Patrocinio a spese dello Stato: l’imputato non è esonerato dal rimborsare le spese legali della parte civile

L’ammissione dell’imputato al patrocinio a spese dello Stato comporta che lo Stato può essere chiamato a sostenere, in luogo dello stesso imputato, solo le spese che sono connesse alla sua difesa e non anche le spese che sono conseguenza della sua soccombenza, in quanto l’obbligo dell’erario non si estende alla tutela di diritti ulteriori rispetto a quelli strettamente connessi alla sua difesa.

Nel caso in esame, il Tribunale, secondo la difesa del ricorrente, disponendo la liquidazione delle spese delle costituite parti civili a carico dell'imputato, si sarebbe posto in contrasto con il principio affermato dalla Corte di legittimità nel 2020, secondo cui: «in tema di patrocinio a spese dello Stato, ove l'imputato e la parte civile siano entrambi ammessi al beneficio, l'imputato, in caso di condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, non può essere condannato al pagamento delle spese processuali, restando queste a carico dell'erario». Per la Suprema Corte il ricorso non è fondato. Il Collegio ritiene non persuasiva la tesi sostenuta dal difensore poiché in aperta collisione con il principio generale secondo cui «l'ammissione dell'imputato al patrocinio a spese dello Stato comporta che lo Stato può essere chiamato a sostenere, in luogo dello stesso imputato, solo le spese che sono connesse alla sua difesa e non anche le spese che sono conseguenza della sua soccombenza». Infatti, la disposizione di cui all'articolo 110, comma 3, d.P.R. n. 115 del 2002 applicabile al caso in esame, non ha carattere eccezionale, ma detta una disciplina estensivamente applicabile a tutti i casi in cui sia l'imputato, sia la parte civile, siano ammessi al patrocinio a spese dello Stato, atteso che l'ammissione dell'imputato a tale beneficio «non incide sull'esistenza del suo obbligo di rimborsare le spese legali della parte civile e lo stesso rimborso non può che essere disposto in favore di chi tali spese ha effettivamente sostenuto e, quindi, in favore dello Stato». L'ammissione, sottolinea la Corte, non esclude che l'imputato possa disporre di redditi, anche se minimi, con i quali fronteggiare spese diverse da quelle correlate alla sua difesa.

Presidente Verga - Relatore Nicastro Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 13/11/2024, il Tribunale di Cosenza - al quale gli atti erano stati trasmessi a seguito dell'annullamento senza rinvio di una precedente ordinanza dello stesso Tribunale che era stato deciso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 24310 del 21/05/2024 -, ha disposto «la liquidazione delle spese delle costituite parti civili ponendole a carico dell'Imputato [N.S.] ed indicate in € 1500 complessivi». 2. Avverso tale ordinanza del 13/11/2024 del Tribunale di Cosenza, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. Carlo Monaco, N.S., affidato a un unico motivo, con il quale deduce, in relazione agli articolo 606, comma 1, lett. c), e 620 cod. proc. pen., la violazione degli articolo 110 e 133 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), per avere il Tribunale di Cosenza posto le spese processuali sostenute dalle parti civili a carico dell'imputato, nonostante sia lo stesso imputato sia le parti civili fossero stati ammessi al patrocinio a spese dello Stato. Così decidendo, il Tribunale di Cosenza si sarebbe posto in contrasto con il principio che è stato affermato da Sez. 5, n. 33103 del 22/09/2020, C., Rv. 279839-01 (e che è stato successivamente ribadito da Sez. 5, n. 31533 del 24/06/2021, Cannone, non massimata, e da Sez. 7, n. 33365 del 13/07/2021, Scarano, non massimata) secondo cui: «[i]n tema di patrocinio a spese dello Stato, ove l'imputato e la parte civile siano entrambi ammessi al beneficio, l'imputato, in caso di condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, non può essere condannato al pagamento delle spese processuali, restando queste a carico dell'erario. (In motivazione la Corte ha precisato che il difensore della parte civile potrà ottenere la liquidazione del compenso a lui spettante rivolgendo istanza al giudice