cui la cosa alienata era destinata e, quindi, a fornire l'utilità presagita (per recenti applicazioni dell'istituto de quo, v. Cass. 14 maggio 2024, n. 13214; Cass. 15 gennaio 2025 , n. 968; Cass. 27 febbraio 2025, n. 5199). È ormai divenuto pacifico (a partire da Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533) il principio secondo cui il creditore della prestazione (inesattamente adempiuta) che proponga un'azione di adempimento o di risoluzione contrattuale, o anche di risarcimento del danno (sempre contrattuale), ai sensi dell'articolo 1453 c.c. (ovvero, a ruoli invertiti, il debitore che, convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno, si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c.), è tenuto unicamente a provare la fonte del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi ad allegare la circostanza dell'inesatto adempimento della controparte, la quale è, invece, gravata dall'onere di provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto, esatto adempimento, ovvero della sopravvenuta impossibilità della prestazione. Nel caso di vendita di aliud pro alio, quindi, sul compratore grava soltanto l'onere di provare il titolo da cui deriva l'obbligazione di consegna del bene (e cioè il contratto di vendita stipulato) e di allegare l'inadempimento di tale obbligazione da parte del venditore.