L'avvocato già componente del Coa per due mandati consecutivi può essere nuovamente eletto solo dopo che sia trascorso un lasso temporale pari alla durata effettiva del secondo mandato svolto. Lo hanno ribadito le Sezioni Unite fornendo una chiara interpretazione della disciplina in materia di elezioni dei membri dei consigli degli ordini circondariali forensi.
Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione sono nuovamente intervenute sul tema della ricandidabilità ai Consigli dell'Ordine degli Avvocati, chiarendo la portata del c.d. “periodo di raffreddamento” ex articolo 3, comma 3, l.n. 113/2017. Nel caso di specie, un avvocato, già consigliere COA Salerno per due consiliature consecutive (2011-2014 e 2015-2018), non si era candidato per il quadriennio successivo (2019-2022), ma ha presentato candidatura per la consiliatura 2023-2026. Alcuni candidati, impugnando la sua elezione, hanno eccepito la violazione della disciplina in materia che richiede, per la ricandidatura dopo due mandati consecutivi, il decorso di un intervallo pari agli anni effettivi del precedente mandato. Il CNF, in sede rescindente su rinvio della Cassazione (Cass. n. 9771/2024), ha accolto il ricorso, annullando la proclamazione del legale, il quale ha adito la Suprema Corte. I Giudici – chiamati nuovamente a pronunciarsi - hanno rigettato tale ricorso e hanno sottolineato che la norma non fa riferimento alla durata ordinaria del mandato (quattro anni), bensì alla durata effettiva dell'ultimo incarico ricoperto. Ciò significa che, se il secondo mandato si è protratto oltre il quadriennio, ad esempio a causa di una proroga del consiglio, l'avvocato interessato potrà ricandidarsi solo dopo che sia decorso un lasso di tempo corrispondente a tale periodo prorogato. Non rileva, dunque, che il consiglio successivo, al quale il professionista non abbia partecipato, sia giunto a scadenza naturale: ciò che conta è il confronto tra la durata effettiva dell'ultimo mandato svolto e quella della consiliatura saltata . Nel caso concreto affrontato dalla Cassazione, il secondo mandato del ricorrente era durato quattro anni e sette mesi; la consiliatura successiva, alla quale non aveva partecipato, era invece durata solo tre anni e cinque mesi, a causa della proroga del precedente consiglio. Poiché l'intervallo temporale intercorrente tra il secondo e il terzo mandato era inferiore rispetto alla durata effettiva dell'ultimo incarico, la terza candidatura è stata validamente ritenuta illegittima. La sentenza delle Sezioni Unite ha confermato, dunque, la correttezza dell'operato del Consiglio Nazionale Forense, che – quale giudice speciale del rinvio – si era attenuto al perimetro interpretativo tracciato dalla stessa Cassazione nella precedente sentenza rescindente, in ossequio all'articolo 36 l. n. 247/2012. La disposizione del 2017, secondo quanto precisato, deve essere letta nel senso che anche in assenza di un terzo mandato consecutivo formalmente inteso, permane un vincolo temporale volto a garantire un fisiologico ricambio nella rappresentanza forense e a prevenire manovre elusive.
Presidente D'Ascola Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1. Il ricorrente avv. P.G. è stato Consigliere dell'Ordine degli Avvocati di (OMISSIS) nella consiliatura 2015/2018 ed in quella immediatamente precedente, mentre non ha presentato la propria candidatura per la consiliatura 2019/2022. Atteso il divieto di svolgere più di due mandati consecutivi, previsto dall'articolo 3, comma 3, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017, l'odierno ricorrente, che non si è candidato per una consiliatura (2019/2022), ha poi presentato la propria candidatura per la consiliatura 2023/2026. La durata della consiliatura 2015/2018 si è protratta oltre la scadenza ordinaria (che è di regola il 31 dicembre del quarto anno), in ragione del differimento dell'indizione delle elezioni per la tornata successiva. La consiliatura si è protratta sino al 19 luglio 2019, allorché è intervenuta la proclamazione degli eletti per la consiliatura 2019-2022. La delibera di proclamazione degli eletti per il rinnovo del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di (OMISSIS) per il quadriennio 2023/2026 del 14 gennaio 2023, nella parte in cui ha proclamato eletto l'avv. P.G., nonché