Obbligo di corresponsione dei frutti civili in caso di godimento del bene tra coeredi

In tema di divisione ereditaria, l’obbligo di corrispondere i frutti civili grava sul coerede solo se è dimostrato l’impedimento degli altri coeredi all’uso del bene.

Lo ha stabilito la Suprema Corte con la pronuncia in esame, che trae origine da una controversia sorta dopo la morte di M.F., in cui una dei coeredi era stata condannata nei precedenti gradi di giudizio alla corresponsione dei frutti civili per aver avuto la disponibilità e l'uso esclusivo dell'immobile ereditario. La Corte d'Appello, nel confermare la decisione di primo grado, aveva ritenuto sufficiente la mera disponibilità delle chiavi e l'utilizzo, anche indiretto, dell'immobile da parte della ricorrente per far scattare l'obbligo di pagamento, senza verificare se vi fosse stata una reale esclusione degli altri coeredi dall'uso del bene. La Cassazione, invece, ribadisce che «in caso di comproprietà del bene, l'occupante che abbia goduto del bene in via esclusiva è tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili, solo qualora gli altri partecipanti abbiano manifestato l'intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e ciò non sia stato loro consentito poiché tale utilizzo costituisce una manifestazione del diritto di comproprietà». A riguardo, i Giudici sottolineano che, ai sensi dell'articolo 1102 c.c., ogni comproprietario ha il diritto di utilizzare e godere dell'intera proprietà comune, anche in maniera specifica e più intensa, a condizione che non ne modifichi la destinazione e consenta agli altri partecipanti di farne ugualmente uso. Se l'uso individuale rispetta tali limiti, non è richiesto alcun risarcimento ai comproprietari rimasti inerti o che vi abbiano acconsentito, né si configura un'indennità per la mera occupazione del bene. La Corte d'Appello, dunque, ha erroneamente applicato la norma in esame, facendo discendere automaticamente l'obbligo di corrispondere i frutti civili dal semplice godimento del bene da parte della ricorrente, che invece costituiva espressione del suo diritto di comproprietaria: la Corte di merito avrebbe dovuto verificare se il godimento esclusivo fosse avvenuto nonostante l'opposizione degli altri comproprietari, a cui era stata specificamente impedita l'utilizzazione dell'abitazione. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, la Suprema Corte accoglie il ricorso. La parola, ora, passa ai giudici del rinvio.

Presidente Di Virgilio – Relatore Giannaccari Fatti di causa 1. Il ricorso trae origine dalla domanda di scioglimento della comunione ereditaria di M.F., deceduta il (OMISSIS), proposta innanzi al Tribunale di Catania dalle eredi F.E.M. e F.M.M.M.L.R. nei confronti degli altri eredi P.A.G., P.M., P.C. e P.R.. Tutti i coeredi aderirono alla domanda di divisione, previa ricostruzione e valutazione dell'intero asse ereditario. 1.1. Il Tribunale di Catania dispose lo scioglimento della comunione ereditaria ed accolse la domanda di fruttificazione in danno di tre coeredi che avevano avuto il godimento esclusivo di alcuni beni ereditari, con decorrenza dalla data di apertura della successione. 2. P.A.G. propose appello e censurò il capo della sentenza, con cui era stata condannata alla corresponsione dei frutti dell'immobile sito in Via (OMISSIS). 2.1. F.E.M. e F.M.M.M.L.R. si costituirono in giudizio e chiesero il rigetto dell'appello. 2.2. La Corte di Appello di Catania, con sentenza n. 2742/2018, accolse parzialmente l'appello. La Corte di merito affermò che il presupposto dell'obbligo di corrispondere i frutti civili è il godimento in via esclusiva del bene ereditario, rientrando in tale concetto non solo la mera abitazione, ma anche la gestione del bene; nel caso di specie, P.A.G. aveva avuto la disponibilità delle chiavi dell'immobile, che era stato utilizzato dalla figlia sicché era tenuta a corrispondere ai coeredi i frutti civili a decorrere dall'apertura della successione. 3. Avverso tale sentenza della Corte territoriale P.A.G. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. 3.1. F.E.M. e F.M.M.M.L.R. hanno resistito con controricorso. 3.2. P.M., P.C. e P.R. sono rimasti intimati. 3.3. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 380-bis.1 cod. proc. civ. 3.4. In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione ed omessa applicazione dell'articolo 115 c.p.c. e degli articolo 2697 e 723 c.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 3, 4 e 5, c.p.c.; nonché la violazione dell'articolo 132, comma 2, n. 4, c.p.c. per illogicità della motivazione della sentenza per avere la Corte territoriale erroneamente fondato la condanna alla corresponsione dei frutti civili sulle risultanze dell'interrogatorio formale, nel corso del quale si sarebbe limitata a riferire di avere le chiavi dell'immobile, utilizzato “talvolta” dalla figlia e di aver riscosso le pigioni su incarico della madre. Da tali risultanze probatorie non si evincerebbe che la ricorrente avesse avuto il godimento esclusivo del bene, né tale prova potrebbe fondarsi sulle risultanze della CTU, da cui risulterebbe soltanto che l'abitazione era arredata. 1.1. Il motivo è infondato. 1.2. In primo luogo, non è sindacabile per cassazione il vizio di illogicità della motivazione, nel vigore del nuovo testo dell'articolo 360, primo comma, n. 5), c.p.c., ratione temporis applicabile, che limita il vizio motivazionale all'ipotesi di omessa o apparente motivazione (Cassazione civile sez. un., 07/04/2014, n. 8053). 1.3.Infondata è la doglianza relativa alla violazione dell'articolo 115 c.p.c., che è ravvisabile solo ove il giudice abbia deciso in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, ponendo a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'articolo116 c.p.c. (Cassazione civile sez. un., 30/09/2020, n.20867). Nel caso di specie, la Corte d'appello ha fondato la decisione su prove legittimamente acquisite al giudizio, che ha valutato secondo il proprio convincimento insindacabile in sede di legittimità. La Corte d'appello ha attribuito valore confessorio alle dichiarazioni rese dalla ricorrente, che aveva riferito di detenere le chiavi dell'immobile perché si occupava della manutenzione dell'abitazione, utilizzata talvolta dalla figlia, convincimento corroborato dalla circostanza che l'abitazione fosse arredata, come emerso dalla CTU. L'accertamento della natura confessoria delle dichiarazioni delle parti compiuto dal giudice di merito non è sindacabile in questa sede, non essendo soggetto al vaglio di legittimità il prodotto della sua attività interpretativa, se non nei limiti in cui è contestabile il vizio di motivazione (ex multis Cassazione civile sez. II, 24/01/2019, n.2048). 1.4. La sentenza impugnata non ha violato il principio dell'onere della prova, avendo la Corte d'appello accertato sulla base delle dichiarazioni confessorie rese da P.A.G., dalla documentazione in atti e dalle CTU che la ricorrente aveva avuto il godimento, anche in via indiretta, dell'immobile. Come affermato da questa Corte, la violazione del precetto di cui all'articolo 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura, come nel caso in esame, investa la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest'ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti dell'articolo 360 n. 5 c.p.c. (Cass. Civ., Sez. III, 29.5.2018, n.13395; Cass. Civ., Sez. III, 23.10.2018, n.26769; Cass. Civ., Sez. III, 17.6.2013, n. 15107). 2. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente deduce la violazione ed omessa applicazione dell'articolo 1102 c.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d'appello erroneamente ritenuto che dal godimento del bene in via esclusiva derivasse automaticamente l'obbligo di corrispondere i frutti mentre si tratterebbe di una manifestazione del diritto di comproprietà, salvo la prova dello ius prohibendi da parte dei coeredi, nella specie non sussistente. 3. Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia la violazione, falsa e/o omessa applicazione degli articolo 1148 e 535 c.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con riferimento alla decorrenza dei frutti civili. 4. Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per violazione dell'articolo 132, comma 2, n. 4, c.p.c. per illogicità e/o contraddittorietà della motivazione in punto di regolamento delle spese di primo grado, in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; nonché la violazione, falsa ed omessa applicazione degli articolo 91 e 92 c.p.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. 5. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza impugnata, relativamente al capo concernente il regolamento delle spese del giudizio di appello, per violazione e falsa applicazione degli articolo 91 e 92 c.p.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. 6. Il secondo motivo è fondato, con assorbimento dei restanti. 6.1. L'articolo 1102 c.c. stabilisce che ciascun comproprietario ha il diritto di utilizzare e di godere dell'intera cosa comune, anche in misura particolare e più intensa, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, secondo il loro diritto. Pertanto, se l'uso individuale del bene in comunione rispetta i limiti dettati dall'articolo 1102 c.c., non è dovuto alcun risarcimento ai comproprietari che siano rimasti inerti o vi abbiano acconsentito, né si configura un'indennità per la mera occupazione del bene, poiché tale utilizzo costituisce pur sempre manifestazione del diritto di comproprietà che compete al singolo e che investe l'intera cosa comune (cfr. Cass. 18458/2022; Cass. 7019/2019; Cass. 14213/2012). Ne consegue che l'occupante del bene, pur godendo dell'intero bene in modo esclusivo, è tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili, solo qualora gli altri partecipanti abbiano manifestato l'intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e ciò non gli sia stato consentito, a condizione che risulti provato un suo effettivo vantaggio patrimoniale derivante dall'uso esclusivo (Cass. II 31105/23; Cass. II, 2423/2015; Cass. 24647/2010; Cass. 13036/1991). Per la corresponsione dei frutti occorre, pertanto, la prova di una sottrazione o di un impedimento assoluto all'esercizio delle facoltà dominicali di godimento e di disposizione del bene comune spettanti agli altri contitolari o una violazione dei criteri stabiliti dall'articolo 1102 c.c. (Cass. 18458/2022; Cass. 10264/2023). In particolare, un coerede, che, dopo la morte del de cuius, trattenga il possesso di un bene ereditario e lo utilizzi ed amministri in via individuale, rimane nell'esercizio legittimo dei poteri spettanti al comproprietario, a meno che non vi sia una palese esclusione degli altri coeredi dal rapporto con il medesimo bene (Cass. Sez. 2, 04/05/2018, n. 10734). 6.2. A tali principi non si è adeguata la sentenza impugnata. La Corte di appello ha fatto discendere l'obbligo di corrispondere i frutti civili dal semplice godimento del bene da parte della ricorrente, che, invece, costituiva espressione del suo diritto di comproprietaria e si era manifestato attraverso la detenzione delle chiavi e l'utilizzo, anche in via indiretta, tramite la figlia, che lo aveva abitato in modo occasionale. La Corte è, pertanto, incorsa nella falsa applicazione dell'articolo1102 c.c., per non aver accertato se il godimento del bene in via esclusiva da parte della coerede fosse avvenuto nonostante l'opposizione dei comproprietari, ai quali fosse stata espressamente impedita l'utilizzazione dell'abitazione. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio alla Corte d'appello di Catania in diversa composizione, che applicherà il seguente principio di diritto: “In caso di comproprietà del bene, l'occupante che abbia goduto del bene in via esclusiva è tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili, solo qualora gli altri partecipanti abbiano manifestato l'intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e ciò non sia stato loro consentito poiché tale utilizzo costituisce una manifestazione del diritto di comproprietà”. 7. Il giudice di rinvio regolerà le spese del giudizio di legittimità. 8. Sono assorbiti i restanti motivi. P.Q.M. rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio innanzi alla Corte d'appello di Catania in diversa composizione.