Assegno sociale confermato anche se vi è rinuncia all’assegno di mantenimento

La rinuncia da parte del coniuge separato all’assegno di mantenimento non può comportare in automatico prima l’attribuzione di uno stato di autosussistenza economica e poi la negazione dell’assegno sociale.

Vittoriosa battaglia legale per una donna che ha ottenuto la condanna dell’INPS, tenuto ora a riconoscerle quell’assegno sociale che le aveva negato in prima battuta a fronte della rinuncia, quasi obbligata, da parte della donna all’assegno di mantenimento che avrebbe dovuto versarle il marito. Chiaro il quadro tracciato dalla donna per contestare la posizione assunta dall’INPS. In sostanza, la ricorrente si è vista riconoscere in sede giudiziaria il diritto a percepire 600 euro come assegno di mantenimento dal marito, che, però, non le ha mai corrisposto nulla, tanto da essere condannato penalmente, e non le ha neanche versato la cifra – 6mila euro, per la precisione – riconosciutale proprio in sede penale a titolo di provvisionale. Anche per questo, la donna e il marito sono arrivati a siglare una scrittura privata di transazione, consentendo a lei di percepire determinate somme, a patto di rinunziare all’assegno di mantenimento, alla provvisionale fissata in sede di penale nonché al futuro assegno divorzile. Quella scrittura privata è stata, tuttavia, utilizzata dall’INPS per negare alla donna l’assegno sociale. Nello specifico, secondo l’istituto previdenziale, «la scrittura privata fra coniugi in sede di separazione e divorzio è inefficace quando dovesse contenere clausole chiaramente lesive degli interessi dei beneficiari dell’assegno di mantenimento», e quindi «l’effettivo stato di bisogno» posto dalla ricorrente alla base della richiesta di assegno sociale «può essere supportato dal dovuto sostegno dell’ex coniuge (titolare di redditi da locazione immobili)». Prima di esaminare le obiezioni sollevate dalla donna a fronte della posizione assunta dall’INPS, i giudici richiamano rapidamente la disciplina dell’assegno sociale, previsto per i cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni e si trovino in specifiche condizioni reddituali. Ciò detto, l’INPS ha negato alla donna la spettanza dell’assegno sociale, sostenendo che ella non versasse, all’epoca della richiesta, in stato di bisogno, ritenendosi «inefficace la rinunzia all’assegno di mantenimento in presenza di un coniuge in grado di darle un sostegno economico poiché percettore di redditi da locazione di immobili». In definitiva, secondo l’istituto previdenziale, non è provato «lo stato di non autosufficienza economica» della ricorrente. Ma questa visione non è per nulla condivisa dai giudici, i quali fanno riferimento alla posizione assunta cinque anni fa dalla Cassazione, posizione secondo cui «l’assegno sociale rappresenta una prestazione di base avente natura assistenziale ed in quanto tale è volta ad assicurare i mezzi necessari per vivere», come da Costituzione, «alle persone anziane che hanno superato una prefissata soglia di età e che non dispongono di tutela previdenziale per fronteggiare l’evento della vecchiaia. Il relativo diritto si fonda sullo stato di bisogno accertato del titolare, stato di bisogno che viene desunto, in base alla legge, dalla mancanza di redditi o dall’insufficienza di quelli percepiti al di sotto del limite massimo indicato dalla legge stessa. Difatti, l’assegno viene corrisposto per intero, o ad integrazione, a coloro che, compiuta l’età prevista, siano privi di reddito o godano di un reddito inferiore al limite fissato dalla legge (raddoppiato in ipotesi di coniugio) ed adeguato nel tempo dal legislatore». Non a caso, «la norma individua con precisione i redditi rilevanti ai fini del calcolo del requisito reddituale, indicando testualmente redditi personali e coniugali di qualsiasi natura, come pure gli assegni familiari corrisposti a norma del codice civile; esclude il TFR e le relative anticipazioni, le competenze arretrate soggette a tassazione separata, nonché il proprio assegno e il reddito della casa di abitazione, come pure la pensione liquidata secondo il sistema contributivo, a carico di gestioni ed enti previdenziali pubblici e privati che gestiscono forme pensionistiche obbligatorie in misura corrispondente ad un terzo della pensione medesima e comunque non oltre un terzo dell’assegno sociale». Invece, «nulla prevede, la norma, per quanto riguarda