Anche in assenza di una formale proclamazione sindacale o di astensione totale dalla prestazione lavorativa, la protesta collettiva volta a tutelare diritti e rivendicazioni dei lavoratori costituisce esercizio di libertà sindacale e non può, quindi, essere sanzionata.
La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza in commento, si è pronunciata su un caso di licenziamento disciplinare di un lavoratore per aver eseguito un turno diverso da quello disposto dall'azienda. La decisione dei Giudici si fonda sull'analisi della natura della condotta contestata, sulla distinzione tra sciopero tipico e altre forme di protesta collettiva, nonché sulla tutela accordata alle azioni sindacali dai principali riferimenti normativi e costituzionali. La Corte d'Appello di Napoli aveva annullato il licenziamento applicando la tutela reintegratoria di cui all'articolo 18, comma 4, St. lav., ritenendo la condotta sanzionabile solo conservativamente secondo l'articolo 69 CCNL Alimentari Industria, escludendo la gravità dell'insubordinazione e la natura discriminatoria del recesso. La Cassazione, chiamata a pronunciarsi, poi, dopo aver richiamato i propri precedenti sul tema (Cass. n. 9526 e Cass. n. 9538/2025), ha ribadito che la protesta collettiva, anche se non formalmente proclamata dal sindacato e non concretizzatasi in vera astensione dal lavoro, rientra tra le azioni collettive protette, tutelate dall'articolo 4 l.n. 604/1966 e dagli articolo 39 e 40 Cost., nonché da fonti sovranazionali (quali la Carta dei diritti UE e la Carta Sociale Europea). Tutela dell'azione collettiva e limiti alla sanzionabilità disciplinare La Suprema Corte ha chiarito che, anche in assenza di una formale proclamazione sindacale o di astensione totale dalla prestazione lavorativa, la protesta collettiva volta a tutelare diritti e rivendicazioni dei lavoratori costituisce esercizio di libertà sindacale e non può essere sanzionata disciplinarmente, né con sanzioni conservative né espulsive. Il licenziamento irrogato per partecipazione ad attività collettive di autotutela, non violente né penalmente rilevanti, è nullo in quanto discriminatorio. La Corte sottolinea che il giudice deve, infatti, verificare la reale natura e finalità dell'azione collettiva, accertando se il licenziamento sia stato determinato da intento ritorsivo. La sentenza richiama, infine, i limiti posti dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità: il diritto di sciopero e di azione collettiva trova limite solo nella tutela di interessi concorrenti costituzionalmente garantiti (vita, incolumità personale, libertà di iniziativa economica).
Presidente Manna - Relatore Amendola Fatti di causa 1. La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha annullato il licenziamento disciplinare intimato dalla (OMISSIS) S.r.l. a R.G. il 24 febbraio 2022 “per aver svolto un turno diverso da quello disposto da parte datoriale”, applicando la tutela reintegratoria di cui al comma 4 dell'articolo 18 St. lav. novellato. 2. La Corte, in estrema sintesi, pur escludendo che la condotta sanzionata rappresentasse una forma di esercizio del diritto di sciopero ai fini del riconoscimento della invocata natura disciminatoria o ritorsiva del recesso, ha sussunto la medesima nell'ambito di una previsione della contrattazione collettiva applicabile che punisce con sanzione conservativa, “in via esemplificativa”, il lavoratore “che non esegua il lavoro secondo le istruzioni ricevute, oppure lo esegua con negligenza” (cfr. articolo 69, CCNL Alimentari Industria), escludendo altresì la ricorrenza di una insubordinazione grave in relazione al concreto atteggiarsi dell'elemento psicologico avuto riguardo al complesso delle circostanze del caso concreto. 3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso in via principale la società, con quattro motivi, con i quali si sostiene, sotto vari profili, la legittimità del licenziamento intimato; ha resistito con controricorso il lavoratore, formulando ricorso incidentale affidato a tre motivi. La Procura Generale ha comunicato memoria con cui ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi. Entrambe le parti hanno replicato con memorie. Ragioni della decisione 1. Il ricorso incidentale del lavoratore riveste priorità logica giuridica nella soluzione della controversia e deve essere pertanto esaminato in via pregiudiziale. Infatti, il primo motivo, al fine di ottenere l'accertamento della nullità del licenziamento e la conseguente maggiore tutela, deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 40 Cost. nonché dell'articolo 2119 c.c. (ex