In tema di violazione di domicilio e invasione di edifici, è stata ribadita la diversità strutturale delle due fattispecie, nonché la possibilità che esse concorrano tra loro. Lo ha chiarito la Cassazione, stabilendo anche i criteri per l’applicazione delle aggravanti.
La sentenza in analisi affronta un caso di condanna per violazione di domicilio (articolo 614 c.p.), invasione di edificio (articolo 633 c.p.) e violazione del foglio di via obbligatorio (articolo 76 d.lgs. 159/2011). In particolare, l'imputato sollevava il dubbio circa la sovrapposizione delle fattispecie di violazione di domicilio e invasione di edifici, sostenendo l'incompatibilità concettuale tra le due disposizioni. La Corte, richiamando la propria giurisprudenza consolidata e citando le sentenze precedenti (Cass. n. 40771/2018; Cass. n. 19546/2013; Sez. U, Cass. n. 225/2012), ha chiarito che i due reati, pur condividendo una certa similarità nel fatto tipico, tutelano beni giuridici distinti. La violazione di domicilio (articolo 614 c.p.) ha come oggetto la protezione della sfera privata della persona, mentre l'invasione di edificio (articolo 633 c.p.) mira a tutelare la destinazione economico-sociale del bene. La Corte ha altresì evidenziato una differenza fondamentale in merito alla tipologia di dolo richiesta: per la violazione di domicilio è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza di entrare in un'abitazione altrui senza il consenso del proprietario; mentre per l'invasione di edifici è richiesto un dolo specifico, ossia la volontà di occupare l'immobile con finalità di profitto. Un ulteriore distinguo riguarda gli elementi costitutivi dei due reati: mentre la violazione di domicilio presuppone l'introduzione e la permanenza invito domino nell'abitazione, l'invasione di edificio implica un'occupazione protratta, tipicamente con finalità lucrative. Infine, la Suprema Corte ha ribadito che non esiste un rapporto di specialità o incompatibilità tra le due fattispecie, né un concorso apparente di norme. Le due fattispecie possono coesistere nel caso ricorrano i presupposti del concorso formale, come previsto ex articolo 15 c.p. e valorizzato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 97/1987. Alla luce di queste considerazioni, la Cassazione ha, dunque, rigettato il ricorso dell'imputato rispetto a tale motivo, confermando la correttezza dell'applicazione delle due fattispecie nel caso in esame.
Presidente Scarlini - Relatore Muscarella Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Lecce ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Lecce del 18.03.2022, che condannava Lu.Lu., in concorso con Pi.Ma. e Co.Ca., alla pena ritenuta di giustizia, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, equivalenti alle contestate aggravanti ed alla recidiva reiterata e infraquinquennale, per i reati di violazione di domicilio e di invasione di edificio, consumati e tentati, della abitazione di Ca.Ma., con violenza sulle cose, forzando la porta di ingresso, nonché del reato di violazione del foglio di via obbligatorio. 2. Contro l'anzidetta sentenza, l'imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. Giampaolo Potì, affidato a quattro motivi, di seguito enunciati, nei limiti di cui all'articolo 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. 2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione, in relazione agli articolo 614 e 633 cod. pen., deducendo la incompatibilità dei due reati contestati, contraddistinti da diverso elemento soggettivo e da diversa finalità dell'azione, precisamente, in un caso, dalla permanenza transitoria e occasionale, nell'altro, dalla acquisizione del possesso per un rilevante lasso di tempo, e che, nella specie, sarebbe configurabile solo il reato di cui all'articolo 633 cod. pen., tenuto conto del fine perseguito dagli imputati, di occupare l'immobile per un prolungato lasso di tempo, lasciandovi gli effetti personali quando si sono allontanati, e che trattasi di soggetti senza fissa dimora, e che la casa era disabitata. 2.