L’autore, anche di uno solo dei più reati-presupposto, che ponga in essere una successiva condotta tipica causalmente orientata ad ostacolare la provenienza delittuosa di somme di danaro o altri beni risponde del reato di autoriciclaggio in presenza di consapevolezza, in capo a costui, dell’origine delittuosa delle utilità derivanti dal reato presupposto per il quale ha concorso.
In presenza di più reati-presupposto, per la configurabilità del reato di cui all’articolo 648-ter.1 cod. pen., non si richiede la piena identità fisica tra tutti i soggetti autori dei predetti reati-presupposto e tutti quelli che realizzano la successiva condotta auto-riciclatoria. La seconda Sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza in commento, si è pronunciata in ordine alla configurabilità del delitto di autoriciclaggio nel caso in cui le condotte tipiche punite dall'articolo 648-ter.1 c.p., realizzate sul provento di una pluralità di reati, siano state realizzate da chi non abbia realizzato ciascuno dei plurimi reati-presupposto. La questione è stata affrontata dai giudici di legittimità a seguito del ricorso per cassazione, proposto da più imputati, avverso la sentenza di appello con cui gli stessi erano stati condannati per associazione per delinquere, autoriciclaggio, traffico illecito di rifiuti e altri delitti in materia fiscale. I numerosi motivi di ricorso articolati dalle difese degli imputati sono stati invero dichiarati tutti inammissibili, vertendo gli stessi su profili attinenti al merito, in quanto relativi alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di prime cure. La Corte ha infatti evidenziato che è preclusa la possibilità per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio, laddove è consentito dedurre il travisamento della prova. I giudici di legittimità hanno tuttavia elencato gli stringenti presupposti perché possa configurarsi il predetto vizio, ribadendo che «la Corte di cassazione è giudice della ‘motivazione' e non della ‘decisione'». A tali profili di inammissibilità si aggiunge quello di manifesta infondatezza del motivo di ricorso relativo alla non configurabilità del delitto i autoriciclaggio in capo ad alcuni degli imputati ricorrenti. In particolare, le difese degli imputati avevano evidenziato che sarebbe preclusa la possibilità di ravvisare gli estremi del delitto di autoriciclaggio in relazione a chi, come nel caso di specie, non abbia concorso nel reato presupposto, potendosi al più ravvisarsi il diverso delitto di riciclaggio, ex articolo 648-bis c.p. Nel caso di specie, due degli imputati erano stati condannati, in concorso con un terzo imputato, per il delitto presupposto di traffico illecito di rifiuti, elevato a presupposto del delitto loro contestato di autoriciclaggio, unitamente ad altre fattispecie delittuose rispetto alle quali tuttavia gli imputati non avevano concorso. La Corte ha tuttavia ritenuto che la coincidenza soggettiva dei soggetti autori dei singoli reati presupposto non costituisce un requisito per l'affermazione di responsabilità degli stessi per il delitto di autoriciclaggio. È infatti possibile che il soggetto agente che ponga in essere le condotte tipiche del delitto ex articolo 648-ter.1 c.p. non abbia concorso in ciascuno dei reati presupposto, qualora questi ultimi siano stati plurimi. Nel contempo, la Corte ha affermato che non è del pari necessario che tutti gli autori del reato presupposto abbiano posto in essere le condotte di auto-riciclaggio, dal momento che, «non si richiede la piena identità fisica tra tutti i soggetti autori dei predetti reati-presupposto e tutti quelli che realizzano la successiva condotta auto-riciclatoria». Sarà tuttavia necessaria, in capo al soggetto autore delle condotte tipiche di cui all'articolo 648-ter.1 c.p., la consapevolezza dell'origine delittuosa delle utilità derivanti dal reato presupposto per il quale ha concorso.
Presidente Pellegrino Relatore Borio RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 18/02/2022 dal Tribunale di Busto Arsizio, all'esito di giudizio dibattimentale, così statuiva per quanto in questa sede rileva: confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di Le.Em. per i reati di cui all'articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 contestati ai capi 7 (limitatamente alle fatture relative alla annualità 2013, in quanto estinti per intervenuta prescrizioni quelli aventi ad oggetto gli esercizi 2011 e 2012) e 8 e, per l'effetto, rideterminava la pena in anni 3, mesi 10 di reclusione; disponeva la revoca della confisca in relazione al capo 7) limitatamente agli importi Irpef in relazione alle annualità per le quali era stata dichiarata la prescrizione; confermava il giudizio di responsabilità di Ce.Fa. per i reati di cui ai capi di imputazione 1 (articolo 452-quaterdecies cod. pen.), 2 e 3 (articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000), 27 (articolo 648-ter.l cod. pen), 31 (articolo 416 cod. pen) e, per l'effetto, rideterminava la pena in anni 8, mesi 5, giorni 10 di reclusione ed euro 15.333,30 di multa; disponeva la revoca della confisca in relazione ai capi 2) e 3) limitatamente agli importi Iva e Ires in relazione alle annualità per le quali era dichiarata la prescrizione; confermava il giudizio di responsabilità di Ce.Na. per i reati di cui ai capi di imputazione 1 (articolo 452-quaterdecies cod. pen.), 3 (articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000), 27 (articolo 648-ter.l cod. pen), 31 (articolo 416 cod. pen) e, per l'effetto, rideterminava la pena in anni 5, giorni 20 di reclusione ed euro 9.056,65 di multa; disponeva la revoca della confisca in relazione al capo 3) limitatamente agli importi Iva e Ires in relazione alle annualità per le quali era dichiarata la prescrizione; confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di Da.An. limitatamente ai reati di cui ai capi 1 (articolo 452-quaterdecies cod. pen.), 4 (articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000) e 18 (articolo 8 D.Lgs. n. 74 del 2000) e rideterminava la pena in anni 3 e mesi 11 di reclusione. 2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, tramite i rispettivi difensori fiduciari, ricorsi che di seguito si illustrano nei limiti strettamente necessari ai sensi dell'articolo 173 disp. att. cod. proc. pen. 3. Nell'interesse di Le.Em. il ricorso principale è affidato a tre motivi. 3.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento all'articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, nonché la mancanza contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione al giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi 7) ed 8). In relazione all'addebito sub 7), si lamenta che, con costrutto argomentativo meramente apparente ed in parte contraddittorio, la Corte di appello ha affermato che le fatture emesse da CL GROUP Srl annotate dalla ditta individuale GEA di cui è titolare l'imputato sono relative ad operazioni soggettivamente inesistenti. Rileva il ricorrente che i giudici di secondo grado non si sono confrontati con i rilievi difensivi dedotti nell'atto di appello con i quali si deduceva, in primo luogo, la mancata identificazione del reale venditore della merce indicata nelle fatture con conseguente difetto del presupposto al quale ancorare l'ipotesi accusatoria della difformità, rispetto al reale, del fornitore indicato come controparte dell'operazione commerciale; in secondo luogo, si rappresentava che la società emittente CL GROUP aveva comunque agito quale intermediario tra la GEA ed il venditore, secondo normale logica imprenditoriale. Si rileva altresì che la sentenza impugnata è contraddittoria laddove, a fronte di operazioni sottoposte al regime di inversione contabile (c.d. reverse charge) non ha ritenuto applicabile lo schema della neutralità dell'IVA. Parimenti contradditoria è la motivazione della sentenza impugnata laddove esclude l'operatività dell'inversione contabile sul presupposto che le fatture siano tutte relative ad operazioni soggettivamente inesistenti quando invece dagli atti emerge che la società emittente CL GROUP era attiva nel commercio dei rifiuti. Si sostiene che, anche a ritenere comunque sussistente l'esistenza di una frode carosello , da ciò non deriva in automatico una fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti che deve necessariamente passare dalla prova di un accordo tra emittente ed annotante e dal conseguimento di un vantaggio fiscale. In relazione all'addebito sub 8), la Corte di appello ha ritenuto che anche le fatture emesse dalle società OMI NORD, METALI TRGOVINA DOO e POLIPLAST ed annotate dalla GEA Srl di cui è amministratore l'imputato siano relative ad operazioni soggettivamente inesistenti attesa la natura di cartiera delle emittenti. Apparente è la motivazione della sentenza rispetto al rilievo difensivo in ordine alla non autenticità del timbro della società indicata nel DDT quale trasportatore. Proprio l'apposizione di un timbro fittizio e, dunque, la falsificazione del documento di trasporto esclude il dolo del reato in capo all'imputato atteso che alla società Gea era stato in tale modo impedito, con un artifizio, di avvedersi dell'effettivo trasportatore. La Corte di appello non ha neppure considerato gli apporti testimoniali che hanno dato conto dell'esistenza di trasporti e di conferimenti di materiale, sicché non tutte le operazioni sono state ritenute fittizie dal giudice di primo grado; ha altresì ignorato il rilievo difensivo per cui la mancanza di documento di sdoganamento della merce acquistata trovava giustificazione nel fatto che la Croazia, sin dal 2013, è membro della Unione Europea. 3.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. L'argomentare della Corte di merito, in punto di dosimetria della pena, è apodittico e non in linea con gli indici normativamente tipizzati; in particolare lo scostamento dal minimo edittale e il mancato riconoscimento di attenuanti generiche sono da censurare in quanto non tengono in debita considerazione la parziale ammissione degli addebiti e lo stato di incensuratezza dell'imputato. 3.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell'articolo 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000 e il vizio di motivazione. È censurata la statuizione in punto di confisca relativamente agli immobili già oggetto di sequestro (l'uno sito in Olgiate Olona e l'altro in località San Teodoro) che sono di esclusiva proprietà e disponibilità di Be. Tania, moglie dell'imputato e terza estranea agli illeciti, la quale li ha acquistati in epoca ben anteriore al decreto di sequestro preventivo e con disponibilità proprie di provenienza lecita, come documentato dalla difesa. La Corte di appello ha affermato che tali cespiti erano stati acquistati con i proventi dell'imputato ed erano nella sua disponibilità valorizzando, al riguardo, il provvedimento emesso in data 16/09/2022 dal Tribunale di Busto Arsizio di rigetto di istanza di dissequestro che, tuttavia, è successivo alla sentenza di primo grado e richiama accertamenti non confluiti negli atti di causa ed utilizzati dai giudici di secondo grado in maniera postuma. 4. Con motivi nuovi depositati in data 14/01/2025 con riferimento al terzo motivo del ricorso principale presentato nell'interesse di Le.Em., si rappresenta che con sentenza emessa in data 6/12/2024 il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Milano ha assolto (rectius, dichiarato non doversi procedere ai sensi dell'articolo 425 cod. proc. pen.) il ricorrente e la moglie Tania Be. dal reato di cui all'articolo 512-bis cod. pen. proprio in relazione ai due immobili oggetto di confisca ritenendo provato, sul piano oggettivo, l'effettività dell'acquisto e, quindi la riconducibilità degli stessi alla Be. la quale aveva autonome capacità reddituali per effettuarne l'acquisto e ritenendo altresì non dimostrato che, all'epoca delle intestazioni, Le.Em. avesse motivo di temere l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniale. 5. Nell'interesse di Ce.Fa. e Ce.Na. i ricorsi sono affidati a sette motivi. 5.1. Con il primo motivo si censura, per mancanza e contraddittorietà della motivazione, l'ordinanza emessa in data 09/04/2024 dalla Corte di appello che ha respinto la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, fatta eccezione per il verbale di interrogatorio reso in data 22 luglio 2020 da Iv.Ce. L'istanza è stata sbrigativamente respinta sul presupposto che le prove oggetto di integrazione non fossero necessarie ai fini del decidere, con la conseguenza che, a seguito della loro mancata assunzione, la decisione dei giudici di secondo grado difetta di elementi sufficienti (data la lacunosità delle indagini svolte) per una compiuta valutazione in ordine alla effettiva natura di cartiere delle società che hanno emesse le fatture nei confronti di Sidafer e Sidafer 2 e al carattere oggettivo ovvero soggettivo della contestata fittizietà delle operazioni ad esse sottese. 5.2. Con il secondo motivo, si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento agli articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, 192 e 530 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione in ragione per travisamento del fatto e della prova in punto di giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi 2) e 3). La difesa ricorrente (pagg. da 16 a 51) richiama le fatture in contestazione emesse negli anni dal 2013 al 2018 nei confronti della Sidafer e Sidafer 2 distinguendole per oggetto (la vendita di materiale ferroso e il noleggio di un escavatore e/o di un vaglio rotante) e per società emittente (CL GROUP, BB Nord, Ominord, AM Metalli, Eco Solution, Tecno Trade, CIA Ambiente, GMC Metalli, Gorla Metalli); evidenzia, per ciascun gruppo, la sussistenza di elementi che smentirebbero l'ipotesi di inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate, già rappresentati nei motivi di appello ma non valutati dalla Corte territoriale con adeguato apparato motivazionale; sottolinea l'insufficienza degli indici indicati da giudici di merito per ritenere le imprese emittenti semplici cartiere , il ricorso ad argomentazioni di carattere presuntivo, la contraddittorietà nella valutazione di taluni apporti dichiarativi e la valorizzazione di testimoni non attendibili nonché l'avvenuta selezione, rispetto all'intero compendio probatorio, dei soli elementi a carico , ignorando quelli, invece, favorevoli. Le fatture emesse dalle società del gruppo Iv.Ce., con l'unica eccezione di quelle emesse nel mese di giugno 2018 da Euroservice Srl, riguardano prestazioni realmente eseguite: infatti, Sidafer e Sidafer 2 pagavano il soggetto che forniva la merce con cui contrattavano il prezzo di acquisto e che emetteva regolare fattura. Al più, si tratterebbe di fatture per operazioni soggettivamente fittizie che, tuttavia, non consentono di configurare il contestato delitto di dichiarazione fraudolenta essendo le stesse sottoposte al regime di inversione contabile (c.d. reverse charge). La difesa ricorrente al riguardo richiama le caratteristiche del sistema di inversione contabile (il quale sottrae l'imposta al fornitore, che non la incassa, trasferendo sul cliente/committente l'onere di liquidare e versare l'imposta stessa); evidenzia che tale meccanismo è previsto proprio per le operazioni di cessione di rottami ferrosi sottese alle fatture in contestazione (articolo 74, comma 7, d.P.R. n. 633/1972); descrive l'iter contabile previsto in caso di applicazione del sistema reverse charge sottolineando come esso sia stato regolarmente seguito dagli acquirenti Sidafer e Sidafer 2, i quali, ricevuta la fattura dal fornitore (emessa senza Iva e con la dicitura inversione contabile ), la integravano con indicazione, riportata a mano, dell'Iva al 22%, per poi annotarla nei registri delle vendite e degli acquisti. La Corte di appello ha ritenuto che, in caso di frode fiscale realizzata attraverso l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, il