In occasione dell’evento “La responsabilità civile alla prova della sostenibilità”, organizzato da Lefebvre Giuffrè e legato all'ultimo volume della storica collana Enciclopedia del diritto - I Tematici , il Prof. Claudio Scognamiglio si interroga sul modo in cui la sostenibilità possa essere considerato come un principio normativo in grado di orientare l'evoluzione del diritto della responsabilità civile.
La sostenibilità ha ormai abbandonato la natura di semplice catchword, fascinoso ma vuoto, per assumere un più preciso rilievo sul piano normativo; resta però da comprendere se, ed in che modo, essa possa essere utilizzata davvero come un principio normativo in grado di orientare l'evoluzione del diritto della responsabilità civile. I giuristi hanno cominciato, ormai da diverso tempo, a studiare il tema della sostenibilità, che in precedenza sembrava destinato a restare circoscritto alla riflessione degli economisti, chiamati ad elaborare modelli ricostruttivi e strategie argomentative in grado di assicurare appunto la sostenibilità del funzionamento del sistema economico e del suo sviluppo, in particolare sotto il profilo della compatibilità con il dato strutturale della scarsità delle risorse che il pianeta è in grado di offrire. Dall'angolo visuale del diritto della responsabilità civile, la ragione di attualità del tema discende, innanzi tutto, dall'ancora recente riforma dell'articolo 9 della Costituzione, che, introducendo, al comma 3, la previsione secondo la quale la Repubblica «tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni», non ha soltanto esplicitato la rilevanza costituzionale della tutela dell'ambiente, della quale già in precedenza non si dubitava, ma ha appunto “aperto” il sistema normativo alla necessità di considerare, nella tutela dei beni sopra elencati, l'interesse delle generazioni future. Si dubita ancora se il precetto normativo appena richiamato si diriga solo al legislatore, come direttiva per l'attività normativa, ovvero sia immediatamente precettivo ed azionabile nei rapporti tra privati (in ipotesi, anche sul piano del giudizio di responsabilità civile), ma certo si tratta ormai di un principio immanente al sistema. Qui si innesta, in particolare, il discorso della responsabilità per danni da cambiamento climatico (la cd. climate change litigation), sul quale è intervenuta di recente la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Corte EDU, Grande Camera, Verein Klimaseniorinnen Schwiez and others c.Switzerland del 9 aprile 2024). Sullo sfondo si delinea anche l'azione dell'ONU: il 29 marzo 2023, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione A/77/L.58 con la quale è stato richiesto alla Corte Internazionale di Giustizia (International Court of Justice – ICJ) un parere consultivo (advisory opinion) sugli obblighi degli Stati alla luce del diritto internazionale in relazione ai cambiamenti climatici. Sul versante della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, una domanda di annullamento di alcuni atti normativi dell'Unione, relativi agli obiettivi di contenimento delle emissioni assunti dagli Stati membri sulla base dell'Accordo di Parigi è stata definita in primo grado dal Tribunale dell'UE con una pronuncia di inammissibilità (Tribunale UE, ordinanza dell'8 maggio 2019, T-330/18, Carvalho e al.), poi confermata in grado di appello dalla Corte di Giustizia con sentenza del 25 marzo 2021, C-565/19, Armando Carvalho e al. c. Parlamento e Consiglio La materia del contenzioso climatico ha dato luogo, anche in Italia, ai primi casi giurisprudenziali. È nota, in particolare, la sentenza del Tribunale di Roma, n. 3552/2024 del 26 febbraio 2024 nella causa c.d. giudizio universale. Con essa, sono state dichiarate inammissibili le domande risarcitorie proposte dagli attori per difetto assoluto di giurisdizione del Tribunale adito, mentre – per l'aspetto relativo alla richiesta di modifica del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) – si è ritenuto che la questione dovesse essere devoluta al Giudice amministrativo. Pende poi un'altra controversia in materia di danno da cambiamento climatico, definita come la giusta causa, nella quale è stata prospettata principalmente la responsabilità di un'impresa privata (Eni) ed accanto ad essa anche del Ministero dell'Economia e delle Finanze e della Cassa Depositi e Prestiti (quanto ai loro poteri di indirizzi dell'attività di Eni) per non avere tempestivamente rispettato l'accordo di Parigi in materia di riduzione delle emissioni. In questo giudizio si attende l'ormai imminente deposito della pronuncia della Corte di Cassazione in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, richiesto dalle stesse parti attrici (Greenpeace, ReCommon ed un gruppo di cittadini e cittadine) in presenza dell'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sollevata dalle parti convenute Rilevano, poi, certamente sul piano del giudizio di responsabilità civile, e nella prospettiva della salvaguardia del valore della sostenibilità, le regole contenute nell'articolo 29 della Direttiva (UE) 2024/1760 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 giugno 2024 relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità; esse, sia pure con riferimento esclusivo alle imprese – di dimensioni particolarmente rilevanti – destinatarie della medesima, secondo la previsione dell'articolo 2, fanno ricorso al rimedio della responsabilità civile a presidio degli obblighi sanciti dalla Direttiva in tema di sostenibilità. Infatti, ed in particolare, l'art 29, comma 1, della Direttiva Due Diligence stabilisce l'obbligo degli Stati membri di predisporre un rimedio risarcitorio nel caso di «un danno agli interessi giuridici della persona fisica o giuridica che sono tutelati dal diritto nazionale», derivante, appunto, dalla violazione delle prescrizioni della Direttiva. L'impatto del problema è, dunque, potenzialmente enorme. Se occorre dare atto che non vi sono ancora strumenti “civilistici”, in termini di azione in giudizio, per far valere gli interessi delle generazioni future cui ha riguardo l'articolo 9, comma 3, Cost., un'incidenza applicativa più ampia, anche in un orizzonte temporale relativamente breve, si potrebbe avere quanto all'ambito applicativo della direttiva 2024/1760. Occorrerà tuttavia attendere – per avere un quadro più completo – l'evoluzione del pacchetto di misure adottato dalla Commissione europea il 26 febbraio 2025, funzionale a semplificare gli obblighi delle imprese in materia di sostenibilità. In questa prospettiva, deve essere rammentata la recentissima Direttiva 14 aprile 2025, n. 2025/794/UE, che ha modificato le direttive (UE) 2022/2464 e (UE) 2024/1760 per quanto riguarda le date a decorrere dalle quali gli Stati membri devono applicare taluni obblighi relativi alla rendicontazione societaria di sostenibilità e al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità. Una volta che il quadro normativo nazionale, attuativo della Direttiva, sarà chiaro e stabile, si potrebbero delineare prospettive di sviluppo molto interessanti anche per quel che concerne l'utilizzazione, in presenza di danni derivanti dalla violazione degli obblighi a carico delle imprese, dello strumento dell'azione di classe, disciplinata dagli articolo 840 – bis c.p.
La responsabilità civile alla prova della sostenibilità