È configurabile il reato di maltrattamenti anche per i cd. "separati in casa"

La frattura sentimentale, dalla quale scaturisce una mera coabitazione per ragioni economiche, di per sé non vale a collocare fuori dall’egida disciplinare propria dell’articolo 572 c.p. l’insieme di condotte vessatorie idonee a dare luogo al reato in questione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, torna sul tema dei maltrattamenti tra ex conviventi, chiarendo presupposti necessari per la configurabilità del reato ex articolo 572 c.p. La vicenda trae origine dal rigetto, da parte della Corte d'appello di Palermo, del gravame di un imputato condannato per maltrattamenti nei confronti della ex convivente. La difesa, con ricorso per cassazione, ha sottolineato l'assenza di “convivenza” idonea a configurare il reato di maltrattamenti: l'imputato e la dichiarante vivevano infatti, da almeno quattro anni, separati in casa, ciascuno svolgendo la propria vita in autonomia e dormendo in letti separati. La convivenza trovava ragion d'essere nella esigenza di vendere la comune abitazione così da saldare il mutuo cointestato. La Suprema Corte richiamando la giurisprudenza più recente e la sentenza della Corte Costituzionale n. 98/2021, ha ribadito che i concetti di “famiglia” e “convivenza” ai fini della configurabilità del reato previsto e punito dall'articolo 572 c.p. devono essere intesi nell'accezione restrittiva: «una comunità connotata da una radicata, stabile e qualificata relazione interpersonale, da una duratura comunanza d'affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà e assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela, o comunque, in caso di rapporti more uxorio, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorchè, ovviamente, non necessariamente continua». Non basta dunque la mera coabitazione, la quale resta comunque un passaggio imprescindibile per giungere ad una definizione della convivenza da valorizzare nell'ottica dei maltrattamenti, ma occorre una relazione interpersonale stabile, con una comunanza materiale e spirituale di vita e reciproche aspettative di solidarietà ed assistenza, anche in assenza di legami di sangue o matrimonio, tali da generare nei soggetti protagonisti momenti di reciproco affidamento dai quali scaturisce poi, la particolare vulnerabilità della vittima. Convivenza e coabitazione restano, dunque, due profili distinti. Ciò posto, elemento centrale del reato è, appunto, non tanto la mera condivisione degli spazi, ma la tensione psicologica patita dalla persona offesa che la lega all'agente e che deriva proprio dalla relazione para-familiare con questa: relazione che indebolisce le capacità oppositive e, al contempo, implementa le difficoltà nel fare emergere all'esterno le relative dinamiche illecite. Nei contesti para-familiari dunque, la coabitazione, seppur non necessariamente continuativa, è condizione necessaria, ma non sufficiente alla contestualizzazione in termini di maltrattamenti delle condotte abitualmente vessatorie. Nulla esclude, infatti, che anche altri collanti interpersonali tra due soggetti che condividono i medesimi spazi abitativi possano costituire la base di una relazione solidale da valorizzare nell'ottica dei maltrattamenti. Nel caso in esame, emerge un quadro descrittivo che dà conto di condotte vessatorie innestate, in origine, in un contesto sociale indiscutibilmente riconducibile al concetto di convivenza e che, a parere del Collegio, «si è mantenuto tale anche quando è venuto meno il legame sentimentale che in origine univa l'imputato e la persona offesa, a fronte della immodificata consistenza dei contegni aggressivi messi in atto dal primo ai danni della seconda pure nel periodo di protratta condivisione del comune spazio abitativo». La mera cessazione del rapporto sentimentale per la Suprema Corte, che aveva condotto alla scelta di coabitare all'interno del contesto sociale tipicamente proprio della convivenza apprezzata nell'ottica dei maltrattamenti ex art 572 c.p., «di per sé non vale a collocare fuori dall'egida disciplinare propria di tale previsione normativa l'insieme di condotte dal portato vessatorio che, riprodotte in termini seriali, possono dar luogo al reato in questione: queste ultime infatti, in genere finiscono per allignare e consolidarsi in consuetudini destinate a replicare quelle tipiche considerate dalla citata fattispecie incriminatrice».