meccanismo di inversione contabile non opera ed al riguardato ha richiamato la sentenza n. 22727 del 20/07/2022 con la quale le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione -chiamate a pronunciarsi in sede amministrativa/tributaria e, quindi nell'ambito di un accertamento del tutto diverso da quello oggetto del giudizio penale hanno affermato il principio della indetraibilità dell'IVA per operazioni inesistenti anche quando il contribuente si sia avvalso del sistema dell'inversione contabile, senza tuttavia operare alcuna distinzione tra fatture per operazioni oggettivamente ovvero soggettivamente inesistenti. Da tale distinzione, tuttavia, non si può prescindere ai fini della configurazione del reato di cui all'articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000. A detta dei ricorrenti, la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti si atteggia, infatti, diversamente a seconda che l'evasione sia diretta ad abbattere il debito erariale relativamente alle imposte dirette o relativamente all'IVA affermando che il reato è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, mentre, con riguardo all'IVA, esso si configura anche nel caso di inesistenza oggettiva ovvero di diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura. Tuttavia, la qualificazione della falsità soggettiva assume una significativa rilevanza nel caso di operazioni sottoposte al regime inversione contabile (ed. reverse charge) per il quale muta l'effettivo soggetto di imposta (dal cedente al cessionario), sicché l'operazione diventa neutrale per il cessionario stesso; e, proprio in considerazione della neutralità che assume per il cessionario l'operazione sottoposta al meccanismo di inversione contabile, non è ravvisabile alcuna finalità evasiva (e cioè il dolo specifico del reato di cui all'articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000) poiché difetta la figura di un soggetto che, ricevuta l'imposta, non la versi all'Erario, generando in capo a quest'ultimo il correlato danno. Rileva inoltre il ricorrente che il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite civili non può trovare applicazione nei confronti degli imputati Ce. in relazione ai fatti ascritti nel presente procedimento (contestati come commessi con riferimento alle annualità 2012-2019), in quanto posti in essere tutti in epoca antecedente alla enunciazione del principio stesso, pena la violazione del principio di irretroattività della legge penale sostanziale sfavorevole. L'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità è nel senso di ritenere che il principio di cui all'articolo 2, comma primo, cod. pen. opera anche nell'ipotesi in cui l'estensione dell'ambito di applicazione di una figura di reato derivi da una modifica normativa ma anche da un mutamento dell'interpretazione giurisprudenziale che non fosse prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa; e tale orientamento risulta essersi consolidato anche nella giurisprudenza della Corte EDU che ha più volte riconosciuto come la prevedibilità della decisione giudiziaria rappresenta un diretto corollario del principio di irretroattività sancito dall'articolo 7 CEDU. 5.3. Con il terzo motivo, si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento agli articolo 452-quaterdecies cod. pen., 183 ss. e 258, comma quarto, D.Lgs. n. 152 del 2006, 192 e 530 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione per travisamento del fatto e della prova in relazione al giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo 1). Si rileva in primo luogo come vi sia una insormontabile contraddizione in termini tra il traffico illecito di rifiuti (che presuppone l'esistenza oggettiva delle forniture e la qualità di rifiuto di tutta la merce scambiata) e la loro oggettiva inesistenza, presupposto delle imputazioni di frode fiscale di cui ai capi 2) e 3). Il Tribunale e la Corte di appello hanno tentato di superare tale illogicità ritenendo integrato il delitto di cui all'articolo 452-quaterdecies cod. pen. limitatamente al materiale oggetto delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti (quelle emesse da CL GROUP di cui al capo 2 e quelle emesse da Gorla Metalli di cui al capo3) rispetto alle quali gli allegati formulari non consentivano di identificare, né di ricostruire quale fosse il reale produttore/detentore dei rifiuti ceduti a Sidafer e a Sidafer 2. Richiamate la normativa vigente in materia di gestione e tracciabilità dei rifiuti (articolo 183,188,190 e 193 del D.Lgs. n. 152 del 2006 e disposizioni del Decreto del Ministero dell'Ambiente 1 aprile 1998 n. 145) e l'articolo 258, comma quarto, D.Lgs. n. 152 del 2006 relativo alla sanzioni amministrative e penali in caso di mancata o inesatta compilazione del formulario dei rifiuti trasportati, si osserva come la Corte di appello non abbia tenuto in considerazione la disciplina legislativa di cui sopra relativa alla gestione e tracciabilità dei rifiuti, con conseguente erronea applicazione della legge penale, oltre che mancanza di motivazione sul punto, in particolare omettendo di spiegare alcunché in ordine alla ritenuta falsità/irregolarità dei formulari di Sidafer e Sidafer 2. La affermata irregolarità nella compilazione dei formulari con riferimento alla mancata indicazione del produttore/detentore effettivo non solo non sussiste ma-anche ove rilevabilenon è imputabile ai Ce.. Invero, come previsto dalla normativa richiamata, l'acquirente del rifiuto non ha un onere di tracciamento di tutta la filiera, essendo tale incombenza posta a carico del produttore e/o al detentore. Nel caso di specie, è ampiamente emerso che l'oggetto delle fatture emesse dalle imprese riferibili a Iv.Ce. era rappresentato da materiale ferroso che lo stesso Iv.Ce. acquistava personalmente per poi rivenderlo ai suoi clienti, tra i quali Sidafer e Sidafer 2. Queste ultime, al momento dell'acquisto, compilavano correttamente il formulario indicando, come detentore, proprio le società del gruppo Iv.Ce. che avevano venduto il rifiuto, sicché non poteva ravvisarsi alcuna irregolarità e men che meno falsità da parte degli imputati. La Corte di appello non ha inoltre spiegato in che termini la ritenuta erronea compilazione dei formulari integrerebbe il reato di cui all'articolo 452-quaterdecies cod. pen. e non invece l'illecito amministrativo di cui all'articolo 258, comma quarto, D.Lgs. n. 152 del 2006. Con motivazione apparente e comunque illogica i giudici di secondo grado hanno ritenuto che tale erronea compilazione sia stato lo strumento attraverso il quale consentire l'emissione delle fatture soggettivamente false che, a loro volta, erano finalizzate ad occultare l'effettivo produttore/detentore. Si tratta di un argomentare contraddittorio: da un lato, affermare che le fatture sono false da un punto di vista soggettivo poiché destinate ed emesse al fine di non fare emergere l'effettivo produttore/detentore significa riconoscere che il fine della condotta contestata ai capi 2), 3) non era quello di evadere le imposte, bensì di agevolare il traffico illecito dei rifiuti; dall'altro lato, se l'erronea compilazione dei formulari è solo strumento e passaggio necessario per consentire l'emissione delle false fatture, non si comprende quale sarebbe il contributo concorsuale degli imputati alla asserita contestuale gestione illecita di rifiuti. La Corte di appello è incorsa in un evidente vizio di motivazione anche nell'analisi degli gli elementi costituti del reato di cui all'articolo 452-quaterdecies cod. pen. Invero, quanto al profilo della attività illecita continuativa , i giudici di secondo grado si sono limitati a richiamare il dato temporale della contestazione (2011-2018) ed hanno altresì valorizzato un dato privo di logica e cioè il servizio di osservazione della polizia giudiziaria che aveva constatato un inesistente scarico di rottami, circostanza evidentemente incompatibile con un traffico illecito di rifiuti. Quanto al requisito del quantitativo ingente , la Corte territoriale non si è preoccupata di chiarire la reale entità dei rifiuti gestiti abusivamente, rispetto alla imputazione che indica il dato di 76.066, 987 tonnellate. Quanto al requisito della gestione abusiva , è pacifico, come riferito dal testimone Co., che le società Sidafer e Sidafer 2 erano in possesso di regolare autorizzazione ed erano iscritte all'Albo Nazionale Gestori Ambientali, così come le emittenti Gorla Metalli, Eco Trade e CIA Ambiente, mentre CL GROUP e Tecno Trade non necessitavano di alcuna iscrizione e/o autorizzazione in ragione della attività svolta. Quanto, infine, al dolo specifico , gli imputati Ce. hanno acquistato, pagato, trattato e smaltito il materiale senza giovarsi di alcun risparmio di spesa. 5.4. Con il quarto motivo, si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento agli articolo 648-ter.l cod. pen., 192 e 530 codice di rito e la mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione per travisamento del fatto e della prova in relazione al giudizio di responsabilità per il delitto di autoriciclaggio di cui al capo 27). Rileva la difesa ricorrente che nell'atto di appello era stato evidenziato come le contestate condotte di autoriciclaggio (e cioè i bonifici verso l'estero, effettuati immediatamente dopo i pagamenti delle fatture emesse negli anni 2015-2018 effettuati da Sidafer e da Sidafer 2) erano avvenuti in un momento antecedente alla presentazione delle dichiarazioni fiscali nelle quali erano confluite dette fatture, con conseguente non configurabilità del delitto di cui all'articolo 648 ter. 1 cod. pen., come affermato dalla giurisprudenza di legittimità. La Corte territoriale ha condiviso la deduzione difensiva, sicché logica ed imprescindibile conseguenza avrebbe dovuto essere la pronuncia di assoluzione degli imputati Ce. in relazione al delitto di autoriciclaggio; invece, i giudici di secondo grado hanno sostenuto, del tutto inopinatamente, che la responsabilità per tale illecito dei due ricorrenti debba essere ricostruita in termini di concorso nell'autoriciclaggio posto in essere da Iv.Ce. . Come è noto, il delitto di autoriciclaggio va qualificato come reato proprio ed il soggetto che, non avendo concorso nel delitto presupposto, contribuisca alla realizzazione da parte dell'intraneus delle condotte tipizzate dall'articolo 648-ter.l cod. pen. potrà rispondere, al più, di riciclaggio ovvero del delitto di cui all'articolo 648-tercod. pen., ma non di concorso nell'autoriciclaggio. La conclusione a cui è pervenuta la Corte di appello è infondata non solo in diritto ma anche in fatto atteso che Iv.Ce. è stato condannato per il delitto di autoriciclaggio con riferimento ai reati presupposti di cui ai capi 11-13-14-15 (ex capi 21-23-24-25) che non sono contestati agli imputati Ce.. Le motivazioni rese dalla Corte di Appello in merito al contributo che costoro (in particolare, Ce.Fa.) avrebbero reso rispetto all'autoriciclaggio compiuto da Iv.Ce. sono comunque prive di logica ed anche contraddittorie. Non vi è prova della retrocessione in favore degli imputati del denaro da loro corrisposto a titolo di pagamento del materiale oggetto delle operazioni commerciali asseritamente fittizie. Nulla è emerso dagli accertamenti bancari (i Ce. non sono risultati autori di prelevamento di somme in contanti in Italia o all'estero, né risultavano delegati ad operare sui conti esteri) e non sono mai stati registrati viaggi di costoro in Croazia. La Corte di appello ha attribuito rilievo ad una trasferta in Ungheria effettuata il 29 maggio 2018 da Iv.Ce., insieme a Da.Le. (al cui rientro entrambi erano stati trovati in possesso di denaro contante e di una scheda contabile intestata a Sidafer Srl e alla conversazione telefonica intercettata il successivo 31 maggio 2018 nella quale Iv.Ce. aveva chiesto a Da.Le. di andare da Fa. per dargli i soldi . Tuttavia, anche ammesso che il Fa. sia da identificarsi nell'imputato Ce. (Iv.Ce. nell'interrogatorio acquisito dalla Corte di appello su richiesta della difesa, lo aveva espressamente escluso), si tratta di un episodio riferito a fatti non oggetto del capo di imputazione in cui è contestato il trasferimento di denaro in Croazia su conti correnti di società croate (Metali Trigovina Doo, Ecometal Doo e Poliservis Doo). Quanto alla posizione di Ce., la sentenza impugnata nulla dice in ordine al ruolo di costei rispetto all'autoriciclaggio compiuto da Iv.Ce., salvo affidarsi a presunzioni e al principio del non poteva non sapere , così attribuendole il reato a titolo di responsabilità oggettiva. 5.5. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., l'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità con riferimento agli articolo 521 e 522 del cod. proc. pen. Rispetto all'imputazione di cui al capo 27), il giudice di primo grado ha condannato gli imputati Ce. esclusivamente per le condotte di autoriciclaggio contestate per gli anni 2015-2018 in relazione ai proventi del reato presupposto di cui al capo 3), mentre la Corte di appello ha sostenuto che costoro avessero concorso (non si comprende in che termini e con quale ruolo) nel delitto di autoriciclaggio commesso da Iv.Ce., e quindi per un fatto diverso sul quale la difesa non ha avuto modo di interloquire. 5.6. Con il sesto motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. la violazione di legge con riferimento agli articolo 416 cod. pen. 192 e 530 cod. proc. pen. e la mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione per travisamento del fatto e della prova in relazione al giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo 31). Rileva la difesa ricorrente che non vi è prova dell'esistenza dell'associazione come contestata dalla pubblica accusa, né, comunque, della consapevolezza di farne parte in capo agli imputati Ce.. Si è evidenziato, quanto al primo profilo, che, da una parte, vi è il mondo Iv.Ce. e, da altra parte, vi è il mondo Varca Assanelli , entrambi operanti nel settore dei metalli ferrosi e ciò che accomuna i due mondi è solo il fatto di essere stati entrambi fornitori, nel tempo, di Sidafer e di Sidafer 2; vi sarebbe poi un terzo mondo (quello composto da Sidafer/ Sidafer 2, Gea, Gorla Metalli e (Omissis)) accomunati dal fatto di essere stati clienti di Iv.Ce.. La Corte di appello si è limitata a richiamare la sentenza irrevocabile emessa in data 03/03/2021 dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Milano che aveva definitivamente accertato l'esistenza della contestata associazione, adagiandosi su tale decisum, senza compiere alcuna autonoma e motivata valutazione. In particolare, non ha valutato le risultanze dell'istruttoria dibattimentale dalla quale non risulta alcuna commistione tra i tre gruppi imprenditoriali o altro elemento che comprovi la consapevolezza di far parte di una associazione e di contribuire, con le proprie condotte, a realizzare comuni interessi ed obiettivi illeciti: ciò che emerge sono solo i rapporti tra Ce.Fa. e Iv.Ce. e incontri sporadici con Da.Le. che testimoniano una attività commerciale perfettamente lecita in termini di cliente/fornitore. Quanto alla posizione di Ce., costei in concreto si occupava, in seno alla Sidafer 2, soltanto di aspetti amministrativi (compilazione di fatture e documenti e trasmissione di ordini di pagamenti o bonifici), senza mai interessarsi degli aspetti commerciali nel cui ambito si sarebbero realizzati i reati fine della contestata associazione. Si deduce, infine, che difetta l'elemento caratteristico della fattispecie di cui all'articolo 416 cod. pen. ovvero l'indeterminatezza del programma criminoso che vale a distinguere il reato di associazione a delinquere dal concorso di persone nel reato. 5.7. Con il settimo motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. la violazione di legge in relazione agli articolo 81, 132 e 133 cod. pen, 322-ter cod. pen. 