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta vizio di violazione di legge e vizi motivazionali, quanto alla ritenuta sussistenza dei delitti di tentata violazione di domicilio e di tentata invasione arbitraria di edificio altrui, deducendo che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto della insussistenza dei due reati nella forma tentata, circostanza che emergerebbe dalle dichiarazioni della teste, escussa in dibattimento, Me.An., che non riferisce di un tentativo di sfondare la porta o di introdursi clandestinamente nella abitazione della persona offesa, in contrasto con le dichiarazioni di quest'ultima, rimaste prive di riscontro, nonché della natura di reato con effetti permanenti della fattispecie di cui all'articolo 633 cod. pen., che sarebbe contestato due volte, e della insussistenza dell'aggravante di cui all'ultimo comma dell'articolo 614 cod. pen., in quanto mancherebbe il tentativo di danneggiamento della porta. 2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta vizio di inosservanza o di erronea applicazione della legge penale e vizi motivazionali, quanto alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'articolo 76 del D.Lgs. 159 del 2011, deducendo la intervenuta assoluzione del ricorrente, in altro giudizio, per fatto identico, commesso in un giorno diverso, per illegittimità del foglio di via per eccesso di potere, in quanto fondato sull'erroneo presupposto della esistenza di numerosi precedenti penali, mentre il Lu.Lu. ne annovera solo due, uno per furto, commesso nel 2015, diverso da quello indicato nel foglio di via, risalente rispetto al provvedimento questorile, l'altro, per resistenza a pubblico ufficiale, commesso nel febbraio 2020, sarebbe successivo a tale provvedimento. Si deduce che la denuncia per il reato di resistenza a pubblico ufficiale sarebbe insufficiente a legittimare l'emissione di un atto limitativo della libertà personale, e che il presunto episodio di spaccio del 23.09.2019 riguarderebbe una condotta di fuga durante un controllo. 2.4 Il quarto motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizi motivazionali, quanto al riconoscimento della contestata recidiva qualificata. Si deduce che le condotte contestate non sarebbero indice di maggiore pericolosità e offensività rispetto ai precedenti reati, che non sarebbe stato apportato alcun danno all'abitazione della persona offesa, eccetto la rottura della serratura, che la permanenza in casa è durata solo un paio di giorni. Si sottolinea l'atteggiamento collaborativo degli imputati con le forze dell'ordine e le condizioni di disagio abitativo, nonché la contraddittorietà della decisione del Tribunale, che ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, in ragione delle precarie condizioni economiche e della brevità della condotta delittuosa, ma non ha tenuto conto di tali valutazioni per escludere la recidiva qualificata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è nel complesso infondato. 2. Il primo motivo di ricorso è infondato. L'assunto difensivo secondo cui le due fattispecie penali contestate sarebbero identiche per quanto attiene alla parte iniziale della condotta, poiché entrambe fanno riferimento alla introduzione nell'altrui proprietà, mentre differirebbero soltanto per la parte finale dell'azione, in quanto l'articolo 633 cod. pen. prevede una acquisizione del possesso per un rilevante lasso di tempo, così che, nel caso specifico, dovrebbe ravvisarsi solo quest'ultimo delitto, è infondato. Ritiene il Collegio che, conformemente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, a cui si intende dar seguito, nel reato di invasione di terreni o edifici, di cui all'articolo 633 cod. pen., la nozione di invasione non si riferisce all'aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce arbitrariamente e cioè, contra ius, in quanto privo del diritto di accesso. La conseguente occupazione deve ritenersi, pertanto, l'estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l'abusiva occupazione. Nel caso in cui l'occupazione si protragga nel tempo, il delitto ha, comunque, natura permanente, e cessa soltanto con l'allontanamento del soggetto dall'edificio o dal terreno occupato o con la sentenza di condanna. E, dopo la pronuncia della sentenza, la protrazione del comportamento illecito dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell'invasione ma si sostanzia nella prosecuzione dell'occupazione (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 