Legittimo parlare di estorsione se la somma di denaro viene sottratta, con le buone e, soprattutto, con le cattive, ad una persona fragile dal punto di vista emotivo. Impossibile qualificare i fatti in circonvenzione di incapace.
Scenario della vicenda è la provincia di Bari. Ad essere preso di mira è un uomo fragile, malato di epilessia e oramai abituato a stare da solo. A lui vengono sottratte, in diverse occasioni, da due uomini, alcune somme di denaro. Inevitabile, secondo i giudici di merito, catalogare i fatti come estorsione e rapina, con conseguente condanna dei due uomini sotto processo. A proporre ricorso per cassazione è però solo uno dei due autori delle azioni criminose, con l'obiettivo di ottenere la qualificazione del fatto come circonvenzione di persona incapace. Ciò perché la vittima, spiega il legale, è risultata essere «un soggetto assolutamente solo al mondo, per di più malato di epilessia, impossibilitato a guidare, in ogni caso facilmente impressionabile, circostanze, queste, che lo hanno posto in quello stato di oggettiva fragilità e debolezza psichica tipiche del reato di circonvenzione di incapace». Peraltro, annota ancora la difesa, si è parlato di «condotte estorsive mediante minacce», ma, allo stesso tempo, si è evidenziato che «la persona offesa ha per lungo tempo confidato nella buonafede e nell’amicizia dei due uomini sotto processo, tant’è che non li ha denunciati per un lungo periodo». Non a caso, è emersa «la totale assenza di metus prodotto dalle condotte dell’uomo sotto processo, il quale, lungi dall’apparire minaccioso agli occhi della vittima, riusciva, attraverso attività decettiva, ad ottenerne la piena fiducia», tanto che «la vittima, ingenuamente, credeva nella amicizia e nella buonafede di coloro che gli chiedevano con varie scuse del denaro». Infine, il legale evidenzia che già dalle dichiarazioni rese in dibattimento dalla vittima è emersa «la sua situazione di fragilità psicologica e lo stato di decadimento cognitivo che ha consentito di approfittarne con semplici attività ingannatorie», e quindi «quelle che sono state considerate minacce estorsive, invece, possono essere ricondotte a ipotesi di abuso della sua credulità su fatti e circostanze inesistenti». A fronte delle obiezioni difensive, però, i magistrati di Cassazione ritengono assolutamente condivisibile la valutazione compiuta dai giudici d’Appello. Impossibile, in sostanza, escludere il reato di estorsione, e ipotizzare invece solo una situazione di approfittamento della situazione di fragilità psicologica e facile suggestionabilità della persona offesa. Decisivo il riferimento proprio alle dichiarazioni della persona offesa, la quale ha descritto con chiarezza «plurime condotte poste in essere dall’uomo sotto processo, condotte senz’altro idonee a ingenerare nel destinatario il timore di subire mali ingiusti se non avesse soddisfatto le richieste di denaro». E in questa ottica è sfavorevole all’uomo sotto processo anche «il lungo lasso di tempo in cui la persona offesa, confidando nell’amicizia e buona fede, ha evitato di denunciarlo» alle forze dell’ordine, vista anche la pregressa conoscenza. E «la mancata iniziale denuncia non vuole dire, come sostiene la difesa, che non vi siano state, in un momento successivo, delle condotte esplicitamente minacciose che hanno, quindi, determinato la vittima a sporgere denuncia, anche grazie al sostegno morale datogli da un avvocato, testimone chiave per confermare la piena credibilità della persona offesa, avendo egli assistito personalmente ad alcune telefonate minacciose». Impossibile, poi, accogliere la tesi difensiva secondo cui «la circonvenzione di incapace può essere realizzata anche con condotte di violenza morale o anche di intimidazione, idonee a suggestionare la persona psicologicamente fragile tanto da indurla a compiere atti di disposizione patrimoniali per lei dannosi». Su questo fronte i magistrati di Cassazione sono chiari: mettendo a confronto le due fattispecie penali, cioè l’estorsione e la circonvenzione di persona incapace, «le condotte che si concretizzano in atti inequivoci di violenza fisica o di minaccia integrano inevitabilmente l’ipotesi dell’estorsione». A sostegno di tale tesi viene richiamato il principio secondo cui «tra il delitto di circonvenzione di incapace e il delitto di estorsione, pur potendo essere soggetto passivo di quest’ultimo