I dettagli tradiscono l’ospite dell’albergo. Impossibile, secondo i giudici, ritenere esistente un contratto di deposito. Non decisiva la mera sistemazione del veicolo nell’area di parcheggio della struttura.
Scenario dell’episodio, risalente ad oltre dieci anni fa, è una struttura alberghiera che affaccia sul lago di Garda. Lì un uomo si reca per una settimana di vacanza, pagando regolarmente il costo del soggiorno, comprensivo, a suo dire, del servizio di parcheggio privato in uno spazio di pertinenza dell’hotel. A rendere meno piacevole la vacanza, però, c’è un’amara sorpresa: l’uomo scopre di avere subito il furto del proprio motoveicolo, posteggiato nel parcheggio privato dell’albergo. Per l’uomo è logico ritenere responsabile la società che gestisce la struttura. Consequenziale, quindi, la richiesta di risarcimento dei danni subiti, quantificati in 6mila euro, avanzata nei confronti dell’hotel, e ciò a fronte, secondo l’uomo, in ragione dell’inadempimento al contratto di deposito del motoveicolo. Su questo punto, però, la società alberghiera replica in modo secco: non si è mai concluso un contratto di deposito del motoveicolo, in quanto non vi è stata consegna delle chiavi né affidamento del veicolo. Per i giudici di merito non ci sono dubbi: il cliente dell’albergo non ha diritto ad alcun indennizzo. Ciò perché «lo spazio delimitato adibito a parcheggio dei clienti dell’albergo era privo di cancello e vi si poteva accedere liberamente dalla via pubblica» e «i cartelli indicanti che il parcheggio era incustodito erano presenti già al momento del fatto». Inoltre, sempre secondo i giudici di merito, «la videosorveglianza dell’area ove si trovava il parcheggio non equivaleva all’assunzione, da parte dell’albergatore, dell’obbligo di custodia dei veicoli ivi parcheggiati», e quindi «l’applicabilità della disciplina del deposito ordinario o del deposito alberghiero, con conseguente esclusione della responsabilità in capo all’albergatore, era determinata dalla consegna o meno del veicolo o delle relative chiavi all’albergatore, in quanto solo in caso di consegna poteva ritenersi concluso un ordinario contratto di deposito, essendo il contratto di natura reale». Di conseguenza, va esclusa, sempre secondo i giudici di merito, l’ipotesi dell’«affidamento incolpevole in capo al cliente in ordine all’assunzione, da parte dell’albergatore, dell’obbligo di custodia, essendo ciò impedito dalla presenza dei cartelli che rendevano evidente il carattere incustodito del parcheggio». Inutile il ricorso proposto in Cassazione dal cliente dell’hotel. Impossibile anche per i magistrati di terzo grado riconoscergli un indennizzo economico, a carico della società alberghiera, a seguito del furto del suo motoveicolo. Decisivo il riferimento al Codice Civile, meglio alla disposizione con cui si sancisce che «le previsioni sulla responsabilità dell’albergatore non si applicano ai veicoli». Logico, quindi, secondo i magistrati, «ricondurre il parcheggio in albergo alle norme generali relative alla custodia dei veicoli. Ne consegue che l’albergatore è chiamato a rispondere dei danni ai veicoli secondo le regole del deposito ordinario, a condizione che sia ravvisabile la conclusione di un contratto di deposito». In questa prospettiva, perciò, è utile richiamare il principio secondo cui «nell’ipotesi in cui un cliente consegni le chiavi del veicolo al vetturiere dell’albergo dove alloggia, con tale atto, che integra l’affidamento del veicolo e non la presa in consegna delle chiavi e del veicolo a titolo di cortesia, si perfeziona un ordinario contratto di deposito, da cui scaturiscono le relative obbligazioni a carico delle parti del rapporto». Applicando questa prospettiva alla vicenda oggetto del processo, è fondamentale prendere atto che tra primo e secondo grado si è esclusa «la conclusione tra albergatore e cliente di un contratto di deposito, con riguardo al parcheggio del veicolo nell’area scoperta e liberamente accessibile dalla via pubblica di pertinenza della struttura alberghiera». Prive di fondamento, precisano i magistrati di Cassazione, «le deduzioni del cliente dell’albergo, deduzioni secondo cui sarebbe stato concluso, per comportamento concludente, un contratto di parcheggio» poiché, invece, «si è escluso qualsiasi profilo di affidamento della cosa in custodia – ossia il motoveicolo – all’albergatore». Tirando le somme, «per sostenere l’esistenza di comportamento concludente tale da comportare la conclusione di un contratto che comportasse un obbligo di custodia in capo all’albergatore, il cliente presuppone l’esistenza di fatti non accertati in ordine alla collocazione, solo dopo l’accaduto, dei cartelli che avvertivano del fatto che il parcheggio era incustodito e in ordine al fatto che la videosorveglianza fosse destinata all’area di parcheggio». Di conseguenza, non è possibile neanche ravvisare, nella specifica vicenda, «l’offerta di un servizio di custodia» poiché mancanti «le caratteristiche tipiche del deposito, quali l’esistenza di uno spazio adibito al parcheggio chiuso e delimitato da sbarre in entrata e in uscita, l’assenza di cartelli prima dell’ingresso con l’avvertenza che si tratti di parcheggio non custodito, l’adozione di sistemi automatizzati per la procedura di ingresso e di uscita».
