I tabulati telefonici non possono costituire unica fonte di prova

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha chiarito due importanti aspetti relativi all’acquisizione e utilizzabilità dei dati relativi al traffico telefonico, i quali non possono, comunque, costituire unica fonte di responsabilità penale.

La sentenza in commento risulta d'interesse per i chiarimenti forniti dalla Corte in merito al primo motivo di ricorso dedotto dalla difesa del condannato la cui responsabilità, si fondava per i giudici di merito, quasi esclusivamente sui dati relativi al traffico telefonico e telematico e al contenuto di conversazioni telematiche. Tali dati, secondo il legale, sono inutilizzabili poiché acquisiti con decreto del Pubblico Ministero e non previo decreto autorizzativo del giudice per le indagini preliminari così come previsto dall'articolo 132, D.lgs. n. 196/2003, modificato dal decreto-legge n. 132 del 2021. L'eccezione inoltre, sottolinea, veniva respinta in appello sul presupposto dell'anteriorità del procedimento rispetto all'entrata in vigore della norma, nonostante questo risulti iscritto il giorno stesso della sua entrata in vigore come dimostra la nota di iscrizione nel registro delle notizie di reato. Per la Suprema Corte il motivo è fondato. Preliminarmente, il Collegio rileva che il decreto-legge n. 132 del 2021 con cui veniva modificato il comma 3 dell'articolo 132 in esame e l'introduzione nel suo corpo dei commi 3-bis e 3-ter, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 settembre 2021, per cui la nuova formulazione della disciplina è applicabile a tutti i procedimenti pendenti a far data dal 30 settembre 2021 e, dunque, anche al procedimento penale in esame, iscritto nel registro di reato proprio in tale data. Da ciò, osservano i giudici, discende che «i dati relativi al traffico telefonico, per come correttamente dedotto dal ricorrente, sono totalmente e assolutamente inutilizzabili a fini probatori, perché nell'odierno procedimento sono stati illegittimamente acquisiti dal pubblico ministero senza la previa autorizzazione o la successiva convalida del giudice competente». Di conseguenza i giudici di legittimità «nel giudizio, laddove risulti l'inutilizzabilità di prove illegalmente assunte, possono ricorrere alla cd. prova di resistenza , valutando se, espunte le prove inutilizzabili, la decisione sarebbe rimasta invariata in base a prove ulteriori, di per sé sufficienti a giustificare la medesima soluzione adottata», ma, nota la Suprema Corte, come correttamente eccepito dalla difesa, emerge che i dati dei traffici telefonici hanno assunto una valenza centrale e dirimente nel giudizio di responsabilità a carico del ricorrente, tale per cui risulta impossibile utilizzare la cd. prova di resistenza. La sentenza dunque, va annullata in quanto «la prova si è formata sulla base dei tabulati telefonici acquisiti in violazione dell'articolo 132, commi 3 e 3-bis del decreto legislativo n. 196 del 2003».  Inoltre, l'annullamento è stato disposto senza rinvio, perché il fatto non sussiste, «atteso che dalla disamina della doppia sentenza conforme non emergono elementi utili a formare la prova secondo la regola di giudizio stabilita dall'articolo 192, comma 4, cod. proc. pen.».