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, nonché mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. La Corte di appello ha escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche adagiandosi alla scarna e apodittica valutazione effettuata dal Tribunale. Entrambi i giudici di merito hanno valorizzato la gravità della condotta e l'intensità dell'offesa ai fini della determinazione della pena base in misura superiore al minimo edittale e dei significativi aumenti operati a titolo di continuazione (così valutando due volte la medesima circostanza), tralasciando di considerare elementi positivi, quali lo stato di incensuratezza ed il ruolo marginale svolto, soprattutto per quanto riguarda l'imputata Ce.. Quanto alla confisca del profitto dei reati tributari disposta ai sensi dell'articolo 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, il Tribunale disponeva nei confronti degli imputati -con riguardo ai capi 2) e 3) di imputazione la confisca dei beni già sottoposti a sequestro, oltre ad eventuali ulteriori denaro o beni nella loro disponibilità fino alla concorrenza del profitto conseguito da entrambi gli illeciti, pari all'Iva e all'imposta sui redditi evase rispettivamente dalla Sidafer e dalla Sidafer 2. La Corte di appello ha revocato la confisca in relazione ai reati di cui ai capi 2) e 3) limitatamente agli importi delle imposte Iva e Ires con riferimento alle annualità per le quali dichiarava la prescrizione. Entrambi i giudici di merito sono incorsi in una evidente violazione in punto di effettiva quantificazione del profitto dei reati; in ogni caso, la Corte di appello ha utilizzato un prospetto tabellare riepilogativo elaborato dalla Guarda di Finanza successivamente alla sentenza di primo grado prodotto dal Procuratore Generale in udienza di cui la difesa aveva contestato l'acquisizione e la conseguente utilizzabilità. 6. Nell'interesse di Da.An. il ricorso è affidato a quattro motivi. 6.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per i reati di cui al capo 4). Rileva in primo luogo il ricorrente che la sentenza impugnata, con evidente deficit motivazionale, analizza la posizione dell'imputato in sole due pagine (61 e 62) e, per il resto, si richiama alla parte relativa alla trattazione del capo 3 per la società Sidafer 2 che, tuttavia, nulla ha a che vedere con l'addebito sub 4) formulato nei confronti dell'imputato, amministratore unico della Gorla Metalli, quale utilizzatore delle fatture ricevute dalle società emittenti Tecno Trade Srl, Eco Trade Srl e CIA Ambiente Srl Si tratta di contestazioni del tutto autonome, sicché del tutto erroneo è il riferimento per relationem alla trattazione dei rapporti e delle fatture emesse dalla Gorla Metalli nei confronti della Sidafer 2. Si osserva altresì: -che l'attribuzione della natura di cartiere delle società emittenti si legge testualmente nel ricorso non è opponibile a De.Sc., neppure partecipe alla decisione nei confronti di Iv.Ce. in merito agli accertamenti in esso contenuti ; -che le società emittenti Tecno Trade Srl, Eco Trade Srl e CIA Ambiente Srl, agli occhi di terzi, si presentavano come assolutamente regolari, con rituale iscrizione alla Camera di Commercio e senza alcun pregiudizio a carico; -che le fatture oggetto di contestazione non sono riconducibili al sistema delle c.d. frodi carosello (per sua natura finalizzato all'evasione dell'imposta sul valore aggiunto) poiché esse erano esenti da Iva e sul punto insuperabile è la testimonianza del luogotenente Lepore; -che la Corte di appello ha affermato che l'incremento di redditività e fatturato della Gorla Metalli Srl negli anni 2016 e 2017 non era da ricondurre alla acquisizione del ramo di azienda della Cernita Rottami trascurando, tuttavia, come, dai bilanci della società, il fatturato nel 2018 risultava quadruplicato rispetto all'anno 2015, proprio a seguito di tale operazione grazie alla quale la Gorla Metalli aveva incrementato l'operatività aziendale acquisendo le autorizzazioni per aumentare i prodotti da trattare; tale aumento di redditività si registrava anche dopo l'interruzione di ogni rapporto con le società oggetto di imputazione; -che privo di pregio è il contributo reso dall'ing. Co. chiamato a fornire precisazioni tra MUD (modello unico di dichiarazione ambientale) e quantitativi di materiale documentato , non avente la veste di perito ed essendo privo di competenza tecnica sul tema: tale apporto non è affidabile avendo egli basato le proprie valutazioni su alcuni riepiloghi forniti dall'amministratore giudiziario rispetto ai quali sarebbe stato necessario avere l'opportunità di confrontarsi; quanto affermato da tale soggetto è, del resto, smentito dalla puntuale analisi, anno per anno, di tutti i registri di carico e scarico e di tutti i formulari prodotti dalla difesa ed altresì dalle relazioni del consulente (Omissis), pure acquisite agli atti ma totalmente trascurate dalla Corte di appello, da cui emerge la regolarità dei MUD (modelli unici di dichiarazioni ambientali che riportano i dati e le quantità di materiale gestite) e di tutta la movimentazione aziendale del materiale e relativa documentazione; -che l'effettiva operatività della Gorla Metalli è stata confermata anche dagli autisti e dalle impiegate sentiti in dibattimento, tra cui la dipendente Villa Marika e l'autista Giuliani Franco proprio con specifico riferimento al materiale compravenduto con le società Tecno Trade Srl , Eco Trade Srl e CIA Ambiente Srl; che la Corte territoriale ha richiamato una serie di anomalie che non sono idonee a comprovare l'interposizione soggettiva fittizia, mostrando, tra l'altro, di confondere la distinzione tra inesistenza oggettiva e soggettiva delle operazioni sottostanti alle fatture, in particolare riscontrando l'incongruità dei prezzi indicati in fatture, sebbene tale profilo non implichi alcuna divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale. 6.2. Con il secondo motivo, si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per i reati di cui al capo 18) contestati all'imputato. La Corte di appello ha confermato la colpevolezza in ordine a tale addebito limitandosi ad affermare che esso costituisce lo speculare risvolto degli addebiti sub 3) e 4), senza aggiungere alcunché di specifico in ordine alla esistenza o inesistenza delle operazioni, al concreto contributo causale fornito dall'imputato (al di là della carica di amministratore ricoperta in seno alla Gorla Metalli), alla effettiva realizzazione di effetti vantaggiosi sul versante fiscale ai fini delle imposte considerato che, nel caso di specie, si verte nell'ipotesi di fatture per operazioni esenti da Iva. Si è sostenuto che la colpevolezza dell'imputato deriverebbe dalla duplice veste della Gorla Metalli Srl di soggetto utilizzatore ed emittente, ma se così fosse vi sarebbe un raddoppio di responsabilità non consentito dall'articolo 9 del D.Lgs. n. 74 del 2000. 6.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo 1) contestato all'imputato. Come è noto, l'articolo 452-quaterdecies cod. pen. e i reati previsti dall'articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 hanno elementi costitutivi e beni giuridici tutelati completamente differenti; la Corte di appello ha identificato la condotta di concorso dell'imputato nel reato di traffico illecito di rifiuti contestato al capo 1) nella interposizione della Gorla Metalli nelle fatturazioni tra le società facenti capo a Iv.Ce. e Da.Le. e la Sidafer 2 la quale, tuttavia, determinerebbe solo una violazione delle norme di natura fiscale, così finendo per attribuire erroneamente a quest'ultima la natura di elemento costitutivo del reato di gestione abusiva di rifiuti. Rileva inoltre il ricorrente che la Corte di appello ha accomunato la posizione della Gorla Metalli Srl a tutta una miriade di imprese e soggetti con cui essa non risulta avere mai intessuto rapporti, essendo pacificamente emerso che tale società si è relazionata solo con alcune aziende e per un periodo limitato a circa due anni. Fuorviante è il richiamo operato nella sentenza impugnata alle considerazioni sulla sussistenza del reato e sulla attribuzione a Ce.Fa. e Ce.Na. e alla assenza delle previste autorizzazioni ambientali ovvero alla disponibilità di autorizzazioni inidonee, incomplete o scadute . La Gorla Metalli è chiamata a rispondere solo della mera interposizione nelle fatturazioni e per tale ragione era allora determinante escludere che si trattasse di una cartiera e verificare che essa avesse una valida organizzazione aziendale con possesso delle prescritte autorizzazioni e di formulari esenti da criticità. La Corte di appello incorre poi nella evidente errata applicazione della norma laddove omologa il produttore del rifiuto al detentore , figure che, invece, l'art, articolo 183 D.Lgs. n. 152 del 2006 delinea in modo distinto. L'addebito nei confronti dell'imputato di avere rappresentato in modo non veritiero la circolazione dei rifiuti... consentendo la dissimulazione e deviazione nel tracciamento dei vari passaggi (da detentore/produttore a smaltitore) risulta affermazione non corretta proprio perché assimila le due figure attribuendo all'imputato una posizione di garanzia priva del sostegno di alcuna fonte giuridica. Onere e dovere del gestore ambientale non sono quelli di essere garanti di tutta la filiera del rifiuto sin dalla sua origine, ma di registrare in ogni formulario tutti i requisiti previsti dall'articolo 193 D.Lgs. n. 152 del 2006 (nome ed indirizzo del produttore; origine, tipologia e quantità del rifiuto; impianto di destinazione; data e percorso dell'istradamento). Ciò ha fatto la Gorla Metalli per ogni singolo documento in cui sono stati riportati con precisione il materiale e la quantità (come affermato dal consulente Intiso) e il detentore risulta indicato nelle società conferenti il materiale. Erronea è l'affermazione della Corte di appello secondo cui i passaggi dalle società di Iv.Ce. alla Gorla Metalli erano meramente apparenti : essi erano invece reali e tutti regolarmente registrati e monitorati tramite la puntuale redazione dei formulari, così dovendosi escludere l'occultamento della provenienza reale del rifiuto. Per quanto attiene all'eventuale conseguimento, come effetto della gestione abusiva dei rifiuti, di un ingiusto profitto, sono errate le conclusioni circa l'esposizione di costi non veritieri nelle dichiarazioni dei redditi , atteso che gli stessi giudici di secondo grado hanno escluso indebite detrazioni con effetto sulle imposte dirette. 6.4. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio. La Corte di appello ha escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonostante la ridotta gravità dei fatti rispetto all'intera vicenda, il limitato arco temporale di commissione dei reati ed i numerosi indici positivi in favore dell'imputato rappresentati dalla incensuratezza, dalla giovane età, dall'avere fornito tutta la documentazione in suo possesso mettendosi a disposizione della polizia giudiziaria e dal contributo reso nell'ambito del procedimento tributario mediante pagamento dei ratei per l'anno 2016, come documentato in atti. Nella rideterminazione della pena, gli aumenti di pena applicati ai sensi dell'articolo 81 cod. pen. risultano, infine, particolarmente gravosi ed immotivati. DirittoCONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ragioni di sistematicità e di ordine logico rendono opportuno l'esame, in primo luogo, dei ricorsi proposti nell'interesse congiunto di Ce.Fa. e di Ce.Na., rispetto ai quali verranno sviluppate argomentazioni in parte utili anche per l'analisi delle impugnazioni interposte dai coimputati Le.Em. e Da.An. 2. Entrambi i ricorsi in questione sono inammissibili. 2.1. E' manifestamente infondato il primo motivo con il quale si deduce la violazione di legge e la mancanza e la contraddittorietà della motivazione dell'ordinanza di diniego dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, fatta eccezione per il verbale di interrogatorio reso in data 22 luglio 2020 da Iv.Ce. che la Corte territoriale ha, invece, acquisito agli atti. La rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza di quella espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820). Il sindacato che il giudice di legittimità può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento sulla richiesta di rinnovazione istruttoria del dibattimento in appello non può mai essere condotto avendo riguardo alla concreta rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell'ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, dep. 1996, Fachini, Rv. 203764 e, successivamente, Sez. 3 n. 7680 del 13/01/2017, Loda, Rv. 269373; Sez. 3, n. 34625 del 15/07/2022, Grosso, Rv. 283522). La mancata integrazione probatoria può essere, quindi, censurata solo qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendo all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, Giampà, Rv. 271163; Sez. 5 n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577; Sez. 3, n. 3028 del 15/12/2023, dep. 2024, D., Rv. 285745). Posti tali principi, va osservato come la Corte territoriale pur avendo, con l'ordinanza impugnata, sinteticamente rigettato l'invocata istanza di integrazione istruttoria per assenza del requisito della necessità in sentenza (pagg. 58 e 59) ha puntualmente esplicato, per ciascuna delle prove richieste in rinnovazione non ammesse ed in conformità al paradigma legale di cui all'articolo 603, comma 1, cod. proc. pen., i motivi per i quali non le ha ritenute necessarie ai fini del decidere ed anzi, per certi versi, addirittura superflue, alla luce dei dati probatori già in atti. Si tratta, pertanto, di decisione non sindacabile in questa sede, né per le ragioni che si andranno ad esporre nel successivo paragrafo 2.3. dal tessuto argomentativo della sentenza posto in relazione alle censure difensive svolte nell'interesse degli imputati Ce. è possibile desumere una grave lacuna del ragionamento probatorio e della sua rappresentazione a livello motivazionale nella quale il giudice di appello non sarebbe incorso, ove avesse disposto la rinnovazione dell'istruttoria invocata dalla difesa con riferimento allo specifico profilo del carattere fittizio delle fatture oggetto delle imputazioni sub 2) e 3). 2.2. Quanto agli ulteriori motivi proposti in punto di giudizio di responsabilità, la natura degli stessi, impone preliminarmente di richiamare alcuni generali e consolidati principi in tema di sindacato di legittimità. Per giurisprudenza pacifica di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa ripetizione di quelli già proposti nel giudizio di secondo grado e motivatamente disattesi, dovendo gli stessi considerarsi non specifici e soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di impugnazione (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181; Sez. 3, n. 44882 del 10/07/2014, Cariolo, Rv. 260608; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour Sami, Rv. 277710). In altri termini, a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata una critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d'appello atteso che il dedotto vizio di motivazione deve avere come punto di riferimento non il fatto in sé, ma il costrutto logico argomentativo della sentenza di secondo grado; in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all'articolo 581, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta. E' altrettanto consolidato il principio secondo cui non rientra nei poteri del giudice di legittimità quello di effettuare una rilettura degli elementi storico-fattuali posti a fondamento del motivato apprezzamento al riguardo svolto nell'impugnata decisione di merito, essendo il relativo sindacato circoscritto alla verifica dell'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari aspetti o segmenti del percorso motivazionale ivi tracciato (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. 