40771 del 19/07/2018, Vetrano, Rv. 274458; precedentemente, v. Sez. 2, n. 49169 del 27/11/2003, Menichini, Rv. 227692; Sez. 2, n. 8107 del 30/05/200, Pompei e altri, Rv. 216525; Sez. 2, Sentenza n. 29657 del 27/03/2019, Rv. 277019 - 01). Integra, invece, il reato di violazione di domicilio la condotta di colui che si introduce nel domicilio altrui con intenzioni illecite, in quanto, in tal caso, deve ritenersi implicita la volontà contraria del titolare dello ius excludendi , non assumendo rilievo, invece, la mancanza di clandestinità nell'agente o l'assenza di violenza sulle cose (Sez. 5, n. 19546 del 27/03/2013, M, Rv. 25650601). Con motivazione immune da vizi di illogicità manifesta, la Corte d'Appello, richiamando la giurisprudenza di legittimità in un caso in cui, sulla base delle medesime considerazioni (diversità di beni giuridici tutelati e di elemento soggettivo), si è ritenuto configurabile il concorso tra i delitti di devastazione e strage, ha correttamente escluso che la condotta di ingresso (o trattenimento) abusivo nell'altrui proprietà costituisca una species della condotta di introduzione nell'abitazione altrui, perché, tra le due fattispecie, non sussiste un rapporto di specialità né di incompatibilità, in quanto sono diversi i beni giuridici tutelati. La norma speciale è concordemente individuata in quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, che hanno appunto funzione specializzante, sicché l'ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell'ambito operativo della norma generale (Sez. U, n. 22225 del 19/01/2012, Micheli, Rv. 252453 - 05; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248864 - 01). Secondo gli approdi da considerare ormai stabilizzati e reiteratamente espressi dalle Sezioni Unite, il criterio di specialità è da intendersi in senso logico formale: il presupposto della convergenza di norme, necessario perché risulti applicabile la regola relativa alla individuazione della disposizione prevalente, può ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le stesse alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le fattispecie astratte, rispettivamente configurate mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie stesse (Sez. U. n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668 - 01; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano; Sez. 5, n. 2121 del 17/11/2023, Sioli, Rv. 285U43 - 01; Sez. 1, n. 12340 del 15/11/2022, dep. 2023, Baldassarre, Rv. 284504 - 01). Anche la Corte costituzionale, in più occasioni, ha affermato la natura strutturale del principio di specialità ex articolo 15 cod. pen., che implica la convergenza su di uno stesso fatto di più disposizioni, delle quali una sola è effettivamente applicabile, a causa delle relazioni intercorrenti tra le disposizioni stesse , dovendosi confrontare le astratte, tipiche fattispecie che, almeno a prima vista, sembrano convergere su di un fatto naturalisticamente unico (Corte cost., sent. n. 97 del 1987). I giudici delle leggi hanno poi aggiunto che per aversi rapporto di specialità ex articolo 15 cod. pen. è indispensabile che tra le fattispecie raffrontate vi siano elementi fondamentali comuni, ma una di esse abbia qualche elemento caratterizzante in più che la specializzi rispetto all'altra (Corte cost., ord. n. 174 del 1994). La giurisprudenza di questa Corte ha, altresì, stabilito che l'articolo 15 cod. pen. si riferisce alla sola specialità unilaterale , giacché le altre tipologie di relazioni tra norme, quali la specialità reciproca o bilaterale , non evidenziano alcun rapporto di genus a speciem (tra le tante, Sez. 4, n. 2152, del 02/03/2021, Bossi, non mass. sul punto; Sez. 5, n. 27949 del 18/09/202CT, Di Gisi, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 29920 del 17/01/2019, Padricelli, Rv. 276583 - 01, tutte ricollegabili al dictum di Sez. U, n. 41588 del 22/06/ 2017, La Marca, non mass. sul punto). Ha, poi, sottolineato la eccentricità dei criteri di sussidiarietà , assorbimento e consunzione , suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti, e la loro estraneità all'unico criterio legale previsto, ovvero quello di specialità positivizzato dall'articolo 5 cod. pen. (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, cit., non. mass. sul