In tema di liquidazione delle spese processuali in appello, l’errata dichiarazione del difensore sul valore della domanda ai fini del contributo unificato è ininfluente ai fini decisori, ma può giustificare la compensazione integrale delle spese.
Con l'ordinanza in esame, la Suprema Corte torna a pronunciarsi sulla liquidazione delle spese processuali in relazione all'errata dichiarazione del difensore circa il valore della causa contenuta nell'atto di appello, specificando che tale dichiarazione, rilevante esclusivamente ai fini del contributo unificato, non incide sul valore della domanda giudiziale. Nel caso di specie, la ricorrente aveva erroneamente indicato nell'atto di appello come valore della controversia la somma di 1.200,71 euro, che, tuttavia, non può influenzare la determinazione del valore della causa ai fini della liquidazione delle spese: tale dichiarazione, infatti, riguarda esclusivamente la determinazione del contributo unificato e non rileva sul valore della domanda giudiziale. Per questo motivo, chiedeva di rideterminare in 484,42 euro (332, oltre accessori) le spese di lite oggetto di condanna del precedente giudice. Il Collegio ricorda che il valore della causa: per il giudizio di primo grado, è pari alla somma domandata con l'atto introduttivo, se la domanda viene rigettata; e, alla somma accordata dal giudice, se la domanda viene accolta; per il giudizio di appello, alla sola somma che ha formato oggetto di impugnazione, se l'appello è rigettato; e, alla maggior somma accordata dal giudice d'appello rispetto a quella ottenuta in primo grado dall'appellante, se l'impugnazione è accolta. La Corte d'Appello aveva precedentemente condannato la ricorrente al pagamento di 1.378 euro, più spese legali (per un totale di 2.010,65 euro), mentre avrebbe dovuto tenere conto dello scaglione sino a 1.100 € e liquidare la somma di € 332 per compensi, oltre CPA, IVA e altri accessori di legge. La Corte quindi accoglie il ricorso, ma compensa le spese del procedimento. Secondo i Giudici, la dichiarazione del difensore relativa al contributo unificato non influenza il valore della domanda, in quanto è indirizzata all'ufficiale giudiziario, responsabile della verifica. Pertanto, non appartenendo tale dichiarazione di valore alle conclusioni contenute nell'atto introduttivo del giudizio di merito, «deve decisamente escludersi la possibilità di considerare la dichiarazione come parte della “domanda” nel senso cui vi allude il primo comma dell'articolo 10 c.p.c., quando dice che “il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti”». Tuttavia, è giusto che l'errata dichiarazione del difensore non venga ignorata ai fini della regolamentazione delle spese, in quanto «astrattamente idonea a indurre in errore il giudice che deve su di esse provvedere emanando il provvedimento conclusivo del giudizio dinanzi a lui». Insomma: «non è equo che i costi dell'impugnazione resa necessaria dall'errore della parte ricadano sulla controparte, ove questa all'impugnazione stessa non abbia – come nella specie – neppure resistito; e quell'errata dichiarazione può, allora, integrare una grave ed eccezionale ragione di integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità». In conclusione, pertanto, la Corte enuncia il seguente principio di diritto: «la dichiarazione del difensore, attinente alla determinazione del contributo unificato, è ininfluente sul valore della domanda, in quanto è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, ma, ove sia errata, può costituire una grave ed eccezionale ragione di compensazione delle spese processuali dell'impugnazione proposta dalla parte che voglia emendare l'errore in cui ha indotto il giudice adito nella determinazione dello scaglione applicabile per liquidare le spese nel provvedimento da lui emesso».
