Compenso per lavoro straordinario: al personale direttivo spetta se viene superato il limite della “ragionevolezza”

Il giudice deve valutare se le prestazioni richieste abbiano superato il limite della ragionevolezza”, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, con particolare attenzione alle mansioni svolte e alle esigenze di tutela del lavoratore.

Con la pronuncia in analisi, la Suprema Corte si è pronunciata in tema di compenso per lavoro straordinario dovuto a dipendenti con funzioni direttive, ribadendo precisi principi in materia di orario di lavoro e tutela della salute. Nello specifico, nel caso in esame un lavoratore, con qualifica direttiva, aveva agito per ottenere il pagamento di lavoro straordinario, lamentando che l'indennità di funzione direttiva non coprisse le ore eccedenti il limite di 200 annue previste dalla contrattazione collettiva. Chiedeva, quindi, il pagamento di oltre 49.000 euro per il decennio 2008-2018. La Corte d'Appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, aveva respinto la domanda, valorizzando la disciplina contrattuale che esclude limiti d'orario per i direttivi, negando quindi il diritto al compenso per le ore eccedenti. Avverso tale decisione, il lavoratore adìva la Suprema Corte, la quale, accogliendo il primo motivo di ricorso, ha ribadito che anche per i dirigenti esiste un “limite quantitativo globale” all'orario di lavoro a tutela della salute e dell'integrità psico-fisica. Secondo la Cassazione, che ha richiamato sul punto la Consulta (Corte Cost. n. 101/1975), il giudice è tenuto a verificare, nel caso concreto, se le prestazioni richieste abbiano superato il “limite della ragionevolezza”, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, con particolare attenzione alle mansioni svolte e alle esigenze di tutela del lavoratore. I Giudici hanno ribadito che il diritto al compenso per lavoro straordinario al personale direttivo va riconosciuto: a) quando la contrattazione collettiva contempla un diverso orario normale per i direttivi e questo sia superato; b) quando la durata della prestazione superi il limite della ragionevolezza, escluso ogni riferimento all'orario contrattualmente previsto per altre categorie di lavoratori. Nel caso di specie, la Corte d'Appello ha omesso di verificare se vi fosse stato un effettivo superamento del limite di ragionevolezza nell'orario di lavoro svolto dal dirigente, concentrandosi esclusivamente sul rigetto della richiesta di risarcimento per danno psico-fisico. La Cassazione, invece, precisa che la pretesa al compenso per l'attività eccedente il limite ragionevole costituisce una domanda autonoma e distinta rispetto a quella di risarcimento del danno alla salute, disciplinata dall'articolo 2087 c.c. Di conseguenza, la Suprema Corte ha disposto la cassazione della sentenza impugnata con rinvio, affinché il giudice di merito riesamini la questione applicando i principi indicati e proceda a una concreta valutazione dell'eventuale superamento del limite di ragionevolezza nella durata delle prestazioni rese dal personale direttivo.

Presidente Manna - Relatore Amendola Rilevato che 1. la Corte di Appello di Torino, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto il ricorso proposto da Al.Or. nei confronti della FCA ITALY Spa con cui il dipendente, premesso di avere percepito dal 2000 l'indennità di funzioni direttive, aveva esposto che detta indennità, rimasta invariata nell'importo annuo di Euro 1.812,72 dal gennaio 2008 alla cessazione del rapporto, risultava del tutto insufficiente a coprire le reali prestazioni straordinarie effettuate dal 2008 al 2018, in entità ben superiore al limite delle 200 ore annue previste dalla contrattazione collettiva ed eccedente i limiti di ragionevolezza; pertanto, applicando alle ore di straordinario effettuate la percentuale del 25% e detraendo l'indennità di funzioni direttive percepita, l'Al.Or. aveva chiesto, con riferimento al decennio 2008 - 2018, la condanna della convenuta alla corresponsione in suo favore della somma di Euro 49.272,00 oltre accessori e spese di lite; 2. la Corte, in estrema sintesi, ha ritenuto, esaminando la contrattazione collettiva nazionale e aziendale applicabile al rapporto, che le parti stipulanti hanno inteso ribadire la volontà di affermare che per il personale con funzioni direttive rimangono ferme le disposizioni di legge che sottraggono tale categoria ai limiti di orario e neppure vengono estesi i limiti di orario settimanali previsti a livello di contrattazione collettiva ; la Corte ha anche escluso che l'istante avesse proposto una domanda risarcitoria per usura psico-fisica ovvero una richiesta di adeguamento della retribuzione ex art 36 Cost.; 3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con tre motivi; ha resistito con controricorso l'intimata società; entrambe le parti hanno comunicato memorie; all'esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nel termine di sessanta giorni; Considerato che 1. i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati; 1.1. il primo denuncia la violazione dell'articolo 1 R.D. n. 692 del 1923 e dell'articolo 17, comma 5, D.Lgs. n. 66 del 2003, così come interpretati dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza di legittimità, lamentando altresì che la Corte territoriale avrebbe omesso ogni valutazione sul tema della ragionevolezza della pretesa datoriale ; 1.2. il secondo motivo denuncia la violazione degli articolo 1362 e 1366 c.c., in combinato disposto con gli articolo 5 e 7 CCNL Industria, sostenendo che la disciplina collettiva richiamata non può esser letta come giustificatrice di un assoluto e illimitato disinteresse per l'impegno quantitativo profuso dal lavoratore con mansioni direttive ; 1.3. il terzo motivo denuncia la violazione degli articolo 4 e 5 CCSL 29/12/2010 e 7/7/2018, in combinato disposto con l'articolo 1 R.D. n. 692 del 1923 e articolo 16, comma 5, D.Lgs. n. 66 del 2003, ovvero, in subordine, violazione degli articolo 1362 e 1366 c.c., in relazione agli articolo 4 e 5 CCSL 29/12/2010 e 7/7/2018; si sostiene che le norme richiamate del Contratto Collettivo Specifico di lavoro del Gruppo Fiat vadano interpretate nel senso che anche per i professional esiste una durata normale dell'orario di lavoro oltre la quale scatta il lavoro straordinario che, però, in forza delle deroghe di legge per il personale direttivo, non viene retribuito se non nei limiti di quanto previsto nella Indennità Funzioni Direttive, sempre che il numero di ore di lavoro straordinario prestate, da provarsi, come è stato, da parte del lavoratore non superi il limite della ragionevolezza posto a garanzia della salute e della sicurezza del dipendente, ed individuato, sempre in forza dell'autonoma valutazione delle parti sociali in 260 ore annue o nel diverso limite che verrà ritenuto, con congrua motivazione, dal Giudice di merito ; 2. il primo motivo è fondato nei sensi espressi dalla seguente motivazione; 2.1. la Corte costituzionale, pur giudicando infondata la questione di illegittimità costituzionale della disciplina che non applica al personale direttivo delle aziende i limiti di durata massima dell'orario di lavoro, ha tuttavia precisato che un limite quantitativo globale, ancorché non stabilito dalla legge o dal contratto in un numero massimo di ore di lavoro, sussiste pur sempre, anche per il personale direttivo, anzitutto in rapporto alla necessaria tutela della salute ed integrità fisiopsichica, garantita dalla Costituzione a tutti i lavoratori, e, sempre nel rispetto di questo principio, in rapporto alle obbiettive esigenze e caratteristiche dell'attività richiesta alle diverse categorie di dirigenti o funzionari con mansioni direttive: talché al giudice è sicuramente consentito esercitare, nelle singole fattispecie, un controllo sulla ragionevolezza della durata delle prestazioni di lavoro pretese dall'imprenditore, con riguardo alla natura delle funzioni espletate ed alle effettive condizioni ed esigenze del servizio, secondo i diversi tipi di imprese (Corte cost. n. 101 del 1975); in coerenza con tali presupposti, si è formata una antica e costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il diritto al compenso per lavoro straordinario va comunque riconosciuto ai dipendenti con funzioni direttive in due casi: a) quando la contrattazione collettiva contempli un diverso orario normale di lavoro per il personale con detta qualifica, e tale orario venga in concreto superato; b) se la durata della prestazione valichi comunque il limite di ragionevolezza, escluso ogni riferimento all'orario contrattualmente previsto per altre categorie di lavoratori (Cass. n. 4 del 1988; Cass. n. 7036 del 1986; Cass. n. 2595 del 1995; Cass. n. 2476 del 1997; Cass. n. 16050 del 2004; Cass. n. 3038 del 2011; Cass. n. 21253 del 2012; Cass. n.18161 del 2018); 2.2. nella specie, anche nel caso in cui l'interpretazione della disciplina collettiva applicabile al rapporto, come ritenuto dalla Corte territoriale, sia nel senso della mancanza di previsioni che contemplino, anche per il personale direttivo, un orario normale di lavoro, tuttavia i giudici del gravame si sono sottratti al controllo del rispetto del limite della ragionevolezza; ossia non hanno verificato se, nella concretezza della vicenda sottoposta al loro giudizio, potesse dirsi valicato il limite della ragionevolezza, avuto riguardo non solo alla dimensione quantitativa della prestazione ma anche alle sue caratteristiche qualitative, per il tipo di mansioni espletate, in rapporto alle esigenze di tutela della salute e del riposo psico-fisico dei lavoratori; la Corte ha, invece, ritenuto sufficiente escludere che nella specie fosse stata proposta una domanda risarcitoria di inadempimento contrattuale dell'obbligo di preservare dall'usura psico-fisica del lavoratore ; ma il superamento del limite della ragionevolezza - secondo la giurisprudenza richiamata - fonda il diritto ad un compenso, secondo la valutazione equitativa del giudice, che è azione diversa rispetto al risarcimento del danno per violazione dell'articolo 2087 c.c.; 3. pertanto, accolto il primo motivo di ricorso, gli altri possono essere assorbiti, in quanto successivi in ordine logico-giuridico; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo che procederà a rinnovato esame della controversia uniformandosi a quanto statuito da questa Corte, anche sulla base dei precedenti richiamati, provvedendo poi alle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese.