Lodo arbitrale di condanna come aiuto di Stato illegittimo: la decisione della Commissione Europea

Il lodo pronunciato nel 2018, con cui un Tribunale arbitrale ordinava alla Spagna di pagare, a favore delle società Antin, un indennizzo per la modifica di una misura di sostegno alle energie rinnovabili, costituisce aiuto di Stato illegittimo, come tale incompatibile con la normativa europea.

Ne segue che è fatto divieto alla Spagna di procedere a qualsivoglia pagamento, esecuzione o implementazione di detto lodo. Anche i giudici degli Stati membri della UE devono conformarsi a tale decisione, adottando tutte le misure necessarie per impedirne il riconoscimento, l'esecuzione o l'attuazione in Paesi terzi. Il contenzioso tra Antin e la Spagna La controversia sfociata nel lodo giudicato illegittimo dalla Commissione riguardava le modifiche al regime normativo spagnolo in materia di investimenti nel settore energetico. Nel 2007, la Spagna introduceva una serie di misure di sostegno alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (omettendo di notificarle alla Commissione). Nel 2013, la Spagna modificava (con effetto retroattivo al regime introdotto nel 2007) le condizioni in base alle quali gli impianti rinnovabili potevano ottenere il sostegno statale. Tali modifiche venivano notificate anche alla Commissione che, nel 2017, emetteva una decisione (SA.40348) con cui riconosceva la compatibilità del nuovo regime con le norme UE in materia di aiuti di Stato. Le società Antin Infrastructure Services Luxembourg S.à.r.l. e Antin Energia Termosolar B.V., costituite, rispettivamente, in Lussemburgo e nei Paesi Bassi (qui di seguito, cumulativamente, “Antin”), che avevano investito in impianti a energie rinnovabili in Spagna, così beneficiando del regime del 2007, instauravano un giudizio arbitrale avverso la Spagna. Chiedevano di essere risarcite per il sostegno statale che avrebbero avuto il diritto di ricevere in base al regime del 2007, se non fosse stato modificato. Nel 2018, un Tribunale arbitrale (con lodo notificato alla Commissione) decideva in favore di Antin, statuendo che la Spagna, attraverso le modifiche del 2013, aveva violato il Trattato sulla Carta dell'Energia (“TCE”) e condannandola, per l'effetto, a un risarcimento per le perdite subite da Antin, quantificato in Euro 101 milioni, più interessi. L'investigazione della Commissione europea La Commissione avviava un'indagine approfondita, in ragione di una valutazione preliminare di incompatibilità del lodo con la normativa europea, nella misura in cui esso, avendo l'effetto di compensare la revoca di un aiuto illegittimo (quello del regime del 2007), appariva prima facie come aiuto di Stato illegittimo. La Commissione riteneva in particolare meritevoli di censura: a) la non conformità del lodo arbitrale ai principi di fiducia reciproca e di autonomia del diritto UE, alla luce della decisione della CGUE in Achmea (C-284/16); b) il vantaggio selettivo concesso ad una sola impresa, con il rischio di discriminare gli investitori in base alla nazionalità e alla loro capacità di accedere all'arbitrato internazionale; c) la non conformità del lodo arbitrale agli orientamenti della Commissione in materia di aiuti di Stato nel settore ambientale e dell'energia (espressi, rispettivamente, nel 2008 e nel 2014). La Commissione si riservava altresì di verificare se il sostegno supplementare, riconosciuto come dovuto ad Antin dal lodo, apparisse necessario per lo sviluppo di un'attività economica, avesse un effetto di incentivazione e fosse proporzionato. La decisione della Commissione europea Confermando i dubbi iniziali, la Commissione ha dunque concluso l'indagine qualificando il lodo arbitrale del caso di specie come aiuto di Stato illegittimo ai sensi dell'articolo 107, par. 1 TFUE, incompatibile con il funzionamento del mercato interno e in conflitto con gli articolo 19, par. 1, 267 e 344 TFUE, nonché con il principio generale di autonomia dell'ordinamento giuridico dell'UE. Ne segue il divieto alla Spagna di dare a detto lodo qualsivoglia attuazione o esecuzione (non si profila invece la necessità di procedere al recupero di alcuna somma, non essendone stata, nel caso di specie, versata alcuna). Trattandosi di arbitrato intra-UE (Spagna, da un lato, e investitori registrati in due Paesi UE, dall'altro), avviato sulla base di una clausola arbitrale del TCE, la Commissione ha fatto applicazione della recente giurisprudenza della CGUE sull'arbitrato in materia di investimenti (si vedano, in particolare, le decisioni in Achmea (C-284/16) e Komstroy (C-741/19)), richiamando altresì la propria comunicazione del 19 luglio 2018, in cui chiariva che il TCE ​​aveva creato diritti e obblighi solo nei rapporti UEStati terzi, senza influenzare le relazioni tra gli Stati membri della UE. Ha dunque concluso nel senso del conflitto dell'arbitrato intra-UE Antin c. Spagna (al pari di quanto accade con i trattati bilaterali di investimento) con le norme fondamentali del diritto UE (in particolare con quelle che riservano alla CGUE il compito esclusivo di garantire l'uniforme interpretazione ed applicazione del diritto UE) e con il principio generale di autonomia dell'ordinamento giuridico europeo. Al fine di vedere tutelati i propri diritti a fronte di misure illegittime, la Commissione ha sottolineato come agli investitori resti sempre aperta la possibilità di rivolgersi, alternativamente, alle corti nazionali (in caso di misure nazionali) o al Tribunale della CGUE (in caso di misure emesse dalle istituzioni europee). Profili problematici della decisione La decisione della Commissione esacerba la già non trascurabile tensione tra l'ordinamento UE e il diritto pubblico internazionale in materia di investimenti, ponendo la Spagna nella non agevole situazione di violare un'obbligazione internazionale, basata su un trattato, onde conformarsi con l'ordinamento UE. Eppure, non sorprende. Essa ripropone infatti quanto già statuito dalla medesima Commissione nella decisione n. 2015/1470 in relazione alla vertenza Micula v. Romania e si pone in linea di continuità con la forte ostilità di recente manifestata dalle istituzioni UE (in particolare CGUE e Commissione) nei confronti dell'arbitrato in materia di investimenti, ogniqualvolta interferisca con le policies e il sistema dei rimedi euro-unitari. Nella sentenza Achmea (C-284/16), la CGUE aveva infatti statuito che i meccanismi arbitrali basati sui trattati bilaterali di investimento (c.d. BITs), allorché riguardino una dimensione intra-UE, sono incompatibili con l'ordinamento delle competenze stabilito dai trattati europei e, quindi, con l'autonomia del sistema giuridico dell'Unione, di cui la CGUE, attraverso il meccanismo del rinvio pregiudiziale ex articolo 267 TFUE, è organo garante (articolo 344 TFUE): rinvio pregiudiziale cui i tribunali arbitrali basati su quei trattati non possono accedere né direttamente (non potendo essere annoverati tra le autorità giudiziarie o i tribunali degli Stati membri), né indirettamente (ossia per il tramite del giudice dell'impugnazione del lodo, in ragione della limitata possibilità di revisione “nel merito”, da parte delle autorità giudiziarie nazionali,  dei lodi impugnati). Nella sentenza Komstroy, la CGUE aveva invece stabilito che il TCE è parte integrante del diritto dell'UE e che la clausola arbitrale in esso inserita non può essere applicata in una controversia intra-UE . A seguito di tali decisioni, gli Stati membri hanno firmato una serie di dichiarazioni con cui, da un lato, hanno proceduto a “terminare” tutti gli intra-EU BITs di cui erano parti, decretandone l'estinzione e, dall'altro, hanno convenuto sulla non applicabilità del TCE come base per i procedimenti arbitrali intra-UE, con la conseguenza che il suo articolo 26 non può (e non ha mai potuto) fungere da base giuridica per i procedimenti di arbitrato intra-UE. Nella decisione della Commissione appare non poco problematica la qualificazione della condanna dello Stato, contenuta nel lodo, al pagamento di un indennizzo, in termini di “sovvenzione” volontaria concessa da quello stesso Stato al richiedente, a sua volta inquadrata come “aiuto di Stato” che, in quanto non notificato, risulta illegittimo. Una conclusione in contrasto con una risalente decisione della Corte di Giustizia nel caso Asteris (casi riuniti 106 a 120/87), in cui si era escluso che i risarcimenti dovuti dagli Stati membri ai singoli, per compensare i danni loro causati, potessero mai costituire aiuti ai sensi degli articolo 92 e 93 del trattato (norme sugli aiuti di Stato). Inquieta poi non poco che la UE dia istruzioni alle autorità giudiziari di tutti gli Stati membri di impedire, in qualunque forma, l'attuazione di obbligazioni giuridiche legittimamente assunte dagli Stati sulla base di trattati internazionali. Tale posizione di intransigente e persistente ostilità da parte della istituzioni UE rispetto all'arbitrato in materia di investimenti rischia di rendere, in prospettiva, maggiormente attraenti giurisdizioni extra-UE come sedi di giudizi arbitrali, non solo per investitori stranieri, ma anche per quelli europei (financo incentivando la strutturazione dei relativi investimenti attraverso società e succursali collocate al di fuori del territorio UE). Resta da vedere se, nel caso di specie, gli investitori, vittoriosi in arbitrato, si conformeranno alla decisione della Commissione o, come appare più probabile, la impugneranno dinanzi al Tribunale. In tal caso, l'esito finale della vicenda appare lungi dall'essere scritto, in considerazione della possibile ulteriore impugnazione della decisione che questo emetterà dinanzi alla Corte di Giustizia.