Presidente Falaschi – Relatore Cavallino Fatti di causa 1.B.C. ha convenuto avanti il Tribunale di Brescia Touring (OMISSIS) s.r.l., poi (OMISSIS) s.r.l., esponendo che aveva soggiornato dal 2 al 9 agosto 2014 presso l'hotel (OMISSIS) in (OMISSIS), ove la società convenuta esercitava attività di albergo ristorante, pagando costo del soggiorno comprensivo del servizio di parcheggio privato; ha lamentato di avere subito il furto del proprio motoveicolo Kavasaki ZX600J targato (OMISSIS) posteggiato nel parcheggio privato dell'albergo e ha chiesto il risarcimento dei danni subiti, in ragione dell'inadempimento al contratto di deposito, per l'importo complessivo di Euro 6.000,00. Si è costituita la società convenuta contestando che si fosse concluso contratto di deposito del motoveicolo, in quanto non vi era stata consegna né delle chiavi né affidamento del veicolo, e chiedendo perciò il rigetto della domanda. Con sentenza n. 3375/2017, il Tribunale di Brescia ha rigettato la domanda e con sentenza n. 1156/2020 depositata il 29-10-2020 la Corte d'appello ha rigettato l'appello. La sentenza, premesso -tra l'altroche la sentenza di primo grado aveva dichiarato che lo spazio delimitato adibito a parcheggio dei clienti dell'albergo era privo di cancello e vi si poteva accedere liberamente dalla via pubblica, ha accertato, sulla base della deposizione del teste M., che i cartelli indicanti che il parcheggio era incustodito erano presenti già al momento del fatto e ha dichiarato che la videosorveglianza con telecamera dell'area ove si trovava il parcheggio non equivaleva all'assunzione dell'obbligo di custodia dei veicoli ivi parcheggiati da parte dell'albergatore. Ha dichiarato che l'applicabilità della disciplina del deposito ordinario o del deposito alberghiero, con conseguente esclusione della responsabilità in capo all'albergatore ai sensi dell'articolo 1785-quinquies cod. civ., era determinata dalla consegna o meno del veicolo o delle relative chiavi all'albergatore, in quanto solo in caso di consegna poteva ritenersi concluso un ordinario contratto di deposito, essendo il contratto di natura reale. Ha escluso anche che si potesse ipotizzare un affidamento incolpevole in capo al cliente in ordine all'assunzione da parte dell'albergatore dell'obbligo di custodia, essendo ciò impedito dalla presenza dei cartelli che rendevano evidente il carattere incustodito del parcheggio. 2.Avverso la sentenza B.C. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di unico articolato motivo. In data 10-7-2024 il consigliere delegato ex articolo 380-bis cod. proc. proc. ha depositato proposta di definizione accelerata nel senso della manifesta infondatezza del ricorso e il 22-8-2024 il difensore del ricorrente munito di nuova procura speciale ha chiesto la decisione del ricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex articolo 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell'adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa. All'esito della camera di consiglio del 14-1-2025 la Corte ha riservato il deposito dell'ordinanza. Ragioni della decisione 1. Preliminarmente, rileva la Corte che nel procedimento ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell'articolo 380-bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli articolo 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024). Sulla scorta di tale pronuncia, il cons. M. C., autore della proposta di definizione ex articolo 380 bis c.p.c., non versa in situazione di incompatibilità. 2.Con il motivo di ricorso il ricorrente deduce in primo luogo (“a. sull'obbligo di custodia in capo alla struttura alberghiera”) l'erronea applicazione ex articolo 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. dell'articolo 1785-quinquies cod. civ. in quanto sostiene che, date le condizioni di fatto in cui era stato posteggiato il veicolo, non poteva che ritenersi perfezionato tra le parti, per comportamento concludente, un contratto di deposito; ciò perché, nel caso in cui una struttura alberghiera metta a disposizione del cliente la propria area pertinenziale, delimitata e assoggettata a regime di sorveglianza, finisce per offrirgli un servizio di custodia del veicolo ivi parcheggiato, per cui il contratto è perfezionato senza la consegna delle chiavi del mezzo. Quindi (“b. sull'errata valutazione delle prove acquisite”) il ricorrente sostiene che erroneamente il giudice di primo e quello di secondo grado abbiano ritenuto provata la presenza dei cartelli che avvertivano che il parcheggio era incustodito, senza considerare che l'attore aveva sempre sostenuto che all'epoca dei fatti i cartelli non erano presenti e che la circostanza risultava dalle fotografie prodotte dall'attore, nonché senza considerare che i testimoni erano dipendenti della società convenuta. Di seguito (“c. sul conseguente diritto del ricorrente al risarcimento dei danni”) il ricorrente ripropone le sue deduzioni sull'entità del danno subito. 