la precedente delibera di ammissione della candidatura del medesimo avvocato, sono state impugnate dagli attuali controricorrenti avvocati tutti iscritti al COA di (OMISSIS) e candidati alle elezioni indette con provvedimento del COA del 29 novembre 2022 dinanzi al CNF, prospettando la incandidabilità/ineleggibilità dell'avv. P.G. ai sensi dell'articolo 3, comma 3, terzo periodo, della legge n. 113 del 2017, che sancisce che, dopo due mandati consecutivi, “la ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguali agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato”. La norma, ad avviso dei ricorrenti, avrebbe imposto un periodo di fermo pari a quello della durata dell'ultimo mandato effettivamente espletato. Il giudizio innanzi il CNF è stato definito con sentenza n. 73/23, che ha rigettato l'impugnazione. Proposto ricorso per cassazione dai ricorrenti originari, con l'ordinanza n. 9771 del 2024, le Sezioni Unite hanno cassato la sentenza impugnata con rinvio al CNF. Nell'ordinanza n. 9771 del 2024, pubblicata l'11 aprile 2024, richiamando la sentenza di queste Sezioni Unite n. 8566 del 2021, si è affermato: «(…) la disposizione di cui al secondo periodo, che contempla il generale divieto di terzo mandato consecutivo, trova «un completamento […] nella previsione del terzo periodo che del pari vieta la candidatura allorché, pur non ricorrendo più il limite del terzo mandato (essendosi svolta una nuova competizione elettorale ed alla quale il consigliere uscente non abbia preso parte), non sia intercorso un periodo di tempo che la legge ritiene necessario per consentire il fisiologico ricambio all'interno dell'organo ed impedire la cristallizzazione della rappresentanza»; e ciò è quanto è accaduto nel caso di specie, in cui è pacifico che la consiliatura “saltata” dall'avv. P.G. (2019/2022) ha avuto – oggettivamente una durata inferiore al quadriennio (tre anni e cinque mesi) a seguito della proroga di quella precedente (durata -di fattoquasi quattro anni e sette mesi); in una situazione siffatta, la ricandidatura dell'avv. P.G. alla tornata elettorale 2023/2026 ha violato la prescrizione dell'ultimo periodo del 3° comma dell'articolo 3 della legge n. 113 del 2017, in quanto effettuata senza che fosse trascorso un intervallo uguale a quello degli anni in cui si era svolto il precedente mandato; deve invero ribadirsi che la nozione di mandato va intesa in senso oggettivo, dovendosi far riferimento alla durata effettiva delle consiliature, con la conseguenza che, ai fini della verifica del rispetto della previsione anzidetta, non è sufficiente che vi sia stato un “fermo” di consiliatura e che la consiliatura saltata sia giunta alla naturale scadenza, ma occorre anche che sia decorso un periodo di durata eguale al mandato precedentemente svolto (ossia il periodo che il legislatore ha considerato necessario ad escludere il possibile condizionamento sul corpo elettorale derivante dal pregresso espletamento del mandato consiliare); ciò comporta, come anticipato, la cassazione della sentenza e il rinvio al C.N.F. (…)». Il CNF, in sede rescindente, con la sentenza n. 406 del 2024, ha disatteso l'eccezione di legittimità costituzionale prospettata dall'avv. P.G., ha accolto l'originario reclamo e ha annullato la delibera di proclamazione degli eletti per il quadriennio 2023/2026 del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di (OMISSIS) assunta dalla Commissione elettorale in data 14.2.2024, nella parte in cui ha proclamato eletto l'avv. P.G., nonché la precedente delibera di ammissione della sua candidatura. Per l'effetto, ha annullato l'elezione dell'odierno ricorrente e ha dichiarato la sua decadenza dalla carica, disponendo che il COA di (OMISSIS) provvedesse a dare scorrimento alla graduatoria con il subentro nella carica del primo dei non eletti ai sensi e per gli effetti dell'articolo 16 della legge n. 113 del 2017. Per la cassazione della sentenza del CNF ricorre l'avv. P.G., prospettando un motivo di ricorso e questione di legittimità costituzionale. Il ricorrente ha chiesto la sospensione dell'esecutorietà della sentenza del CNF. Nel corso del giudizio, dopo che era stata già fissata l'udienza pubblica di trattazione del ricorso, uno dei difensori del ricorrente, in quanto eletto giudice della Corte costituzionale, ha rinunciato al mandato conferitogli dall'avv. P.G., già assistito anche da altri avvocati. Si sono costituiti con controricorso, assistito da memoria, gli avv.ti M. D. A., F. R., G. G., R. F. P., S.V., resistendo al ricorso e deducendo che il COA di (OMISSIS), nella seduta del 21 novembre 2024, ha dato attuazione alla sentenza rescissoria del CNF. Anche l'avv. P.G. ha depositato memoria. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 1. Il ricorrente ha censurato la sentenza del CNF proponendo un articolato motivo di ricorso. Ha poi proposto questione di legittimità costituzionale. Ha priorità logico-giuridica l'esame del motivo di ricorso. Con il motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 3, comma 3, della legge n. 113 del 2017, dell'articolo 1 della legge cost. n. 1 del 1948, dell'articolo 23, secondo comma, e dell'articolo 24 della legge cost. n. 87 del 1953; la violazione dell'articolo 112, cod. proc. civ., per omessa pronuncia; la violazione dell'articolo 111, sesto comma, Cost. (ex articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.). La pronuncia del CNF è censurata per aver reputato non rilevante e priva del requisito della non manifesta infondatezza la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 3, terzo periodo, della legge n. 113 del 2017. Ed infatti, ad avviso del ricorrente, il CNF, poiché in accoglimento del ricorso introduttivo ha dichiarato l'incandidabilità e l'ineleggibilità dell'odierno ricorrente proprio e solo in applicazione dell'articolo 3, comma 3, terzo periodo, della legge n. 113 del 2017, avrebbe dovuto ritenere sussistente il requisito della rilevanza. La sentenza impugnata, inoltre, ha affermato che la questione di costituzionalità prospettata non superava il vaglio di non manifesta infondatezza, senza argomentare in merito alla deduzione di oscurità dell'articolo 3, comma 3, terzo periodo, della legge n. 113 del 2017, foriera di applicazioni irragionevolmente differenziate anche nella stessa giurisprudenza di legittimità, con conseguente violazione dell'articolo 3, Cost. In proposito, il ricorrente ricorda di aver richiamato l'ordinanza n. 9755 del 2024, segnalando che la stessa avrebbe dato una lettura dell'articolo 3, comma 3, ultimo periodo, della l. n. 113 del 2017, diversa da quella fatta propria dalle medesime Sezioni Unite nel caso odierno. Ha dedotto, quindi, che anche la successiva sentenza di queste Sezioni Unite, n. 23101 del 2024, avrebbe dato soluzione diversa ad analoga fattispecie. 1.1. Il motivo non è fondato, in quanto la censura non considera, nella specie, il vincolo che discende dalla pronuncia rescindente per il giudice del rinvio, e la irretrattabilità del principio di diritto per la Corte nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza rescissoria. 1.2. L'articolo 36 della legge n. 247 del 2012, stabilisce “Nel caso di annullamento con rinvio, il rinvio è fatto al CNF, il quale deve conformarsi alla decisione della Corte di cassazione circa il punto di diritto sul quale essa ha pronunciato”. Ciò, in coerenza con la giurisprudenza di legittimità secondo cui a norma dell'articolo 384, primo comma, cod. proc. civ., l'enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o di diritto, che siano il presupposto di quella decisione, e di tener conto di eventuali mutamenti giurisprudenziali della stessa Corte, anche a Sezioni Unite, non essendo consentito in sede di rinvio sindacare l'esattezza del principio affermato dal giudice di legittimità (v., ex aliis, Cass., n. 26545 del 2024, n. 29879 del 2023, n. 7091 del 2022, Cass. n. 20887 del 2018; si v. anche Cass. n. 21006 del 2005). Il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla «regola» enunciata, ma anche alle premesse logico giuridiche della decisione, e attenersi agli accertamenti già compresi nell'ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se in ipotesi non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità della stessa (Cass., n. 7091 del 2022, cit.). Il Giudice delle Leggi ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 384, cod. proc. civ., nella parte in cui non consente che il giudice del rinvio possa discostarsi dal principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, perché l'obbligo, per il giudice del rinvio, di uniformarsi al principio di diritto è coerente con la funzione nomofilattica della suprema Corte, “le cui fondamenta poggiano anche sul principio costituzionale di uguaglianza (articolo 3 Cost.), in forza del quale casa analoghi devono essere giudicati, per quanto possibile, in modo analogo” (Corte cost., n. 149 del 2013). 