punto; Sez. 1, n. 12340 del 15/11/2022, dep. 2023, Baldassarre, cit.). Sez. U. n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, cit. hanno espresso in proposito il condivisibile principio secondo cui: Nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri diversi da quelli stabiliti all'articolo 15 cod. pen., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l'implicita valutazione di correlazione tra norme, effettuata dal legislatore . In realtà, deve escludersi che la condotta di ingresso (o trattenimento) abusivo nell'altrui proprietà costituisca una species della condotta di introduzione nell'abitazione altrui perché, nel delitto di violazione di domicilio, c'è un elemento in più, l'introduzione in una specifica altrui proprietà, che è rappresentata dall'abitazione, dal domicilio privato della persona offesa; anche il reato di invasione arbitraria di altrui proprietà ha un elemento in più rispetto alla violazione di domicilio, che è costituito dalla finalità dell'azione, e cioè il dolo specifico di occupazione o di trarre altrimenti profitto dall'azione di invasione. Le due fattispecie, dunque, non si sovrappongono e non sussiste l'identità di materia che, invece, deve aversi per poter ravvisare un concorso apparente di norme, anche per la radicale diversità del bene giuridico tutelato dalle due fattispecie penali, come osservato, correttamente, dalla Corte di merito alle cui argomentazioni sullo specifico punto si rinvia. In particolare, il reato di cui all'articolo 614 cod. pen. rientra nella categoria dei delitti contro la persona, e tutela il domicilio, quale proiezione spaziale della persona, il reato di cui all'articolo 633 cod. pen., rientra tra i delitti contro il patrimonio, e tutela la destinazione economico-sociale del bene o quella specifica, impressa dal dominus. Ne consegue che la sola introduzione e la sola permanenza, invito domino, nell'abitazione altrui configurano il delitto di violazione di domicilio, mentre si realizza il reato di cui all'articolo 633 cod. pen. quando la introduzione all'interno dell'altrui abitazione sia avvenuta non solo invito domino bensì con la finalità di occuparla. Parimenti, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, la motivazione è corretta ed immune da vizi e censure, in quanto l'articolo 614 cod. pen. richiede il dolo generico, da intendersi come consapevolezza e volontà di introdursi e permanere, invito domino, nell'altrui abitazione, mentre il delitto di invasione di terreni ed edifici richiede il dolo specifico, ossia anche il fine di occupare l'immobile o di trarne altrimenti profitto. Nella specie, l'imputato ed i correi, forzando la porta di ingresso della abitazione della di proprietà della persona offesa, si introducevano nell'appartamento, senza il consenso della stessa, e vi si trattenevano, per due giorni, al fine di trarne profitto, ossia con l'intenzione di farne la propria dimora, (utilizzando letti, coperte ed elettrodomestici). Questa Corte (Sez. 2, n. 10814 dei 19/02/1990, Rv. 185013) ha già avuto modo di osservare, con argomento che il Collegio condivide, come ai fini del dolo specifico, richiesto dall'articolo 633 cod. pen., (trattandosi di fattispecie contraddistinta da illiceità speciale, in relazione all'interesse pubblico tutelato, concretantesi nella inviolabilità del patrimonio immobiliare), occorrono non soltanto la coscienza e la volontà di invadere l'altrui bene, ma anche il fine di occupare l'immobile o di trarne profitto. Alla categoria dei delitti permanenti va, infatti, ricondotta l'ipotesi dell'occupazione abusiva, ex articolo 633 cod. pen., in cui la condotta illecita perdura durante l'illecita permanenza all'interno del bene immobile altrui. In tema di invasione di terreni o edifici assume, infatti, rilievo non solo la condotta iniziale di invasione, ma anche la successiva condotta di occupazione protratta nel tempo. La nozione di invasione , infatti, non si riferisce all'aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce arbitrariamente e cioè, contra ius in quanto privo del diritto d'accesso. La conseguente occupazione deve ritenersi, pertanto, l'estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l'arbitraria invasione. Se per l'invasione, infatti, è sufficiente l'accesso dall'esterno nell'altrui immobile, per l'occupazione è indispensabile la permanenza invito domino da parte di chi sia già nel possesso del bene o vi sia entrato. 