articolo 360 n. 3 c.p.c.), criticando diffusamente la sentenza impugnata per avere escluso di sussumere la fattispecie concreta in una forma di sciopero, anche atipica, non esistendo una definizione astratta di tale fenomeno (dovendone desumere le caratteristiche e le modalità di esercizio dalla pratica sociale) e non operando, pacificamente, nel caso di specie l'unico limite esterno univocamente riconosciuto ossia quello del danno alla produttività dell'impresa; del tutto irrilevanti erano, pertanto, le definizioni astratte del diritto di sciopero, posto che - in sintesi - altri 10 lavoratori si erano astenuti dall'effettuare i turni orari a scorrimento (effettuando una diversa modalità oraria di prestazione), non assumendo alcun rilievo l'accettazione della prestazione da parte del datore di lavoro e la retribuzione dell'attività. Col secondo motivo, invece, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1460 c.c. nonché dell'articolo 1181 c.c., in relazione all'articolo 1362 c.c., e dell'articolo 2119c.c. (ex articolo 360 n. 3 c.p.c.), avuto riguardo all'applicabilità nella specie dell'articolo 1460 c.c. Il terzo mezzo lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione degli articolo 91 e 92 c.p.c. nonché dell'articolo 111 Cost., comma 6, per avere la Corte territoriale disposto la compensazione delle spese in mancanza di un'adeguata giustificazione. 2. Il primo motivo dell'impugnazione incidentale del lavoratore – con cui si deduce la piena legittimità della condotta collettiva messa in atto dai lavoratori che la Corte di appello ha invece ritenuto costituire illecito disciplinare sia pure lieve – è fondato alla stregua di quanto già affermato da questa Corte in analoghe controversie che hanno coinvolto la medesima società (cfr. Cass. nn. 9526 e 9538 del 2025, cui si rinvia anche ai sensi dell'articolo 118 disp. att. c.p.c.). 2.1. Il ricorrente incidentale, unitamente ad altri lavoratori, ha agito in giudizio sostenendo di aver svolto una legittima forma di protesta collettiva, integrante esercizio del diritto di sciopero “atipico o meno”, chiedendo venisse dichiarata la natura illecita, ritorsiva e discriminatoria del licenziamento intimato da (OMISSIS) S.r.l. ai sensi dell'articolo 4 legge n. 604/1966. Si evidenzia come risulti per tabulas che nel caso di specie la condotta addebitata non potesse dare adito ad una mancanza di natura disciplinare del singolo lavoratore, ma integrasse una azione collettiva di inosservanza del turno di lavoro di scorrimento disposto dal datore di lavoro messa in atto da ben 11 lavoratori; cioè da tutti gli addetti per quel mese ed in quel turno allo scopo di contestare la volontà datoriale di non corrispondere più la relativa indennità. La tesi circa la dimensione collettiva della protesta, sostenuta dall'attuale ricorrente incidentale, risulta pacificamente riscontrata anche dalla Corte di appello avendo la sentenza impugnata evidenziato, in più punti, come la vicenda, in oggetto scaturisse “dal contrasto anche collettivo, pur se non proprio sindacalmente organizzato, che intorno ad essa si è sviluppato”. 2.2. Da tali premesse si evince quindi come la natura collettiva dell'azione messa in atto dai lavoratori risulti non tanto dalla mera molteplicità dei ricorsi intentati dai lavoratori licenziati, come sostiene la difesa della società, bensì dalla dimensione collettiva della questione disputata, dalla concordanza delle plurime condotte dei lavoratori, dal contesto in cui si sono svolti i fatti, dalla sequenza cronologica degli eventi e dalla finalità delle azioni messe in atto dai lavoratori, così come peraltro evidenziato dalla medesima Corte territoriale. Tuttavia la stessa Corte napoletana, dopo aver escluso la ricorrenza di una fattispecie di sciopero (per mancanza della proclamazione da parte del sindacato e per la mancata astensione dalla condotta lavorativa), ha pure sostenuto che la condotta collettiva dei lavoratori si ponesse “comunque al di fuori dei canali di lotta ed anche di autotutela che l'ordinamento garantisce ed offre e non può considerarsi lecita” ed ha escluso quindi che il licenziamento potesse essere qualificato come discriminatorio o ritorsivo. In tal modo, però, la sentenza gravata non ha in realtà valorizzato sul piano oggettivo la natura collettiva della condotta in concreto realizzata, pur accertata e messa in chiara evidenza ai fini dell'identificazione dell'elemento soggettivo; e, cadendo in una intrinseca contraddizione, la Corte distrettuale ha riportato l'esercizio dell'azione di protesta collettiva sul terreno della condotta individuale perseguibile disciplinarmente, alla stregua di un inadempimento contrattuale. 