Presidente De Stefano – Relatore Gianniti Fatti di causa 1. Su ricorso di S.G. fu emesso decreto ingiuntivo, immediatamente esecutivo, nei confronti della (OMISSIS) s.p.a. (ora Agenza delle Entrate Riscossione, per brevità, di seguito ADER). Ad esito dell'opposizione all'esecuzione, intentata dalla S.G. e basata su quel monitorio, proposta da ADER e del rigetto della richiesta di sospensione ex articolo 615 comma 2 c.p.c., con condanna della stessa opponente al pagamento delle spese della fase sommaria, il Giudice assegnò il termine ex articolo 616 c.p.c. per l'introduzione del giudizio di merito. 2. Nel rispetto di detto termine, nel 2021, la S.G. conveniva in giudizio innanzi il Giudice di Pace di Palermo, la (OMISSIS) S.p.a. (adesso ADER), affinché venisse dichiarata infondata l'opposizione, proposta dalla convenuta avverso il decreto ingiuntivo. Il Giudice di Pace di Palermo, istruita documentalmente la causa, con sentenza n. 1885/22 emessa nel contraddittorio delle parti, accoglieva integralmente la domanda attorea, ma, nel regolare le spese, tenuto conto del valore della causa identificato in euro 1200,71, dapprima riduceva del 40% i parametri medi previsti dallo scaglione di riferimento e, quindi, compensava la somma complessivamente determinata in euro 620 (di cui euro 522 per compenso professionale ed euro 98 per spese vive, oltre accessori di legge) nella misura del 50% e, quindi, liquidava le spese di lite in euro 310 (di cui euro 261 per compenso professionale ed euro 49 per spese vive, oltre accessori di legge). Avverso la sentenza del giudice di primo grado veniva proposto appello dalla S.G., la quale, dichiarato il valore della causa in € 1200,71, deduceva la violazione degli articolo 91 e 92 c.p.c. e chiedeva che, in parziale riforma della sentenza impugnata, la ADER fosse condannata all'ulteriore 50% delle spese di lite, <<considerata l'ingiusta compensazione parziale delle spese di lite>>. Il Tribunale di Palermo con sentenza n. 986/2023, nel rigettare l'appello, confermava la sentenza del primo giudice e condannava parte appellante alle spese processuali relative al grado. 2. Avverso la sentenza del giudice di appello ha proposto ricorso la S.G. in ordine al capo relativo alla sua condanna alle spese. Parte intimata non ha svolto difese. Per l'odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte. Il Difensore di parte resistente ha depositato memoria. La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione. Ragioni della decisione 1. S.G. articola in ricorso un solo motivo, con il quale denuncia: <<violazione degli articolo 10 c.p.c., 13, comma 6, L 247/12 e 5 D.M. 55/14 aggiornato al Decreto 147/22 con la relativa tabella parametrica, in relazione all'articolo 360, comma 1, punto 3 c.p.c.>>, nella parte in cui il giudice di appello, in violazione dei parametri minimi previsti dallo scaglione di riferimento (sino ad € 1.100), l'ha condannata al pagamento della somma di euro 2.010, 65 (euro 1.378 oltre accessori), mentre nel rispetto dei parametri minimi previsti da quello scaglione, avrebbe dovuto liquidare in favore di ADER la somma di euro 484,42 (pari ad euro 332, oltre accessori). Sottolinea che, in sede di atto di appello, si era lamentata esclusivamente della compensazione parziale delle spese processuali relative al giudizio di primo grado. Riconosce di avere, ai fini della determinazione del contributo unificato, erroneamente indicato in atto di appello come valore della controversia la somma di euro 1.200,71, ma osserva che detta dichiarazione attiene esclusivamente alla determinazione del contributo unificato e non rileva sul valore della domanda giudiziale. In definitiva, la ricorrente chiede che questa corte, previa cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, determini in euro 484,42 (euro 332, oltre accessori) le spese di lite oggetto di condanna del precedente Giudice. Il tutto con il favore delle spese processuali relative al giudizio di legittimità, da distrarsi a favore del difensore antistatario. 2. Il ricorso è fondato. Come è noto, il D.M. 55/2014 disciplina i criteri di liquidazione del compenso dovuto al professionista dal proprio cliente, attraverso l'unificazione di diritti ed onorari nella nuova accezione omnicomprensiva di “compenso”, che, ai fini della liquidazione, tiene conto degli elementi, di cui all'articolo 4 del decreto stesso (complessità delle questioni, pregio dell'opera, risultati conseguiti, ecc.). Detti elementi - che vanno valutati in relazione (non a singoli atti o a singole fasi, ma) alla prestazione professionale nella sua interezza - sono applicabili in via generale e sono <<destinati a riflettersi anche sulla liquidazione giudiziale effettuata per determinare il quantum delle spese processuali di cui la parte vittoriosa può pretendere il rimborso nei confronti di quella soccombente>> (così, testualmente, in motivazione la sentenza delle Sezioni Unite n. 17405/2012). Ed è consolidato il principio (affermato ad es. da Cass. n. 23873/2021) per cui le spese processuali si liquidano alla luce delle tabelle vigenti al momento della conclusione dell'attività giudiziale, ragion per cui i nuovi parametri vanno applicati ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale, che li prevede, e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, quantunque tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate. Come riconosciuto