3, n. 35397 del 20/06/2007, T.R., non mass.; Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013, Badagliacca, Rv. 255542; Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016, Casardi più altri, non mass.; Sez. 4 n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601). L'accertamento di fatto è riservato al giudice della cognizione, sicché le censure di merito agli apprezzamenti singoli e complessi sul materiale probatorio costituiscono motivi diversi da quelli consentiti (articolo 606, comma 3, cod. proc. pen.). Inammissibili sono, quindi, tutte le doglianze che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove e che evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti della attendibilità, della credibilità e dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623; Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609). Allorquando il giudice di merito ha espresso il proprio apprezzamento, la ricostruzione del fatto è definita e le censure possibili nel giudizio di legittimità sono quelle dei soli tre tassativi vizi indicati dall'articolo 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., ciascuno dotato di peculiare oggetto e struttura laddove, in particolare, l'illogicità della motivazione, per essere apprezzabile come vizio di legittimità, deve essere evidente, cioè sorretta da palesi errori nella applicazione delle regole della logica. Ancora, va ricordato il consolidato insegnamento di questa Corte secondo il quale il giudice di merito non deve limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi raccolti, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma è tenuto, preliminarmente, a valutare ciascuno di essi per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti e non solo verosimili o supposti) e l'intrinseca valenza dimostrativa; in altre parole, occorre procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la -astrattarelativa ambiguità di ciascuno di essi isolatamente considerato, possa, in una visione unitaria, risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e cioè con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana e, comunque, prive di qualsiasi riscontro nelle risultanze processuali (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 51457 del 21/06/2017, Taglio, Rv 271593; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Graziadei, Rv 266941; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321). In ogni caso, con il ricorso per cassazione non è possibile dedurre come motivo il travisamento del fatto , giacché è preclusa la possibilità per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, mentre è consentito dedurre il travisamento della prova , che ricorre nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. In quest'ultimo caso, infatti, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se questi elementi esistano. La deduzione del vizio di motivazione per travisamento della prova, non può, tuttavia, limitarsi, pena l'inammissibilità della censura, ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente riportati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (cfr., Sez. 1, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085). 2.3. Tanto premesso, è manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione di legge in relazione all'articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 ed il vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento del fatto e della prova con riferimento al giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi 2) e 3) di imputazione. Il travisamento del fatto non è deducibile in questa sede, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. Ciò premesso, evidenzia il Collegio come la gran parte delle doglianze sviluppate in ordine alla natura di semplici cartiere delle società emittenti le fatture utilizzate da Sidafer Srl e da Sidafer 2 Srl sollecitano una rivalutazione di merito non consentita in sede di legittimità e cioè una rilettura degli indici di inesistenza delle operazioni commerciali fatturate posti a fondamento della sentenza impugnata, denunciando una decisione erronea e cioè fondata su una valutazione probatoria asseritamente sbagliata. Rammentato, pertanto, che la Corte di cassazione è giudice della motivazione e non della decisione , ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va evidenziato come la sentenza impugnata (pagg. da 28 a 42) abbia fornito ampia, logica e coerente contezza del carattere (in parte soggettivamente e, in parte, oggettivamente) fittizio delle cessioni di rottami fatturate nei confronti della Sidafer Srl e Sidafer 2 Srl (la prima amministrata da Ce.Fa. e la seconda da entrambi gli imputati ricorrenti) da parte delle società del gruppo Iv.Ce. le quali, per un verso, non avevano mai fornito tale materiale e, per altro verso, si erano cartolarmente interposte al fine di schermare l'effettivo fornitore. La Corte territoriale ha compiutamente analizzato il corposo materiale probatorio confutando, con riferimento a ciascuno dei gruppi di fatture provenienti dalle società emittenti analizzati nell'atto di appello, tutti i rilievi difensivi in ordine all'effettività delle forniture di materiale ferroso da parte delle società riconducibili a Iv.Ce., censure che, del tutto pedissequamente, si ripropongono in questa sede, non solo nel contenuto ma anche nel tratto grafico (basti confrontare le pagg. da 14 a 57 del gravame e le pagg. da 14 a 51 del presente ricorso, pressoché identiche). Lungi dal procedere secondo logiche presuntive, la sentenza impugnata ha evidenziato, in una corretta visione unitaria e non parcellizzata della piattaforma probatoria: le tipiche caratteristiche di c.d. cartiera in capo a tali società (fatta eccezione per la Gorla Metalli Srl in quanto totalmente inadempienti agli oneri fiscali, in taluni casi amministrate da soggetti assolutamente indigenti e senza alcuna competenza gestoria, prive di documentazione contabile, di unità operative (la sede legale era collocata presso studi professionali ovvero presso altre aziende regolari ed operative), non dotate di personale e di mezzi idonei al trasporto del materiale fatturato (in alcuni casi, documentalmente indicati come noleggiati, ma mai fisicamente rinvenuti); il carattere incompleto della documentazione di supporto alla merce (formulari, pesatura, DDT), in taluni casi contenenti anche annotazioni inveritiere in quanto disconosciute da soggetti sentiti nel dibattimento di primo grado la cui attendibilità è stata puntualmente vagliata dai giudici di appello; la fittizietà degli indicati luoghi di carico in quanto inidonei a costituire area di deposito e stoccaggio e presso i quali non risultavano essere mai stati eseguiti carichi e scarichi di materiali ferrosi, come ricavabile anche dalle testimonianze assunte presso i soggetti incaricati del trasporto che non erano stati in grado di ricostruire in modo preciso e circostanziato le operazioni svolte; l'accertata simulazione di talune consegne di materiale fatturato dalla società Euroservice, emersa dalle registrazioni delle due telecamere installate dagli investigatori presso la Sidafer 2 che, in data 2 giugno 2018, documentavano l'arrivo di due mezzi della Autotrasporti Assanelli, indicata nei d.d.t. allegati alle fatture, che alzavano ed abbassavano il cassone senza, tuttavia, scaricare nulla; gli apporti dichiarativi di soggetti (Ca.Ol., Pa.Bo., Ti.Sv., St.Ba., Ca.Pe., Tu.Ur.) che riferivano di non conoscere affatto alcune delle società emittenti (BB Nord Srl, Ominord Srl, GMC Metalli Srl, CIA Ambiente Srl , malgrado documentalmente esse risultassero avere avuto rapporti commerciali con alcune aziende di cui costoro erano rappresentanti legali ovvero dipendenti; la deposizione di Da.Ga., dipendente della Sidafer, che aveva descritto l'assoluta anomalia delle operazioni di carico della merce fatturata dalle società riferibili a Iv.Ce. il quale personalmente era solito attenderlo all'uscita dell'autostrada di A. per condurlo in luoghi, sempre diversi; la totale assenza dì documentazione di supporto (contratti di consulenza e corrispondenza) alle fatture emesse dalle società BB Nord e Tecno Trade aventi ad oggetto una attività di mediazione e rappresentanza a favore della Sidafer; l'assenza di qualsivoglia logica commerciale della dichiarata intermediazione di Gorla Metalli Srl (unica impresa non cartiera , ma effettivamente operativa) tra alcune società facenti capo a Iv.Ce. e la Sidafer 2. Quanto alle fatture aventi ad oggetto il noleggio di un escavatore e di un vaglio rotante, beni rinvenuti presso la sede della Sidafer, la Corte di appello (pagine 38 e 39 della sentenza impugnata) ha ampiamente confutato i rilievi svolti nell'atto di appello osservando come l'apporto dichiarativo del testimone La. e le argomentazioni svolte dai consulenti tecnici della difesa non erano idonei ad escludere l'evidente antieconomicità della prestazione sottesa a tali fatture che avevano comportato per la Sidafer un costo di affitto di un vaglio rotante, il cui ammontare per l'anno 2021 era pari ad euro 20.500,00, manifestamente incongruo. Non è dato poi comprendere in cosa concretamente consista il dedotto travisamento della prova, dovendosi escludere che la Corte di merito abbia fondato il proprio convincimento su informazioni che non esistono agli atti o su un dato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale. Ribadito che al giudice di legittimità è precluso optare per la soluzione che ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti valutando l'attendibilità dei testi e l'efficacia dimostrativa dei dati probatori in atti, potendo soltanto verificare, negli stretti limiti della censura dedotta, se un mezzo di prova esista e se il risultato dello stesso sia quello indicato dal giudice di merito, la doglianza appare in ogni caso del tutto generica. Al ricorso non sono, infatti, allegati i verbali integrali delle dichiarazioni testimoniali che, secondo i ricorrenti, sarebbero stati travisati, così da consentire l'apprezzamento del loro contenuto complessivo e verificare l'eventuale errore sul significante nel quale sarebbe caduti i giudici di secondo grado (non sul significato , atteso il divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova); risultano compiegati semplicemente brevi estratti delle testimonianze rese da Gi.De., Da.Ga., Mi.De., Ma., So.Pi., St.Ba., Ca.Pe., selezionando in tal modo solo la parte di deposizione di interesse per i ricorrenti. In tal senso, va ricordato il consolidato orientamento di legittimità secondo cui sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2024, Savasta, Rv. 263601; Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053). L'esaustivo apparato argomentativo rispetto al quale pare evidente come la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con le acquisizioni documentali invocate e con accertamento peritale sulla capacità operativa della società AM Metalli non abbia inciso sulla sua tenuta ha delineato un compiuto quadro probatorio in ordine alla fittizietà, in parte oggettiva ed in parte soggettiva, delle prestazioni sottostanti alle fatture oggetto delle imputazioni sub 2 e 3), tutte pacificamente confluite nelle dichiarazioni fiscali della Sidafer e Sidafer 2, con conseguente corretta sussunzione dei fatti nella fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000. Ad analoga conclusione deve giungersi in relazione alle fatture aventi ad oggetto il noleggio del vaglio rotante e dell'escavatore rispetto alle quali i giudici di secondo grado hanno ravvisato, con costrutto argomentativo non manifestamente illogico, una ipotesi di inesistenza da sovrafatturazione (cessione di beni per un prezzo maggiore di quello realmente praticato) che pure integra la fattispecie di cui all'articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000. Va ricordato, in proposito, il consolidato orientamento di legittimità secondo cui il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti sussiste sia nell'ipotesi di inesistenza oggettiva dell'operazione, cioè quando non sia stata posta mai in essere nella realtà, sia in quella di inesistenza soggettiva, ossia quando l'operazione vi sia stata ma sia intercorsa tra soggetti diversi o abbia ad oggetto quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura, sia infine nel caso di sovrafatturazione qualitativa, nel quale la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti, in quanto oggetto di repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 2859 del 30/11/2022, dep. 2023, Dentice, Rv. 284067; Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, Moiseev, Rv. 278378; Sez. 3, n. 28352 del 21/05/2013, Custodi, Rv. 256675). Con riferimento alle fatture ritenute soggettivamente inesistenti, manifestamente infondato è l'assunto difensivo già ritenuto non meritevole di accoglimento dalla Corte di appello e riproposto in maniera pedissequa con il presente ricorso secondo cui la qualifica della falsità soggettiva escluderebbe, nel caso di specie, la sussistenza del contestato reato di dichiarazione fraudolenta sotto il profilo della finalità evasiva poiché le sottostanti operazioni erano sottoposte al regime di inversione contabile (c.d. reverse charge), specificamente previsto dall'articolo 74, comma 7, d.P.R. n. 633/1972 per le operazioni di cessione di rottami di metalli ferrosi e cioè ad un sistema in ragione del quale muta l'effettivo soggetto di imposta (dal cedente al cessionario), sicché l'operazione diventa neutrale per il cessionario stesso. Come è noto, secondo il principio della inversione contabile , il ed. contribuente di fatto dell'imposta sul valore aggiunto si trasforma nel contribuente di diritto, nel soggetto passivo di imposta. In termini generali, l'imposta sul valore aggiunto è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni o le prestazioni di servizi imponibili (articolo 17, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972). Soggetto passivo, dunque, è l'imprenditore che cede il bene o eroga il servizio, traducendosi l'imposta in una voce del corrispettivo destinato ad essere pagato dall'acquirente o dal fruitore del servizio (che per questo motivo definito in dottrina come contribuente di fatto ). Per determinate operazioni, però, il legislatore prevede che l'imposta debba (o possa) essere pagata direttamente dal cessionario o dal fruitore del servizio. In questi casi, la fattura deve essere emessa senza addebito di imposta e con l'osservanza delle indicazioni contenute nell'articolo 21 d.P.R. n. 633, cit., con l'annotazione inversione contabile e l'eventuale indicazione dell'articolo 17. Il cessionario/fruitore del servizio deve, a sua volta, integrare la fattura con l'indicazione dell'aliquota e della relativa imposta e deve annotarla nel registro delle fatture o dei corrispettivi nonché, ai fini della detrazione, nel registro di cui all'articolo 25. La fattura, dunque, è unica. L'inversione contabile (o reverse charge) si applica alle operazioni imponibili indicate dall'articolo 17, d.P.R. n. 633/1972, cit. (Sez. 3, n. 37642 del 06/06/2024, Tornasi, Rv. 286978-02). Fermo quanto precede, la Corte territoriale (pagine 40 e 41 della sentenza impugnata) ha escluso che il meccanismo in questione trovi applicazione nel caso di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti nel senso che, in tale ipotesi, ravvisandosi la frode, non opera l'effetto tipico e caratterizzante del diritto alla detrazione dell'IVA, con conseguente elisione della stessa ed esonero del soggetto passivo alla materiale anticipazione monetaria. Tale assunto è del tutto in linea con il principio dettato dalla pronuncia a Sezioni Unite civili n. 22727 del 20/07/2022, Rv. 665195-01 con il quale i ricorrenti non si confrontano concretamente che, seppure emessa in sede amministrativa/ tributaria, afferma il generale principio (in piena coerenza con quanto chiarito da CGUE, sentenza 11 novembre 2021, C-281/20, in causa C-Ferimet S.L. c/o AGE) secondo cui per le operazioni imponibili oggettivamente e soggettivamente inesistenti, qualora ne sia provato l'elemento psicologico (ipotesi ricorrente nel caso di specie), non è consentita