1.3. La ricostruzione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte (si veda, ex aliis, Cass., S.U., 17332 del 2021, cui adde Cass., n. 25969 del 2023) sul carattere cd. chiuso del giudizio di rinvio evidenzia che quest'ultimo non costituisce la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, bensì la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione. Il giudizio di rinvio si presenta, quindi, come una prosecuzione del processo di Cassazione, nel corso del quale il giudice di merito ha il compito di svolgere quelle attività necessarie a conformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte ai sensi dell'articolo 384, cod. proc. civ. Dunque, il ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio può essere fondato soltanto sulla deduzione dell'infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronuncia di annullamento, ed il sindacato della Corte si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell'osservanza dei relativi limiti. 1.4. Il CNF in sede rescissoria, con la sentenza n. 406/24, ha applicato i principi di diritto affermati da queste Sezioni Unite. L'ordinanza n. 9771 del 2024, dopo aver richiamato e dato continuità ai principi di diritto enunciati dalla sentenza n. 8566 del 2021, ha affermato: «(…) la disposizione di cui al secondo periodo, che contempla il generale divieto di terzo mandato consecutivo, trova “un completamento […] nella previsione del terzo periodo che del pari vieta la candidatura allorché, pur non ricorrendo più il limite del terzo mandato (essendosi svolta una nuova competizione elettorale ed alla quale il consigliere uscente non abbia preso parte), non sia intercorso un periodo di tempo che la legge ritiene necessario per consentire il fisiologico ricambio all'interno dell'organo ed impedire la cristallizzazione della rappresentanza”; e ciò è quanto è accaduto nel caso di specie, in cui è pacifico che la consiliatura “saltata” dall'avv. P.G. (2019/2022) ha avuto -oggettivamenteuna durata inferiore al quadriennio (tre anni e cinque mesi) a seguito della proroga di quella precedente (durata -di fattoquasi quattro anni e sette mesi); in una situazione siffatta, la ricandidatura dell'avv. P.G. alla tornata elettorale 2023/2026 ha violato la prescrizione dell'ultimo periodo del 3° comma dell'articolo 3 della legge n. 113 del 2017, in quanto effettuata senza che fosse trascorso un intervallo uguale a quello degli anni in cui si era svolto il precedente mandato; deve invero ribadirsi che la nozione di mandato va intesa in senso oggettivo, dovendosi far riferimento alla durata effettiva delle consiliature, con la conseguenza che, ai fini della verifica del rispetto della previsione anzidetta, non è sufficiente che vi sia stato un “fermo” di consiliatura e che la consiliatura saltata sia giunta alla naturale scadenza, ma occorre anche che sia decorso un periodo di durata eguale al mandato precedentemente svolto (ossia il periodo che il legislatore ha considerato necessario ad escludere il possibile condizionamento sul corpo elettorale derivante dal pregresso espletamento del mandato consiliare); ciò comporta, come anticipato, la cassazione della sentenza e il rinvio al C.N.F. (…)». 1.5. Il CNF, giudice speciale (v., Corte cost. n. 189 del 2001) può sollevare questione di legittimità costituzionale (v., Corte cost. n. 173 del 2019). Nella specie, il CNF, al quale dalla ordinanza rescindente non erano state demandate nuove valutazioni o accertamenti in ragione dei quali modulare l'applicazione della disposizione in questione, con la sentenza n. 406/24, pronunciata in sede di rinvio, non ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, decisione di cui il ricorrente si duole con il motivo di ricorso. Il CNF ha richiamato il principio di diritto enunciato da queste Sezioni Unite; ha rilevato, come già affermato dall'ordinanza n. 9771 del 2014 (v. pag. 9 dell'ordinanza “e ciò è quanto è accaduto nel caso di specie, in cui è pacifico che la consiliatura “saltata” dall'avv. P.G. [2019/2022] ha avuto -oggettivamenteuna durata inferiore al quadriennio [tre anni e cinque mesi] a seguito della proroga di quella precedente [durata -di fattoquasi quattro anni e sette mesi]) che “Risulta provato ex actis che la durata in termini di anni (tre anni e cinque mesi) della consiliatura 2019/2022 del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di (OMISSIS), cui l'avv. P.G. non ha partecipato, è stata inferiore, sempre in termini di anni, alla seconda consiliatura consecutiva svolta dallo stesso controinteressato (2015/2018 durata di fatto quasi quattro anni e sette mesi), avendo scelto il Consiglio allora in carica di avvalersi della proroga ex lege di cui all'articolo 1, comma 2, del d.l. n. 2 del 2019”, ha accolto il ricorso “dovendosi affermare l'incandidabilità dell'avv. P.G. per la consigliatura 2023/2026”; ha dichiarato l'illegittimità dei provvedimenti impugnati nella parte in cui avevano ammesso la candidatura e proclamato l'elezione dell'odierno ricorrente, dovendo procedersi allo scorrimento della graduatoria con il subentro nella carica del primo dei non eletti. 1.6. Questa Corte ha più volte affermato che non può costituire motivo di ricorso per cassazione la valutazione negativa che il giudice di merito, nella specie il CNF, ha fatto circa l'incidentalità, la rilevanza o la non manifesta infondatezza di una questione di legittimità costituzionale, perché il relativo provvedimento ha carattere puramente ordinatorio, essendo riservato il relativo potere decisorio alla Corte costituzionale e, d'altra parte, la stessa questione può essere riproposta in ogni grado di giudizio. Pertanto, si è osservato che le doglianze relative alle deliberazioni assunte dal giudice di merito sulle dedotte questioni di legittimità costituzionale non si presentano come fini a sé stesse, ma hanno funzione strumentale in relazione all'obiettivo di conseguire una pronuncia più favorevole di quella resa con l'ordinanza impugnata, sicché l'impugnazione deve intendersi che investa sostanzialmente il punto del provvedimento regolato dalle norme giuridiche la cui costituzionalità è contestata (ex aliis, Cass. n. 9284 del 2018, Cass. n. 25343 del 2014, Cass. S.U. n. 28544 del 2008). 1.7. Dunque, il motivo di ricorso proposto dal ricorrente va così inteso, quale censura sull'applicazione della norma da parte del CNF, che tuttavia, come giudice del rinvio, ha operato correttamente nei limiti della pronuncia rescindente. Di talché, la censura investe la statuizione assunta dalle Sezioni Unite, con l'ordinanza n. 9771 del 2024, chiedendosi, nella sostanza la pronuncia di una nuova regula iuris, ma tale istanza si pone in contrasto con il principio di irretrattabilità del principio di diritto enunciato in sede rescindente. Come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., n. 14691 del 2021), la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito in sede rescissoria, come nella specie, deve giudicare muovendo dalla regula iuris in precedenza enunciata, perché l'efficacia vincolante, che si estende anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata oggetto di giudicato implicito interno, viene meno solo qualora la norma, in epoca successiva alla pubblicazione della pronuncia rescindente, ma prima della decisione sull'impugnazione della sentenza rescissoria, sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima ovvero sia divenuta inapplicabile per effetto di ius superveniens (cfr. fra le tante Cass. n. 20128/2013; Cass. n. 13873/2012; Cass. n. 17442/2006). Tali evenienze intervento del legislatore, pronuncia di illegittimità costituzionale non si sono verificate, e alle stesse non è assimilabile il confronto casistico e l'intervento delle successive decisioni di queste Sezioni Unite indicati dal ricorrente. 1.8. Nella specie, la controversia è stata decisa da queste Sezioni Unite con l'ordinanza n. 9771 del 2024, e la regula iuris pronunciata in detta sede non è suscettibile in diritto di riesame, come richiesto dal ricorrente per il tramite della censura della mancata rimessione di questione di legittimità costituzionale da parte del CNF. L'ordinanza n. 9771 del 2024 ha soppesato gli argomenti che le parti hanno sottoposto al giudicante, dando preferenza agli uni piuttosto che agli altri, così appunto dirimendo la questione stessa e fissando, da controversi che erano, i punti di fatto e di diritto che devono ritenersi oramai consolidati tra le parti, presentando peraltro quelle caratteristiche idonee alla formazione del giudicato (cfr., Cass., S.U., n. 24646 del 2016). 