Verde semaforico per l’automobilista che svoltando a sinistra ha investito una donna intenta ad attraversare la strada utilizzando regolarmente le strisce pedonali. Purtroppo, le gravi lesioni riportate ne hanno causato la morte: condannato per omicidio stradale il guidatore.
Scenario del drammatico episodio è una strada cittadina della provincia calabrese. A finire sotto processo è un uomo, di quasi 80 anni, all’epoca. A lui viene contestato il reato di omicidio stradale, commesso, secondo l’accusa, per colpa generica e in violazione del Codice della Strada, perché «ad un incrocio ha svoltato a sinistra senza dare la precedenza ad un pedone – una donna – che stava regolarmente attraversando sulle strisce pedonali in prossimità del semaforo» e «l’ha colpita così all’altezza del bacino e degli arti inferiori con la parte centrale del cofano anteriore, procurandole le lesioni che, a distanza di alcune settimane, ne hanno determinato il decesso». Per i giudici di merito non ci sono dubbi: la ricostruzione proposta dall’accusa è corretta cosicché l’automobilista veniva condannato per omicidio stradale. In Cassazione però, la difesa prova a ridimensionare gli addebiti a carico dell’automobilista grazie ad alcuni dettagli: primo, «il semaforo era posto più a valle rispetto alle strisce pedonali e, quindi, i pedoni non erano garantiti dal sistema semaforico pedonale, perciò spettava alla persona offesa porre adeguata attenzione nell’attraversare la strada, del tutto incauta essendo stata, invece, la sua condotta»; secondo, «la corresponsabilità della vittima e la moderata velocità tenuta, anche in ragione dell’età avanzata, dall’automobilista»; terzo, «la circostanza che all’automobilista non è stata elevata alcuna contravvenzione per eccesso di velocità»; quarto, «nella svolta, il conducente aveva attivato l’indicatore di direzione, a dimostrazione di un comportamento rispettoso delle norme del Codice della Strada». Prima di esaminare lo specifico episodio, però, i magistrati di Cassazione richiamano il principio fissato dal Codice della Strada secondo cui vi è «l’obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione e in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale». Con specifico riferimento, poi, al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, vi è una precisa regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, sintetizzata nell’obbligo di attenzione che egli deve tenere al fine di avvistare il pedone, sì da potere porre efficacemente in essere i necessari accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento. In generale, poi, il dovere di attenzione del conducente, teso all’avvistamento del pedone, trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare; mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico e infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada, tra questi in particolare i pedoni. In sostanza, in tema di violazione stradale, il conducente di un veicolo è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone, implicando il relativo avvistamento la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale il conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo) al fine di prevenire il rischio di un investimento. Da ciò consegue che, nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la morte, rileva la sua avvistabilità da parte del conducente del veicolo investitore. È cioè «necessario che quest’ultimo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso. Occorre, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente del veicolo. Specifici obblighi comportamentali posti a carico del conducente sono finalizzati «anche a prevenire eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, che siano genericamente imprudenti (tipico il caso del pedone che si attarda nell’attraversamento, quando il semaforo, divenuto ‘verde’, ormai consente la marcia degli automobilisti), o che siano violativi degli obblighi comportamentali specifici, come l’attraversamento della carreggiata al di fuori degli appositi attraversamenti pedonali o passando anteriormente ad autobus, filoveicoli e tram in sosta alle fermate. Poi, il conducente ha, tra gli altri, anche l’obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui». Ne discende che «il conducente del veicolo può andare esente da responsabilità, in caso di investimento del pedone, non per il solo fatto che risulti accertato un comportamento colposo (imprudente o violativo di una specifica regola comportamentale) del pedone (una tale condotta risulterebbe concausa dell’evento lesivo, penalmente non rilevante per escludere la responsabilità del conducente), ma occorre che la