la neutralizzazione dell'Iva a credito e di quella a debito, mancando i requisiti sostanziali necessari per la relativa detraibilità. Da tale dictum pienamente condiviso discende che, nel caso di specie, le società cessionarie Sidafer e Sidafer 2 non potevano avvantaggiarsi del diritto alla detrazione dell'imposta Iva mancandone il relativo presupposto sostanziale (ossia la corrispondenza, anche soggettiva, dell'operazione fatturata con quella in concreto realizzata) legittimante la traslazione sul cessionario dell'obbligo di versamento dell'Iva, normalmente a carico del cedente. Deduce la difesa ricorrente che il principio introdotto dalla richiamata pronuncia a Sezioni Unite civili n. 22727 del 20/07/2022, Rv. 665195-01, intervenuta successivamente alla data di consumazione dei reati contestati, costituisce un overruling giurisprudenziale, ossia un mutamento ermeneutico non applicabile nel caso di specie in ragione della irretroattività della legge penale sostanziale previsto dall'articolo 2, comma primo, cod. pen. che opera anche nell'ipotesi di estensione dell'ambito di applicazione di una figura di reato. Tale assunto è manifestamente destituito di fondamento. Il consolidato orientamento di legittimità, che qui si condivide e si ribadisce, è nel senso che l'articolo 7 della CEDU come conformemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU (sentenza 22 novembre 1995, s. W. c. Regno Unito, ric. n. 20166/92, Corte EDU, Grande Camera, sentenza 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, ric. n. 42750/09) non consente l'applicazione retroattiva dell'interpretazione giurisprudenziale di una norma penale nel caso in cui il risultato interpretativo non fosse ragionevolmente prevedibile dal destinatario nel momento in cui la violazione è stata commessa (Sez. 3, n. 46184 del 23/11/2021, M., Rv. 232238; Sez. 3, n. 1731 del 27/11/2020, dep. 2021, Casagrande, non mass.; Sez. 5, n. 37857 del 24/04/2018, Fabbrizzi, Rv. 273876; Sez. 2, n. 21596 del 18/02/2016, Tronchetti Provera, Rv. 267164-01; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama, Rv. 256584). Ma, si è anche precisato che l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla interpretazione normativa esclude l'imprevedibilità della decisione giudiziale che adotti una delle soluzioni in contrasto, anche ove minoritaria, e correlativamente esclude l'operatività del divieto di applicazione retroattiva dell'intervento nomofilattico (Sez. 5, n. 12747 del 03/03/2020, Rossi, Rv. 278864; Sez. 5, n. 13178 del 12/12/2018, dep. 2019, Galvanetti, Rv. 275623; Sez. 5, n. 41846 del 17/05/2018, Postiglione, Rv. 275105; Sez. 5, n. 37857/2018, cit.). L'overruling non consentito, in quanto non prevedibile per l'imputato, è ravvisabile nei soli casi di radicale innovazione della soluzione interpretativa, inconciliabile con le precedenti decisioni, mentre deve essere esclusa qualora la soluzione offerta si collochi nel solco di interventi già noti e risalenti, di cui costituisca uno sviluppo prefigurabile pur nel contrasto di opinioni e, quindi, un esito comunque possibile. I richiamati principi trovano applicazione nella specie, in quanto l'interpretazione prospettata dalle Sezioni Unite civili con la sentenza n. 22727 del 20/07/2022, Rv. 665195-01, non costituisce affatto un novum assoluto nel panorama delle pronunzie della giurisprudenza di legittimità in tema di esclusione del diritto alla detrazione dell'imposta nel caso di fatture per operazioni inesistenti in regime di inversione contabile, ma si pone nel solco di un prevalente orientamento giurisprudenziale da tempo affermatosi nell'ambito delle Sezioni semplici civili, sicché tale pronunzia non costituisce un orientamento non ragionevolmente prevedibile . Invero, la valutazione a cui è pervenuto il massimo consesso era già stata espressa, proprio con riferimento alla cessione di materiali ferrosi, nell'ordinanza n. 21706 emessa in data 08/10/2020 e nella sentenza n. 13803 del 25/11/2013, dep. 2014, così come la stessa Corte di Giustizia con la pronuncia 07/12/2010, C-285/09, paragrafi 48 e 49 aveva affermato il principio secondo cui la presentazione di false fatture (....) alla pari di qualsiasi altra alterazione di prove, è (...) atta a compromettere il funzionamento del sistema comune dell'Iva e il diritto dell'unione e non impedisce agli Stati membri di considerare l'emissione di fatture irregolari alla stregua di una frode fiscale e di negare l'esenzione in una siffatta ipotesi . Proprio l'esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità che abbia adottato una delle soluzioni propugnate in coerenza con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, porta ad affermare la prevedibilità in concreto dell'epilogo decisorio nomofilattico. L'inammissibilità del motivo di ricorso qui in esame, che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di rilevare e dichiarare l'estinzione dei reati contestati al capo 2) in relazione alla annualità 2015 e, in parte, di quelli addebitati al capo 3) per intervenuta prescrizione, come richiesto dal difensore ricorrente in sede di conclusioni rassegnate all'odierna udienza (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818, secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d'ufficio, ai sensi degli articolo 129 e 609, comma 2, cod. proc. pen., l'estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso). 2.4. Considerazioni pressoché analoghe a quelle espresse nel paragrafo precedente conducono alla manifesta infondatezza del terzo motivo di ricorso con il quale si si lamenta la violazione di legge in relazione all'articolo 452-quaterdecies cod. pen. ed il vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento del fatto e della prova con riferimento al giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo 1) di imputazione rubricato in termini di traffico illecito di rifiuti. Premesso che, da un lato, il travisamento del fatto non è deducibile in questa sede, e, dall'altro, come sopra ricordato, la Corte territoriale non risulta essere incorsa nel travisamento della prova in ordine alla ritenuta fittizietà delle operazioni sottese alle fatture contestate con i capi 2) e 3) di imputazione, la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto integrato anche il delitto di traffico illecito di rifiuti il cui presupposto logico è proprio rappresentato dalla inesistenza soggettiva delle prestazioni fatturate a Sidafer e Sidafer 2. I ricorrenti non si confrontano con l'ampio argomentare dei giudici di secondo grado (pagine da 42 a 48 della motivazione) laddove hanno evidenziato che -tramite il consolidato sistema di fatturazioni per operazioni di acquisto di rottame ferroso in quantità ingente soggettivamente inesistenti (protratto per anni ed attuato in forma organizzata) era stata realizzata da Sidafer e Sidafer 2 non solo una evasione di imposta a seguito dell'inserimento delle stesse nelle dichiarazioni fiscali ma anche, quale inevitabile conseguenza derivante dal peculiare oggetto delle transazioni, l'attività tipica caratterizzante il traffico illecito dei rifiuti (e non la mera violazione prevista dall'articolo 258, comma 4, D.Lgs. n. 152 del 2006): ciò in quanto i formulari compiegati al materiale ceduto a Sidafer e Sidafer 2 da alcune delle società riconducibili a Iv.Ce. (oltre che da Gorla Metalli Srl di cui si tratterà in seguito) presentavano caratteristiche tali da occultare la vera identità del soggetto detentore/produttore e la reale sede di provenienza dei rifiuti rendendo, così, impossibile il loro tracciamento. Lungi dal configurare semplici irregolarità o inesattezze nella compilazione dei formulari in questione, la sentenza impugnata (pagg. 44 e 45) ha puntualmente evidenziato in replica alle censure dedotte negli atti di appello proposti dagli imputati Ce. e pedissequamente riproposte anche nei presenti ricorsi che le verifiche svolte dalla polizia giudiziaria e le numerose convergenti prove dichiarative raccolte nel dibattimento di primo grado davano inequivocabilmente conto di come tali documenti (la cui precipua funzione è stata indicata dalla Corte di merito in quella di ricostruzione della filiera del rifiuto movimentato, in modo da tracciarne il percorso, così interpretando del tutto correttamente la disciplina vigente) riportavano informazioni del tutto generiche circa i luoghi di carico, indicavano siti produttivi e di stoccaggio inesistenti e presentavano altresì alterazioni e addirittura falsificazioni. La Corte di appello ha altresì confutato con motivazione tutt'altro che illogica l'ulteriore rilievo difensivo (parimenti riproposto anche in questa sede) secondo cui le società riconducibili a Iv.Ce., espressamente indicate nei formulari come detentori del rifiuto, erano da considerarsi tali in quanto esse acquistavano materiale ferroso per poi rivenderlo ai propri clienti, tra i quali Sidafer e Sidafer 2. Al riguardo, dopo aver posto in luce come tali strutture emittenti le fatture per operazioni soggettivamente fittizie erano mere cartiere interposte, quindi estranee alla produzione di rifiuti e non aventi, comunque, alcuna disponibilità degli stessi mancando di unità produttive e di luoghi di carico e scarico, ha tratto la inevitabile e logica conseguenza che altri erano i soggetti produttori/detentori schermati dietro le società cartiere, con conseguente mascheramento e dissimulazione della reale provenienza dei rottami ferrosi di volta in volta acquistati i cui vari passaggi, sino al destinatario finale, venivano così ostacolati. La Corte di merito ha anche sviluppato ampia analisi in ordine alla ricorrenza, nel caso di specie, degli elementi costitutivi del delitto di traffico illecito dei rifiuti (pagg. 46 48 della sentenza impugnata), conformemente ai principi dettati in materia dalla consolidata giurisprudenza di legittimità che qui si richiamano e si ribadiscono. Come è noto, il reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti era contemplato nell'articolo 260 del D.Lgs. n. 152 del 2006 che sanzionava la condotta di chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti . Tale norma è stata trasposta, in attuazione del principio di riserva di codice e con assoluta continuità normativa, nell'articolo 452-quaterdecies del codice penale dal D.Lgs. 1 marzo 2018 n. 21. Il delitto in questione configurabile con riferimento a qualsiasi gestione dei rifiuti svolta in violazione della normativa speciale disciplinante la materia, e pertanto anche con riferimento alle attività di intermediazione e commercio è reato abituale, che si perfeziona soltanto attraverso la realizzazione di più operazioni in continuità temporale, finalizzate al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, così da esporre a pericolo la pubblica incolumità e la tutela dell'ambiente (cfr., Sez. 3, n. 19665 del 27/04/2022, Romanello, Rv. 283172; Sez. 3, n. 16036 del 28/02/2019, Zoccoli, Rv. 275395-02; Sez. 3, n. 52838 del 14/07/2016, Serrao, Rv. 268920). Nell'affermare che la condotta sanzionata (ovviamente non occasionale, stante la evidenziata natura del reato), richiede una preparazione e un allestimento di specifiche risorse, anche del tutto rudimentale, si è specificato come il delitto in questione possa configurarsi anche in presenza di una struttura organizzativa di tipo imprenditoriale che non sia destinata, in via esclusiva, alla commissione dell'attività illecita, marginale o secondaria rispetto a quella principale lecitamente svolta (Sez. 3, n. 40827 del 06/10/2005, Carretta, Rv. 232349; Sez. 3, n. 47870 del 19/10/2011, Giommi, Rv. 251965; Sez. 3, n. 44632 del 22/10/2015, Impastato, non mass.; Sez. 3, n. 16056 del 28/02/2019, Berlingieri, Rv. 275399, in motivazione). Tale attività deve essere abusiva , ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute), o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazioni stesse (cfr., Sez. 3, n. 40828 del 06/10/2005, Fradella, Rv. 232350; Sez. 4, n. 28158 del 02/07/2007, Costa, Rv. 236906), con conseguente impedimento al controllo da parte dei soggetti preposti sull'intera filiera dei rifiuti. La nozione di ingente quantitativo deve essere riferita al quantitativo di materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni che, se considerate singolarmente, potrebbero essere di entità modesta (Sez. 3, n. 39952 del 16/04/2019, Radin, Rv. 278531; Sez. 3, n. 46950 del 11/10/2016, Sepe, Rv. 268667). Il profitto che può consistere non soltanto in un ricavo patrimoniale, ma anche nel vantaggio conseguente dalla mera riduzione dei costi aziendali o nel rafforzamento di una posizione all'interno dell'azienda è ingiusto qualora discenda da una condotta abusiva che, oltre ad essere anticoncorrenziale, può anche essere produttiva di conseguenze negative, in termini di pericolo o di danno, per la integrità dell'ambiente poiché ostacola il monitoraggio sull'intera filiera dei rifiuti (Sez. 3, n. 16056 del 28/02/2019, Berlingieri, Rv. 275399); peraltro, non è necessario che il singolo concorrente agisca al fine di conseguire un ingiusto profitto, essendo sufficiente che del profitto perseguito dai correi egli abbia consapevolezza (Sez. 3, n. 35108 del 15/05/2024, Benincaso, Rv. 286699-03; Sez. 3, n. 2842 del 18/11/2021, dep. 2022, Natale, Rv. 282697). In coerenza a tali principi, la Corte di merito, con riferimento al requisito della attività illecita continuativa ed organizzata di gestione abusiva di rifiuti in quantità ingente, ha sottolineato in aderenza alle risultanze probatorie l'avvenuta predisposizione da parte di Iv.Ce. di diverse società costituite e mantenute nel tempo (per la quasi totalità, non iscritte all'Albo Gestioni Ambientali, né potevano esserlo in ragione della loro natura di cartiere ) che interagivano sistematicamente con Sidafer e Sidafer 2 (e anche con Gorla Metalli Srl, amministrata da Da.An., la cui posizione verrà esaminata in seguito) nella intermediazione, cessione, acquisto e ricezione di rifiuti non tracciabili rispetto alla loro reale provenienza. Tale sistema aveva operato per un lungo arco temporale (20112018); aveva riguardato un quantitativo rilevantissimo di rottame ferroso come ricavabile dalla entità di materiale complessivamente indicato nelle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse nei confronti di Sidafer e di Sidafer 2 (e anche Gorla Metalli Srl; era stato allestito un sistema che prevedeva organizzazione di mezzi e di uomini e segnatamente l'impiego di vettori, in parte già dipendenti della Sidafer, muniti di formulari di identificazione e di documenti di trasporto non autentici ovvero modificati ed alterati con riferimento al luogo di effettiva provenienza del rottame ed in alcuni casi rispetto al codice identificativo, sicché, anche nei casi in cui si registrava la presenza di una formale autorizzazione ad operare nel settore dei rifiuti, la gestione doveva comunque ritenersi clandestina. Quanto all'elemento costitutivo del dolo specifico in capo ai due imputati Ce., la Corte di merito (pagg. 47 e 48 della sentenza impugnata) ha ritenuto provato che i ricorrenti fossero pienamente partecipi dell'organizzato sistema illecito che era stato per loro precipuamente funzionale all'inserimento di elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni dei redditi delle società da loro amministrate, oltre che al risparmio di spesa e alla posizione di indubbio vantaggio sul piano concorrenziale conseguenti alla acquisizione e trattazione di rifiuti non tracciabili. 