il coniuge separato», osservano i giudici, ma «tenuto conto della ratio e della formulazione testuale della norma, non può ritenersi che possa assumere rilievo una mera pretesa, costituita dall’astratta possibilità di godere dell’assegno di mantenimento a carico del proprio coniuge. E tanto sia perché non si tratta di redditi, al netto dell’imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, né di assegni alimentari corrisposti a norma del Codice Civile, ai quali soltanto la legge attribuisce rilievo al fine del raggiungimento del requisito reddituale e della dimostrazione dello stato di bisogno». E «ciò che la norma mette in rilievo è esclusivamente lo stato di bisogno effettivo, risultante cioè dalla comparazione tra reddito dichiarato e reddito effettivamente percepito, con la conseguenza che non può darsi alcun rilievo ad un reddito meramente potenziale, mai percepito», come nella vicenda in esame, «dal soggetto che richiede l’assegno sociale, oggetto di azione penale con sentenza di condanna a carico del coniuge inadempiente» ed a cui la donna «ha rinunziato con la scrittura privata  cambio delle somme oggetto di sequestro giudiziale». Per i giudici, quindi, «la rinunzia, da parte del coniuge separato, all’assegno di mantenimento, laddove detto assegno non sia mai stato effettivamente corrisposto, pur in presenza di azioni giudiziarie intraprese, non può essere ritenuta equivalente ad assenza dello stato bisogno, dando luogo al riconoscimento dello stato di autosussistenza economica», anche perché «non può rilevare la mera titolarità di un reddito» né «si può prescindere dalla sua concreta percezione». Al contrario, «deve darsi rilievo allo stato di bisogno effettivo, da accertarsi sulla base delle norme di legge, ovvero attraverso la verifica tra la dichiarazione presentata all’atto della domanda e la dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti presentata l’anno successivo, non già ad un reddito ipotetico, al quale la normativa non fa riferimento», chiosano i giudici, accogliendo la richiesta della donna e condannando l’INPS a versarle l’assegno sociale.

Giudice Chiariotti Fatto e Diritto Con ricorso depositato il 25/07/2024 A.R. conveniva in giudizio I.N.P.S. - SEDE DI BENEVENTO esponendo che, con ordinanza del 12 dicembre 2016, il Presidente del Tribunale poneva a carico di MI.A. l'obbligo di corrispondere un assegno mensile di Euro 500,00 per il mantenimento della moglie ROSSI Annamaria ; che, con sentenza numero 226/2022, pubblicata il 31 gennaio 2022, il Tribunale di Benevento, Prima Sezione Civile, confermava “le statuizioni emesse in sede di comparizione dei coniugi”, con il solo aumento dell'assegno di mantenimento ad euro 600,00 mensili; che il MI.A. non aveva mai corrisposto tali importi tant'è che veniva condannato per il relativo reato con sentenza numero 116/2021 del Tribunale di Benevento, Sezione Penale, del 1° febbraio 2021, confermata dalla Corte d'appello di Napoli numero 1678/2022 del 22 febbraio 2022, né aveva corrisposto la somma di €6.000,00 attribuitale a titolo di provvisionale con la sentenza penale di condanna; che, con la scrittura privata di transazione del 23 giugno 2022, le parti concordavano che “All'esecuzione del pagamento delle somme di cui sopra agli articoli 2.1 e 3.1 la Signora A.R. si obbliga, altresì, a rinunziare all'assegno di mantenimento ordinario disposto con sentenza numero 226/2022 del Tribunale di Benevento, alla provvisionale…nonché al futuro assegno divorzile; che in data 11 settembre 2023, presentava domanda per il conseguimento dell'assegno sociale numero (omissis), rigettata con nota del 2 ottobre 2023, protocollo INPS n. (omissis), con la motivazione “La scrittura privata tra coniugi in sede di separazione e divorzio è inefficace quando dovesse contenere clausole chiaramente lesive degli interessi dei beneficiari dell'assegno di mantenimento. L'effettivo stato di bisogno può essere supportato dal dovuto sostegno dell'ex coniuge (titolare redditi da locazione immobili) ; che in data 26 febbraio 2024 veniva presentata una nuova domanda, inevasa e perciò da ritenersi rigettata. Concludeva chiedendo “1. Accerti e dichiari il diritto soggettivo della ricorrente alla percezione dell'assegno sociale, oltre accessori, dalla data dell'11 settembre 2023 o, subordine, del 26 febbraio 2024. 