2.2 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato. Il motivo propone questioni di merito, tendendo ad ottenere una diversa valutazione di elementi di prova, che sono stati congruamente e logicamente interpretati dal giudice di merito, e con i quali il ricorrente non si confronta. Si deduce che, con riferimento al secondo episodio, avvenuto il 9.03.2020, a fronte della contestazione dei reati, in forma tentata, di violazione di domicilio e di invasione di edifici, la Corte d'Appello non avrebbe tenuto conto del contrasto tra le dichiarazioni della teste Me.An. con quelle della persona offesa, con riguardo al tentativo di sfondare la porta dell'abitazione o di introdurvisi clandestinamente, ed alla sussistenza della aggravante della violenza sulle cose. La Corte territoriale, con argomentazione immune da vizi e censure, ha motivato in relazione ai due distinti episodi di violazione domicilio e di invasione di edifici, distinguendo le condotte realizzate, in forma consumata (primo episodio) e tentata (secondo episodio) nonché di forzatura e di tentata forzatura della porta di ingresso della abitazione. Precisamente, il primo episodio, quando la porta di ingresso veniva divelta (ed all'interno restavano segni evidenti della presenza di estranei), porta che veniva chiusa con un chiavistello, dopo l'intervento dei Carabinieri e del marito della p.o.; il secondo, due giorni dopo, quando l'imputato ed i correi, che si erano allontanati dalla abitazione, vi facevano ritorno, e qui venivano sorpresi dalla vicina di casa, Me.An., e dai Carabinieri, nel tentativo di forzare la porta di ingresso, per accedere nuovamente nell'appartamento, per recuperare beni personali (uno zaino), mai rinvenuto, non riuscendovi per il tempestivo intervento dei militari. Nella specie, con riguardo al secondo episodio, correttamente, la Corte territoriale, con argomentazione immune da vizi e censure, ha ritenuto integrate entrambe le fattispecie contestate nella forma tentata, in quanto a seguito dell'allontanamento dall'abitazione e della chiusura, con chiavistello, della porta d'ingresso, l'ulteriore forzatura, per accedervi, ha determinato il configurarsi di ulteriore fattispecie delittuosa. Né, ha trovato riscontro, la deduzione difensiva, di un allontanamento solo momentaneo e di un successivo rientro nell'abitazione per riprendere lo zaino, ivi lasciato, in quanto, come accertato dal controllo eseguito dai Carabinieri, nulla era stato lasciato all'interno dell'abitazione dall'imputato e dai correi e, dunque, la permanenza della occupazione era cessata. Invero, nel caso in cui l'occupazione si protragga nel tempo, il delitto assume natura necessariamente permanente, perché è alla perdurante condotta continua ed ininterrotta del soggetto agente che si ricollega la perdurante lesione del bene giuridico, in quanto l'occupazione determina una immanente limitazione delle facoltà di godimento del bene spettanti al titolare, impedendo od ostacolandone apprezzabilmente il godimento e lo svolgimento di determinate attività da parte di quest'ultimo, cessando soltanto con l'allontanamento del soggetto dall'edificio o con la sentenza di condanna. Né risulta pertinente ricondurre la fattispecie alla categoria dei reati istantanei con effetti permanenti al pari di altre e similari fattispecie delittuose. Invero, con riferimento ad altri reati definiti come istantanei con effetti permanenti, quali l'evasione, il deturpamento di bellezze naturali, la deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi ex articolo 632 c.p., la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che, di regola, si consumano nel momento stesso in cui si modifica lo stato dei luoghi; tuttavia possono assumere carattere permanente qualora, purché perdurino gli effetti della modifica, si renda necessaria un'attività continua o ininterrotta dell'agente. Nel caso di invasione di terreni o edifici certamente si rende necessaria la condotta attiva dell'autore dell'invasione che continui ad utilizzare il bene altrui, giungendosi, altrimenti, al risultato paradossale