condotta del pedone configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l’evento». Può quindi, escludersi la colpevolezza dell’automobilista solo quando quest’ultimo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile. Solo in tal caso, invero, l’incidente può eziologicamente ricondursi esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto ad essa. Applicando queste prospettive all’episodio oggetto del processo, è evidente la colpevolezza dell’automobilista, sanciscono i magistrati. Decisiva la ricostruzione della dinamica dell’incidente mortale, ricostruzione effettuata grazie alle immagini, di assoluto nitore, estratte dall’impianto di videosorveglianza in uso alla Questura. Detto impianto, posto a monitorare l’incrocio scenario dell’investimento, ha ripreso frontalmente e per intero il sinistro, corroborando le ipotesi avanzate dalla polizia giudiziaria, inizialmente formulate solo sulla base dei rilievi eseguiti subito dopo il sinistro. In sostanza, è provato che, nello svoltare a sinistra, rispettando il segnale ‘verde’ del semaforo, l’automobilista non abbia concesso, come avrebbe dovuto, la precedenza al pedone che stava regolarmente attraversando sulle strisce pedonali in prossimità del semaforo. In quei frangenti «nulla impediva all’automobilista di vedere la donna e, dunque, di comportarsi in modo conforme alle specifiche norme cautelari previste in tali casi» mentre «dal video si coglie, senza ombra di dubbio, come il conducente non abbia neanche accennato a rallentare la propria andatura o a frenare, così investendo in pieno la donna». Impossibile, secondo i magistrati, ipotizzare «un comportamento negligente o imprudente della vittima» risulta, come certificato dalle immagini del video, aver usato ogni esigibile accorgimento prima di attraversare la strada sulle strisce pedonali, avendo atteso lo spegnimento del semaforo rosso, mentre «l’automobilista ha violato le norme cautelari, avendo altresì impegnato l’incrocio oltre la linea di mezzeria e dunque parzialmente contromano ed avendo effettuato la manovra senza il dovuto rallentamento».
Presidente Dovere - Relatore Dawan Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la pronuncia emessa il 23 giugno 2023 dal locale Tribunale nei confronti di M.A. per il reato di omicidio stradale, commesso per colpa generica e in violazione degli articolo 140 e 154 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, perché, provenendo da via (OMISSIS), all'incrocio con la via (OMISSIS) (presidiata da semaforo), svoltava a sinistra senza dare la precedenza al pedone, R.L., che stava regolarmente attraversando sulle strisce pedonali in prossimità del semaforo. La attingeva così all'altezza del bacino e degli arti inferiori con la parte centrale del cofano anteriore procurandole le lesioni che, a distanza di alcune settimane, ne determinavano il decesso. 2. Avverso la sentenza di appello ricorre l'imputato, a mezzo del proprio difensore che solleva i seguenti motivi con cui deduce: 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione rispetto alla ricostruzione operata dai Giudici di merito che si contesta, sostenendone l'erroneità. In particolare, la difesa afferma che il semaforo era posto più a valle rispetto alle strisce pedonali e che, quindi, i pedoni provenienti da via (OMISSIS) non erano garantiti dal sistema semaforico pedonale, derivandone che spettava alla persona offesa porre adeguata attenzione nell'attraversare la strada, del tutto incauta essendo stata la sua condotta; 2.2. Violazione di legge per non essere stata riconosciuta l'attenuante di cui all'articolo 589-bis, comma 7, cod. pen., in ragione della corresponsabilità della vittima, come illustrata nel motivo che precede; 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione afferenti ad una mancata riduzione della pena, ribadendosi il comportamento concausale del pedone e sottolineando la moderata velocità dell'imputato, anche in ragione dell'età avanzata, nonché la circostanza che non gli sia stata elevata alcuna contravvenzione per eccesso di velocità, non essendo peraltro stato svolto alcun accertamento al riguardo. Secondo la difesa, la Corte territoriale avrebbe altresì omesso di considerare che gli agenti di polizia municipale sono intervenuti dopo che l'incidente era avvenuto e, dunque, non avrebbero accertato de visu la realtà dei fatti; 2.4. Errata applicazione degli articolo 140,154 e 191 cod. strada; 2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione, per non avere la Corte di appello tenuto in considerazione che, nella svolta, l'imputato aveva attivato l'indicatore di direzione, a dimostrazione di un comportamento rispettoso delle norme del codice della strada; 2.6. Vizio di motivazione in relazione alla posizione in cui è stata trovata la persona offesa e alla macchia che si è assunta essere liquido ematico senza che al riguardo vi fosse alcuna certezza. Allo stesso modo, la Corte di appello non avrebbe risolto l'equivocità in ordine alle vere cause del decesso del pedone. 