Esperienze di vita comunitaria di persone con disturbi mentali: la pronuncia del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha ritenuto la legittimità di una ordinanza con la quale l’amministrazione comunale ha disposto la chiusura di una struttura priva di autorizzazione, ritenendo che la medesima fosse riconducibile ad una “struttura di comunità alloggio per persone con lievi disturbi mentali”.

Il contenzioso traeva origine dal fatto che la ricorrente prestava assistenza domiciliare a favore di sei persone affette da problemi psichiatrici di gravità tale da rendere necessaria per ognuna di esse la misura protettiva dell'amministrazione di sostegno. L'anzidetta attività veniva esercitata nell'ambito di una struttura di coabitazione nella quale prestavano la propria opera una educatrice, un cuoco, oltre alla stessa ricorrente che svolgeva anche funzioni di direzione e di controllo. In via preliminare, è necessario operare un breve excursus della normativa oggetto di disamina in sede giurisdizionale amministrativa al fine di poter inquadrare correttamente la tipologia di prestazione che veniva esercitata nella struttura oggetto di disamina nell'ambito del ricorso e, quindi, se la stessa doveva essere soggetta ad autorizzazione o se poteva essere legittimamente ricondotta nell'ambito dei progetti di vita indipendente. È ben noto che l'attuale Sistema Sanitario italiano individua l'accreditamento delle strutture sanitarie quale presupposto indispensabile affinché una struttura possa divenire un erogatore effettivo di prestazioni remunerate o rese per conto del Servizio Sanitario Nazionale. Al riguardo, va richiamato il d. lgs. n. 502/1992 “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421” che definisce all'articolo 3-septies le prestazioni socio-sanitarie come l'insieme di quelle attività «volte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione». Nell'ambito delle prestazioni sociosanitarie la norma distingue tra le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria. Sulla base della richiamata normativa di rango primario, come precisato anche dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 477/2024, con D.P.C.M. del 14 febbraio 2001 è stato adottato l'atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie, il cui articolo 3, commi 1 e 2, opera le seguenti distinzioni: 1. «Sono da considerare prestazioni sanitarie a rilevanza sociale le prestazioni assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati interventi sociali, sono finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite, contribuendo, tenuto conto delle componenti ambientali, alla partecipazione alla vita sociale e alla espressione personale. Dette prestazioni, di competenza delle aziende unità sanitarie locali ed a carico delle stesse, sono inserite in progetti personalizzati di durata medio/lunga e sono erogate in regime ambulatoriale, domiciliare o nell'àmbito di strutture residenziali e semiresidenziali». 2. «Sono da considerare prestazioni sociali a rilevanza sanitaria tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute. Tali attività, di competenza dei comuni, sono prestate con partecipazione alla spesa, da parte dei cittadini, stabilita dai comuni stessi e si esplicano attraverso: a) gli interventi di sostegno e promozione a favore dell'infanzia, dell'adolescenza e delle responsabilità familiari; b) gli interventi per contrastare la povertà nei riguardi dei cittadini impossibilitati a produrre reddito per limitazioni personali o sociali; c) gli interventi di sostegno e di aiuto domestico familiare finalizzati a favorire l'autonomia e la permanenza nel proprio domicilio di persone non autosufficienti; d) gli interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione dell'autonomia, non assistibili a domicilio; e) gli interventi, anche di natura economica, atti a favorire l'inserimento sociale di soggetti affetti da disabilità o patologia psicofisica e da dipendenza, fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di diritto al lavoro dei disabili; f) ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed inserito tra i livelli essenziali di assistenza secondo la legislazione vigente. Dette prestazioni, inserite in progetti personalizzati di durata non limitata, sono erogate nelle fasi estensive e di lungoassistenza». L'articolo 8 -bis del medesimo d. lgs. n. 502 del 1992 ha affidato altresì alle Regioni il compito di disciplinare i procedimenti relativi all'autorizzazione ed all'accreditamento delle strutture sanitarie. Con il d.P.R. 14 gennaio 1997 è stato approvato l' Atto di indirizzo e coordinamento in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private ed ancora, con il d. lgs. n. 229 del 1999 e, infine, con la legge costituzionale n. 3/2001 è stato ulteriormente dettagliato il quadro di riferimento normativo entro il quale le Regioni avrebbero dovuto operare. Al