competente ai sensi dell'articolo 83, comma 2, d.P.R. n. 115 del 2002)» (così la massima Rv. 279839-01). Considerato in diritto 1. L'unico motivo non è fondato. Il Collegio condivide l'orientamento maggioritario della Corte di cassazione secondo cui l'ammissione dell'imputato al patrocinio a spese dello Stato non comporta che siano a carico dell'erario le spese processuali sostenute dalla parte civile alla cui rifusione l'imputato stesso sia stato condannato (Sez. 4, n. 25854 del 27/02/2019, Cipollaro, Rv. 276457-01; Sez. F, n. 48907 del 30/08/2016, C., Rv. 268211-01; Sez. 5, n. 38271 del 17/07/2008, Cutone, Rv. 242026-01). Tale interpretazione trova il proprio fondamento nel disposto dell'articolo 107, comma 1, lett. f), del d.P.R. n. 115 del 2002, atteso che tale norma, con l'indicare, tra le spese che sono anticipate dall'erario, «l'onorario e le spese degli avvocati», non contempla altri avvocati che quelli che sono officiati della difesa del soggetto che è ammesso al beneficio. Lo Stato è infatti tenuto a sostenere solo le spese che sono necessarie alla difesa dell'imputato (o dell'altra parte ammessa al beneficio), giacché si sostituisce a costoro, attesa la loro condizione di soggetti non abbienti, al fine di garantire loro il diritto inviolabile alla difesa, ai sensi dell'articolo 24, secondo e terzo comma, Cost., con la conseguenza che l'obbligo dello Stato non si estende alla tutela di diritti ulteriori rispetto a quelli che sono appunto connessi alla difesa dell'imputato e che, quindi, lo stesso Stato non può essere chiamato a sostenere, in luogo dell'imputato, le spese che sono conseguenza della sua soccombenza. Tale interpretazione trova conforto anche nel tenore delle norme di cui all'articolo 74 del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui, in ossequio, appunto, all'articolo 24 Cost., è assicurato il patrocinio: per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa dal reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria (comma 1); nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate (comma 2). La stessa interpretazione, secondo cui lo Stato non può essere chiamato a sostenere, in luogo dell'imputato, le spese che sono conseguenza della sua soccombenza, in quanto l'obbligo dell'erario non si estende alla tutela di diritti ulteriori rispetto a quelli strettamente connessi alla sua difesa, si deve ritenere valevole sia nel caso in cui la parte civile non sia stata anch'essa ammessa al patrocinio a spese dello Stato (caso al quale si riferiscono le tre sentenze sopra citate), sia nel caso, che ricorre nel presente giudizio, in cui la parte civile sia stata anch'essa ammessa al patrocinio a spese dello Stato, come è stato da ultimo precisato da Sez. 3, n. 33630 del 31/05/2022, S., Rv. 283521-02. Quest'ultima pronuncia ha in particolare escluso che possa essere condivisa la minoritaria tesi di segno contrario, sostenuta, in particolare, da Sez. 5, n. 33103 del 22/09/2020, C., cit. (e, successivamente, anche dalle altre due pronunce che sono state richiamate dal ricorrente), secondo cui, in tema di patrocinio a spese dello Stato, ove l'imputato e la parte civile siano entrambi ammessi al beneficio, l'imputato, in caso di condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, non può essere condannato al pagamento delle spese processuali, restando queste a carico dell'erario. Questa tesi comporterebbe infatti l'esenzione, in tale caso, dell'imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato da una spesa ulteriore e diversa rispetto alle spese che sono correlate alla sua difesa e, in particolare, da una spesa, quella relativa alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile, alla quale l'imputato è invece tenuto sulla base del principio di soccombenza di cui all'articolo 541, comma 1, cod. proc. pen., il quale, per le ragioni che si sono dette, deve trovare applicazione anche nel caso in cui anche la parte civile sia stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Non appare persuasivo l'argomento, utilizzato da Sez. 5, n. 33103 del 22/09/2020, C., che fa leva sulla previsione dell'articolo 110, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002. Argomento secondo il quale, in sostanza, poiché tale comma 3 stabilisce che, «[c]on la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno il magistrato, se condanna l'imputato non ammesso al beneficio al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa al beneficio, ne dispone il pagamento in favore dello Stato» (corsivo dell'estensore), se ne dovrebbe ricavare, a contrario, che se l'imputato è stato invece ammesso al beneficio e, quindi, se siano stati ammessi ai patrocinio a spese dello Stato sia l'imputato sia la parte civile, non può essere pronunciata la condanna dello stesso imputato al pagamento delle spese processuali sostenute per la difesa della parte civile in favore dell'erario. Tale argomento, tuttavia, come si è detto, non persuade. Come è riconosciuto anche da Sez. 5, n. 33013 del 22/09/2020, C., nel caso in cui sia l'imputato sia la parte civile siano stati ammessi al patrocinio a spese dello Stato, il generale divieto di ingiustificato arricchimento esclude che l'imputato possa essere condannato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile direttamente in favore di questa, atteso che essa non ha sostenuto l'onere di pagare il proprio avvocato, il cui onorario e le cui spese sono state anticipate dall'erario. Ciò posto, la tesi che il suddetto argomento intende suffragare, cioè quella secondo cui, nel caso in cui sia l'imputato sia la parte civile siano stati ammessi al patrocinio a spese dello Stato, poiché non sarebbe asseritamente possibile condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile in favore dell'erario, tali spese dovrebbero restare a carico dello stesso erario, si pone in aperta collisione con il principio generale, che è stato sopra esposto e giustificato, secondo cui l'ammissione dell'imputato al patrocinio a spese dello Stato comporta che lo Stato può essere chiamato a sostenere, in luogo dello stesso imputato, solo le spese che sono connesse alla sua difesa e non anche le spese che sono conseguenza della sua soccombenza. Ne discende che, come è stato ritenuto, in modo del tutto condivisibile, da Sez. 3, n. 33630 del 31/05/2022, S., la disposizione di cui all'articolo 110, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002 - la quale appare peraltro disciplinare non tanto i rapporti tra lo Stato e l'imputato quanto i rapporti tra lo Stato e la parte civile -, non ha carattere eccezionale ma detta una disciplina che è estensivamente applicabile a casi analoghi a quello che è in essa espressamente contemplato, quale si deve ritenere essere quello in esame, in cui sia l'imputato sia la parte civile siano ammessi al patrocinio a spese dello Stato, atteso che, per quanto si è detto, l'ammissione dell'imputato a tale beneficio non incide sull'esistenza del suo obbligo di rimborsare le spese legali della parte civile e lo stesso rimborso non può che essere disposto in favore di chi tali spese ha effettivamente sostenuto e, quindi, in favore dello Stato. Né, come è stato osservato, in modo parimenti condivisibile, sempre da Sez. 3, n. 33630 del 31/05/2022, S., il fatto che l'imputato sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude in via generale che egli possa disporre di redditi, ancorché ridotti, con i quali fronteggiare spese diverse da quelle che sono correlate alla sua difesa. Non ha pregio, infine, neppure l'argomento, che è stato prospettato dal ricorrente nella memoria che è stata depositata dal suo difensore, che fa leva sull'utilizzo, nell'articolo 107, comma 3, lett. f), del d.P.R. n. 115 del 2002, del plurale «avvocati», atteso che, per le ragioni che si sono esposte, tale plurale deve essere inteso come riferimento alla categoria degli avvocati di chi sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato e non come riferimento all'onorario e alle spese, oltre che dell'unico difensore che può essere nominato da chi è stato ammesso al patrocinio, anche «del legale di controparte» (così la menzionata memoria). 2. Alla luce di tali considerazioni, non si ritiene che ricorrano i presupposti per devolvere la questione alle Sezioni unite della Corte di cassazione. 3. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.