In materia di sequestro preventivo per equivalente su conti cointestati, la Cassazione ribadisce la prevalenza della disponibilità effettiva sull’intestazione formale delle somme.
La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, affronta il tema della legittimità del sequestro preventivo per equivalente su somme depositate su conti correnti, depositi, titoli e rapporti finanziari cointestati tra indagato e soggetto estraneo al reato, con particolare attenzione al caso in cui la quota delle somme sia formalmente intestata anche a un terzo, qui la coniuge dell'indagato. Il ricorso avverso la conferma del sequestro, proposto dalla parte estranea sulla base della presunzione civilistica della comproprietà al 50% delle somme, viene dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte, la quale conferma l'orientamento già consolidato secondo cui ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, ciò che rileva è la disponibilità effettiva delle somme da parte dell'indagato, anche quando siano formalmente intestate, in tutto o in parte, a terzi. In particolare, la Corte richiama la giurisprudenza di legittimità che esclude la rilevanza delle presunzioni civilistiche (articolo 1289 e 1834 c.c.) in ordine alla ripartizione delle somme tra cointestatari, affermando che la misura cautelare reale si estende ai beni comunque nella disponibilità soggettiva dell'indagato. La restituzione in favore del terzo estraneo è subordinata alla prova della titolarità esclusiva delle somme sequestrate. In assenza di tale dimostrazione, la regola della disponibilità prevale su quella formale dell'intestazione, con conseguente legittimità del mantenimento del vincolo cautelare. Il secondo profilo affrontato riguarda l'applicabilità dei limiti di impignorabilità ex articolo 545 c.p.c. anche al sequestro preventivo per equivalente. La Corte chiarisce che tali limiti, sebbene applicabili all'indagato, non possono estendersi automaticamente al terzo cointestatario, il quale, per ottenere la restituzione, deve fornire prova della propria esclusiva titolarità delle somme. Se il denaro risulta solo apparentemente intestato al terzo infatti, i limiti di impignorabilità operano solo in favore dell'indagato effettivo dominus delle somme.
Presidente Andreazza - Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con l'impugnata ordinanza, il Tribunale di Lecce, decidendo sull'appello ex articolo 322 bis cod.proc.pen., proposto da A.D., ha confermato l'ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale con cui è stata rigettata la richiesta di restituzione delle somme di denaro, depositate su conto corrente bancario, deposito titoli e altro cointestati, oggetto di un sequestro preventivo disposto nei confronti di C.F., nell'ambito di un procedimento penale per i reati di cui agli articolo 416 cod.pen., 640 bis cod.pen. e 8 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, articolo 119 comma 13 bis d.l. n. 34 del 2020. Il sequestro preventivo, avente ad oggetto i crediti d'imposta ceduti dalla (OMISSIS) srl per un ammontare di € 25.267.389,00 da eseguirsi mediante blocco sul portale dell'Agenzia delle entrate, nonché il sequestro preventivo dei crediti d'imposta attualmente nel cassetto fiscale per € 42.160.281,00, anche nella forma per equivalente, è stato eseguito per equivalente, vista l'incapienza della società, sul saldo presente sui conti correnti, deposito titoli, rapporti finanziari, buoni fruttiferi e libretto nominativo di risparmio, del C.F. cointestati con la moglie A.D. la quale aveva chiesto la restituzione pro quota nella misura del 50%, in ragione della contitolarità dei conti correnti, deposito titoli e dei rapporti finanziari, restituzione respinta dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Lecce con provvedimento confermato dal Tribunale del riesame. 2.1. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di A.D., articolando due motivi di ricorso. 2.2. Con il primo si lamenta violazione di legge in relazione all'articolo 325 cod. proc. pen. in relazione alla mancanza di condizioni legittimanti il provvedimento di sequestro per equivalente nei confronti del terzo. L'ordinanza impugnata avrebbe confermato l'originario provvedimento del gip, che aveva rigettato il dissequestro della quota del 50% del saldo dei rapporti di conto corrente bancario, deposito titoli e libretti, in virtù della comune intestazione degli stessi ai due coniugi C.F. indagato e A.D., soggetto non indagato ed estraneo ai fatti oggetto di contestazione, in violazione di legge e segnatamente della presunzione secondo cui almeno il 50% di quanto giacente sui conti sarebbe di proprietà della A.D., soggetto non indagato e non avrebbe tenuto conto che i denari presenti sui conti correnti cointestati non erano di derivazione illecita, ma avevano acquistato interesse cautelare esclusivamente per il loro valore. Da cui la conclusione dell'insequestrabilità della quota del 50% delle somme di denaro ivi giacenti. Sotto altro profilo, il Tribunale avrebbe ritenuto la prova positiva della riferibilità all'indagato C.F. delle somme sequestrate, cadendo, invero nel travisamento della prova e con motivazione illogica dal momento che il tribunale non si sarebbe avveduto, da cui il denunciato travisamento, che la A.D. era contitolare dei conti ben prima del 2021 che alimentava con le sue retribuzioni. 2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge in relazione alla mancata applicazione al sequestro preventivo dei limiti di impignorabilità ex articolo 545 cod. proc. civ. 3. Il Procuratore generale ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Va premesso che il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse in sede di appello contro i provvedimenti di sequestro preventivo è proponibile - ai sensi del combinato disposto degli articolo 322 bis e 325 cod.proc.pen. - solo per violazione di legge, e che costituisce violazione di legge , legittimante il ricorso per cassazione a norma dell'articolo 325, comma primo, cod. proc. pen. sia l'omissione assoluta di motivazione sia la motivazione meramente apparente (Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, P.M. in proc. Baronio e altro, Rv. 264011; Sez 1, n. 6821 del 31/01/2012 Chiesi, Rv. 252430; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710). Non possono essere conseguentemente dedotti con il predetto mezzo di gravame i vizi della motivazione, quali la mancanza o la manifesta illogicità della stessa, che sono separatamente previsti come motivi di ricorso dall'articolo 606 lett. e) cod.proc.pen. E' pertanto inammissibile la censura della ricorrente sull'asserito travisamento della prova e in ordine alla valutazione, peraltro in chiave alternativa, della produzione documentale (estratti conto da cui risultavano accrediti mensili della retribuzione della ricorrente). La censura di violazione di legge dedotta nel primo motivo risulta manifestamente infondata. 3. L'ordinanza impugnata, sulla premessa di fatto, non oggetto di censura, che il sequestro preventivo per equivalente è stato eseguito su somme di denaro presenti su conti correnti bancari, rapporti finanziari, deposito titoli, cointestati con il coniuge A.D., terza interessata non indagata nei reati contestati al coniuge che aveva chiesto la restituzione della quota del 50% delle giacente attive, ha disatteso l'appello cautelare richiamando l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini del sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente di cui all'articolo 322-ter cod. pen. della somma di denaro depositata su un conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato, la misura preventiva reale si estende ai beni comunque nella disponibilità dell'indagato, senza che a tal fine possano rilevare presunzioni o vincoli posti dal codice civile (articolo 1289 e 1834 cod. civ.) per regolare i rapporti interni tra creditori e debitori solidali o i rapporti tra banca e depositante, ferma restando la possibilità nel prosieguo di procedere ad un effettivo accertamento dei beni di esclusiva proprietà di terzi estranei al reato (Sez. 6 n. 24432 del 18/04/2019, Rv. 276278 - 01; Sez. 2, n. 36175 del 07/06/2017 Rv. 271136 - 01). Sin da risalenti pronunce la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che le somme di denaro, depositate su conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato, sono soggette a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, in quanto quest'ultimo si estende ai beni comunque nella disponibilità dell'indagato, non ostandovi le limitazioni provenienti da vincoli o presunzioni operanti, in forza della normativa civilistica, nel rapporto di solidarietà tra creditori e debitori (articolo 1289 cod. civ.) o nel rapporto tra istituto bancario e soggetto depositante (articolo 1834 cod. civ.) (Sez. 6, n. 40175 del 14/03/2007, Squillante, Rv. 238086 - 01; Sez. 3, n. 45353 del 19/10/2011, Rv. 251317 - 01). L'ordinanza impugnata, condividendo il principio di diritto qui riportato, ha disatteso la censura difensiva che sosteneva la restituzione della quota del 50% dei saldi attivi in ragione della presunzione di natura civilistica, in presenza di conto cointestato, che, nuovamente riproposta, rende il motivo inammissibile a cagione della sua manifesta infondatezza. 4. L'ordinanza impugnata ha, poi, argomentato che, nel caso in scrutinio, vi era la prova positiva della riferibilità all'indagato C.F. delle somme di denaro transitate e depositate sui conti correnti (cfr. pag. 3), prova desunta dagli elementi provenienti dalla documentazione bancaria proveniente dalla difesa e segnatamente dall'estratto conto (sul punto di rimanda a pag. 3 dell'ordinanza impugnata anche là dove disattende la tesi difensiva, ora nuovamente riproposta qual vizio di motivazione per travisamento della prova, che i conti correnti fossero alimentati sin da prima del 2021 dalle retribuzioni della ricorrente). L'ordinanza impugnata ha reso una motivazione che, fondata su elementi di fatto presenti in atti, non può dirsi mancante né apparente ed è giuridicamente corretta là dove ha ritenuto dimostrata, sulla base degli elementi di fatto in atti, la provenienza, a livello indiziario, dall'indagato delle somme transitate sui conti e deposito titoli e ivi giacenti, (Sez. 6, n. 19766 del 11/12/2019, Rv. 279277 - 01), senza compiere alcuna inversione dell'onere probatorio nei confronti della terza estranea al reato. 5. La dedotta violazione dell'articolo 545 cod. proc. civ. è inammissibile per due ordini di ragioni. In primo luogo, la violazione di legge non era stata devoluta nell'appello cautelare e pertanto, in ragione dell'effetto devolutivo, non può essere dedotta per la prima volta in cassazione. In secondo luogo, rileva, il Collegio, che la disposizione di cui all'articolo 545 cod. proc. civ., secondo cui i limiti di impignorabilità previsti dall'articolo 545, comma 3, cod. proc. civ. si applicano anche alla confisca per equivalente ed al sequestro ad essa finalizzato (Sez. U, n. 26252 del 24/02/2022, Cinaglia, Rv. 283245 - 01) e operano, in ragione del proprio fondamento costituzionale, in ogni fase del procedimento cautelare reale (Sez. 6, n. 35868 del 10/09/2024, Polato, Rv. 286967 - 01), riguarda unicamente l'indagato a cui sono state sequestrate le somme di denaro, non potendo valere, i citati limiti di impignorabilità, nei confronti dei terzi estranei al reato ai quali, se dimostrata la titolarità delle somme in sequestrato, avranno diritto alla restituzione integrale delle stesse. In altri termini, se il denaro è nella solo apparente titolarità del terzo, i limiti di impignorabilità non possono che riguardare l'indagato, effettivo dominus delle somme ablate; se, invece, le somme oggetto di sequestro appartengono effettivamente al terzo estraneo, sarebbero mancanti gli stessi presupposti applicativi della misura, con conseguente irrilevanza dei limiti di impignorabilità. 6. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'alt. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.