fine di raggiungere tali obiettivi la Regione Marche ha emanato la legge n. 21/2016 relativa alle “Autorizzazioni e accreditamento istituzionale delle strutture e dei servizi sanitari, socio-sanitari e sociali pubblici e privati e disciplina degli accordi contrattuali delle strutture e dei servizi sanitari, socio-sanitari e sociali pubblici e privati” ed il regolamento regionale n. 1 del 1.2.2018 che ha individuato, fra le diverse strutture soggette ad autorizzazione, anche la Comunità alloggio per persone con disturbi mentali, c.d. CALDM che è stata definita come una «struttura residenziale a carattere temporaneo o permanente, consistente in un nucleo di convivenza di tipo familiare per persone che hanno concluso il programma terapeutico-riabilitativo in strutture e servizi sanitari, prive di validi riferimenti familiari o per le quali si reputi opportuno l' allontanamento dal nucleo familiare, che necessitano di sostegno nel percorso di autonomia o di inserimento o reinserimento sociale. I destinatari del servizio sono persone con disturbi mentali con un alto livello di autosufficienza ed un residuo minimo di bisogno assistenziale sanitario». La D.G.R. n. 940 del 20.07.2020 ha altresì indicato i requisiti strutturali della comunità alloggio per persone con lievi disturbi mentali quali la presenza di camere singole o doppie, i servizi igienici in numero di almeno uno ogni quattro persone, oltre ad almeno un servizio igienico per il personale. Sono stati previsti anche requisiti minimi tecnologici come il sistema informatizzato di trattamento dati degli ospiti e requisiti organizzativi come la predisposizione di progetti di intervento individualizzati per ciascun ospite, la presenza di operatori qualificati, la parziale autogestione della comunità e la previsione che l'attività degli operatori sia volta a stimolare la progressiva autonomia e assunzione di responsabilità da parte degli ospiti. Agli stessi principi informatori si sono adeguate anche le altre regioni. Premessa la normativa sopra richiamata, va esaminato anche il tema della c.d. “vita indipendente” che è stato introdotto nell'ambito del nostro ordinamento in virtù dalla legge n. 162/1998 che ha integrato la legge n. 104/1992 relativa alle “misure a favore di persone con handicap grave” mediante la quale è stato consentito alle Regioni di provvedere, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio e sentite le rappresentanze degli enti locali e le principali organizzazioni del privato presenti sul territorio, alla disciplina delle modalità di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati per i soggetti che facciano richiesta. Tale tema è stato preso in debita considerazione anche dalle Nazioni Unite con la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità che è stata adottata dall'Assemblea generale ONU il 13 dicembre 2006 e mediante la quale è stato riconosciuto il «diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone» e ad adottare «misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena interazione e partecipazione nella società». L' anzidetta Convenzione è stata ratificata dall' Italia con la legge 3 marzo 2009, n. 18. In attuazione degli obiettivi sopra richiamati la Regione Marche ha adottato la legge n. 21/2018 relativa agli “Interventi regionali per favorire la vita indipendente delle persone con disabilità”, il cui articolo 1 prevede quale finalità il raggiungimento di una maggiore autonomia dalla famiglia, pur rimanendo nel proprio ambiente di vita, e nel raggiungimento di una piena inclusione e partecipazione nella società, anche allo scopo di ridurre il ricorso all'istituzionalizzazione come disposto dall'articolo 1 comma 2 della stessa legge regionale. Per il perseguimento di tali finalità, l'articolo 2 prevede la possibilità per la Regione di promuovere e sostenere progetti personalizzati di vita indipendente che si inseriscono nel progetto globale di vita che accompagna la persona con disabilità nel processo di inclusione nei diversi contesti quale quello familiare, scolastico, formativo, lavorativo, ricreativo e sociale. Viene, quindi, sancita all'articolo 5 la predisposizione di progetti personalizzati. Tale legge regionale concerne, pertanto, interventi volti a favorire le persone che permangono nell'ambito della propria residenza. Nel caso di specie, in primo grado, il TAR Marche ha statuito che non sarebbe stato accertato nel corso del giudizio lo svolgimento di un'attività avente carattere socio-assistenziale rientrante nelle previsioni di cui alla legge n. 21/2016. Alla base della propria decisione, per quanto quivi rileva, il TAR Marche ha considerato diverse circostanze quali il fatto che le sei persone avrebbero risieduto nella struttura in virtù di un regolare contratto di locazione, che l'originaria ricorrente, nella sua qualità di referente di progetti di “vita indipendente” di cui alla