Anziano e con problemi di salute: risarcita solo la perdita di chance di sopravvivenza

A fronte della condotta dei medici, è impossibile addebitare loro anche il decesso del paziente, ritenuto in sostanza inevitabile. Decisivo il richiamo alla sua età e alle sue precarie condizioni di salute. Risarcimento minimo anche per i due figli, entrambi sopra i 50 anni di età, a fronte della mancanza di prove provate di un legame affettivo persistente e continuativo con l’anziano padre.

Ricostruita la triste vicenda e accertata la responsabilità medica che ha portato alla morte di un uomo di oltre 80 anni di età, si aprono due fronti: quello relativo danno da perdita della propria vita e quello relativo alla perdita del rapporto parentale. Per quanto concerne la prima questione, i giudici richiamano una precisa prospettiva, secondo cui «è ravvisabile un danno da perdita di chance di sopravvivenza» se «la condotta colpevole del medico ha avuto come conseguenza un evento di danno incerto» con «insanabile incertezza rispetto all’eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze ritenute soltanto possibili alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo. E tale possibilità è risarcibile equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità perduta – se provato il nesso causale tra la condotta e l’evento incerto (cioè, la possibilità perduta) – ove risultino comprovate conseguenze pregiudizievoli (ripercussioni sulla sfera non patrimoniale del paziente che presentino la necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza». Applicando queste considerazioni alla vicenda oggetto del processo, si osserva che «il paziente, con riferimento a quanto previsto dalle linee guida, doveva essere considerato affetto da trauma cranico minore a rischio evolutivo almeno medio (terapia anticoagulante, età avanzata, patologie preesistenti), e quindi, sempre secondo le linee guida, andava tenuto in osservazione per almeno sei ore e doveva essere praticato esame TAC». Invece, «il comportamento censurabile» dei medici «ha impedito di diagnosticare e trattare tempestivamente il grave evento emorragico» che ha poi portato alla morte del paziente. Pur a fronte di profili di colpa per negligenza, imprudenza e imperizia a carico dei medici, però, «tenuto conto della dell’età avanzata del paziente e del serio quadro pluripatologico preesistente, anche se il trattamento fosse stato corretto, il paziente con elevata probabilità non sarebbe vissuto», sanciscono i giudici. Di conseguenza, non vi è nesso di causalità materiale tra il decesso del paziente e i comportamenti censurabili dei medici. Viceversa, «si può ammettere il nesso di causalità materiale tra i predetti comportamenti censurabili e la perdita di chances di sopravvivenza del paziente, perdita di chance che può essere quantizzata nella misura del 40 per cento». Tirando le somme, il danno da perdita di chance fatto valere dagli eredi del paziente è dunque risarcibile «in quanto provato il nesso causale, secondo gli ordinari criteri civilistici della relazione tra la condotta e l’evento incerto (la possibilità perduta), essendo risultate comprovate le conseguenze pregiudizievoli (quali ripercussioni nella sfera non patrimoniale del paziente) aventi necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza». Quindi, «le condotte dei medici, benché pacificamente non abbiano cagionato il decesso del paziente, hanno tuttavia privato il paziente della chance di sopravvivenza» e «per la liquidazione di siffatta voce di danno non può che darsi ingresso ad una stima equitativa che tenga conto, in primo luogo, dell’età del paziente e delle sue generali condizioni di salute e preesistenti comorbilità». Inoltre, «non esistendo criteri obiettivi per monetizzare l’ipotetico danno da perdita della propria vita, da utilizzare quale parametro per liquidare adeguatamente la chance di sopravvivenza, si ritiene equo utilizzare quale mero riferimento parametrico il valore monetario minimo posto dalla recentissima tabella unica nazionale (approvata nel novembre del 2024 e resa ufficiale nel febbraio del 2025) per una inabilità totale del 100 per cento in persona dello stesso sesso e della stessa età della vittima (uomo di 82 anni), riconoscendo un risarcimento in misura percentuale pari alla corrispondente entità della chance perduta (35%, nel caso specifico)». Dunque, «partendo da un valore ipotetico di 624.291,01 euro, il 35% di siffatto valore consente di giungere ad una liquidazione nella misura di 218.501,85 euro all’attualità, che corrisponde dunque al danno da perdita di chance patito dal paziente in proprio e trasmesso agli eredi iure successionis». Per quanto concerne la seconda questione, ossia il danno richiesto iure proprio dagli eredi del paziente, è consolidato, sanciscono i giudici, «il riconoscimento del danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale in favore dei congiunti