3.Il motivo di ricorso è inammissibile nella parte in cui (paragrafo lett.b) deduce l'errata valutazione delle prove subite. E' pacifico che la doglianza non può essere proposta ai sensi dell'articolo 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. ma solo ai sensi dell'articolo 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. e nella fattispecie si esclude di poter riqualificare il motivo in termini corretti. In primo luogo, la proposizione di motivo ex articolo 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. è preclusa ai sensi dell'articolo 348-ter co.5 cod. proc. civ. ratione temporis vigente, in ragione dell'introduzione del giudizio d'appello successivamente all'11-9-2012 (la sentenza di primo grado è stata pubblicata nel 2017) e dell'introduzione del giudizio di cassazione prima del 28-2-2023, vertendosi in ipotesi di doppia conforme , avendo la sentenza d'appello integralmente confermato la sentenza di primo grado. Inoltre il ricorrente neppure individua il fatto o i fatti decisivi dei quali sarebbe stato omesso l'esame, come imposto dall'articolo 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., ma ripropone una complessiva rilettura del materiale probatorio in termini in sé inammissibili nel giudizio di legittimità. Il motivo è infondato nella parte in cui sostiene l'erronea applicazione dell'articolo 1785-quinquies cod. civ., perché la disposizione è chiara e inequivocabile nel disporre che le previsioni sulla responsabilità dell'albergatore non si applicano ai veicoli e perciò nel ricondurre il parcheggio in albergo alle norme generali relative alla custodia dei veicoli. Ne consegue che l'albergatore è chiamato a rispondere dei danni ai veicoli secondo le regole del deposito ordinario, a condizione che sia ravvisabile la conclusione di un contratto di deposito. In questa prospettiva, è stato enunciato il principio secondo il quale, nell'ipotesi in cui un cliente consegni le chiavi del veicolo al vetturiere dell'albergo dove alloggia, con tale atto, che integra l'affidamento del veicolo e non la presa in consegna delle chiavi e del veicolo a titolo di cortesia, si perfeziona un ordinario contratto di deposito, dal quale scaturiscono le relative obbligazioni a carico delle parti del rapporto (Cass. Sez. 3 12-3-2010 n. 6048 Rv. 612229-01). Nella fattispecie la Corte d'appello, con l'accertamento in fatto spettante al giudice di merito e in quanto tale estraneo al perimetro del motivo proposto ai sensi dell'articolo 360 co. 1 n.3 cod. proc. civ., ha escluso che sia stato concluso tra l'albergatore e il cliente contratto di deposito, con riguardo al parcheggio della vettura nell'area scoperta e liberamente accessibile dalla via pubblica di pertinenza della struttura alberghiera. Non rilevano le deduzioni del ricorrente secondo le quali sarebbe stato concluso per comportamento concludente contratto di parcheggio, in quanto anche la conclusione del contratto per comportamento concludente presuppone un accertamento in fatto, che nella fattispecie è stato eseguito dal giudice di merito nel senso di escludere qualsiasi profilo di affidamento della cosa in custodia all'albergatore. La pronuncia si sottrae alle critiche del ricorrente, perché per sostenere l'esistenza di comportamento concludente tale da comportare la conclusione di contratto che comportasse obbligo di custodia in capo all'albergatore il ricorrente presuppone l'esistenza di fatti non accertati -in ordine alla collocazione dei cartelli che avvertivano del fatto che il parcheggio era incustodito solo dopo l'accaduto e in ordine al fatto che la videosorveglianza fosse destinata all'area di parcheggio-. Quindi, non ricorrono neppure i presupposti per applicare alla fattispecie i principi enunciati da questa Corte nei precedenti che hanno ravvisato l'offerta di un servizio di custodia nel caso della presenza delle caratteristiche tipiche del deposito, quali l'esistenza di uno spazio adibito al parcheggio chiuso e delimitato da sbarre in entrata e uscita, l'assenza di cartelli prima dell'ingresso con l'avvertenza che si trattasse di parcheggio non custodito, l'adozione di sistemi automatizzati per la procedura di ingresso e uscita (cfr. Cass. Sez. 2 27-6-2023 n. 18277 Rv. 668069-01, per tutte). 4.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente è condannato alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità. Inoltre, poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ex articolo 380-bis cod. proc. civ., devono essere applicati, come previsto dal comma terzo dello stesso articolo 380-bis cod. proc. civ., il terzo e il quarto comma dell'articolo 96 cod. proc. civ., con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento a favore della controricorrente di somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo, nonché al pagamento di ulteriore somma a favore della cassa delle ammende. Come evidenziato da Cass. Sez. U 27-9-2023 n. 27433 (Rv. 668909-01) e Cass. Sez. U 13-10-2023 n. 28540 (Rv. 669313-01), l'articolo 380-bis co.3 cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l'articolo 96 co. 3 e 4 cod. proc. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un'ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata. Infine, in considerazione dell'esito del ricorso, ai sensi dell'articolo 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.300,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege; condanna il ricorrente ex articolo 96 co. 3 e 4 cod. proc. civ. al pagamento di Euro 2.300,00 a favore della controricorrente e di Euro 900,00 in favore della cassa delle ammende. Sussistono ex articolo13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.