2.3. Questa Suprema Corte ha premesso nei propri precedenti sopra richiamati che - secondo la giurisprudenza oramai assestata - lo sciopero costituisce un atto a forma libera, che non richiede la proclamazione da parte del sindacato, configurando esso un diritto la cui titolarità spetta individualmente ad ogni lavoratore, mentre il solo esercizio deve esprimersi in forma collettiva. In ogni caso, non vi può essere sciopero senza l'astensione almeno parziale dal lavoro (v. Cass. n. 46/1984, n. 2840/1984, n. 5686/1987, n. 869/1992, n. 18368/2013, n. 24653/2015; più di recente Cass. n. 13537/2024). Sicché lo sciopero deve concretarsi nell'astensione quanto meno di una parte della prestazione lavorativa, mentre nel caso in esame nessuna astensione parziale si è prodotta avendo i ricorrenti eseguito per intero l'attività lavorativa per la quale sono stati pure retribuiti in conformità alla prestazione resa e a termini del CCNL (al di fuori dei turni a scorrimento e senza la relativa indennità previsti invece dal contratto aziendale). Tuttavia, sebbene non rientri nella nozione di diritto di sciopero, deve comunque riconoscersi, al contrario di quanto sostenuto dalla Corte territoriale, che la forma di autotutela collettiva messa in atto dai lavoratori non possa costituire un illecito civile, di guisa che sono illeciti i licenziamenti in oggetto perché intimati per finalità antisindacali ai sensi dell'articolo 4 legge 604/1966. Ed infatti va evidenziato come l'azione collettiva messa in atto dai lavoratori si sia dispiegata nell'ambito del fisiologico conflitto collettivo, attesa la pretesa della società di non rispettare la contrattazione collettiva pur formalmente e sostanzialmente in vigore; pretesa alla quale è seguita la protesta collettiva dei lavoratori. La Corte di appello ha omesso di valorizzare con coerenza che il fatto ascritto anche all'odierno ricorrente non è stato frutto della scelta solitaria d'un singolo lavoratore, ma il prodotto di una scelta collettiva e che è stato, quindi, generato per adesione alle modalità di protesta concertata dai medesimi lavoratori. La Corte territoriale ha pure errato a non rilevare che la stessa azione di protesta acquisita al thema decidendum potesse essere effettuata dai lavoratori collettivamente per finalità sindacali (ossia di miglioramento delle condizioni di lavoro anche sul piano retributivo) senza dover essere necessariamente promossa dal sindacato ed esprimersi nella forma dello sciopero. 2.4. Sul piano del diritto positivo, la sentenza ha trascurato che la Costituzione e le fonti sovranazionali tutelano non solo lo sciopero ma anche l'azione collettiva e l'attività sindacale in cui essa si estrinseca; posto che il diritto di sciopero è soltanto una delle manifestazioni e delle forme di autotutela collettiva dei lavoratori in quanto parte della più ampia categoria delle azioni collettive protette dall'ordinamento. Nel concetto di libertà sindacale, protetta dall'articolo 39 della Costituzione, è insita una libertà ampia che spazia dalla scelta delle forme organizzative alla scelta delle modalità dell'azione di autotutela, se è vero che il sindacato trova proprio nel conflitto e nelle lotte rivendicative la sua ragion d'essere. L'articolo 28 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea prevede: “I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero”. L'articolo13 della Carta Comunitaria Europea dei Diritti Sociali Fondamentali dei Lavoratori stabilisce: “Il diritto di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive comprende il diritto di sciopero, fatti salvi gli obblighi risultanti dalle regolamentazioni nazionali e dai contratti collettivi. Onde favorire la composizione delle vertenze di lavoro, occorre incoraggiare, conformemente alle prassi nazionali, l'istituzione e l'impiego, ai livelli appropriati, di procedure di conciliazione, mediazione ed arbitrato”. L'articolo 6 della Carta Sociale Europea prevede che “Per garantire l'effettivo esercizio del diritto di negoziazione collettiva, le Parti … riconoscono: il diritto dei lavoratori e dei datori di lavoro d'intraprendere azioni collettive in caso di conflitti d'interesse, compreso il diritto di sciopero, fatti salvi gli obblighi eventualmente derivanti dalle convenzioni collettive in vigore”. 