2.5. Sono inammissibili anche il quarto ed il quinto motivo di ricorso, trattabili congiuntamente per le reciproche interazioni. Manifestamente infondato è il primo profilo di censura oggetto del quarto motivo in ordine alla non configurabilità neppure in via astratta del delitto di autoriciclaggio in capo ad entrambi i ricorrenti. Corretto è il principio, richiamato dalla difesa ricorrente, secondo il quale soltanto (Omissis), e cioè colui che ha concorso nel delitto presupposto, risponde del reato di autoriciclaggio (cfr., Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, Tucci, Rv. 272652, Sez. 2, n. 3608 del 07/06/2018, dep. 2019, Potenza, Rv. 275288; Sez. 2, n. 16519 del 22/12/2020, dep. 2021, Grazzani, Rv. 281596). Muovendosi nel rispetto di tale paradigma, la Corte di merito (pagina 49 della sentenza impugnata) ha correttamente individuato la responsabilità degli imputati Ce. per il reato di cui all'articolo 648-ter.l cod. pen. contestato al capo 27 di imputazione, poiché concorrenti con Iv.Ce. nel delitto presupposto di traffico illecito di rifiuti sub capo 1), addebito contestato ad entrambi e a Iv.Ce. medesimo in forma concorsuale. È dunque errato, poiché frutto di una lettura solo parziale della contestazione accusatoria, l'assunto difensivo secondo cui Iv.Ce. sarebbe stato ritenuto responsabile per il delitto di autoriciclaggio con riferimento agli illeciti presupposti di cui ai capi 11), 13), 14) e 15), non addebitati ai Ce.; al contrario, la piana lettura del capo 27) consente di apprezzare come a questi ultimi e a Iv.Ce. sia stata, invece, addebitata la qualifica di intranei, in concorso tra loro, nel reato di cui all'articolo 452-quaterdecies cod. pen. (capo 1) che costituisce proprio uno dei delitti presupposto del contestato autoriciclaggio (si richiamano le argomentazioni sviluppate nel paragrafo precedente in ordine alla diretta partecipazione degli imputati Ce. al traffico illecito di rifiuti). Da qui l'affermazione del seguente principio di diritto: L'autore anche di uno solo dei più reati-presupposto che ponga in essere una successiva condotta tipica causalmente orientata ad ostacolare la provenienza delittuosa di somme di denaro o altri beni risponde del reato di autoriciclaggio in presenza di consapevolezza in capo a costui dell'origine delittuosa delle utilità derivanti dal reato presupposto per il quale ha concorso. In presenza di più reati-presupposto, per la configurabilità del reato di cui all'articolo 648-ter.l cod. pen., non si richiede la piena identità fisica tra tutti i soggetti autori dei predetti reati-presupposto e tutti quelli che realizzano la successiva condotta autoricidatoria . E tutto questo consente di escludere che la Corte di merito sia incorsa nella violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza di cui all'articolo 521 cod. proc. pen., come invece prospettato dai ricorrenti nel quinto motivo di ricorso. Il secondo profilo di censura articolato nel quarto motivo di ricorso attiene alla dedotta violazione degli articolo 192 e 530 cod. proc. pen. nonché alla mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione per travisamento del fatto e della prova con riferimento alla ritenuta partecipazione degli imputati Ce. alle operazioni di autoriciclaggio. Va richiamato l'orientamento di questa Corte (che si condivide) secondo il quale le doglianze relative alla violazione degli articolo 192 e 530 cod. proc. pen., riguardanti la valutazione delle risultanze probatorie, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 08/01/2004, Meta, Rv. 229159). Successivamente anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito detto principio, affermando che non è consentito il motivo di ricorso con cui si deduca la violazione dell'articolo 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli articolo 125 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'articolo 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all'articolo 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ed in difetto di una espressa sanzione di inutilizzabilità, nullità, inammissibilità, decadenza (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04, in motivazione). Le deduzioni qui in esame possono, dunque, essere esaminate solo sotto l'aspetto del vizio motivazionale, che in questa sede è stato prospettato con riferimento al triplice profilo della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità per travisamento del fatto e della prova. Ribadito che il travisamento del fatto non è deducibile, anche con riferimento al giudizio di responsabilità per il delitto di cui al capo 27), non si vede in cosa concretamente consista il dedotto travisamento della prova non essendo specificamente indicato nel ricorso quale sarebbe l'atto di riferimento e quali sarebbero gli elementi fattuali in esso contenuti ed incompatibili con la ricostruzione svolta nella sentenza. La difesa ricorrente, in realtà, reitera ancora una volta doglianze di puro merito e sollecita, di fatto, una rilettura delle prove poste a fondamento della decisione impugnata, non consentita al giudice di legittimità per le ragioni precedentemente esposte, pretendendo, in particolare, una diversa interpretazione del significato attribuito dalla Corte di merito ad una conversazione intercettata in corso di indagini e alle dichiarazioni rese al pubblico ministero da Iv.Ce. (acquisite nel giudizio di secondo grado su richiesta difensiva, peraltro allegate al ricorso solo per estratto, in palese violazione del principio di autosufficienza). La sentenza (pagg. da 49 a 51) ha sviluppato argomentazioni, in larga parte obliterate dalla difesa ricorrente, che partono dalla accertata definitiva responsabilità per il delitto di autoriciclaggio di Iv.Ce. il quale, in qualità di gestore di fatto delle società cartiere, aveva incassato il denaro corrisposto da Sidafer e da Sidafer 2 per le fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti (queste ultime, come già visto, generative di traffico illecito di rifiuti) e poi trasferito tali somme a conti esteri croati e ungheresi, appositamente costituiti a tale scopo, dai quali erano stati poi eseguiti prelievi in contanti, così ripulendo le utilità derivanti dal meccanismo illecito. La Corte di merito ha quindi osservato quale corretta conseguenza logica -che i cospicui pagamenti effettuati da Sidafer e da Sidafer 2 in relazione alle fatture soggettivamente fittizie (queste ultime costituenti il tassello fondante le operazioni di cessione ed acquisto di ingenti quantitativi di rottame ferroso non tracciabili e pertanto integranti il delitto di traffico illecito di rifiuti, oltre che rilevanti sul piano della evasione di imposta) avevano costituito una rilevante provvista finanziaria, confluita e dispersa su conti esteri. In tali termini, pertanto, i due Ce. avevano fornito un concreto contributo all'autoriciclaggio posto in essere da Iv.Ce. La Corte di appello ha anche ampiamente e congruamente motivato in ordine al fatto che, al confluire delle provviste sui conti esteri, i successivi prelievi in contanti erano stati destinati alla retrocessione in favore dei Ce., alla monetizzazione della percentuale trattenuta da Iv.Ce. per l'emissione delle fatture e al pagamento in nero dei reali fornitori del materiale, come precisamente descritto dal coimputato (non appellante) Maurizio Bresciani nel corso dei due interrogatori resi in corso di indagine ed acquisiti nel giudizio di primo grado. Sul punto, ha valorizzato la conversazione telefonica di cui al progr. 521 del 31 maggio 2018 intercorsa tra Iv.Ce. e Da.Le., al rientro in Italia da una trasferta a B. e fermati ad un controllo doganale che portava al rinvenimento sulle loro persone di più di 40.000,00 euro. Tale colloquio è stato interpretato (in maniera tutt'altro che manifestamente illogica) come uno degli elementi probatori comprovanti il sistematico sistema di retrocessione di denaro in favore della Sidafer e della Sidafer 2 e, segnatamente, nelle mani di tale Fa., ragionevolmente identificato dai giudici di secondo grado nell'imputato Ce. in considerazione dell'espresso riferimento da parte degli interlocutori proprio alla Sidafer , laddove, invece, l'affermazione di Iv.Ce., contenuta nel verbale di interrogatorio acquisito su richiesta difensiva era da riferirsi ad una diversa conversazione, intercettata il precedente 24/05/2018, ed avente ad oggetto una commissione di 4 o 5 mila Euro da corrispondere ad altro Fa., amico di (Omissis). La Corte di merito ha anche puntualmente argomentato in ordine al ruolo di Nadia Ce., ritenuta, unitamente al fratello e a Iv.Ce., concorrente nel delitto presupposto di traffico illecito di rifiuti e fattivamente e consapevolmente inserita nella procedura attuativa dell'autoriciclaggio (pagine 57 e 58 della sentenza impugnata). Ha ben evidenziato il ruolo di amministratore delegato da costei ricoperto in seno alla Sidafer 2 e l'attività in concreto esercitata (come emerso dalla istruttoria dibattimentale del giudizio di primo grado) consistente nella gestione diretta della contabilità comprensiva della registrazione delle false fatture, dei relativi pagamenti, delle compilazioni dei formulari e documenti di trasporto e nella tenuta dei rapporti con i vettori ed autisti incaricati del ritiro dei rottami ferrosi. Lungi dall'affidarsi a mere presunzioni e dall'applicare criteri di imputazione a titolo di mera responsabilità oggettiva, la Corte di appello ha ritenuto, senza alcuna forzatura logica, che l'imputata gestendo stabilmente in prima persona l'intero apparato contabile e documentale sotteso alla fatturazione per operazioni anche soggettivamente inesistenti e al conseguente traffico illecito di rifiuti fosse consapevole concorrente nelle movimentazioni dei flussi finanziari verso l'estero e nella successiva retrocessione di parte degli stessi alla Sidafer 2, previa monetizzazione in contanti. 2.6. Considerazioni analoghe vanno spese con riferimento al sesto motivo di ricorso che attiene al giudizio di responsabilità in ordine al capo 31) di imputazione con riguardo alla sussistenza del reato associativo e alla partecipazione dei due imputati Ce. e che è parimenti inammissibile. I ricorrenti deducono la violazione degli articolo 192,530 cod. proc. pen. e dell'articolo 416 cod. pen, nonché la mancanza, la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione per travisamento del fatto e della prova. Ribadito che non sono deducibili in questa sede le doglianze relative alla violazione degli articolo 192 e 530 cod. proc. pen. e al travisamento del fatto, le censure proposte possono essere scrutinate solo sotto l'aspetto della pretesa erronea applicazione del paradigma legale di cui all'articolo 416 cod. pen. e del vizio motivazionale. Il dedotto travisamento della prova rappresenta una censura ancora una volta del tutto generica non essendo specificamente indicato quale sarebbe l'atto di riferimento e quali sarebbero gli elementi fattuali in esso contenuti ed incompatibili con la ricostruzione svolta nella sentenza. I ricorrenti, in realtà, reiterano nuovamente doglianze di puro merito, sollecitando una non consentita rilettura delle prove poste a fondamento della decisione impugnata che è corredata da un ampio costrutto argomentativo, privo di manifeste illogicità. Quanto alla sussistenza della contestata associazione a delinquere, i giudici di secondo grado hanno dato conto della sentenza irrevocabile emessa dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Milano in data 03/03/2012 (acquisita agli atti) che aveva riconosciuto l'esistenza di tale consorteria finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati attraverso la costituzione di società c.d. cartiere per lo più intestate a prestanomi e attribuito il ruolo di partecipi ad entrambi gli imputati Ce.. Tale pronuncia non è stata automaticamente recepita ed utilizzata a fini decisori dalla Corte di merito, bensì correttamente valutata alla stregua dei parametri di cui agli articolo 238-bis cod. proc. pen. e 192, comma 3, cod. proc. pen. I giudici di appello, lungi dall'adagiarsi su tale decisum, hanno reso, infatti, una autonoma motivazione del tutto coerente e logica argomentando diffusamente (pagine da 52 a 55 della sentenza impugnata) in ordine al compendio istruttorio raccolto nel giudizio di primo grado che aveva delineato una struttura organizzata e stabile nel tempo contraddistinta dalla indeterminatezza del programma criminoso (così da distinguerla dal mero concorso di persone nel reato continuato) e cioè da varietà, eterogeneità e molteplicità delle condotte di volta in volta attuate senza una preventiva, circoscritta e parcellizzata ideazione ed orientate su più fronti illeciti. Allo scopo di realizzare tale programma, si è evidenziato come fossero state create varie società cartiere in Italia e all'estero tramite il ricorso sistematico a teste di legno , congegnate in modo da susseguirsi in rapida successione temporale e ruotanti intorno alle figure di Iv.Ce. e Da.Le. Tali strutture avevano operato costantemente e per un lungo arco temporale (dal 2011 al 2018) con Sidafer s.r.l e Sidafer s.r.l emettendo nei confronti di queste ultime innumerevoli fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti per importi massicci ed aventi ad oggetto la cessione di rottami ferrosi, previa formazione di formulari e bolle di trasporto fittizi, predisposizione di siti di stoccaggio solo apparenti e costituzione di gruppi di vettori incaricati di ritirare il materiale (ove esistente) in luoghi totalmente diversi da quelli documentalmente indicati, il tutto finalizzato a mascherare l'inesistenza della prestazione ovvero a schermare l'origine e la provenienza del materiale impedendone la tracciabilità e a consentire evasioni di imposta. I proventi di tale collaudato schema, ripetuto sistematicamente per anni, erano confluiti su conti correnti intestati ad altre società cartiere costituite all'uopo all'estero, per poi tornare, previa monetizzazione, nelle mani dei soggetti coinvolti. Così delineata l'esistenza della contestata struttura associativa, la Corte di merito ha conseguentemente disatteso la tesi difensiva dedotta nell'atto di appello e riprodotta in questa sede senza confrontarsi concretamente con gli approdi a cui è pervenuta la sentenza impugnata di meri rapporti commerciali di fornitura tra società operanti nel medesimo settore dei metalli ferrosi. Anche con riferimento al profilo dell'affectio societatis, la Corte territoriale ha diffusamente argomentato individuando, in maniera tutt'altro che manifestamente illogica, concreti indici della piena consapevolezza di entrambi gli imputati Ce. di far parte della accertata struttura associativa e di fornire un concreto apporto causale alla realizzazione del comune e condiviso programma criminoso (pagine da 54 a 58 della sentenza impugnata). Al riguardo, ha valorizzato l'attiva e costante interazione di Sidafer e Sidafer 2 con le società cartiere riconducibili a Iv.Ce., appositamente costituite per sistematiche ed imponenti operazioni di fatturazione oggettivamente e soggettivamente fittizie e la circostanza che proprio dalle società Sidafer e Sidafer 2 (le quali fruivano stabilmente del servizio di rilascio delle fatture per inesistenti transazioni di acquisto) provenivano i mezzi di trasporto utilizzati per il ritiro dei rottami e del materiale ferroso nei luoghi più disparati, di volta in volta indicati ai singoli vettori dallo stesso Iv.Ce. Va ricordato l'orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, secondo cui integra la condotta di partecipazione ad un'associazione finalizzata alla commissione di reati di emissione e di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti il costante e continuo ricorso alla copertura fiscale assicurata dal rilascio di fatture per operazioni inesistenti da parte di società cartiere costituite e organizzate da un'associazione per delinquere, la cui operatività sia finanziata dalle illecite provvigioni versate dagli apparenti acquirenti su ogni transazione, trattandosi di condotta che determina uno stabile affidamento del gruppo sulla disponibilità all'utilizzo del pianificato meccanismo fraudolento, mediante la costituzione di un vincolo reciproco durevole, che supera la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale delle singole operazioni e si trasforma nell'adesione dell'acquirente a! programma criminoso (Sez. 3, n. 8472 del 17/01/2023, Latempa, Rv. 284201). Con specifico riferimento alla