di ritenere improcedibile o prescritto un reato che si estrinseca in una condotta attiva che si protrae nelle more del processo per la consapevole volontà del trasgressore (in termini, Sez. 2, n. 20132 dell'8/5/2018, n.m.; Sez. 2, n. 4679 del 30/1/2019, n.m.; Sez. 2, Sentenza n. 46692 del 02/10/2019, Rv. 277929 - 01). Quanto alla ritenuta aggravante della violenza sulle cose, la Corte d'Appello ha argomentato con motivazione immune da vizi e censure, sottolineando che, in relazione al secondo episodio, avvenuto il 9/03/2020, veniva forzata la porta d'ingresso della abitazione. Ed infatti, non è revocabile in dubbio che, per la sussistenza dell'ipotesi aggravata, di cui alla menzionata norma sostanziale, non basti che l'azione sia esercitata direttamente sulla res, occorrendo che la stessa abbia determinato la forzatura, la rottura, il danneggiamento della stessa o ne abbia comunque alterato l'aspetto e/o la funzione, come già affermato da questa Sezione con sentenza 14.1.2000, n. 2170, Rv. 215674. Nella logica della previsione normativa, l'esito dannoso è, dunque, conseguenza necessaria della condotta volta all'introduzione nell'altrui abitazione, mediante il superamento di un ostacolo materiale, che si frapponga al conseguimento di quell'obiettivo. Ora, per quanto riguarda la problematica di fondo, non ignora il Collegio i termini della vexata quaestio della configurabilità sia del delitto tentato circostanziato (o tentativo circostanziato di delitto, cioè il tentativo in cui si siano già realizzate le circostanze, perché attinenti ad una parte di condotta già posta in essere ovvero ai presupposti della stessa ovvero ancora alla qualità del soggetto agente), sia del delitto circostanziato tentato (o tentativo di delitto circostanziato, in cui le circostanze non sono state realizzate, bensì soltanto tentate): quesito che, come è noto, ha trovato soluzioni contrastanti in dottrina. Sul tema neppure la giurisprudenza ha, però, reso risposte univoche, affermando talora che sono compatibili col delitto tentato, e quindi ad esso applicabili, tutte le circostanze, sia aggravanti che attenuanti, escluse quelle relative ad un'attività nemmeno parzialmente posta in esecuzione e quelle che presuppongono l'avvenuta consumazione del reato (cfr. Cass. Sez. 2, 8.2.1982, n. 7665, Rv. 154878); in altri casi, che è ammessa la configurabilità delle circostanze tout court, anche se non realizzate, (Cass. 15.7.1981, n. 135, Rv. 151501) ovvero di quelle evidenziabili all'esame delle peculiari modalità della condotta, dunque dell'idoneità ed inequivocità degli atti preparatori posti in essere dall'imputato, in funzione della specifica indagine sul proposito criminoso, che è riferibile anche ad un reato aggravato. Orbene, pacifico ormai che la questione si ponga indifferentemente per la configurabilità delle circostanze comuni e per quelle speciali, è - con ogni probabilità - vano lo sforzo teorico di dare una risposta generalizzata al quesito, cogliendo, certamente, nel segno la giurisprudenza che ha segnalato come l'estensione al tentativo delle circostanze, previste per il corrispondente reato consumato, comporti un problema di mera compatibilità logico-giuridica, che non tocca, però, il principio della legalità (Sez. 4, 17.1.1989, n. 4098, Rv. 180846). Sennonché, tale compatibilità va verificata non già in astratto, secondo una prospettiva generalizzata ed inglobante (ad esempio, su linee argomentative che, in assoluto, neghino rilevanza a circostanze solo tentate), ma in concreto, sul versante della prova. Insomma, la soluzione, in linea meramente astratta, non può essere univoca, dipendendo, piuttosto, dalla tipologia della particolare aggravante in questione. Ed invero, in determinati casi, a seconda della configurazione positiva, è ontologicamente necessaria la realizzazione dell'evento, che costituisce oggetto di quella determinata circostanza, ovvero occorre il perfezionamento dei relativi presupposti costitutivi nel frammento di condotta posta in essere dal soggetto agente, mentre, in altri casi, non è necessario che ciò si verifichi. Nella specifica fattispecie in esame, relativa alla tentata violazione di domicilio, aggravata da violenza sulle cose, ai sensi dell'articolo 614 cod. pen., comma 4, stante