Presidente Aprile Relatore Raddusa Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza descritta in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha rigettato il gravame proposto da C.M. avverso la condanna alla pena ritenuta di giustizia resa nei suoi confronti dal Tribunale locale perché responsabile del reato di maltrattamenti commesso ai danni della convivente M.T.I. in epoca anteriore e prossima al 2018 e sino al marzo del 2021. 2. Propone ricorso la difesa dell'imputato e prospetta tre ragioni di censura. 2.1. La prima doglianza riguarda la configurabilità del reato contestato perché le condotte maltrattanti sarebbero state realizzate in un contesto sociale che poteva dare corpo all'ipotesi della coabitazione ma alla convivenza legittimante il titolo di reato in contestazione. Come evidenziato dalla stessa persona offesa, infatti, l'imputato e la dichiarante da almeno quattro anni vivevano da separati in casa, ciascuno conducendo autonomamente la propria vita e dormendo in letti separati. Dichiarazioni, queste, che trovavano conferma in quelle dell'imputato, il quale aveva confermato tale disallineamento sentimentale, tanto che all'interno della medesima abitazione lo stesso ricorrente si era creato un appartamento distinto; e aveva anche precisando che la coabitazione ormai trovava ragion d'essere nella esigenza di realizzare la vendita della comune abitazione e saldare il mutuo residuo, comunemente contratto per la ristrutturazione dell'appartamento. Del resto, l'assenza di un programma di vita trovava ulteriore conferma nella scelta della ricorrente di rivolgersi ad un legale per intimare formalmente all'imputato di allontanarsi dalla abitazione comune, il tutto ancora prima dell'episodio del (OMISSIS) che costituì l'apice della conflittualità occorsa tra i due e il contestuale cessare anche della coabitazione. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso, la difesa si duole del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella loro massima estensione, scelta non argomentata dal Tribunale né dalla stesa Corte di appello che, sollecitata sul punto, avrebbe eccentricamente messo in discussione in sé la stessa meritevolezza delle attenuanti accordate dal primo giudice. 2.3. Con l'ultimo motivo di impugnazione, infine, si contesta la tenuta della motivazione spesa nel negare la sostituzione della pena detentiva irrogata con una delle pene sostitutive ex legge 689 del 1981. Considerato in diritto 1. Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni precisate di seguito. 2. Ad avviso della difesa, i giudici del merito, a fronte della situazione in fatto offerta dalla regiudicanda, avrebbero riscontrato i costituti propri dell'ipotesi di reato contestata senza attenersi alle indicazioni di principio rese dalla giurisprudenza di legittimità nel pervenire alla definizione concettuale di convivenza , da apprezzare nell'ottica propria dei maltrattamenti puniti ai sensi dell'articolo 572 cod. pen. 3. Sotto quest'ultimo versante giova ribadire che, come recentemente rimarcato da questa Corte alla luce della sollecitazione proveniente dal Giudice delle leggi (Corte Costituzionale, sentenza n. 98 del 2021, considerato in diritto sub 2.5.), il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici (articolo 14, preleggi), immediato precipitato del principio di legalità (articolo 25 Cost.), nonché la presenza di un apparato normativo che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell'àmbito di relazioni interpersonali non qualificate, impongono, nell'applicazione dell'articolo 572 cod. pen., di intendere i concetti di famiglia e di convivenza nell'accezione più ristretta: quella, cioè, di una comunità connotata da una radicata, stabile e qualificata relazione interpersonale, da una duratura comunanza d'affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, in caso di rapporti more uxorio, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua (si pensi, ad esempio, al frequente caso di coloro che, per ragioni di lavoro, dimorino in luogo diverso dall'abitazione comune, per periodi più o meno lunghi ma comunque circoscritti: in questi termini, Sez. 6, n. 15883 del 16/03/2022, Rv. 283436). 