3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Esso si appalesa, invero, manifestamente infondato, ripropositivo di motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito - dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour Sami, Rv. 277710) -, nonché esplicitamente volto ad investire profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in Cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Giova ricordare che, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi - dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti - e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428). Tanto premesso, va detto che la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto applicabili nella subiecta materia. Come è noto, le norme che presiedono al comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, sono principalmente rinvenibili nell'articolo 140 cod. strada - che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l'obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione e in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale - e negli articoli seguenti laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotte. Tra queste ultime, di rilievo, con riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono quelle indicate nell'articolo 191 cod. strada, che trovano il loro corrispettivo nel precedente articolo 190, che, a sua volta, precisa le regole comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone. In questa prospettiva, è evidente la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, sintetizzata nell' obbligo di attenzione che questi deve tenere al fine di avvistare il pedone sì da potere porre efficacemente in essere i necessari accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento. Il dovere di attenzione del conducente teso all'avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare; quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada, tra questi in particolare i pedoni [cfr., Sez. 4, n. 40908 del 13/10/2005, Tavoliere, Rv. 232422, massimata nei seguenti termini: In tema di violazione stradale, il conducente di un veicolo è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone, implicando il relativo avvistamento la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale il conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all'occorrenza, arrestare la marcia del veicolo) al fine di prevenire il rischio di un investimento. Da ciò consegue che, nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la morte, rileva la sua avvistabilità da parte del conducente del veicolo investitore. È cioè necessario che quest'ultimo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso; occorre, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente del veicolo]. I sopra richiamati obblighi comportamentali sono posti a carico del conducente anche per prevenire eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, che siano genericamente imprudenti (tipico il caso del pedone che si attarda nell'attraversamento, quando il semaforo, divenuto verde, ormai consente la marcia degli automobilisti), o che siano violativi degli obblighi comportamentali specifici, dettati dall'articolo 190 cod. strada (come l'attraversamento della carreggiata al di fuori degli appositi attraversamenti pedonali o passando anteriormente agli autobus, filoveicoli e tram in sosta alle fermate). Il conducente, infatti, ha, tra gli altri, anche l'obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui. Ne discende che il conducente del veicolo può andare esente da responsabilità, in caso di investimento del pedone, non per il solo fatto che risulti accertato un comportamento colposo (imprudente o violativo di una specifica regola comportamentale) del pedone (una tale condotta risulterebbe concausa dell'evento lesivo, penalmente non rilevante per escludere la responsabilità del conducente: cfr. articolo 41, comma 1, cod. pen.), ma occorre che la condotta del pedone configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l'evento, così come prevede l'articolo 41, comma 2, cod. pen. (cfr. Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, Calarco, Rv. 255288; Sez. 4, n. 44651 del 12/10/2005, Leonini, Rv. 232618: Nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la sua morte, è necessario che il conducente del veicolo investitore si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido e inatteso e, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente. Il conducente ha peraltro l'obbligo di ispezionare la strada costantemente, mantenere sempre il controllo del veicolo e prevedere tutte le situazioni di pericolo che la comune esperienza comprende). Ciò che può ritenersi solo allorquando il conducente del veicolo investitore (nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, generica o specifica) si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile. Solo in tal caso, invero, l'incidente potrebbe eziologicamente ricondursi esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest'ultima. 2.1. Il ricorrente sostiene una diversa ricostruzione dei fatti, imputando alla vittima la responsabilità di quanto accaduto. In tale prospettiva egli cerca di accreditarne una diversa ricostruzione, non consentita in sede di legittimità. La ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia è infatti rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione (Sez. 4, n. 54996 del 24/10/2017, Baldisseri, Rv. 271679). E la motivazione, nel caso di specie, si appalesa del tutto adeguata, perché non manifestamente infondata e corretta sul piano del diritto. Osserva la Corte territoriale che, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, la ricostruzione della dinamica del sinistro «è risultata essere stata un'operazione assolutamente lineare e del tutto coerente con le immagini, di assoluto nitore, estratte dall'impianto di videosorveglianza in uso alla Questura di Reggio Calabria». Detto impianto, posto a monitorare l'incrocio tra la via (OMISSIS) e la via (OMISSIS), continua la Corte di merito, ha ripreso frontalmente e per intero il sinistro, corroborando le ipotesi avanzate dalla polizia giudiziaria, inizialmente formulate solo sulla base di rilievi eseguiti subito dopo il sinistro. I Giudici di merito hanno così ritenuto provato che, nello svoltare a sinistra per immettersi nella via (OMISSIS), rispettando il segnale verde del semaforo, l'imputato non abbia concesso, come avrebbe dovuto, la precedenza al pedone R.L. che stava regolarmente attraversando sulle strisce pedonali la stessa via (OMISSIS) in prossimità del semaforo. La Corte di appello ha sottolineato che nulla impediva all'imputato, in quel frangente, di vedere la donna e, dunque, di comportarsi in modo conforme alle specifiche norme cautelari previste in tali casi e che dal video si coglieva, senza ombra di dubbio, come il M.A. non abbia neanche accennato a rallentare la propria andatura o a frenare, così investendo in pieno la donna. Del tutto infondate sono state motivatamente ritenute le censure difensive rispetto alla mancata valutazione, da parte del primo Giudice, di un comportamento negligente o imprudente della vittima. Al riguardo, la sentenza impugnata confuta (pp. 8 e 9) adeguatamente gli assunti difensivi, in questa sede di legittimità reiterati - per i quali la presenza del semaforo verde in via (OMISSIS), percorsa dal M.A., e del semaforo rosso (per le auto) in via (OMISSIS), in cui si trovavano le strisce pedonali percorse dalla vittima, proveniente dal marciapiede di via (OMISSIS), imponeva a quest'ultima di dare la precedenza all'autovettura condotta dal M.A. -, pervenendo a concludere, con motivazione immune dai sollevati vizi, che l'imputato ha violato le norme cautelari richiamate, avendo altresì impegnato l'incrocio oltre la linea di mezzeria e dunque parzialmente contromano ed avendo effettuato la manovra senza il dovuto rallentamento. Richiamati i principi più sopra evocati sulla responsabilità del pedone, ha escluso qualsiasi ipotesi di negligenza o imprudenza da parte della persona offesa che dal video risulta aver usato ogni esigibile accorgimento prima di attraversare la via (OMISSIS) sulle strisce pedonali, avendo atteso lo spegnimento del semaforo rosso prima di attraversare sulle strisce pedonali. Ha così correttamente escluso la configurabilità dell'invocata attenuante di cui all'articolo 589-bis, comma 7, cod. pen. I rilievi difensivi sulle cause della morte e sulla macchia ematica ritrovata sul luogo dell'Incidente costituiscono mere congetture, del tutto generiche e certamente inidonee a scalfire le risultanze processuali indicative di un quadro clinico scaturito dalle conseguenze del colpo subito (donna violentemente proiettata a terra, dove aveva battuto il capo sul selciato, riportando un trauma cranico e diverse emorragie cerebrali). 3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue Condanna della corrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.