la necessità dell'effetto lesivo, strettamente connesso alla violenza sulle cose, come elemento intrinsecamente - e strutturalmente - connaturato alla stessa ipotesi delittuosa, non v'è dubbio che il tentativo di reato aggravato postula che si sia già verificato il danneggiamento della cosa e che questo, a sua volta, non sia soltanto tentato. Il che significa che la fattispecie del tentativo, in forma aggravata, richiede che si sia superata la soglia del danneggiamento alla res, senza che, ovviamente, si sia verificato l'ulteriore evento dell'introduzione nell'altrui abitazione, al quale era direttamente finalizzata la condotta violenta. Nel caso di specie, nel secondo episodio, la porta, chiusa con chiavistello, dopo il primo ingresso illecito, veniva nuovamente aperta, tanto che i Carabinieri, nuovamente intervenuti, rinvenivano all'interno della abitazione gli imputati (Sez. 5, Sentenza n. 16313 del 24/01/2006, Rv. 234424 - 01). 2.3 Il terzo motivo di ricorso è fondato. 2.3.1 Giova premettere che, in tema di contravvenzione al foglio di via obbligatorio, il Giudice non può sostituire la propria valutazione al giudizio di pericolosità espresso dal Questore, in quanto, in tal modo, eserciterebbe un inammissibile sindacato giurisdizionale di merito sull'atto amministrativo, mentre gli è consentito soltanto un sindacato di legittimità, consistente nella verifica della conformità del provvedimento alle prescrizioni di legge, tra le quali rientra l'obbligo di motivazione sugli elementi da cui viene desunto il giudizio di pericolosità (Sez. 1, n. 44221 del 17/9/2014, Chirila, Rv. 260897). Con la conseguenza che è legittima da parte del giudice penale la disapplicazione del provvedimento amministrativo motivato soltanto sulla base di illazioni, congetture o meri sospetti e sulla astratta probabilità della commissione dei delitti, poiché l'ordine, alla cui violazione consegue l'illecito penale, deve essere fondato su indizi, da cui desumere che il soggetto destinatario rientri in una delle categorie previste dall'articolo 1 della legge n. 1423 del 1956 (cfr. ex multis Sez. 1, n. 41738 del 16/9/2014, Rv. 260515). L'ordine, infatti, deve essere adottato in presenza dei presupposti normativi e, segnatamente, emesso nei confronti di un soggetto appartenente ad alcuna delle categorie di cui all'articolo 1 legge n. 1423/1956, e di cui sia stata esplicitata e motivata, con adeguate argomentazioni fondate su concreti elementi di fatto, la sua pericolosità. La Corte di appello ha ritenuto legittimamente emesso il provvedimento di foglio di via, ritenendo di non condividere le argomentazioni di altro giudice che, in relazione ad altro procedimento penale, lo aveva lo disapplicato, in quanto viziato da eccesso di potere per travisamento dei fatti, perché fondato sull'erroneo presupposto che, all'epoca della emissione del foglio di via, il Lu.Lu. avesse numerosi precedenti penali. La Corte d'Appello ha ritenuto sussistente il presupposto della dedizione del ricorrente a traffici delittuosi, di cui al provvedimento emesso dal Questore, richiamando le argomentazioni del giudice di prime cure (che aveva evidenziato un precedente per furto, ed una denuncia per resistenza a pubblico ufficiale del febbraio 2020, quest'ultima successiva al provvedimento) nonché ulteriori elementi, quali il coinvolgimento del ricorrente in un'operazione antidroga (nel corso della quale Lu.Lu. si era dato alla fuga, sottraendosi ai controlli) e la frequentazione di pregiudicati, nonché non aveva dato valida giustificazione alla permanenza nella città di L. Nella specie, il provvedimento risultava emesso in assenza dei presupposti di legge, in contrasto con le risultanze del casellario giudiziale, ossia sulla base non già di numerosi precedenti penali, come affermato nel provvedimento bensì di un unico precedente penale per furto, e dell'esito di un controllo di PG per un episodio di spaccio, mentre il reato di resistenza a pubblico ufficiale è successivo. Sul punto, si impone un nuovo esame perché la Corte di appello accerti la sussistenza dei presupposti della contestazione di cui all'articolo 76, comma 3, D.Lgs. 159/2011. 