Presidente Pellegrino Relatore Saraco Ritenuto in fatto 1. C.G., per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 27/06/2024 della Corte di appello di Catanzaro, che ha confermato la sentenza in data 11/01/2024 del Tribunale di Vibo Valentia, che lo aveva condannato per il reato di cui all'articolo 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e per quello di cui agli articolo 56 e 629 cod. pen. Deduce: 1.1. Violazione di legge e vizio di travisamento della prova in relazione all'eccezione d'inutilizzabilità patologica con riguardo a prove oggettivamente vietate, formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla legge. Si premette che la prova indiziaria posta a base dell'affermazione di responsabilità è fondata quasi esclusivamente sui dati relativi al traffico telefonico e telematico e al contenuto di conversazioni telematiche di cui si eccepisce l'inutilizzabilità, in quanto acquisita con decreto del pubblico ministero e non previo decreto autorizzativo del giudice per le indagini preliminari. Viene perciò dedotta la violazione dell'articolo 132 del decreto legislativo n. 196 del 2003, così come modificato dal decreto-legge n. 132 del 2021, nella parte in cui esclude che il pubblico ministero possa acquisire i tabulati telefonici e i dati della geolocalizzazione senza un decreto motivato del giudice. Osserva che l'eccezione è stata respinta dalla Corte di appello sul presupposto errato dell'anteriorità del procedimento rispetto all'entrata in vigore della norma, mentre risulta che il procedimento è stato iscritto il giorno stesso della sua entrata in vigore. A dimostrazione dell'assunto è stata allegata al ricorso la nota di iscrizione nel registro notizie di reato. Si aggiunge che i dati esteriori di comunicazioni godono di copertura costituzionale, in quanto protetti dall'articolo 15 della Costituzione, in tal senso anche le intercettazioni telefoniche, la riproduzione di testi di messaggistica, le chat, le email e le conversazioni telematiche, in quanto rientranti nella nozione di corrispondenza e devono essere acquisiste in forza di una previa autorizzazione del giudice. A sostegno dell'assunto vengono illustrati i contenuti della normativa in esame, oltre che i principi fissati in materia dalla Corte di cassazione, dalla Corte costituzionale e della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Si insiste, dunque, sulla inutilizzabilità, oltre che dei tabulati telefonici, degli screenshot e delle chat illegittimamente acquisite al procedimento, in quanto prove vietate. 1.2. Vizio di motivazione e travisamento della prova in relazione agli articolo 110 cod. pen., e degli articolo 73, commi 1 e 4 del d.P.R. n. 309 del 1990 e dell'articolo 4 della legge n. 242 del 2016. Si premette che l'identificazione di C.G. quale soggetto cedente la sostanza stupefacente e quale autore del collegato tentativo di estorsione è fondata sulla base dell'acquisizione degli screenshot estrapolati dal telefono del coimputato e persona offesa e sulla conseguente assimilazione del ricorrente quale utilizzatore dell'utenza n. (OMISSIS), al soggetto utilizzatore del nickname (OMISSIS) sull'applicazione (OMISSIS) e (OMISSIS) su (OMISSIS). Si osserva che non è stato effettuato alcun accertamento investigativo circa la riconducibilità di tali emergenze all'odierno ricorrente, né sono stati sequestrati i telefoni di C.G. e della pretesa vittima M.L., pur in presenza di programmi capaci di falsificare i contenuti delle chat. Aggiunge che le intercettazioni a carico di C.G. non hanno dato alcun risultato. Si precisa, comunque, che da tali dati non emerge che il ricorrente sia l'autore della cessione e del successivo tentativo di estorsione, in quanto le conclusioni sono fondate su valutazioni congetturali oltre che sul travisamento delle stesse, che vengono compendiate nei loro contenuti, con particolare riferimento alle dichiarazioni rese da M.L., del contenuto delle chat, al tema delle celle agganciate e al fenomeno del c.d. rimbalzo delle celle, al riconoscimento fotografico. 1.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena. Con l'ultimo motivo si sostiene che la Corte di appello non ha soddisfatto l'obbligo di motivazione richiesto in ipotesi di pena che si discosti dal minimo edittale, in quanto la motivazione sul punto si risolve in affermazioni apodittiche. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 1.1. Con il primo motivo d'impugnazione il ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 132 decreto legislativo n. 30 giugno 2003, n. 196. Tale norma dispone che i dati relativi al traffico telefonico possono essere acquisiti dal pubblico ministero soltanto quando sia stato previamente autorizzato dal giudice con decreto motivato (comma 3), ovvero direttamente, nei casi d'urgenza, ma in questo caso deve sopravvenire la convalida del giudice competente per il rilascio dell'autorizzazione (comma 3-bis). I tabulati acquisiti senza la previa autorizzazione del giudice o senza la successiva convalida sono inutilizzabili, per come espressamente sancito dallo stesso articolo 132 al comma 3-quater secondo cui «I dati acquisiti in violazione delle disposizioni dei commi 3 e 3-bis non possono essere utilizzati». La perentorietà del divieto così sancito determina l'inutilizzabilità assoluta o patologica dei dati dei traffici telefonici acquisiti senza un provvedimento di autorizzazione o di convalida del giudice, in violazione dell'articolo 132, commi 3 e 3-bis, decreto legislativo n. 30 giugno 2003, n. 196. 1.2. Nel caso in esame è pacifico che i tabulati telefonici sono stati acquisiti con provvedimento del pubblico ministero, senza alcun provvedimento autorizzativo o di convalida emesso dal giudice. Per tale ragione, con l'atto di appello, veniva sollevata la questione della inutilizzabilità dei tabulati telefonici. Il relativo motivo è stato respinto dai giudici della corte di merito, i quali (richiamando la sentenza di questa Corte, Sez. 5, n. 1054 del 06/10/2021, dep. 2022, Valea, Rv. 282532 01) hanno osservato che l'articolo 132 del decreto legislativo n. 196 del 2003 è disposizione processuale, informata al principio del tempus regit actum e, in quanto tale, inapplicabile ai procedimenti pendenti già prima della sua entrata in vigore. Secondo i giudici della Corte di appello l'odierno procedimento era già pendente al momento dell'entrata in vigore della norma, che dunque, era inapplicabile al caso in esame. 1.3. Il ricorrente ha fondatamente eccepito l'erroneità di quanto ritenuto dai giudici. A tale proposito va osservato che la modifica del comma 3 dell'articolo 132 in esame e l'introduzione nel suo corpo dei commi 3-bis e 3-ter è stata disposta dall'articolo 1, comma, 1, lettere a) e b) del decreto-legge 30 settembre 2021, n. 234. L'articolo 7 dello stesso decreto-legge ha così disposto: «Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana». Una volta osservato che il decreto-legge in questione è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il 30 settembre 2021, si giunge alla conclusione che il comma 3 nella nuova formulazione e il comma 3-bis dell'articolo 132 del decreto legislativo n. 196 del 2003 sono applicabili a tutti i procedimenti pendenti a far data dal 30 settembre 2021. Occorre, dunque, verificare se il procedimento penale in questione fosse pendente al momento dell'entrata in vigore dell'articolo 132 nella nuova formulazione. A tale riguardo, si deve rammentare che la formale pendenza del procedimento penale si identifica con la data di iscrizione del reato nel registro previsto dall'articolo 335 cod. proc. pen. Ebbene, il ricorrente ha dimostrato, con l'allegazione della relativa nota d'iscrizione, che l'odierno procedimento penale (n. 2788/2021 RGNR della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vibo Valentia) è stato iscritto proprio il 30 settembre 2021. La data di iscrizione, dunque, coincide con l'entrata in vigore della norma, così che l'articolo 132, commi 3 e 3-bis, decreto legislativo n. 196 del 2003 era applicabile al procedimento penale in esame, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello. Da ciò discende che i dati relativi al traffico telefonico, per come correttamente dedotto dal ricorrente, sono totalmente e assolutamente inutilizzabili a fini probatori, perché nell'odierno procedimento sono stati illegittimamente acquisiti dal pubblico ministero senza la previa autorizzazione o la successiva convalida del giudice competente. 2. Il ricorrente, nell'eccepire l'inutilizzabilità dei tabulati telefonici, ha puntualizzato che gli stessi costituivano gli unici elementi di riscontro alle dichiarazioni resa dalla persona, così che, in assenza di quelli, non poteva dirsi raggiunta la prova a carico di C.G. per i reati contestati. Il motivo d'impugnazione è fondato anche sotto tale profilo. 2.1. Va premesso che «nel giudizio di legittimità, laddove risulti l'inutilizzabilità di prove illegalmente assunte, è consentito ricorrere alla cd. prova di resistenza , valutando se, espunte le prove inutilizzabili, la decisione sarebbe rimasta invariata in base a prove ulteriori, di per sé sufficienti a giustificare la medesima soluzione adottata» (Sez. 4, n. 50817 del 14/12/2023, Stretti, Rv. 285533 01; Sez. 6, n. 1255 del 28/11/2013, dep. 2014, Pandolfi, Rv. 258007 01). 