da disposizione di ordine generale del D.M. n. 55/2014 e come questa Corte ha di recente precisato (Cass, n. 35195/2022, che richiama anche Cass. n. 27871/2017), quando la domanda sia accolta, il valore della causa, ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, deve essere pari alla somma attribuita dal giudice (c.d. principio del decisum). In estrema sintesi, in applicazione del suddetto principio, il valore della causa è pari: a) per il giudizio di primo grado, alla somma domandata con l'atto introduttivo, se la domanda viene rigettata; e, alla somma accordata dal giudice, se la domanda viene accolta; b) per il giudizio di appello, alla sola somma che ha formato oggetto di impugnazione, se l'appello è rigettato; e, alla maggior somma accordata dal giudice d'appello rispetto a quella ottenuta in primo grado dall'appellante, se l'impugnazione è accolta. Nel caso di specie l'appellante aveva lamentato esclusivamente l'erronea compensazione parziale delle spese di lite e, quindi, chiesto la riforma parziale della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva liquidato le spese processuali nella misura di € 620 (oltre accessori di legge su € 522), in luogo della ridotta misura di € 310 (oltre accessori di legge su € 261). Ragion per cui il valore del gravame era pari ad € 429,82 (€ 310 oltre accessori di legge su € 261). Pertanto, il giudice di appello, nel condannare la S.G. al pagamento delle spese di quel grado in ragione della maggior somma di € 1.378, oltre accessori di legge (per un totale complessivo di euro 2.010,65), è incorso nel vizio denunciato. Egli, infatti, nel liquidare le spese di lite in favore dell'ADER secondo i parametri minimi previsti dallo scaglione di riferimento, avrebbe dovuto tenere conto di quelli dello scaglione sino ad € 1.100, motivo per cui avrebbe dovuto, non constando ragioni per discostarsi dai valori minimi già applicati nella qui gravata sentenza, liquidare la somma di € 332 per compensi, oltre CPA, IVA e altri accessori di legge. Occorre qui ribadire che l'applicazione del principio del decisum in grado di appello impone di determinare il valore della causa, ai fini della liquidazione delle spese, in base a quella sola parte del credito ancora oggetto di contestazione. Ne consegue che la sentenza va cassata, limitatamente al capo sulle spese del grado di appello. Inoltre, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, è possibile decidere la causa nel merito (ai sensi del secondo comma dell'articolo 384 c.p.c.), liquidando le spese dovute per il grado di appello nel totale di € 332 per compensi (per le quattro fasi considerate dal d.m.), oltre CPA, IVA e altri accessori di legge. 3. Nonostante l'accoglimento del ricorso, le spese del presente giudizio possono essere compensate. Vero è che, secondo un consolidato principio di diritto di questa Corte (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 12770/2023), la dichiarazione del difensore attinente alla determinazione del contributo unificato è ininfluente sul valore della domanda, in quanto è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, sicché, non appartenendo tale dichiarazione di valore alle conclusioni contenute nell'atto introduttivo del giudizio di merito, deve decisamente escludersi la possibilità di considerare la dichiarazione come parte della “domanda” nel senso cui vi allude il primo comma dell'articolo 10 c.p.c., quando dice che “il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti”. Senonché è di giustizia che l'errata dichiarazione del difensore non sia priva di rilievo ai fini della regolamentazione delle spese, essendo astrattamente idonea a indurre in errore il giudice che deve su di esse provvedere emanando il provvedimento conclusivo del giudizio dinanzi a lui; sicché non è equo che i costi dell'impugnazione resa necessaria dall'errore della parte ricadano sulla controparte, ove questa all'impugnazione stessa non abbia – come nella specie – neppure resistito; e quell'errata dichiarazione può, allora, integrare una grave ed eccezionale ragione di integrale compensazione delle spese di questo giudizio di legittimità. Sul punto viene quindi affermato il seguente principio di diritto: <<La dichiarazione del difensore, attinente alla determinazione del contributo unificato, è ininfluente sul valore della domanda, in quanto è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, ma, ove sia errata, può costituire una grave ed eccezionale ragione di compensazione delle spese processuali dell'impugnazione proposta dalla parte che voglia emendare l'errore in cui ha indotto il giudice adito nella determinazione dello scaglione applicabile per liquidare le spese nel provvedimento da lui emesso>>. Il tenore della presente pronunzia - che è (non di rigetto, inammissibilità o improponibilità del gravame, ma) di cassazione senza rinvio della sentenza impugnata - esclude l'applicabilità dell'articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, per cui si dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'articolo 1-bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta; e, decidendo nel merito, condanna S.G. alla rifusione in favore della Agenzia delle entrate - Riscossione delle spese processuali del secondo grado, che si liquidano in euro 332 per compensi, oltre CPA, IVA e altri accessori di legge; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.