2.5. Inoltre, va considerato che, anche per l'azione collettiva diversa dallo sciopero, una volta che nel suo concreto attuarsi essa sia comunque avvenuta per uno dei fini collettivi chiariti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (v. sentenze Corte cost. n. 29/1960, Corte cost. n. 123/1962, Corte cost. n. 290/1974; Corte cost. n. 165/1983), valgono i medesimi limiti dettati per lo sciopero, costituiti dal rispetto delle posizioni soggettive concorrenti su un piano prioritario o quantomeno paritario, quali il diritto alla vita e all'incolumità personale nonché la libertà dell'iniziativa economica (Cass. n. 711/1980) cioè l'attività imprenditoriale quale concreto strumento di realizzazione del diritto costituzionale al lavoro per tutti i cittadini. 2.6. Per cui, la forma di protesta in discorso (costituita dall'astensione dal turno con espletamento delle mansioni in orari differenti) integra comunque una forma di azione collettiva tutelata dalla Costituzione e dalle fonti sovranazionali indicate, anche perché non ha (e in concreto non ha avuto) alcuna attinenza con manifestazioni illecite dell'attività sindacale (come il picchettaggio, l'occupazione di azienda, il sabotaggio, il boicottaggio, il blocco delle merci). Pertanto, l'esercizio di un'azione collettiva protetta dall'ordinamento, che senza trasmodare in atti violenti o in danneggiamenti, persegua la finalità di ottenere migliori condizioni di lavoro o il rispetto dei contratti collettivi, non può dare luogo ad n un licenziamento per giusta causa, rivelandosi esso vietato ai sensi dell'articolo4 della legge 604/1966. 2.7. Ed invero, proprio con riferimento all'articolo 4 della legge n. 604/1966 la giurisprudenza di legittimità ha da sempre chiarito che per “partecipazione ad attività sindacali” devono intendersi tutte quelle attività che siano dirette a far valere diritti o rivendicazioni dei lavoratori dipendenti purché non attuate con forme di violenza o comportamenti penalmente rilevanti. Da epoca risalente questa Corte ha sempre affermato che, nell'ambito dell'articolo 4 della legge n. 604 del 1966, relativo alla nullità dei licenziamenti discriminatori, l'espressione “partecipazione ad attività sindacali ha un significato ampio, comprensivo non solo delle attività esercitate da lavoratori sindacalisti, ma anche dei comportamenti che, al di fuori di iniziative assunte in sede sindacale, siano comunque diretti a far valere posizioni e rivendicazioni dei lavoratori dipendenti, con il consenso espresso o tacito di questi ultimi e in contrapposizione al datore di lavoro, cosicché deve essere considerato alla stregua di un licenziamento determinato dal motivo illecito considerato dalla disposizione in esame quello intimato ad un lavoratore per la sola ragione di avere assunto iniziative a sostegno di tutti i lavoratori, a prescindere dalla fondatezza o meno delle rivendicazioni stesse. Ne consegue che il giudice di merito è chiamato a compiere, con un'analisi particolarmente incisiva, gli accertamenti necessari al fine conoscere la natura, l'oggetto e le modalità dell'attività sindacale posta in essere dal lavoratore e di verificare se il suo licenziamento sia stato determinato da un intento di ritorsione rispetto all'attività medesima (cfr. Cass. n. 2335/1996; v. pure Cass. n. 7331/1998 e Cass. n. 9950/2005). 2.8. Pertanto, in presenza di una situazione conflittuale implicante la tutela di un interesse collettivo, le forme di lotta organizzata (come l'astensione dal turno di lavoro predisposto dal datore di lavoro), decise ed attuate collettivamente sono pur sempre espressione d'un diritto costituzionalmente garantito e, quindi, non consentono l'irrogazione di sanzioni disciplinari, né espulsive né conservative. 3. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Collegio reputa che il primo motivo di ricorso incidentale debba essere accolto, con assorbimento degli altri e rigetto dei motivi di ricorso principale, i quali invece postulano l'illiceità della condotta ascritta individualmente al singolo lavoratore e l'esistenza d'una giusta causa. La sentenza deve essere quindi cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte territoriale, indicata nel dispositivo la quale, in diversa composizione, si uniformerà a quanto statuito, applicando l'articolo 18, comma 1, St. lav. e provvedendo sulle spese del presente giudizio di cassazione Sussistono le condizioni di cui all'articolo 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002 nei confronti della sola ricorrente principale. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso incidentale, assorbiti gli altri. Rigetta il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di cassazione. Ai sensi dell'articolo 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della sola ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.