figura di Ce.Fa., la Corte territoriale ha posto in luce i rapporti personali con Iv.Ce. e con Da.Le. (promotore ed organizzatore del sodalizio, unitamente a Iv.Ce.) e la conversazione intercettata in data 31 maggio 2018 che attestava non solo la retrocessione in denaro contante, proprio nelle mani dell'imputato, delle somme relative ai pagamenti delle fatture fittizie, ma anche la piena conoscenza di questi in ordine al fatto che tali somme erano confluite su conti esteri, con successivo rientro in Italia (previa monetizzazione) da effettuarsi adottando particolari cautele per evitarne il sequestro; ha richiamato inoltre gli apporti testimoniali da cui emergeva che l'imputato impartiva direttive ai vettori ed autotrasportatori incaricati del ritiro dei rottami e del materiale ferroso in luoghi diversi da quelli indicati nella documentazione di supporto alle transazioni e che per anni aveva organizzato con la Autotrasporti Assanelli s.r.l carichi vuoti presso la Sidafer. Con riferimento alla posizione di Ce. (alla quale è dedicato apposito paragrafo alle pagine da 55 a 58 della sentenza impugnata), la Corte dì merito -lungi dall'affidarsi a mere presunzioni e a fondare la prova della sua consapevole e fattiva partecipazione al sodalizio sul mero rapporto di fratellanza con il coimputato Ce.Fa. e sulla posizione formale di amministratore delegato di Sidafer 2 ha diffusamente delineato il ruolo effettivo e tutt'altro marginale ricoperto dall'imputata in seno a tale società, emerso dalle testimonianze assunte presso i dipendenti dell'azienda, dalle conversazioni telefoniche e dalla documentazione acquisita, puntualmente richiamate nei loro contenuti. In particolare, Ce. aveva sottoscritto il contratto di noleggio del vaglio vibrante oggetto di sovrafatturazione in ragione di ripetuti passaggi di tale bene dalle società di Iv.Ce.; si occupava dei contatti con i clienti, relazionandosi in particolare con le cartiere CL GROUP, CIA AMBIENTE (entrambe prive di autorizzazione alla gestione di rifiuti) e OMINORD, impartiva direttive agli autotrasportatori incaricati del ritiro dei rottami e del materiale ferroso in luoghi diversi da quelli indicati nella documentazione di supporto alle transazioni commerciali non reali o avvenute con fornitori diversi, curava personalmente tutta l'attività amministrativa, in particolare I' emissione e registrazione di fatture, gli ordini di pagamento ai fornitori, la compilazione di documenti di trasporto e di formulari (e cioè del carteggio alterato e/o modificato peculiarmente funzionale al meccanismo fraudolento fiscale e all'occultamento del reale produttore/detentore del rottame ferroso e, quindi, della non tracciabilità dei rifiuti); addirittura si era personalmente occupata della simulata attività di trasporto di materiale apparentemente fatturato da Euroservice Srl che la polizia giudiziaria aveva monitorato constatando che i mezzi della Sidafer 2 non scaricavano alcunché. Alla luce di tale quadro delineato con preciso riferimento alle risultanze probatorie la Corte di appello disattendeva la tesi difensiva (pedissequamente anch'essa riproposta in questa sede, senza tuttavia confrontarsi con il puntuale apparato motivazionale sviluppato nella sentenza impugnata) secondo cui il contributo dell'imputata alla attività aziendale era rimasto circoscritto a mansioni meramente amministrative eseguite nel piccolo ufficio collocato nei locali magazzino della società, quali la compilazione di fatture e la disposizione di pagamenti, senza alcun interessamento alle transazioni commerciali nel cui ambito si sarebbero realizzati i reati fine contestati. Individuava, invece, Ce. quale concorrente a pieno titolo nei reati fine, unitamente al fratello e a Iv.Ce., tutti realizzati proprio attraverso un meccanismo fraudolento di cui anche lei stessa era stata autrice in prima persona. Detto ruolo costituiva, dunque, indice della consapevole partecipazione causale dell'imputata ad un accordo stabile con i correi finalizzato alla commissione di una pluralità ipoteticamente infinita di condotte illecite e con vincolo reciproco durevole, che nulla aveva a che vedere con la gestione meramente impiegatizia di transazioni commerciali ma che, invece, era espressione di piena adesione e condivisione al comune programma criminoso. Si tratta di un argomentare pienamente in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la consapevolezza dell'associato può essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione ed in tale ottica anche gli elementi certi relativi alla ripetuta partecipazione ai reati fine effettivamente realizzati integrano gravi, precisi e concordanti indizi in ordine alla sussistenza di un programma delittuoso comune, del vincolo associativo e all'inserimento consapevole e di rilievo causale nell'organizzazione da parte dell'autore degli illeciti oggetto del programma criminoso (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 28868 del 02/07/2020, De Falco, Rv. 279589; Sez. 3, n. 20921 del 14/03/2013, Conte, Rv. 255776; Sez. 5, n. 21919 del 04/05/2010, Procopio, Rv. 247435). Ne consegue la presenza di una motivazione non solo completa, legittima e conforme ai consolidati principi di diritto espressi da questa Corte ma anche logica, lineare, congrua, coerente con il contenuto del fascicolo processuale, come tale non suscettibile di ulteriore sindacato in sede di legittimità. 2.7. E', infine, inammissibile anche il settimo motivo di ricorso con il quale si deduce, da un lato, la violazione di legge da parte di entrambi i giudici di merito in punto di quantificazione del profitto confiscabile con riferimento ai reati di cui ai capi 2) e 3) di imputazione, dall'altro l'erronea applicazione degli articolo 62-bis, 81,132 e 133 cod. pen. ed il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Quanto al primo profilo, la censura non è consentita ai sensi dell'articolo 606, comma 3, cod. proc. pen. atteso che nell'atto di appello principale e nei successivi motivi nuovi non risulta essere stata proposta alcuna doglianza con riferimento alle statuizioni adottate in punto di confisca, salvo chiederne la revoca quale effetto delle invocate richieste assolutorie: da qui la conseguente impossibilità di scrutinio della doglianza in questa sede per tardività di proposizione. Quanto al secondo profilo, la difesa ricorrente non si confronta con la puntuale motivazione della sentenza impugnata (pagg. 59 e 60) che ha innanzitutto escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche evidenziando l'assenza di elementi positivamente valutabili e di iniziative riparatone dell'imponente danno arrecato all'Erario a seguito delle ingentissime evasioni di imposta. Sul punto, pertanto, la Corte di merito si è uniformata al consolidato orientamento di legittimità, che qui si ribadisce, secondo il quale l'applicazione della diminuente prevista dall'articolo 62-bis cod. pen., oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente alla assenza di elementi negativi connotanti la personalità dell'imputato, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; soprattutto dopo la modifica dell'articolo 62-bis cod. pen. operata con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non ha alcun rilievo lo stato di incensuratezza dell'imputato, è sufficiente che il giudice di merito si limiti a dar conto della assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (cfr., Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnier, Rv. 283489; Sez. 3, n. 20664 del 16/12/2022, dep. 2023, Ventimiglia, non mass.). Con riferimento alla quantificazione della pena, la Corte di appello ha ritenuto congrua la determinazione della sanzione base in misura superiore al minimo edittale e l'entità degli aumenti operati a titolo di continuazione in ragione della gravità dei singoli illeciti (che è proprio uno degli indici di commisurazione indicati nell'articolo 133 cod. pen.) e ha sottolineato come già il giudice di primo grado aveva differenziato il trattamento sanzionatorio rispettivamente applicato ai due imputati, dando rilievo al ruolo di minore incisività di Ce. nella commissione del delitto di autoriciclaggio e di associazione a delinquere. In tal senso, va ricordato il principio più volte riaffermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, in aderenza ai principi enunciati negli articolo 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, Angelini, Rv. 281217, in motivazione). Il giudice, infatti, nel motivare il giudizio di determinazione della pena non è tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento (cfr., Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, dep. 2008, Cilia, Rv. 238851). 3. Il ricorso proposto nell'interesse di Da.An., incentrato esclusivamente su vizi motivazionali della sentenza impugnata, è inammissibile. 3.1. Manifestamente infondati sono il primo e il secondo motivo di ricorso con i quali si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi 4) e 18) contestati all'imputato, in qualità di amministratore della Gorla Metalli Srl, con riferimento alla utilizzazione nelle dichiarazioni fiscali di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalle società Tecno Trade Srl, Eco Trade international s.r.l.e CIA Ambiente Srl (capo 4) e con riferimento alla emissione nei confronti di Sidafer 2 di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. È opportuno e più agevole esaminare congiuntamente i due motivi di ricorso in quanto entrambe le conformi sentenze di merito hanno evidenziato profili di reciproca connessione tra i due addebiti. Del tutto improprio è, innanzitutto, l'assunto difensivo con il quale si deduce il deficit motivazionale della sentenza che nella analisi della posizione dell'imputato si è richiamata alle argomentazioni svolte con riferimento al capo 3) di imputazione, riguardante una diversa contestazione e cioè la dichiarazione fraudolenta contestata a Sidafer 2 a cui Da.An. è pacificamente estraneo. Il corretto confronto con il complessivo impianto argomentativo della articolata sentenza di secondo grado avrebbe consentito di apprezzare come il rimando operato alle considerazioni svolte con riferimento all'esame del capo 3) di imputazione attiene esclusivamente al profilo relativo alle fatture emesse da Gorla Metalli Srl nei confronti della società Sidafer 2, peculiarmente connesso al capo 4), oltre che speculare al capo 18). Tanto premesso, la Corte di appello ha posto a fondamento del giudizio di responsabilità per entrambi i reati contestati a Da.An. un apprezzamento fattuale logicamente motivato. Ha in primo luogo evidenziato che la Gorla Metalli Srl, negli anni 2016 e 2017, aveva aumentato in maniera esponenziale il proprio volume di affari e che, in coincidenza di tale circostanza, risultavano documentalmente rapporti commerciali con le società Tecno Trade Srl, Eco Trade International Srl e CIA Ambiente Srl, tutte riconducibili a Iv.Ce., le quali avevano emesso numerosissime fatture (oggetto del capo 4) di imputazione) annotate in contabilità dalla Gorla Metalli e poi confluite, quali elementi passivi, nelle dichiarazioni fiscali della stessa. Quest'ultima risultava avere, a sua volta, emesso plurime fatture nei confronti della Sidafer 2 (oggetto del capo 18 e dello speculare capo 3) che le indicava, quali elementi fittizi, nelle proprie dichiarazioni fiscali. I giudici di secondo grado hanno poi dato conto che, al di là della esistenza di una documentazione formalmente corretta con riferimento al materiale movimentato, dal raffronto tra le fatture emesse da Tecno Trade Srl, Eco Trade International Srl e CIA Ambiente Srl nei confronti di Gorla Metalli Srl e quelle emesse da quest'ultima in favore di Sidafer 2, operato mediante analisi anche dei relativi formulari e documenti di trasporto, emergeva come il materiale fatturato dalle società riconducibili a Iv.Ce. e da queste solo in apparenza proveniente (stante la natura di cartiera di Tecno Trade Srl ed il fatto che la CIA Ambiente Srl operava come intermediario nella vendita di rottami) era stato direttamente recapitato alla Sidafer 2. Alla luce degli esiti di tale comparazione (puntualmente illustrati alle pagg. 37-38 e 62-63 della sentenza impugnata e non sindacabili nella presente sede trattandosi di una valutazione, condotta secondo piena congruità logica, di elementi fattuali che è propria del giudice di merito), la Corte di appello ha ritenuto l'inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate oggetto di contestazione nei capi 4 e 18 in quanto l'intermediazione della Gorla Metalli Srl (azienda pacificamente operativa e non mera cartiera) tra soggetti che già tra di loro avevano rapporti, era priva di qualsivoglia plausibile ragione commerciale e, quindi, non altrimenti spiegabile se non in termini di fittizietà, esclusivamente finalizzata a schermare il vero cedente. Ha, dunque, tratto da ciò l'altrettanto logica conseguenza che la Gorla Metalli Srl aveva consapevolmente assunto la duplice veste di soggetto utilizzatore delle fatture emesse dalle società Tecno Trade Srl, Eco Trade International Srl e CIA Ambiente Srl e, nel contempo, di emittente di fatture della stessa natura nei confronti di Sidafer 2. Tale schema, in forza del quale in capo a Da.An. è stata ritenuta la responsabilità sia del delitto di emissione cui all'articolo 8 D.Lgs. n. 74 del 2000 (capo 18) che di quello di utilizzazione cui all'articolo 2 del D.Lgs. citato (capo 4) non comporta, diversamente da quanto adombrato nel ricorso, alcuna violazione dell'articolo 9 D.Lgs. n. 74 del 2000 in ragione del fatto che le fatture emesse da Gorla Metalli Srl sono diverse da quelle dalla stessa ricevute ed utilizzate. La Corte di appello ha anche puntualmente esaminato e disatteso con richiamo a precisi dati contabili e con considerazione tutt'altro che illogiche (pag. 61 della sentenza impugnata) i rilievi difensivi (riproposti anche in questa sede) secondo cui l'incremento di redditività e fatturato registrato negli anni 2016 e 2017 dalla Gorla Metalli Srl si giustificava con l'acquisizione di un ramo dell'azienda Cernita Rottami. Ancora, ha replicato alle ulteriori censure dedotte nell'atto di appello in ordine alla inattendibilità del contributo dichiarativo reso dall'ing. (Omissis) (ribadite nuovamente nel ricorso) dal quale era emersa la difficoltà di tracciamento dei rifiuti documentalmente conferiti alla Gorla Metalli dalle società facenti capo a Iv.Ce. in quanto gli indirizzi di prelievo del materiale erano incompleti e non indicavano il soggetto produttore. Sul punto ha argomentato in ordine alla piena affidabilità di tale elemento di prova, emerso a seguito di una verifica condotta, da soggetto qualificabile come testimone esperto , sulle fatture e sui documenti di trasporti oggetto di interesse. Anche tale valutazione di merito non è sindacabile in questa sede. Con riferimento alla deduzione difensiva secondo cui le operazioni fatturate alla Gorla Metalli Srl non erano soggette ad imposta sul valore aggiunto, la Corte di appello (pagg. 62 e 63 della sentenza impugnata) ha evidenziato come tale società, in ragione della comprovata interposizione meramente fittizia, non aveva materialmente ricevuto la merce né sostenuto i relativi costi che, pur tuttavia, aveva indebitamente esposto nelle dichiarazioni dei redditi, con conseguente evasione di imposta. Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come il ricorrente, con il richiamato apparato motivazionale omette di confrontarsi, limitandosi a riproporre pedissequamente in questa sede deduzioni già disattese dalla Corte di merito con argomentazioni specifiche in ordine alla inesistenza soggettiva delle fatture oggetto delle contestazioni sub capi 4 e 18), senza peraltro incorrere in alcuna confusione con la diversa ipotesi di fittizietà oggettiva. 3.2. Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per il reato di traffico illecito di rifiuti (capo l) contestato anche a Da.An. In relazione alla doglianza secondo cui la Corte di appello avrebbe effettuato una sovrapposizione dell'imputazione di cui all'articolo 452-quaterdecies cod. pen. con le violazioni di natura fiscale di cui ai capi 4 e 18), così assumendo le condotte afferenti ai reati tributari ad elemento costitutivo del delitto di traffico illecito di rifiuti, non può che rimandarsi alle considerazioni svolte nel paragrafo 2.4. del considerato in diritto relativamente alla posizione dei concorrenti Ce.Fa. e Ce.. Il ricorrente, ancora una volta, non si confronta con l'argomentare dei giudici di secondo grado (pagine 63 e 64 della motivazione) laddove è stato evidenziato che interponendosi fittiziamente tra le società riconducibili a Iv.Ce. e la Sidafer 2, secondo le peculiari modalità (già richiamate) protratte per anni in modo stabile e continuativo la Gorla Metalli Srl, non solo aveva realizzato una evasione di imposta a favore proprio e di terzi, ma aveva anche fornito un contributo tipicamente caratterizzante il traffico illecito dei rifiuti in quanto tale interposizione, con passaggi del rottame ferroso del tutto apparenti, aveva determinato una movimentazione non tracciabile di tale materiale e cioè occultato la sua reale provenienza. La Corte ha ulteriormente evidenziato che le macroscopiche anomalie di tale interposizione, priva di logica commerciale e contraddistinta da passaggi di rottame ferroso corredati da documentazione (formulari e documenti di trasporto) confezionata in modo tale da rappresentare una circolazione non veritiera, consentiva di affermare che Da.An. (amministratore della Gorla Metalli Srl fosse pienamente consapevole di inserirsi con ruolo determinante in una filiera, di acquisizione e cessione di rifiuti la cui reale provenienza era stata celata. Quanto all'ingiusto profitto, esso è stato individuato nella evasione di imposta conseguente alla esposizione di costi non veritieri nelle dichiarazioni dei redditi. Non si vede dunque, quale sia il deficit motivazionale della Corte di merito che, anche con riferimento al giudizio di responsabilità per il delitto di cui a questo capo, ha approntato una motivazione completa vagliando compiutamente i rilievi critici dedotti nell'atto di appello e pedissequamente reiterati in questa sede nel tentativo di ottenere una non consentita rivisitazione e rilettura del materiale probatorio. 3.3. E', inoltre, inammissibile, perché generico e comunque manifestamente infondato, il quarto motivo di ricorso con il quale si deduce il vizio di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio. La Corte di appello (pagg. 66 della sentenza impugnata) ha innanzitutto escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche evidenziando la gravità della condotta dell'imputato così implicitamente ritenendo recessivi la condizione di incensuratezza ed il corretto comportamento processuale. A tal fine, va ribadito il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 3, n. 46463 del 17/09/2029, Di Puccio, Rv. 277271), secondo cui, in tema di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede dì legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, come nel caso di specie, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione. L'esclusione delle circostanze attenuanti generiche è adeguatamente motivata quando il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto della richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda. Con riferimento poi alla quantificazione della pena, la Corte di appello ha ritenuto congrua la determinazione della sanzione base (peraltro operata in misura poco superiore al minimo edittale) in ragione della significativa incidenza delle violazioni tributarie contestate con riferimento ai più gravi reati di cui al capo 4) e ha affermato la proporzionalità degli aumenti operati a titolo di continuazione rispetto al concreto disvalore dei delitti satellite. L'onere motivazionale, anche sotto questo profilo, è stato dunque adeguatamente assolto dovendosi ribadire come già richiamato nel paragrafo 2.7. del considerato in diritto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, in aderenza ai principi enunciati negli articolo 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della sanzione la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, Angelini, Rv. 281217, in motivazione). Il giudice, infatti, nella quantificazione della sanzione, non è tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento (Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, dep. 2008, Cilia, Rv. 238851). 4. Il ricorso proposto nell'interesse di Le.Em. è inammissibile. 4.1. Generico e comunque manifestamente infondato è il primo motivo con il quale si deduce la violazione di legge con riferimento all'articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 ed il vizio di motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi 7) e 8) ascritti all'imputato, in qualità rispettivamente di titolare della ditta individuale Gea e di amministratore della società GEA Srl In relazione a tali illeciti, la Corte di merito ha sviluppato una motivazione esaustiva e non manifestamente illogica, aderente alle risultanze processuali precisamente richiamate e ha correttamente ricondotto i fatti oggetto degli addebiti nel paradigma legale del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 2 D.Lgs. n. 74 del 2000. Pacifico e non contestato l'inserimento nelle dichiarazioni fiscali delle fatture in contestazione, la sentenza impugnata (pagina 67, con rimando ai fogli 32 e 33 relativamente alla natura di cartiera della emittente CI Group Srl riferibile a Iv.Ce.) ha motivatamente attribuito natura soggettivamente fittizia alle operazioni intercorse tra la ditta individuale Da.Le. e la società cartiera CL GROUP Srl (capo 7) evidenziando che quest'ultima, priva di struttura produttiva e di siti di stoccaggio del materiale fatturato, non poteva essere il reale soggetto cedente, da individuarsi esclusivamente in un terzo, la cui identità era stata schermata tramite documentazione difforme dalla effettiva realtà economica. Diversamente da quanto si sostiene nel ricorso, i giudici di appello si sono direttamente confrontati con le deduzioni oggetto di appello, replicate in sede di ricorso per cassazione, senza elementi di novità critica ed esponendosi pertanto al giudizio di inammissibilità per genericità. Hanno osservato, da un lato, che il quadro delineato escludeva il ruolo di intermediario della CL GROUP tra la Gea ed il reale venditore della merce fatturata, secondo normale logica imprenditoriale e, dall'altro, che la mancata identificazione dell'effettivo fornitore, costituente il precipuo scopo a base delle operazioni contestate, non incideva in alcun modo sulla configurazione del reato di dichiarazione fraudolenta, da ritenersi integrato in virtù della mera discrasia tra la rappresentazione documentale di rilievo fiscale e l'effettiva realtà economica. Quanto all'assunto difensivo parimenti riproposto con il presente ricorso -secondo cui la qualifica della falsità soggettiva escluderebbe, nel caso di specie, la sussistenza del contestato reato di dichiarazione fraudolenta sotto il profilo della finalità evasiva poiché le sottostanti operazioni erano sottoposte al regime di inversione contabile (c.d. reverse charge), la Corte di appello ha disatteso tale rilievo richiamando le argomentazioni svolte sul punto nella parte relativa alla della posizione dei coimputati Ce. che si reputano corrette per le ragioni già esplicitate nel paragrafo 2.3. del considerato in diritto, a cui si rimanda. Con riferimento, invece, alla censura relativa alla mancata verifica, da parte dei giudici di secondo grado, della prova di un accordo tra le società emittenti e l'imputato-utilizzatore, è appena il caso di evidenziare come tale deduzione non era stata proposta nell'atto di appello ove si confutava esclusivamente il profilo della natura soggettivamente fittizia delle fatture oggetto di contestazione, con conseguente impossibilità di scrutinio in questa sede per tardività di proposizione. Quanto all'addebito di cui al capo 8), la sentenza impugnata (pagine da 68 a 70) ha motivatamente attribuito natura per lo più oggettivamente fittizia alle operazioni intercorse tra la società GEA Srl e la Orni nord Srl, Metali Trgovina Doo e POLIPLAST Srl (capo 8), disattendo espressamente le deduzioni difensive contenute nell'atto di appello, pure replicate nel ricorso senza elementi di novità, critica rinnovata che, pertanto, configura censura affetta da genericità. Con riferimento alle fatture emesse da Ominord Srl e da POLIPLAST Srl, ha richiamato le caratteristiche tipiche di cartiera della società Ominord già descritte alle pagine 33 e 34 e la testimonianza, ritenuta decisiva, di Pa.Bo. (titolare della Tre Pievi Petroli Srl indicata come vettore) che aveva disconosciuto i documenti di trasporto relativi alle fatture in contestazione ed aveva dichiarato che tale società non aveva mai eseguito consegne per conto di Ominord Srl e Polipast s.r.l.in quanto non disponeva di mezzi idonei per il carico del materiale fatturato. Congiuntamente a tali dati probatori, ha valorizzato l'esito delle indagini svolte presso le autorità bancarie croate da cui era emerso, secondo lo schema tipico della falsa fatturazione, che le somme corrisposte dalla GEA Srl a Ominord Srl a titolo di pagamento delle fatture erano state trasferite su conti correnti croati (su uno di essi Le.Em. era delegato ad operare) e poi prelevate in contanti dallo stesso imputato o da Iv.Ce. Ha anche argomentato, con motivazione tutt'altro che apparente, in ordine alla irrilevanza nel quadro sopra delineato della non autenticità del timbro della società indicata nei d.d.t. quale trasportatore che, secondo la difesa, escludeva il dolo del reato in capo all'imputato poiché la GEA Srl non si era in tal modo avveduta di chi fosse l'incaricato alla consegna. Al riguardo, ha posto in luce come la documentazione attestava che il materiale fatturato e pagato da GEA Srl non fosse mai stato consegnato alla stessa, circostanza che l'imputato non poteva avere ignorato con conseguente sua piena consapevolezza della inesistenza delle prestazioni e, quindi, del carattere fittizio dei relativi elementi passivi inseriti nelle dichiarazioni fiscali. Con riferimento alle fatture emesse da METALI TRGOVINA DOO, società anch'essa riconducibile a Iv.Ce., la Corte di merito ha valorizzato, quali indici inequivocabili della inesistenza oggettiva delle operazioni sottostanti, la totale assenza di documenti di trasporto allegati a talune fatture, la circostanza che altre recavano la menzione, quale vettore ovvero intermediario, della cartiera CI Group Srl (società priva di struttura operativa e di mezzi di trasporto che, peraltro, non risulta avere mai emesso fatture per la indicata intermediazione) e la mancanza di modelli intrastat richiesti in caso di scambi intracomunitari. Con tale articolato quadro, il ricorrente non si confronta limitandosi ad affermare che la mancanza di documento di sdoganamento della merce acquistata trovava giustificazione nel fatto che la Croazia, all'epoca dei fatti, era già membro dell'Unione Europea, obliterando tutti gli ulteriori elementi che la Corte di appello ha posto a base del giudizio di inesistenza oggettiva delle prestazioni fatturate da METALI TRGOVINA DOO. 4.2. Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Ribaditi i principi di legittimità esposti nel paragrafo 3.3. del considerato in diritto, il ricorrente non si confronta con la puntuale motivazione della sentenza impugnata (pagg. 70) che ha innanzitutto escluso il riconoscimento di circostanze attenuanti generiche evidenziando la gravità della condotta dell'imputato realizzata nell'ambito di entrambe le aziende da lui gestite dalle quali era conseguita una evasione di imposta superiore al milione di euro e ritenendo, pertanto, del tutto recessiva la condizione di incensuratezza e le parziali e minimali ammissioni dei fatti. Con riferimento alla quantificazione della pena, la Corte di appello ha ritenuto congrua la determinazione della sanzione base in misura superiore al minimo edittale in ragione della significativa incidenza della violazione tributaria più grave, così facendo corretta applicazione di uno degli indici previsti dall'articolo 133 cod. pen. ed ha riconosciuto la proporzionalità dell'esiguo incremento operato dal primo Giudice a titolo di continuazione per ciascuno dei reati satellite, a loro volta contraddistinti da rilevante disvalore. 4.3. Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso, con correlato motivo nuovo, con cui si deduce la violazione dell'articolo 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000 e il vizio di motivazione con riferimento alla conferma delle statuizioni di confisca degli immobili siti in Olgiate Olona ed in San Teodoro che, nell'atto di appello, l'odierno ricorrente assumeva essere di proprietà esclusiva della propria moglie Be. la quale li aveva acquistati con disponibilità proprie di provenienza lecita e in epoca ben anteriore al sequestro preventivo anticipatorio da cui gli stessi sono attinti. La Corte di appello ha puntualmente motivato le ragioni per le quali ha disatteso la deduzione difensiva richiamando, al riguardo, i dati fattuali contenuti nell'ordinanza emessa in data 16/9/2022 dal giudice di primo grado con cui era stata rigettata l'istanza di dissequestro degli immobili (il provvedimento è agli atti del processo e rispetto ad esso il ricorrente nulla ha dedotto in ordine ad una irrituale acquisizione) e dando conto che essi dimostravano come entrambi gli immobili (seppure intestati alla coniuge) erano nella disponibilità di Le.Em. (l'abitazione di Olgiate Olona era addirittura la sua dimora di residenza) ed erano stati acquistati principalmente con redditi dì costui. Tale apparato argomentativo non è manifestamente illogico e risulta conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la nozione di disponibilità con riferimento ai beni suscettibili di confisca per equivalente come previsto anche ai sensi dell'articolo 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, deve intendersi come relazione effettiva con gli stessi da parte del reo, seppure non formalmente titolare, connotata dall'esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà (cfr., Sez. 1, n. 19081 del 30/11/2022, Gasparro, Rv. 284548; Sez. 2, n. 29692 del 28/05/2019, Tognola, Rv. 277021; Sez. 3, n. 14605 del 24/03/2015, Zaza, Rv. 263118 ove in motivazione si afferma che ... la disponibilità coincide, pertanto, con la signoria di fatto sulla res e non è necessario che i beni siano nella titolarità del soggetto indagato o condannato ). Priva di rilievo è la sentenza emessa, ai sensi dell'articolo 425 cod. proc. pen., dal giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Milano in data 06/12/2024 che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Le.Em. e della coniuge Tania Be. per il delitto di cui all'articolo 512-bis cod. pen. in relazione ai due immobili in questione (allegati ai motivi nuovi tempestivamente depositati). Invero, premesso che si tratta di pronuncia non definitiva, tale provvedimento giudiziario non esclude la contestata attribuzione fittizia dei cespiti ma perviene all'epilogo di non procedibilità non essendovi prova che, all'epoca delle intestazioni, l'odierno ricorrente avesse motivo di temere l'applicazione, nei suoi confronti, l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali. 4.4. L'inammissibilità dei motivi principali finisce per investire anche il proposto motivo aggiunto collegato ad uno o più di essi, non potendo, attraverso i motivi aggiunti, essere tardivamente sanato il vizio radicale conducente all'inammissibilità dell'impugnazione originaria (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020, L., Rv. 278387). 5. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila, ciascuno, in favore della Cassa delle ammende. PQMP.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.