2.2. Nel rivolgersi a tale verifica, occorre precisare che l'odierno procedimento a carico di C.G. nasce dalle accuse mossegli contro da M.L., che ha confessato di avere ricevuto da C.G. 625 grammi di marijuana e di non averla pagata, così che veniva minacciato di morte dallo stesso odierno ricorrente se non avesse corrisposto il prezzo pattuito. Da tali dichiarazioni nascono le tre imputazioni dell'odierno procedimento: il capo A), con il quale si contesta a C.G. di avere ceduto a M.L. 625 grammi di marijuana, accompagnata dalla richiesta di duemila euro a titolo di corrispettivo; il capo C), con il quale si contesta a M.L. di avere detenuto a fini di spaccio quella stessa sostanza stupefacente che gli era stata precedentemente ceduta da C.G.; il capo B), con il quale si contesta il tentativo di estorsione commesso da C. al fine di recuperare il prezzo pattuito per la cessione della sostanza stupefacente. La struttura di redazione dei capi d'imputazione fa emergere come i reati contestati a C.G. e quello contestato a M.L. devono considerarsi collegati, ai sensi dell'articolo 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., dovendosi osservare come i reati in materia di stupefacenti sono stati contestati come commessi l'uno in occasione dell'altro (nella stessa negoziazione illecita di 625 grammi di marijuana), mentre il reato di tentativo di estorsione è stato contestato come commesso per conseguire il profitto di quella negoziazione illecita. Si configurano, pertanto, i requisiti per ritenere il collegamento tra reati, così previsto dall'articolo 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., atteso che il fatto contestato a M.L. proietta la propria efficacia probatoria in rapporto a entrambi i reati contestati a C.G., dei quali costituisce l'antefatto da cui dipende la prova della loro esistenza e della relativa responsabilità. Sono state le Sezioni Unite, infatti, a chiarire che «le dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall'articolo 371, comma 2 lett. b) cod. proc. pen., valutare unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità, ai sensi dell'articolo 192, comma 4, cod. proc. pen., sono quelle rese da imputato di un reato che sia collegato a quello per cui si procede con un vero e proprio rapporto di connessione probatoria, ravvisabile quando un unico elemento di fatto proietti la sua efficacia probatoria in rapporto ad una molteplicità di illeciti penali, tutti contemporaneamente da esso dipendenti per quanto attiene alla prova della loro esistenza ed a quella della relativa responsabilità, o quando gli elementi probatori rilevanti per l'accertamento di un reato, o di una circostanza di esso, oggetto di un procedimento spieghino una qualsiasi influenza sull'accertamento di un altro reato, o di una circostanza di esso, oggetto di un diverso procedimento» (così Sez. U., n. 1048 del 06/12/1991, dep. 1992, Scala, Rv. 189181 01, seguita da molte altre pronunce, fino alla più recente Sez. 2, n. 18241 del 26/01/2022, Arzu, Rv. 283405 02). 2.3. La qualifica di M.L. quale imputato in un reato collegato ai sensi dell'articolo 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. comporta che, alle sue dichiarazioni, si applica la regola di giudizio stabilita dall'articolo 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. che, ai fini del perfezionamento della prova, richiede che le propalazioni accusatorie trovino conferma in un riscontro estrinseco. In tale ambito, il riscontro estrinseco è elemento strutturale della prova, rispetto alla quale la sua presenza costituisce un dato insostituibile al fine della valutazione di attendibilità, che deve contrassegnare la dichiarazione dei soggetti imputati di un reato collegato a quello per cui si procede, per come previsto dall'articolo 192, comma 4, cod. proc. pen., in combinazione con gli articolo 192, comma 3 e 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. Si è spiegato, in particolare, che i riscontri esterni alla chiamata in correità, richiesti dall'articolo 192 cod. proc. pen., possono consistere in elementi di qualsivoglia natura, anche di carattere logico, ma che, oltre ad essere individualizzanti e quindi avere direttamente ad oggetto la persona dell'incolpato in relazione allo specifico fatto a questi attribuito, debbono essere esterni alle dichiarazioni accusatorie, allo scopo di evitare che la verifica sia circolare ed autoreferente (in questo senso, Sez. 6, n. 1249 del 26/09/2013, dep. 2014, Ceroni, Rv. 258759; Sez. 1, n. 6784 del 01/04/1992, Bruno, Rv. 190535; Sez. 2, n. 21019 del 20/04/2018, Di Grumo, non mass.). 