reato anche la persona che versi in uno stato di deficienza psichica, non è ammissibile alcun concorso, anche se tra di essi è comune il perseguimento di un profitto, in quanto si differenziano per il mezzo adoperato, che nella circonvenzione di incapace è costituito dall’opera di suggestione o di induzione e nell’estorsione, invece, dall’uso della violenza o minaccia». Così, «l’esistenza di condotte violente e minacciose per ottenere illecitamente somme di denaro esclude ex se la configurabilità del reato di circonvenzione di incapace, anche nell’ipotesi in cui la vittima versi in una situazione di deficienza psichica», chiariscono i magistrati di Cassazione. Peraltro, nella vicenda in esame si è appurato che «la persona offesa si trovava in una situazione di fragilità emotiva, di malattia e di solitudine», ma non è mai stato accertato che egli versasse «in una situazione di deficienza psichica».
Presidente Verga - Relatore Marra Considerato in diritto 1. La Corte di appello di Bari con sentenza emessa il 13 febbraio 2023 confermava la sentenza resa dal tribunale di Bari il 21 dicembre 2021 ed appellata dagli imputati M.C. e R.F., condannati per il reato di cui agli articolo 110, 81 cpv., 629, comma primo e secondo, con riferimento all'articolo 628, comma terzo n. 1, cod. pen., e 61 nn. 5, 7, 11 cod. pen., commesso in danno di B.P. 2. Avverso tale decisione R.F., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per cassazione svolgendo quattro distinti motivi per cui chiede l'annullamento con o senza rinvio della sentenza impugnata. 2.1. Con il primo motivo eccepisce la violazione della legge penale in relazione all'articolo 629 cod. pen., ritenendo che la condotta contestata avrebbe dovuto essere riqualificata nella meno grave fattispecie di cui all'articolo 643 cod. pen. Infatti, già il giudice di primo grado aveva evidenziato che la persona offesa B.P. fosse «...un soggetto assolutamente solo al mondo, per di più malato di epilessia, impossibilitato a guidare, in ogni caso facilmente impressionabile ..» (cfr. pag. 9), circostanze che lo ponevano in quello stato di oggettiva fragilità e debolezza psichica tipiche del reato di circonvenzione di incapace. 2.2. Con il secondo motivo deduce ex articolo 606, comma 1 lett.e) cod. proc. pen., l'omessa motivazione della sentenza di appello che risulterebbe prima facie deficitaria, atteso che non riporta la descrizione delle asserite condotte minatorie attribuite al R.F. e non specifica le ragioni per cui «...le plurime condotte sarebbero senz'altro idonee a ingenerare nel destinatario il timore di subire mali ingiusti se non avesse soddisfatto le richieste di denaro...». La motivazione, ad avviso della difesa, si appalesa, pertanto, apodittica proprio in relazione al punto di maggiore importanza rispetto all'Individuazione del discrimen tra la fattispecie estorsiva e quella dell'approfittamento della fragilità psichica della persona offesa. 2.3. Con il terzo motivo lamenta sempre il vizio motivazionale, in ragione della palese contraddittorietà della sentenza impugnata laddove da un lato ha ritenuto la sussistenza di condotte estorsive mediante minacce e dall'altro, invece, ha evidenziato che la persona offesa per lungo tempo aveva confidato nella buona fede e amicizia degli imputati, tant'è che non li aveva denunciati per un lungo periodo. Con tale motivazione, quindi, la stessa Corte territoriale avrebbe certificato la totale assenza di metus prodotto dalle condotte del R.F. che, lungi dall'apparire minaccioso agli occhi del P., riusciva, attraverso attività decettiva, ad ottenere piena fiducia da quest'ultimo che, ingenuamente, credeva nella amicizia e nella buona fede di coloro che gli chiedevano con varie scuse del denaro. 2.4. Con il quarto motivo eccepisce il vizio di motivazione in ordine alla piena attendibilità del teste Z., che sarebbe incorso in evidenti incertezze ed errori; inoltre, la Corte di appello ha ritenuto che l'attendibilità di Z. avrebbe trovato riscontro nelle dichiarazioni testimoniali rese dall'agente di P.G. A., ritenendo erroneamente che questi avesse assistito ad una telefonata ricevuta da R.F., mentre la chiamata telefonica, in realtà, era stata fatta dal coimputato M.C., come risulta dal verbale stenotipico (allegato al ricorso) della testimonianza di A. resa in data 20 ottobre 2020; la sentenza impugnata sarebbe, perciò, incorsa nel vizio di travisamento della prova. 