L.R. Marche 21/2018, avrebbe prestato ausilio domiciliare a tali persone senza percepire alcun compenso e che i progetti di vita indipendente sarebbero stati conosciuti e appoggiati dalla stessa azienda sanitaria. Il TAR Marche ha quindi concluso statuendo che «da tutto quanto sopra, risulta sufficientemente dimostrato che l'appartamento è un'abitazione privata totalmente autonoma, poiché gestita dalle persone che vi abitano, e non una struttura sociale qualificabile come CALDM – “Comunità alloggio per persone con lievi disturbi mentali” – disciplinata dalla legge regionale Marche n. 21/2016. Conseguentemente, non può dirsi che la ricorrente gestisca una struttura che eroga prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali o simili, sicché l'ordinanza emessa dal Comune di Jesi si basa su presupposti erronei o comunque non dimostrati». La conclusione del Giudice di prime cure che ha qualificato la struttura come un'abitazione privata totalmente autonoma che, in quanto tale, non rientrerebbe nell'ambito di applicazione della legge regionale 21/2016, è stata totalmente riformata dal Consiglio di Stato. La Terza Sezione ha infatti sancito che l'appartamento «non possa essere considerato alla stregua di un'abitazione privata totalmente autonoma, cogestita dalle persone che vi abitano. Al contrario, la stessa ha la sostanza di una struttura sociale qualificabile come CALDM – “Comunità alloggio per persone con lievi disturbi mentali”, che necessita di espressa autorizzazione ai sensi della legge regionale n. 21/2016». Alla base della propria decisione e ai fini dell'applicazione della legge regionale n. 21/2016, il Consiglio di Stato ha attribuito rilievo a tre circostanze dirimenti, quali i problemi psichici che affliggono tutti i soggetti occupanti l'immobile, l'essere gli stessi destinatari della misura di protezione dell' amministrazione di sostegno ed, infine, l' assistenza offerta dall' appellata, unitamente al marito, volta a soddisfare tutte le esigenze legate alla vita quotidiana delle persone residenti nella struttura. In diritto, è stata esclusa la possibile applicazione della legge regionale n. 21/2018 e quindi la configurazione di un progetto di vita indipendente poiché, nel caso di specie, non si tratta «di una libera coabitazione in autonomia da parte di più persone, poiché le condizioni psicofisiche delle persone coinvolte denotano una incapacità di provvedere ai propri bisogni e di autodeterminarsi (sono tutte soggette ad amministrazione di sostegno) ed i controlli delle forze di polizia hanno fatto emergere una situazione di gestione e di controllo da parte dell'odierna appellata e del di lei coniuge, ciò che consente di prescindere dal dato formale dell'intestazione del contratto di locazione ad alcune delle persone ospitate». L' effettivo discrimine tra la libera gestione in autonomia di un immobile da parte di più persone e una forma di convivenza per la quale l'ordinamento prevede la necessità di controllo da parte dell'amministrazione è stato quindi individuato nelle condizioni psicofisiche delle persone coinvolte nella gestione della struttura residenziale: nel caso di specie, alcuna autonomia poteva essere evidentemente espressa, né riconosciuta in capo a persone affette da gravi infermità psichiche. Per tale ragione, il Consiglio di Stato ha sancito «avendo la condizione specifica degli ospitanti la sostanza di una forma di convivenza etero-organizzata ed etero-gestita, in favore di soggetti in condizione di lieve disabilità con esigenze di assistenza, risulta necessaria l'attività di controllo e di autorizzazione da parte dell'amministrazione, che nel caso di specie, ha chiaramente riscontrato l'assenza dei presupposti abitativi ed igienico sanitari dell'immobile». Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato ha pertanto ritenuto doveroso l'assoggettamento a controllo da parte dell' amministrazione dell'attività di assistenza domiciliare a favore di persone con disturbi mentali a garanzia delle inequivoche finalità espresse dalle disposizioni in materia, quali la necessità di garantire l' erogazione di prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e sociali, efficaci e sicure e il miglioramento continuo della qualità delle strutture erogatrici associato allo sviluppo sistematico e programmato del sistema sanitario e sociale regionale. Diversamente opinando si rischierebbe di legittimare, applicando indebitamente la normativa riguardante la realizzazione di progetti di vita indipendenti anche situazioni di vita condivisa che, per la natura dell'attività ivi svolta e per i soggetti che vi sono coinvolti, rendono doveroso un controllo da parte delle amministrazioni competenti al fine di tutelare l'effettivo perseguimento degli interessi pubblici che vengono in rilievo.

Presidente De Nictolis - Relatore Scarpato Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.