2. Condanni l'I.N.P.S. – Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore della ricorrente dei ratei arretrati della prestazione di assegno sociale, con decorrenza dalla data dell'11 settembre 2023 o, subordine, del 26 febbraio 2024, oltre accessori, per le motivazioni tutte espresse in narrativa. 3. Condanni l'I.N.P.S. – Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio da liquidarsi nella misura di cui al D.M. numero 55/2014, come integrato dal D.M. numero 37/2018”. Regolarmente convenuto in giudizio con PEC 30.07.2024, INPS non si costituiva, pertanto deve dichiararsene la contumacia. La causa, di natura documentale, veniva decisa, mediante pubblicazione della sentenza completa delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Va richiamata anzitutto la disciplina dell'assegno sociale stabilita dalla L. n. 335 del 1995, articolo 3, comma 6: Con effetto dal 1 gennaio 1996, in luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, ai cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui al presente comma è corrisposto un assegno di base non reversibile fino ad un ammontare annuo netto da imposta pari, per il 1996, a Lire 6.240.000, denominato assegno sociale . Se il soggetto possiede redditi propri l'assegno è attribuito in misura ridotta fino a concorrenza dell'importo predetto, se non coniugato, ovvero fino al doppio del predetto importo, se coniugato, ivi computando il reddito del coniuge comprensivo dell'eventuale assegno sociale di cui il medesimo sia titolare. I successivi incrementi del reddito oltre il limite massimo danno luogo alla sospensione dell'assegno sociale. Il reddito è costituito dall'ammontare dei redditi coniugali, conseguibili nell'anno solare di riferimento. L'assegno è erogato con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente ed è conguagliato, entro il mese di luglio dell'anno successivo, sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti. Alla formazione del reddito concorrono i redditi, al netto dell'imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, nonchè gli assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile. Non si computano nel reddito i trattamenti di fine rapporto comunque denominati, le anticipazioni sui trattamenti stessi, le competenze arretrate soggette a tassazione separata, nonché il proprio assegno e il reddito della casa di abitazione. Agli effetti del conferimento dell'assegno non concorre a formare reddito la pensione liquidata secondo il sistema contributivo ai sensi dell'articolo 1, comma 6, a carico di gestioni ed enti previdenziali pubblici e privati che gestiscono forme pensionistiche obbligatorie in misura corrispondente ad un terzo della pensione medesima e comunque non oltre un ter5) dell'assegno sociale . Nel caso in esame l'INPS ha negato la spettanza dell'assegno sociale sostenendo che la ROSSI non versasse in stato di bisogno, ritenendosi inefficace la rinunzia all'assegno di mantenimento in presenza di un coniuge in grado di dare un sostegno economico perché percettore di redditi da locazione di immobili. L'Ente, dunque, riteneva non sussistente lo stato di non autosufficienza economica o comunque l'insussistenza delle condizioni di cui al L. n. 335 del 1995, cit. articolo 3, comma 6. Tale prospettazione non può essere condivisa, alla luce degli orientamenti espressi sul punto dalla Suprema Corte. La Corte, con la sentenza Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, n.14513, ha chiarito che l'assegno sociale rappresenta una prestazione di base avente natura assistenziale ed in quanto tale è volta ad assicurare i mezzi necessari per vivere (ai sensi dell'articolo 38 Cost., comma 1) alle persone anziane che hanno superato una prefissata soglia di età, e che non dispongono di tutela previdenziale per fronteggiare l'evento della vecchiaia. Il relativo diritto si fonda sullo stato di bisogno accertato del titolare che viene desunto, in base alla legge, dalla mancanza di redditi o dall'insufficienza di quelli percepiti al disotto del limite massimo indicato dalla legge. L'assegno viene infatti corrisposto per intero o ad integrazione, a coloro che, compiuta l'età prevista (oggi rileva l'età di 67 anni), siano privi di reddito o godano di un reddito inferiore al limite fissato dalla legge (raddoppiato in ipotesi di coniugio) ed adeguato nel tempo dal legislatore (da ultimo L. n. 448 del 2011, articolo 38, comma 1, lett. b). La norma individua con precisione i redditi rilevanti ai fini del calcolo del requisito