2.5. La difesa in data 23 dicembre 2024 ha depositato una memoria con motivi nuovi ex articolo 167 disp. att. cod. proc. pen., con cui ribadisce la richiesta di una diversa qualificazione giuridica delle condotte ascritte al R.F.: in particolare, evidenzia che già dalle dichiarazioni rese in dibattimento da B.P. emergerebbe la sua situazione di fragilità psicologica e lo stato di decadimento cognitivo che avrebbe consentito agli imputati di approfittarne con semplici attività ingannatorie, deducendo che quelle che sono state considerate dai giudici di merito minacce estorsive, invece, ben potevano essere ricondotte a ipotesi di abuso della sua credulità su fatti e circostanze inesistenti. Ritenuto in diritto 1. Il ricorso risulta inammissibile perché proposto per motivi non consentiti dalla legge o comunque manifestamente infondati. 2. Preliminarmente, deve essere evidenziato che la sentenza di appello oggetto di ricorso costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d'appello a quella del giudice di prime cure, sia l'ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 2, n.33588 del 13/07/2023, n.m.; Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, Rv. 280654-01). Va, altresì, evidenziato che la modifica dell'articolo 606 lett. E) cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Corte di legittimità di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali possa essere dedotta sotto lo stigma del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 3, n. 18521 dei 11/01/2018, Rv.273217-01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv.253099-01; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Rv. 237652-01). Questa Corte, infatti, con orientamento (si veda Sez. 2, n. 5336 del 9/1/2018, Rv. 272018-01; Sez. 6, n.19710 del 3/2/2009, Rv. 243636-01) che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza della c.d. doppia conforme , ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità per il reato di estorsione), il vizio di travisamento dei fatti o della prova possa essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. 2.1. Nel caso di specie, la sentenza della Corte di appello ha affrontato in maniera puntuale e congrua l'eccezione di fondo sollevata dalla difesa già con l'atto di appello, ossia l'inconfigurabilità del reato di estorsione non essendoci condotte minacciose da parte di R.F. e di M.C. per estorcere denaro, ma solo una situazione di approfittamento della situazione di fragilità psicologica e facile suggestionabilità della persona offesa, riconducibile alla fattispecie meno grave dì cui all'articolo 643 cod. pen.. La sentenza di appello, richiamando quanto già valutato dal Tribunale di Bari, ha ritenuto pienamente attendibile la persona offesa «....la quale ha descritto con chiarezza plurime condotte poste in essere dal R.F.. da solo o insieme ad altri, senz'altro idonee a ingenerare nel destinatario il timore di subire mali ingiusti se non avesse soddisfatto le richieste di denaro. In proposito va condivisa la valutazione operata dalla sentenza appellata, secondo cui il P. ha reso una deposizione logica, coerente, circostanziata e priva di contraddizioni intrinseche ed estrinseche, ne sono emersi elementi sulla cui base ipotizzare un suo intento calunnioso verso gli imputati, deponendo anzi in senso contrario il lungo lasso di tempo in cui l'uomo, confidando nell'amicizia e buona fede, ha evitato di denunciarli»; ed ancora: «Neppure può condividersi, poi, la doglianza dell'appellante di inattendibilità del teste Z., fondata sul fatto che egli ha dichiarato di aver riconosciuto il R.F. come autore di due minacce telefoniche..», dato che ne aveva riconosciuto la voce in quanto era un vicino dei suoi genitori e quindi vi era una pregressa conoscenza. Si tratta di argomentazioni che non presentano vizi di manifesta illogicità né di contraddittorietà, in quanto la mancata iniziale denuncia nei confronti degli imputati non vuole dire, come sostiene la difesa, che non vi siano state, in un momento successivo, delle condotte esplicitamente minacciose che hanno, quindi, determinato la vittima a sporgere denuncia, anche grazie al sostegno morale datogli dall'avvocato O.Z., testimone chiave per confermare la piena credibilità della persona offesa avendo assistito personalmente ad alcune telefonate minacciose (si vedano le pagg. 9-11 delle trascrizioni dibattimentali). L'eccezione della difesa è inammissibile perché ripropone rilievi già esaminati dalla sentenza impugnata, sostanzialmente al fine di ottenere dalla Cassazione una rivalutazione nel merito delle prove utilizzate dai giudici di primo e secondo grado, compito che esula, come detto, dal controllo di legittimità sulla tenuta logico-giuridica della sentenza impugnata. 