2. Il ricorrente ha poi sollevato dinanzi a queste Sezioni unite questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 3, terzo periodo, della legge n. 113 del 2017, che sancisce: “La ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato”, per violazione degli articolo 2,3,48,51 e 97, Cost. Il ricorrente ha dedotto che il Giudice delle Leggi, con le sentenze n. 173 del 2019 e n. 184 del 2023, ha affermato che il divieto di terzo mandato consecutivo e quindi, di converso, la temporanea incandidabilità per una sola tornata elettorale costituiscono un punto di ragionevole bilanciamento fra il diritto di elettorato (attivo e passivo) e la necessità di garantire il fisiologico ricambio nella compagine direttiva degli ordini circondariali forensi. L'articolo 3, comma 3, ultimo periodo, della l. n. 113 del 2017, nell'interpretazione fornita dalla sentenza rescindente, alla quale ha dato attuazione la sentenza rescissoria, estenderebbe l'incandidabilità per due tornate. Per l'effetto, tra più misure egualmente efficaci per il perseguimento dell'obiettivo del ricambio negli organi direttivi avrebbe scelto quella più limitativa del diritto di elettorato passivo. In particolare, l'articolo 3, Cost., prospetta il ricorrente, risulterebbe violato, in connessione con l'articolo 97, Cost., poiché la lettura della norma contestata risulterebbe chiaramente favorire un utilizzo strumentale delle dimissioni e/o della convocazione anticipata dell'assemblea per l'elezione del consiglio da parte dei membri in carica, così contravvenendo proprio all'obiettivo di evitare cristallizzazioni di potere cui l'intero articolo 3 della l. n. 113 del 2017 dovrebbe mirare. Dunque, insieme al principio di ragionevolezza sarebbe violato anche il principio di buon andamento. A ciò si aggiungerebbe che, nella stessa giurisprudenza nomofilattica, l'articolo 3, comma 3, ultimo periodo, della l. n. 113 del 2017 si è prestato a interpretazioni diverse da quella offerta nell'ordinanza rescindente e dalla sentenza rescissoria del CNF, il che dimostrerebbe quantomeno il carattere oggettivamente oscuro della norma. 2.1. La questione di legittimità costituzionale illustrata dal ricorrente è priva di rilevanza. Il requisito della rilevanza è segnato dal nesso di pregiudizialità che correla il giudizio incidentale innanzi alla Corte costituzionale a quello principale di merito. Detto requisito implica necessariamente che la questione di legittimità costituzionale abbia nel procedimento a quo un'incidenza attuale e non meramente eventuale. Il postulato della pregiudizialità della questione richiede infatti che questa si concreti solo quando il dubbio di contrasto con la Costituzione investa una norma dalla cui applicazione, ai fini della definizione del giudizio dinanzi a lui pendente, il giudice a quo dimostri di non poter prescindere (Corte cost., n. 160 del 2023). Nella specie, queste Sezioni Unite con l'ordinanza n. 9771 del 2024, hanno già applicato la norma indubbiata alla controversia per cui è causa. Hanno deciso la controversia medesima enunciando la regula iuris applicata dal giudice di rinvio, al quale non è stata demandata alcuna nuova valutazione quale presupposto per una applicazione ex novo della norma, che non vi è stata. Di talché, la potestas iudicandi di queste Sezioni Unite sulla applicazione della norma alla fattispecie è già stata esercitata, né il giudizio di rinvio ha applicato ex novo la norma in esame in ragione di nuove valutazioni rispetto al decisum di queste Sezioni Unite, al quale ha dato lineare applicazione, con conseguente mancanza di rilevanza ed attualità della questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente. 3. Il ricorso deve esser rigettato. 4. Al rigetto del ricorso segue l'assorbimento della istanza di sospensione cautelare della sentenza del CNF impugnata. 5. La complessità delle questioni esaminate induce a compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'articolo 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.