reddituale, indicando testualmente redditi personali e coniugali di qualsiasi natura, come pure gli assegni familiari corrisposti a norma del codice civile; esclude il TFR e le relative anticipazioni, le competenze arretrate soggette a tassazione separata, nonché il proprio assegno e il reddito della casa di abitazione, come pure la pensione liquidata secondo il sistema contributivo ai sensi della stessa L. n. 335 del 1995, articolo 1, comma 6, a carico di gestioni ed enti previdenziali pubblici e privati che gestiscono forme pensionistiche obbligatorie in misura corrispondente ad un terzo della pensione medesima e comunque non oltre un terzo dell'assegno sociale. Nulla prevede, invece, per quanto riguarda il coniuge separato; ciò nondimeno e tenuto conto della ratio e della formulazione testuale della norma, non può ritenersi che possa assumere rilievo una mera pretesa, costituita dall'astratta possibilità di godere dell'assegno di mantenimento a carico del proprio coniuge. E tanto sia perché non si tratta di redditi, al netto dell'imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva , né di assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile ; ai quali soltanto la L. n. 335 cit. attribuisce rilievo al fine del raggiungimento del requisito reddituale e della dimostrazione dello stato di bisogno. Inoltre ciò che la norma mette in rilievo è esclusivamente lo stato di bisogno effettivo risultante cioè dalla comparazione tra reddito dichiarato e reddito effettivamente percepito, con la conseguenza che non può darsi alcun rilievo ad un reddito meramente potenziale, mai percepito dal soggetto che richiede l'assegno sociale, oggetto di azione penale con sentenza di condanna a carico del coniuge inadempiente ed al quale la ricorrente ha rinunziato con la scrittura 23.06.2022, in cambio del 50% delle somme oggetto di sequestro giudiziale pari ad €85.000 complessivi. Pertanto deve concludersi, alla luce del richiamato orientamento giurisprudenziale, che la rinunzia all'assegno di mantenimento dal coniuge separato, laddove detto assegno non sia mai stato effettivamente corrisposto pur in presenza di azioni giudiziarie intraprese, non possa essere ritenuta equivalente ad assenza dello stato bisogno ( ammissione di insussistenza delle condizioni di cui alla L. n. 335 del 1995, cit. articolo 3, comma 6 ) dando luogo al riconoscimento del proprio stato di autosussistenza economica. Sul punto la Suprema Corte, sentenza n. 6570 del 18/03/2010, nel caso di un richiedente l'assegno sociale, titolare dell'assegno di mantenimento nei confronti del coniuge separato, che non lo aveva effettivamente percepito per mancata erogazione, ha affermato che non può bastare la mera titolarità di un reddito e che non si possa prescindere dalla sua concreta percezione. Conclusivamente deve ritenersi che debba darsi rilievo allo stato di bisogno effettivo da accertarsi sulla base delle norme di legge (ovvero attraverso la verifica tra la dichiarazione presentata all'atto della domanda e la dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti presentata l'anno successivo), non già ad un reddito ipotetico, al quale la normativa non fa riferimento. Da quanto esposto consegue l'accoglimento del ricorso, dichiarandosi il diritto della ricorrente a percepire l'assegno sociale, con condanna dell'INPS al pagamento dei ratei dalla domanda al soddisfo, oltre interessi dalla maturazione dei singoli ratei al soddisfo. Per il principio della soccombenza I.N.P.S. - SEDE DI BENEVENTO dev'essere condannato al pagamento delle spese di lite che si liquidano in dispositivo nella misura minima tenuto conto della minima attività processuale, in favore dell'Erario stante l'ammissione della ROSSI al patrocinio a spese dello Stato, calcolate sul valore indeterminato minimo € 26.000. P.Q.M. Il Giudice del lavoro Dott.ssa Claudia Chiariotti definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da A.R. nei confronti di I.N.P.S. - SEDE DI BENEVENTO, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1) Accoglie la domanda e, per l'effetto, accerta e dichiara il diritto della ricorrente a percepire l'assegno sociale; 2) condanna l'INPS al pagamento dei ratei dalla domanda al soddisfo, oltre interessi dalla maturazione dei singoli ratei al soddisfo; 3) condanna l'INPS al pagamento in favore dell'Erario delle spese processuali che liquida in complessivi €2.697 oltre rimb. forf. 15%, IVA e CPA.