2.2. Né le deduzioni difensive possono trovare accoglimento sotto il profilo della dedotta violazione di legge, nella specie dell'articolo 629 cod. pen., ove si prospetta la tesi secondo cui la circonvenzione di incapace potrebbe essere realizzata anche con condotte di violenza morale o anche di intimidazione, idonee a suggestionare la persona psicologicamente fragile tanto da indurla a compiere atti di disposizione patrimoniali per lei dannosi. A sostegno della propria tesi la difesa richiama un precedente giurisprudenziale, la cui massima ha affermato: «In tema di circonvenzione di incapace, la condotta di induzione, che costituisce elemento essenziale della fattispecie criminosa, può concretizzarsi anche attraverso comportamenti che implicano il ricorso a forme di violenza morale, estrinsecantisi in atti di intimidazione del soggetto passivo idonei a ridurne od eliminarne la capacità di autodeterminarsi, che, pur senza trascendere nella violenza fisica o nella minaccia che caratterizzano il diverso delitto di estorsione, rendono tuttavia la suggestione e la conseguente induzione meno facilmente resistibile da parte della vittima, (così Sez.2, n. 18997 del 27/04/2021, Rv. 281231-01). Tuttavia, a parte il fatto che si tratta di una decisione isolata, essa non risulta in realtà in contrasto con i principi giurisprudenziali che regolano la distinzione tra le due fattispecie penale, l'estorsione e la circonvenzione di persona incapace, in quanto afferma, comunque, che le condotte che si concretizzano in atti inequivoci di violenza fisica o di minaccia integrano inevitabilmente l'ipotesi dell'estorsione. Giova ricordare, infatti, che la Suprema Corte in più occasioni ha affermato il principio secondo cui: «Tra i delitti di cui all'articolo 643 e 629 cod. pen., pur potendo essere soggetto passivo di quest'ultimo reato anche la persona che versi nello stato di deficienza psichica, non è ammissibile alcun concorso, anche se tra di essi è comune il perseguimento di un profitto, in quanto si differenziano per il mezzo adoperato dall'agente che nella circonvenzione di incapace è costituito dall'opera di suggestione o di induzione e nell'estorsione, invece, dall'uso della violenza o minaccia; ne consegue che la necessaria esistenza di un nesso causale tra l'evento e uno degli indicati comportamenti dell'agente determina la configurabilità dell'uno o dell'altro titolo di reato», (così Sez.2, n.21977 del 28/04/2017, Rv. 269799-01; conf. Sez.2, n.13488 del 16/03/2005, Rv.231158-01). L'esistenza di condotte violente e/o minacciose per ottenere illecitamente somme di denaro, esclude ex se la configurabilità del reato di circonvenzione di incapace, anche nell'ipotesi in cui la vittima versi in una situazione di deficienza psichica; nel caso di specie, peraltro, nei riguardi della persona offesa è stato sottolineato, anche dalla Corte territoriale, che il P. si trovava in una situazione di fragilità emotiva, di malattia e di solitudine, ma non è mai stato accertato che egli versasse in una situazione di deficienza psichica, né mai la difesa ha allegato documentazione a sostegno di una tale ipotesi che è rimasta, dunque, meramente congetturale. Anche sotto questo profilo il primo motivo di ricorso risulta inammissibile, perché manifestamente infondato. 2.3. Il quarto motivo di ricorso è al pari inammissibile, in quanto il dedotto travisamento della prova relativo alla testimonianza resa dall'agente di P.G., S.A., non presenta i caratteri della decisività ai fini della valutazione complessiva del solido quadro probatorio descritto dalla sentenza, che si basa, come già sottolineato, sulle dichiarazioni della persona offesa e su quelle del teste Z. ritenute pienamente attendibili (cfr. Sez.6, n. 10795 del 16/02/2021, rv.281085-01; Sez.3, n.2039, del 02/02/2018, dep.2019, Rv.274816-07). 3. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si si ritiene equa di euro tremila a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende.