Nelle ipotesi di presunto straining da parte del datore di lavoro è necessario considerare sempre caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale e altre circostanze del caso concreto.
Il caso in esame riguarda un lavoratore che aveva ravvisato un'ipotesi di straining nella condotta datoriale che, secondo la sua prospettazione, l'avrebbe illegittimamente privato della qualifica di funzionario con messa a concorso del posto. Dopo il rigetto da parte dei giudici di merito che avevano dichiarato il difetto di giurisdizione (poiché l'allegato declassamento era stato determinato da una delibera della giunta municipale del 1996) sottolineando che nella fattispecie «non poteva ravvisarsi alcun comportamento stressogeno scientemente attuato nei confronti del dipendente che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto, potesse far ravvisare nella specie un'ipotesi di straining», il lavoratore adiva la Suprema Corte di Cassazione con tre motivi di ricorso. Innanzitutto, veniva censurata la statuizione sulla giurisdizione: il ricorrente deduceva che il giudice di appello avrebbe erroneamente dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, dando rilievo, ai fini del riparto, alla sola delibera n. 66/96 e non anche alla delibera n. 285/1998. Inoltre, in ragione del dichiarato difetto di giurisdizione, la Corte di appello di Napoli avrebbe vanificato - con evidente diniego di giustizia - il diritto del dipendente al riconoscimento in proprio favore del giusto risarcimento del danno subito a causa dell'illegittimo demansionamento. Questi due motivi del ricorso sono stati accolti dalla Cassazione che ha richiamato il consolidato e condiviso indirizzo delle Sezioni Unite (Cass. n. 7305/2017): «in tema di pubblico impiego contrattualizzato, la sopravvivenza della giurisdizione del giudice amministrativo, regolata dall'articolo 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, costituisce, nelle intenzioni del legislatore, ipotesi assolutamente eccezionale, sicché, per evitare il frazionamento della tutela giurisdizionale, quando il lavoratore deduce un inadempimento unitario dell'amministrazione, la protrazione della fattispecie oltre il discrimine temporale del 30 giugno 1998 radica la giurisdizione presso il giudice ordinario anche per il periodo anteriore a tale data, non essendo ammissibile che sul medesimo rapporto abbiano a pronunciarsi due giudici diversi, con possibilità di differenti risposte ad una stessa istanza di giustizia». Quanti al terzo motivo inerente al risarcimento per straining, per i Giudici, la Corte d'Appello aveva correttamente valutato la condotta dell'Amministrazione effettuando un'analisi della vicenda in ragione dei principi già enunciati in materia, secondo cui è configurabile lo straining «quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie o esse siano limitate nel numero, ma anche nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori.»
Presidente Tria - Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1. Il Tribunale di Napoli ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine al capo di domanda proposta da C.S. nei confronti del Comune di (OMISSIS) relativo al prospettato declassamento dall'8^ al 7^ livello, ed ha rigettato il capo di domanda avente ad oggetto il risarcimento danni da mobbing/straining. 2. La Corte d'Appello, nel rigettare l'impugnazione, ha affermato quanto al difetto di giurisdizione, che dalla lettura del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, risulta che alcun dubbio sussiste circa il fatto che il C.S. avesse ricondotto l'illegittimità dell'affermato declassamento dall'8^ al 7^ livello alla delibera di G.M. n.66 del 21.2.1996. Dopo aver premesso che il lavoratore ha ravvisato un'ipotesi di straining nella condotta datoriale che, secondo la sua prospettazione, l'avrebbe illegittimamente privato della qualifica di funzionario con messa a concorso del posto, nulla ha allegato circa il mobbing, ha statuito che nella fattispecie non poteva ravvisarsi alcun comportamento stressogeno scientemente attuato nei confronti del dipendente che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto, potesse far ravvisare nella specie un'ipotesi di straining; dall'altra parte, andava, in ogni caso rilevato che l'ente comunale aveva disposto il reinquadramento giuridico nella VII qualifica, sulla scorta della decisione della Commissione Centrale per gli organici degli enti locali, nel quadro dei provvedimenti di risanamento degli enti dissestati e aveva messo a concorso una posizione apicale, con accesso sia al personale interno che esterno. 3. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre C.S. prospettando tre motivi di ricorso. 4. Resiste con controricorso il Comune di (OMISSIS). Ragioni della decisione 1. In via preliminare va rilevato che il Collegio è delegato a trattare la questione di giurisdizione – posta nei primi due motivi del ricorso ‒ in virtù del decreto del Primo Presidente in data 10 settembre 2018 in quanto essa rientra, nell'ambito delle materie di competenza della Sezione lavoro, tra le questioni indicate nel richiamato decreto sulle quali si è consolidata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte. 2. Primo motivo. Eccesso di potere giurisdizionale per erronea applicazione di norme di diritto. nullità per violazione dell'articolo 115 c.p.c. (articolo 360, comma 1, n. 4, c.p.a.). È censurata la statuizione sulla giurisdizione. Il ricorrente deduce che il giudice di appello avrebbe erroneamente dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, dando rilievo, ai fini del riparto, alla sola delibera n. 66/96 e non anche alla delibera n. 285 del 1998. Ed infatti, con la delibera di G.M. n. 66 del 21 febbraio 1996, era stato illegittimamente disposto il suo reinquadramento (solo) economico nella settima qualifica funzionale, rimanendo egli, pur sempre “Ragioniere Capo”; mentre solo con la delibera n. 285 dell'8 settembre 1998 era stato, poi, inopinatamente disposto il suo reinquadramento nel profilo di “Capo Servizio”, ma con la qualifica di “Istruttore direttivo”, corrispondente invece al settimo livello. 3. Secondo motivo. Eccesso di potere giurisdizionale per denegata giustizia in relazione all'articolo 111 cost. (articolo 360 c.p.c. n. 1). Assume il ricorrente che in ragione del dichiarato difetto di giurisdizione, la Corte di appello di Napoli avrebbe vanificato - con evidente diniego di giustizia - il diritto del ricorrente al riconoscimento in proprio favore del giusto risarcimento del danno subito a causa dell'illegittimo demansionamento. 4. I primi due motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono fondati nei sensi di seguito indicati. Occorre premettere che, come riportato nell'atto di appello, il lavoratore a decorrere dal 1° febbraio 2000, era stato assunto, a seguito di procedura di mobilità ai sensi dell'articolo33 del d.lgs. n. 29/93 dal C.I.S.I. Sempre nell'atto di appello, nel riportare le conclusioni proposte dinanzi al Tribunale si indica il periodo in contestazione del rapporto a tempo indeterminato con il Comune dal 6 marzo 1989, data di assunzione, al 1° febbraio 2000, data di assunzione da C.I.S.I. Tanto premesso, si rileva che il giudice di secondo grado, nel confermare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ha erroneamente applicato i principi affermati da questa Corte in materia. Costituisce ius receptum che la regola di riparto della giurisdizione sia informata al criterio del petitum sostanziale, in luogo di quello formale, il quale ha riguardo non alla causa petendi ma all'oggetto del dispositivo giurisdizionale che si invoca, mentre il petitum sostanziale concerne il rapporto dedotto in giudizio ed oggetto di accertamento giurisdizionale. Il ricorrente invoca sul piano formale l'adozione delle delibere giuntali sopra richiamate, assunte come lesive, ma il rapporto dedotto in giudizio è relativo al complessivo arco temporale della prestazione di lavoro resa presso il Comune di (OMISSIS) fino al febbraio 2010. Secondo il consolidato e condiviso indirizzo delle Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 7305 del 2017): in tema di pubblico impiego contrattualizzato, la sopravvivenza della giurisdizione del giudice amministrativo, regolata dall'articolo 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, costituisce, nelle intenzioni del legislatore, ipotesi assolutamente eccezionale, sicché, per evitare il frazionamento della tutela giurisdizionale, quando il lavoratore deduce un inadempimento unitario dell'amministrazione, la protrazione della fattispecie oltre il discrimine temporale del 30 giugno 1998 radica la giurisdizione presso il giudice ordinario anche per il periodo anteriore a tale data, non essendo ammissibile che sul medesimo rapporto abbiano a pronunciarsi due giudici diversi, con possibilità di differenti risposte ad una stessa istanza di giustizia . Pertanto, sussiste e va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario sul capo di domanda relativo alla prospettata illegittimità del passaggio dalla VIII alla VII qualifica, disposto dall'Amministrazione, e alla condanna al pagamento delle differenze retributive e alla ricostruzione della posizione contributiva del ricorrente, nonché sulla domanda di risarcimento del danno da demansionamento. 4.1. Il ricorso per cassazione è stato notificato il 10 maggio 2023. L'articolo 353 c.p.c. è stato abrogato per effetto dell'articolo 3, comma 26, d.lgs. n. 149 /2022 e l'abrogazione spiega effetto sulle impugnazioni proposte a decorrere dal 28 febbraio 2023 [articolo 35, commi 1 e 4, d.lgs. cit., come sostituito dall'articolo 1, comma 380, lett. a), l. n. 197 del 2022]. L'abrogazione dell'articolo 353 c.p.c. ha fatto venir meno una delle ipotesi di regressione del giudizio in primo grado: il giudice di appello, allorquando riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario è munito della giurisdizione che è stata negata dal primo giudice, non deve più rimettere le parti davanti a quest'ultimo, ma deve trattenerla presso di sé; e il novellato articolo 354, comma 3, c.p.c. precisa, al riguardo, che in tale ipotesi, come in quella in cui dichiara la nullità di altri atti compiuti in primo grado, il giudice di appello «ammette le parti a compiere le attività che sarebbero precluse e ordina, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti a norma dell'articolo 356» (Cass., S.U., n. 23712/2024). Pertanto, a seguito della cassazione della sentenza di appello in relazione ai suddetti motivi sulla giurisdizione il ricorso va rimesso alla Corte d'Appello di Napoli in diversa composizione. 5. Terzo motivo. Eccesso di potere giurisdizionale per errore di diritto. violazione delle regole in tema di riparto dell'onere probatorio - articolo 2087 e 2103 c.c. (articolo 360 c.p.c. n. 3). Assume il ricorrente che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, una condotta vessatoria di tipo episodico integra la fattispecie di straining, fonte di responsabilità datoriale ex articolo 2087 c.c., allorché il lavoratore subisca una modificazione negativa e permanente della propria situazione lavorativa, anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio. Di talché erroneamente la Corte d'Appello ha rigettato il relativo capo di domanda. Sussisterebbe un'ipotesi di straining nella condotta datoriale che, secondo la sua prospettazione, l'avrebbe illegittimamente privato della qualifica di funzionario con messa a concorso del posto. 5.1. il motivo non è fondato e va rigettato. La Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione dei principi in materia, secondo cui è configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra l'elemento obiettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli per la persona interni al rapporto di lavoro e quello soggettivo dell'intendimento persecutorio nei confronti della vittima e ciò a prescindere dalla illegittimità intrinseca di ciascun comportamento, in quanto la concreta connotazione intenzionale colora in senso illecito anche condotte altrimenti astrattamente legittime, il tutto secondo un assetto giuridico pianamente inquadrabile nell'ambito civilistico, ove si consideri che la determinazione intenzionale di un danno alla persona del lavoratore da parte del datore di lavoro o di chi per lui è in re ipsa ragione di violazione dell'articolo 2087 c.c.; è, invece, configurabile lo straining quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie o esse siano limitate nel numero, ma anche nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori. La Corte d'Appello ha affermato, valutando la condotta dell'Amministrazione, con accertamento di fatto effettuato in ragione dei principi sopra richiamati, che la circostanza addotta, non circostanziata è inidonea ex se ad integrare gli elementi costitutivi della fattispecie invocata, non potendo ravvisarsi alcun comportamento stressogeno scientemente attuato nei confronti del dipendente che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto, possa far ravvisare nella specie un'ipotesi di straining. Pertanto, la censura, che peraltro chiede una rivalutazione delle risultanze di causa, non può trovare accoglimento. 6. La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso. Rigetta il terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rimette la causa dinanzi alla Corte d'Appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso. Rigetta il terzo motivo. Cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di Napoli in diversa