2.3.1. Ciò premesso, la rilevata inutilizzabilità dei tabulati telefonici rende le dichiarazioni rese da M.L. prive di riscontro alcuno e probatoriamente inefficaci. Dalla lettura delle motivazioni della sentenza impugnata, invero, emerge che i dati dei traffici telefonici assumono una valenza centrale e dirimente nel giudizio di responsabilità a carico dell'odierno ricorrente. Quanto al capo A), la Corte di appello spiega che la cessione dei 625 grammi di marijuana effettuata da C.G. in favore di M.L., così come riferita da quest'ultimo, trovava riscontro nei tabulati telefonici che «consentivano di localizzare gli utilizzatori delle utenze negli stessi luoghi, atteso che le SIM intestate ed in uso agli stessi agganciavano le medesime celle telefoniche; dall'analisi del tabulato sull'utenza riferibile al C.G. avente numero (OMISSIS) emergeva che, in data 29/09/2021, i dati risultavano compatibili con le conversazioni avvenute su (OMISSIS) in considerazione del fatto che venivano agganciate le celle di tale utenza in specifici orari che apparivano coerenti con il tenore delle conversazioni» (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata; ancora: «l'analisi dei tabulati telefonici delle utenze intestate e accertate in uso ai due imputati, convergono nel senso che C.G. e M.L. fossero in costante contatto nel mese di agosto ovvero nel periodo in cui M.L. ha dichiarato di aver acquistato la sostanza stupefacente e per come risultato dalle celle agganciate dalle loro rispettive utenze in alcuni momenti»). 2.3.2. Va annotato inoltre che la Corte di appello tiene a precisare che i tabulati telefonici non possono costituire l'unica fonte di prova e che la prova a carico di C.G. è fondata anche su altri elementi; ma, nel dare seguito a tale precisazione, in realtà richiama nuovamente i tabulati telefonici come elemento di riscontro. Si legge, infatti, alla pagina 8 della sentenza impugnata: «la responsabilità di C.G. in ordine al reato di cessione dello stupefacente è avvalorata anche dalle risultanze in punto di condotta estorsiva. Difatti, i messaggi estorsivi recano, tutti un orario e in alcuni casi, nel corpo degli stessi, si legge l'indicazione del luogo ove l'interlocutore si trovava in quel momento. Inoltre, dall'analisi del tabulato dell'utenza accertata essere in uso al C.G. è emerso che in quegli stessi orari o comunque in prossimità dei medesimi l'utenza agganciava celle compatibili con i luoghi indicati nel testo dei messaggi. Ciò consente di superare anche l'osservazione per cui non sarebbe anche l'osservazione per cui non sarebbe possibile collegare il C.G. con il mittente dei messaggi inviati a mezzo (OMISSIS), rispondente al nickname (OMISSIS)». Anche in questo caso, dunque, la Corte di appello riconduce a C.G. la paternità dei messaggi estorsivi sulla base dei tabulati telefonici, in realtà inutilizzabili. Vale rimarcare come non vi siano elementi ulteriori a carico di C.G., visto che la conversazione intercettata 29/10/2021 e valorizzata dalla Corte di appello non offre elementi di riscontro diretti e individualizzati sulla posizione di C.G., non essendo a tal fine sufficiente riscontrare che il 29/10/2021 l'odierno ricorrente si trovava con altri individui presso l'abitazione di M.L., il quale, essendo assente, veniva chiamato al telefono dalla madre. Gli unici elementi a carico di C.G. restano, dunque, le dichiarazioni accusatorie di M.L., visto che anche i messaggi prodotti sotto forma di screenshot vengono attribuiti a C.G. sulla base dei tabulati telefonici, non risultando siano stati sequestrati i dispositivi di C.G. e di M.L. al fine di verificare -con le garanzie previste per la corrispondenzala provenienza e la ricezione della messaggistica. 3. La sentenza va, dunque, annullata in quanto la prova si è formata sulla base dei tabulati telefonici acquisiti in violazione dell'articolo 132, commi 3 e 3-bis del decreto legislativo n. 196 del 2003. L'annullamento va disposto senza rinvio, perché il fatto non sussiste, atteso che dalla disamina della doppia sentenza conforme non emergono elementi utili a formare la prova secondo la regola di giudizio stabilita dall'articolo 192, comma 4, cod. proc. pen. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.