Legittima la sospensione per l’avvocato che non riscontra le richieste del collega

L’avvocato ha l’obbligo di rispondere alle richieste informative provenienti dal collega, indipendentemente dal ruolo da questi rivestito. L’omissione integra una violazione dell’articolo 19 del Codice Deontologico Forense, e costituisce un illecito disciplinare.

Il caso Un avvocato presentava un esposto contro il comportamento scorretto di un collega nei suoi confronti, sostenendo che nonostante le ripetute richieste di informazioni ricevute, il collega, in qualità di domiciliatario di una compagnia di assicurazioni in una controversia di risarcimento danni, ometteva ogni forma di riscontro. Il Consiglio Distrettuale di Disciplina di Catania avviava un procedimento disciplinare per diversi capi di accusa, e soprattutto per violazione dell'articolo 19 del Codice Deontologico Forense, lamentando il mancato riscontro, tramite PEC, della richiesta di chiarimenti, in violazione dei principi di correttezza e lealtà. Al termine dell’istruttoria, il Consiglio Distrettuale di Disciplina riteneva provata la responsabilità dell'avvocato accusato per le condotte contestate, considerandole così gravi da compromettere la dignità della professione e l’affidamento di terzi: gli veniva quindi comminata la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per un anno. L'avvocato impugnava tempestivamente la decisione davanti al Consiglio Nazionale Forense, invocando la violazione del diritto di difesa in quanto la richiesta di rinvio per legittimo impedimento per motivi di salute non era stata accolta, e chiedendo «l’annullamento e archiviazione della notizia disciplinare per insussistenza di violazioni deontologiche», ovvero, ancora, «l’applicazione della più lieve sanzione dell’avvertimento o della censura». Sebbene l'avvocato ammettesse di aver tenuto la condotta contestata per cui risultava sanzionato, forniva elementi ritenuti idonei a giustificare tale condotta, «ponendo l’accento sull’assenza di qualsivoglia danno nei confronti della cliente, del corretto adempimento del mandato professionale, in quanto (anche se grazie ad altro legale) otteneva comunque la liquidazione del risarcimento che le era stato già riconosciuto, anche grazie alla sua attività volta ad interrompere i termini di prescrizione».  Al contempo, riconosceva di non aver risposto alla richiesta del collega inviata tramite PEC, dichiarando di averlo invece contattato immediatamente per giustificare la spendita del suo nome: di conseguenza, in considerazione delle spiegazioni fornite, per un comportamento senza dubbio sbagliato, che però non aveva avuto reali effetti deteriori sul diritto della cliente, il ricorrente eccepiva l’eccessività della sanzione irrogata. La decisione del CNF Il CNF ha confermato la responsabilità disciplinare dell'avvocato e la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina. In merito alla mancata risposta alle richieste del collega, il CNF ha affermato che «pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante per violazione dell’articolo 19 cdf l’avvocato che ometta di dare riscontro alle ripetute richieste di informativa del Collega, sia esso controparte, dominus o domiciliatario». Tuttavia, il Consiglio ritiene di intervenire con riferimento alla sanzione. Il CDD di Catania, infatti, «ha ritenuto di determinare la sanzione facendo riferimento alla sanzione prevista per la violazione più grave (quella del dovere di informazione di cui all’articolo 27 CDF), ritenendo congrua la scelta della misura aggravata, considerata la mancanza di resipiscenza dell’incolpato e la sussistenza di precedenti disciplinari». Sul punto, però, il Consiglio, richiamando una recente pronuncia (CNF n. 54/2024), chiarisce che «in ossequio al principio enunciato dall’articolo 21 cdf, nei procedimenti disciplinari l’oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell’incolpato e tanto al fine di valutare la sua condotta in generale, quanto a quello di infliggere la sanzione più adeguata, per la quale occorre effettuare un bilanciamento tra la considerazione di gravità dei fatti addebitati ed i concorrenti criteri di valutazione, quali ad esempio la presenza o assenza di precedenti disciplinari». Pertanto, secondo il CNF risulta «effettivamente eccessiva la sanzione di un anno di sospensione dell’attività professionale tenuto conto del complesso dei fatti e dei fini dichiarati dall’incolpato a giustificazione del comportamento che possono essere considerati plausibili nonché in ragione della considerazione delle risultanze di un procedimento disciplinare non definito con provvedimento esecutivo». Perciò, ritiene di accogliere parzialmente il ricorso riducendo la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione a quattro mesi.

CNF, sentenza n. 393/2024