2.4 Il quarto motivo di ricorso è infondato. Preliminarmente, va rilevato che sussiste l'interesse dell'imputato ad impugnare onde ottenere l'esclusione di un'aggravante anche nel caso in cui con il provvedimento gravato gli siano state concesse attenuanti valutate in termini di equivalenza o di prevalenza, in quanto l'erroneo riconoscimento della sussistenza dell'aggravante, qualificando il fatto in termini di maggiore gravità, incide sulla determinazione della pena ex articolo 133 cod. pen. (Sez. 1, n. 9019 del 23/11/2023 - dep. 2024, Boukssid Hicham, Rv. 285921 - 01). Peraltro, oltre che in termini di concreta gravità del fatto di reato, e di possibili riflessi sulla dosimetria sanzionatoria, la recidiva produce concreti effetti sia con riguardo alla concessione dei benefici e dei permessi penitenziari (v. articolo 30, comma 4, e 58-quater, comma 7-bis, L. n. 354 del 1975), sia in relazione alle condizioni per la riabilitazione (articolo 179, comma 2, cod. pen.), sia rispetto all'estinzione della pena per effetto del decorso del tempo che ove detentiva, ai sensi dell'articolo 172, ultimo comma, non si verifica a favore di condannati recidivi, nei casi previsti dai capoversi dell'articolo 99 cod. pen., mentre se pecuniaria richiede, ex articolo 173, comma 1, cod. pen., tempi maggiori se inflitta a tale tipologia di condannati (così, Sez. 2, n. 14653 del 07/03/2024, R., Rv. 286209 - 01; Sez. 6, Sentenza n. 30706 del 14/05/2024, Rv. 287116 - 01). Dunque, non può negarsi che l'imputato nei cui confronti la recidiva sia ritenuta abbia un concreto interesse a presentare impugnazione sul punto, quand'anche gli effetti sanzionatori di questa siano stati completamente neutralizzati per effetto del riconoscimento di circostanze attenuanti equivalenti. Nella specie, la doglianza relativa alla sussistenza della recidiva era stata espressamente formulata nei motivi di appello. La sentenza impugnata, confrontandosi con il ricorso, ha proceduto al giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche rispetto all'aggravante soggettiva, e ne ha ritenuto giustificata l'applicazione, valorizzando la ricca carriera criminale del ricorrente, emergente dalle certificazioni penali in atti, quale elemento sintomatico dell'accentuata pericolosità sociale per l'elevato grado di colpevolezza che implica, richiamando diversi precedenti per delitti contro il patrimonio. Tale motivazione risulta congrua ed immune da vizi di illogicità, dal momento che l'applicazione della recidiva facoltativa contestata richiede uno specifico onere motivazionale da parte del giudice, che, tuttavia, può essere adempiuto anche implicitamente (Sez. 6, n. 14937 del 14/03/2018, De Bellis, Rv. 272803 - 01) . Sotto altro profilo, non coglie nel segno il ricorrente quando afferma l'esistenza di contraddittorietà tra il riconoscimento delle attenuanti generiche e l'applicazione della recidiva poiché, come osservato in recente pronuncia in tema di recidiva, la valorizzazione, da parte del giudice, dei precedenti penali dell'imputato ai fini del riconoscimento della recidiva, è compatibile con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, attesa la autonomia e indipendenza dei giudizi riguardanti i due istituti (Sez. 4, n. 14647 del 07/04/2021, Gallo, Rv. 281018 - 01). La Corte di appello ha ritenuto la lunga carriera criminale del ricorrente e la obiettiva gravità del fatto elementi significativi ai fini del riconoscimento della recidiva, in quanto espressivi di un elevato grado di consapevolezza dell'illiceità della propria condotta e, quindi, di accentuata pericolosità sociale. Tale giudizio non appare affatto illogico, se solo si consideri la pervicacia criminale dimostrata dal ricorrente che, per ben due volte, forza la serratura della stessa abitazione per farvi abusivo ingresso. Inoltre, entrambi gli elementi sono senz'altro significativi ai fini del riconoscimento e/o esclusione di tale circostanza, ai sensi dell'articolo 133 cod. pen. 3. La sentenza impugnata va annullata limitatamente al reato contestato ai sensi dell'articolo 76 D.Lgs. 159/2011, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce. Nel resto, il ricorso va rigettato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato contestato ai sensi dell'articolo 76 D.Lgs. 159/2011, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce. Rigetta il ricorso nel resto.