3.1. La coabitazione, dunque, può non essere continuativa ma resta il primo passaggio imprescindibile per giungere ad una definizione della convivenza da valorizzare nell'ottica dei maltrattamenti, laddove, come nella specie, gli agiti vessatori non siano stati realizzati ai danni di un familiare (Sez. 6, n. 30761 del 14 maggio 2023, n.m.). E nel caso, che le condotte a giudizio siano state realizzate in un contesto di condivisione dei medesimi spazi abitativi non è controvertibile. 3.2. I due profili convivenza e coabitazionerestano comunque distinti. Muovendo dalla coabitazione, per aversi una convivenza da valorizzare nel quadro normativo attestato dalla fattispecie incriminatrice in esame, occorrerà sempre verificare la presenza, tra i soggetti che condividono i medesimi spazi abitativi, di una relazione interpersonale qualificata: lungi dall'essere confuso con la mera coabitazione, il concetto di convivenza deve, infatti, essere espressione di una relazione personale caratterizzata da una reale condivisione e comunanza materiale e spirituale di vita, tale da generare, nei soggetti che ne sono protagonisti, momenti di reciproco affidamento che a loro volta finiscono per essere la scaturigine della particolare vulnerabilità della vittima (in motivazione, Sezione 6, n. 38336 del 2022). Il diverso e più rigoroso trattamento sanzionatorio che il legislatore prevede nel delitto di maltrattamenti trova infatti giustificazione non solo e tanto nella mera condivisione degli spazi abitativi, bensì nella tensione psicologica patita dalla persona offesa in ragione della particolare relazione interpersonale il contesto sociale di matrice para-familiare che la lega al soggetto maltrattante. Relazione che ne indebolisce le capacità oppositive e, al contempo, implementa proporzionalmente le difficoltà nel fare emergere all'esterno le relative dinamiche illecite, perii timore di una recrudescenza degli abusi ma anche per la paura di mettere in discussione la stabilità e i valori sottesi al complessivo ambito nel quale le relative aggressioni risultano realizzate. Risulta così ancor più acuito il grado di sofferenza patito dal soggetto maltrattato alla luce del contesto sociale nel quale si incuneano gli agiti vessatori considerati dalla fattispecie di riferimento. 3.3. Tutti questi aspetti mal si raccordano alla mera coabitazione, che, per un verso rappresenta, in assenza di vincoli familiari, la base costitutiva tipica all'interno della quale allignano le condotte maltrattanti di matrice domestica, ma che, per altro verso, di per sé, non può ritenersi necessariamente foriera di relazioni interpersonali che possano rendere uno dei protagonisti maggiormente vulnerabile solo in virtù della condivisione solidale della abitazione comune, né incrementa, altrettanto inevitabilmente, le difficoltà della vittima nel sottrarsi agli agiti violenti diretti a metterne in pericolo l'integrità fisica, psichica e morale. In altre e più semplici parole, dunque, può affermarsi, che nei contesti para-familiari, la coabitazione, seppur non necessariamente continuativa, è condizione necessaria ma non sufficiente alla contestualizzazione in termini di maltrattamenti delle condotte abitualmente vessatorie ascritte al prevenuto. 3.4. In tesi, nulla esclude che anche altri collanti interpersonali (ad esempio il mero rapporto di amicizia) tra due soggetti che condividono i medesimi spazi abitativi possano costituire la base di una relazione solidale da valorizzare nell'ottica dei maltrattamenti ex articolo 572 cod. pen. La diversa consistenza dei legami diversi da quello di matrice sentimentale -ordinariamente estranei ad una comunanza d'affetti foriera di reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza -, rispetto alla relazione posta a fondamento delle unioni di fatto o more uxorio e ai rapporti di matrice familiare che costituiscono il riferimento di base delle relazioni intersoggettive valorizzate dal reato in esame, finisce, tuttavia, per restringere notevolmente i canoni di accertamento in fatto dei presupposti ritenuti indispensabili nel definire il concetto di convivenza utile alla configurazione dei maltrattamenti: occorrerà, infatti, verificare una consuetudine di vita e una comunione di interessi consolidate nel tempo, corrispondenti ad una prassi comportamentale fondata su istanze di reciproca assistenza e solidarietà che di certo esondano gli argini della mera coabitazione ma anche i rapporti che non trovano fondamento in un legame di matrice sentimentale (in termini, Sez. 6, n. 10621 del 20/02/2024, Rv. 286293) 4. Ciò premesso, la sentenza gravata restituisce una situazione in fatto che correttamente i giudici del merito hanno ricondotto all'egida dell'art 572 cod. pen., facendo buon governo delle superiori indicazioni di principio. 5. L'imputato e la persona offesa, legati da un rapporto sentimentale, dopo un primo periodo di convivenza, decisero di trasferirsi presso la casa di proprietà della donna, facendone la base di un progetto di vita comune, tanto da ristrutturarla con provviste finanziari comuni, ricavate contraendo in solido un apposito mutuo. Ciò malgrado, sin da subito il ricorrente ebbe a mettere in atto, nella quotidianità, contegni vessatori, non smentiti dal ricorso, talmente intensi da portare la compagna ad abbandonare il domicilio comune nel 2018 e a querelare il C.M., per poi tornare sui suoi passi pochi mesi dopo, ritirando la querela e dando nuova continuità alla convivenza, facendo dunque rientro presso l'abitazione comune. L'atteggiamento vessatorio dell'imputato, tuttavia, non ebbe a cessare, tanto da determinare una rilevante frattura sentimentale tra i due, confermata dalle dichiarazioni della persona offesa: pacificamente, C.M. e la I. conducevano una vita da separati in casa, dormendo in stanze autonome. Ma ciò, altrettanto pacificamente, non ha fatto cessare le condotte aggressive e denigratorie, che da sempre avevano connotato il comune regime di vita, sino a sfociare nell'aggressione del (OMISSIS), evento che ha dato il via anche al venir meno della coabitazione. Ne emerge, in definitiva, un quadro descrittivo che dà conto di condotte vessatorie innestate, in origine, in un contesto sociale indiscutibilmente riconducibile al concetto di convivenza nei termini sopra rassegnati; e che, ad avviso del Collegio, si è tuttavia mantenuto tale anche quando è venuto meno il legame sentimentale che in origine univa l'imputato e la persona offesa, a fronte della immodificata consistenza dei contegni aggressivi messi in atto dal primo ai danni della seconda pure nel periodo di protratta condivisione del comune spazio abitativo. 6. Ad avviso della difesa, il lungo periodo di coabitazione sfrondato dal supporto del pregresso rapporto sentimentale e ormai giustificato solo da ragioni di convenienza economica, avrebbe reso gli originari conviventi soggetti del tutto estranei, protagonisti di una mera condivisione di spazi abitativi: gli agiti realizzati in un siffatto contesto, dunque, mal si attaglierebbero alle istituzioni sociali considerate dalla fattispecie in disamina. 7. L'assunto non convince. In disparte la difficoltà, in fatto, non risolta neppure dal ricorso, relativa alla possibilità di distinguere con nettezza gli agiti vessatori realizzati in costanza del detto legame da quelli messi in atto dopo il definitivo consolidarsi della relativa frattura sentimentale proprio per la ontologica fluidità delle interazioni soggettive che portano alla detta crasi, vieppiù in un contesto di perdurante coabitazione, ritiene la Corte che la pregressa relazione sentimentale abbia comunque fatto, nel caso, da chiave logica di lettura della ribadita protrazione delle condotte maltrattanti, legittimando o meglio agevolando quella passiva sopportazione che in genere connota la scelta della vittima di dare comunque continuità ad un regime domestico di fatto intollerabile. 7.1. Tale conclusione trova una prima conferma logica in una regola di esperienza poco controvertibile: le mere ragioni di matrice eminentemente economica, per quanto certamente pregnanti in determinati contesti e situazioni socio-economiche, non valgono comunque a giustificare la passività mostrata nel differire nel tempo le giuste reazioni alle condotte maltrattanti, vieppiù se protratte per periodi di tempo non indifferenti, come nella specie. Piuttosto, la scelta di sopportare comunque l'altrui contegno vessatorio malgrado il venir meno del legame sentimentale che ha fatto da scaturigine alla coabitazione, finisce per confermare, sul piano logico, la perdurante presenza delle medesime ragioni costitutive di quel contesto sociale che legittima l'ipotesi dei maltrattamenti ex articolo 572 cod. pen.: se ne replica, infatti, il portato para-familiare che fa da struttura fondante dell'indebolimento delle capacità oppositive della vittima essenzialmente sottese alla tutela garantita dalla disposizione in oggetto. 7.2. In tesi, dunque, la mera cessazione del rapporto sentimentale e della correlata comune progettualità di vita che, in origine, portano la scelta di coabitare all'interno del contesto sociale tipicamente proprio della convivenza apprezzata nell'ottica dei maltrattamenti ex articolo 572 cod. pen. -, di per sé stessa, non vale a collocare fuori dall'egida disciplinare propria di tale ultima previsione normativa l'insieme di condotte dal portato vessatorio che, riprodotte in termini seriali, possono dar luogo al reato in questione: questa ultime, infatti, in genere finiscono per allignare e consolidarsi in consuetudini destinate a replicare quelle tipicamente considerate dalla citata fattispecie incriminatrice. 7.3. Del resto, nel caso, le superiori considerazioni logiche trovano conferma concreta e immediata anche nelle ragioni poste a fondamento del litigio che ha dato luogo all'aggressione del 4 marzo 2021 (si vedano le ultime righe di pagina 9 della sentenza impugnata): ragioni coerenti con l'atteggiamento di gelosia nel tempo mantenuta dal ricorrente verso la persona offesa (mostrato nei confronti dell'amico L.D.: si veda pagina 10), puntualmente messe in evidenza dalla decisione gravata così da dare ulteriore contezza di un rapporto interpersonale destinato comunque a trovare riferimento essenziale nel precedente legame sentimentale e che per tale ragione non poteva non ritenersi capace di influenzare le (re)azioni dei protagonisti della vicenda che occupa. Da qui l'infondatezza del primo motivo di ricorso. 8. Sono inammissibili le ulteriori censure mosse con l'impugnazione. 8.1. Avuto riguardo alle attenuanti generiche, riconosciute dalla sentenza appellata ma non nella loro massima estensione, la Corte di appello ha motivato del tutto adeguatamente, facendo riposare il relativo giudizio di merito leva sulla specifica gravità dei fatti a giudizio e senza incorrere in alcuna incongruenza logica. Del resto, il ricorso è comunque generico perché manca di precisare le ragioni che nel caso avrebbero dovuto giustificare una diversa valutazione di merito. 8.2. Ad una conclusione identica si perviene con riguardo alla pena sostitutiva. Se è vero che erroneamente la sentenza gravata sembra subordinare la legittimità della sollecitazione in tal senso operata tramite l'appello ad una pregressa, analoga, richiesta da formulare, in sede di conclusioni, in primo grado onere che non trova conferma nel meccanismo processuale di cui all'articolo 545-bis cod. proc. pen. (si veda in motivazione, Sez. 6, n. 30711 del 30/05/2024, § 7.4.1.), è comunque a dirsi che: anche sul punto il ricorso è generico, giacché, a fronte della sintetica ma puntuale e logica valutazione spesa dalla Corte del merito nel giustificare il giudizio prognostico negativo reso nel caso ai sensi dell'articolo 58 della legge n. 689 del 1981, la difesa ha omesso di precisare quali siano gli elementi che nel caso possano portare ad una valutazione di segno opposto tali da far prevalere le istanze di matrice rieducativa legate alla possibile applicazione di una pena sostituiva a quella detentiva irrogata, non potendosi ritenere utili al fine il semplice riferimento alla scelta del primo giudice di mantenere la pena entro il minimo edittale e di accordare le generiche; ancor più radicalmente, la richiesta veicolata con l'appello, non risultava supportata da alcuna procura speciale in tal senso conferita dall'imputato al difensore. Da qui la decisione di cui al dispositivo che segue. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.