di persona che, in conseguenza di un fatto illecito, abbia subito gravi lesioni o sia deceduta, costituendo dato di comune esperienza che eventi di siffatta portata incidano sul diritto all’intangibilità della sfera degli affetti e sulla reciproca solidarietà familiare». E debbono considerarsi «aventi diritto al risarcimento i componenti della cosiddetta famiglia nucleare (coniuge, figli, genitori, fratelli), mentre, avuto riguardo ai parenti meno stretti (nonni, nipoti, zii, cugini, suocero e nuora, cognati), occorre fornire la prova della qualità e della intensità del rapporto affettivo e quindi della perdita che la lesione o il decesso hanno comportato in termini di sostegno morale». Applicando questa visione alla vicenda in esame, viene in rilievo, in primo luogo, «un danno da perdita cli chance di godere del rapporto parentale, data la rilevata incertezza sulla effettiva sopravvivenza del paziente in caso cli corretta diagnosi e di diversa scelta terapeutica, sicché deve tenersi conto, ai fini della liquidazione del pregiudizio non patrimoniale sofferto dai congiunti, della sola percentuale pari alla corrispondente entità della chance perduta», cioè 35%. Necessario, però, “pesare” i presupposti richiesti per il riconoscimento del danno da perdita o lesione del rapporto parentale. In questa ottica «le tabelle prevedono un sistema di attribuzione di un punteggio numerico che varia in ragione della presumibile entità del danno, sulla base di una serie di parametri di riferimento, ovvero la relazione cli parentela con il de cuius (dovendo presumersi che il danno sarà tanto maggiore quanto più stretto è tale rapporto), l’età della vittima e l’età del congiunto (il danno sarà tanto maggiore quanto minore è l’età di vittima e congiunto, siccome il pregiudizio è destinato a protrarsi per un tempo maggiore), la convivenza con la vittima e la composizione del nucleo familiare». Applicando questi parametri, il risarcimento maggiore è riservato alla vedova, mentre ai due figli dell’uomo deceduto «si è ritenuto di attribuire un valore minimo all’intensità della loro relazione col padre», a fronte della «mancanza di prove della convivenza e di un persistente e continuativo legame affettivo, anche tenuto conto dell’età adulta dei figli (53 e 55 anni) e della loro residenza, da diversi anni, in Comuni diversi da quello del padre».

Svolgimento del processo M.R., E.L. e E.G., in proprio e nella qualità di eredi di E.C., hanno convenuto in giudizio l'O.M.A., premettendo in fatto di essere moglie e figli del de cuius E.C., il quale recatosi presso la Clinica (omissis) per una visita cardiologica di routine, scivolava sul gradino delle scale battendo violentemente la testa, in detta struttura, sprovvista di pronto soccorso; che venivano prestati i primi soccorsi e allertato il servizio del 118 con la cui ambulanza C.E. veniva trasportato d'urgenza presso il P.S. P.O. di (omissis); che il paziente poco dopo veniva dimesso con diagnosi di contusione escoriata della regione sopra cigliare sinistra ; che nelle ore successive, presso il proprio domicilio l'E. presentava episodio di coma e veniva nuovamente allertato il servizio 118 che trasportava il paziente presso l'Ospedale (omissis), dove a seguito di TAC cranio veniva rilevata la diagnosi di emorragia subdurale ; che l'E. veniva sottoposto ad urgenza ad intervento chirurgico per rimuovere l'ematoma subdurale acuto emisfero sinistro e che, lo stesso, su disposizione dell'Ospedale (omissis) veniva trasferito presso l'Ospedale (omissis) ; che nonostante l'intervento salva vita il paziente, trasferito e ricoverato presso la Rianimazione dell'Ospedale (omissis) in condizioni cliniche gravi, veniva sottoposto presso detto nosocomio a successivo intervento di tracheotomia e decedeva in data 23 marzo 2020. Gli istanti hanno lamentato la condotta imprudente e negligente del Presidio Ospedaliero (omissis) ., azionando giudizio di a.t.p. ex articolo 696 bis c.p.c. innanzi al Tribunale di Avellino e successiva fase di merito, chiedendo accertarsi e dichiararsi la responsabilità della struttura sanitaria e la condanna al risarcimento dei danni iure successionis e iure proprio sofferti in conseguenza della malpractice medica. Si è costituita l'Azienda (omissis) . chiedendo accertarsi l'inammissibilità del rimedio processuale azionato e in ogni caso dichiararsene il rigetto per infondatezza. Ha spiegato intervento ex articolo 105 c.p.c. nel presente giudizio con comparsa del 19 gennaio 2024, E.C., quale nipote del de cuius E.C., figlia del ricorrente E.L. chiedendo il risarcimento dei danni iure proprio sofferti in conseguenza della perdita del rapporto parentale. Mentre con comparsa del 28 gennaio 2025 si sono costituiti in prosecuzione del giudizio E.L. e G. quali eredi di M.R., frattanto deceduta in (omissis) il 14/08/2024. All'udienza dell'11 marzo 2025, l'Azienda Ospedaliera ha eccepito l'inammissibilità dell'intervento di E.C. in quanto tardivo e non preceduto dall'esperimento dell'obbligatoria condizione di procedibilità. Le parti hanno concluso per l'udienza suddetta come da note di trattazione scritta, all'esito della quale è stata riservata la decisione. Motivi della decisione 1. Questioni preliminari. Con riferimento all'intervento spiegato in corso di causa da E.C., con cui la stessa ha chiesto condannarsi l'azienda convenuta, in qualità di congiunto, al risarcimento dei danni sofferti in proprio in conseguenza della lesione del rapporto parentale con il proprio nonno, si rileva l'improcedibilità della relativa domanda di risarcimento in quanto non preceduta né da mediazione obbligatoria né dal rimedio ante causam ex articolo 696 bis c.p.c. così come previsto dalla L. n. 24 del 2017, non potendosi ritenere assolta la condizione di procedibilità, esperita dai ricorrenti, anche per l'interventrice in ragione della prospettazione di una tutela autonoma, di cui si chiede ristoro, e non anche meramente adesiva alla posizione degli altri congiunti. 2. Premessa normativa ed ermeneutica. Poiché la controversia in esame trae origine da allegata colpa professionale medica, occorre in via preliminare chiarire alcuni aspetti generali in materia di responsabilità della struttura sanitaria. Come noto, l'ampio dibattito sviluppatosi nel corso degli anni ha portato pacificamente la giurisprudenza prima e il legislatore poi a ritenere che la responsabilità della struttura ospedaliera nei confronti del paziente sia di tipo contrattuale. Si sono tuttavia registrati nel corso degli anni diversi orientamenti in merito alla ripartizione dell'onere probatorio. La Cassazione ha precisato a Sezioni Unite che In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (nella specie la .S.C. ha cassato la sentenza di merito che - in relazione ad una domanda risarcitoria avanzata da un paziente nei confronti di una casa di cura privata per aver contratto l'epatite C asseritamente a causa di trasfusioni con sangue infetto praticate a seguito di un intervento chirurgico - aveva posto a carico del paziente l'onere di provare che al momento del ricovero egli non fosse già affetto da epatite) (Cass. civ., SU, n. 577 dell'11.1.2008). Anche la giurisprudenza successiva, in merito alla ripartizione dell'onere della prova, ha chiarito che Nel giudizio di risarcimento del danno conseguente ad attività medico chirurgica, l'attore danneggiato ha l'onere di provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e di allegare l'inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, restando, invece, a carico del medico e/o della struttura sanitaria la dimostrazione che tale inadempimento non si sia verificato, ovvero che esso non sia stato causa del danno. Ne consegue che qualora, all'esito del giudizio, permanga incertezza sull'esistenza del nesso causale fra condotta del medico e danno, questa ricade sul debitore (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 20547 del 30/09/2014). In tempi recenti è stato tuttavia specificato che In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalità tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla vedova di un paziente deceduto, per arresto cardiaco, in seguito ad un intervento chirurgico di asportazione della prostata cui era seguita un'emorragia, sul rilievo che la mancata dimostrazione, da parte dell'attrice, della riconducibilità eziologica dell'arresto cardiaco all'intervento chirurgico e all'emorragia insorta, escludeva in radice la configurabilità di un onere probatorio in capo alla struttura) (Cass. Civ., Sez. 3 -, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017). Tale indirizzo è stato confermato dalla giurisprudenza successiva: In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalità tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla paziente e dai suoi stretti congiunti, in relazione a un ictus cerebrale che aveva colpito la prima a seguito di un esame angiografico, sul rilievo che era mancata la prova, da parte degli attori, della riconducibilità eziologica della patologia insorta alla condotta dei sanitari, ed anzi la CTU espletata aveva evidenziato l'esistenza di diversi fattori, indipendenti dalla suddetta condotta, che avevano verosimilmente favorito l'evento lesivo) (Cass. Civ., Sez. 3 -, Ordinanza n. 26700 del 23/10/2018). In ogni caso, l'accertamento dell'esistenza del nesso causale deve essere compiuto secondo il criterio del più probabile che non : In tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli articolo 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione ex ante - del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del più probabile che non , mentre nel processo penale vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio . Ne consegue, con riguardo alla responsabilità professionale del medico, che, essendo quest'ultimo tenuto a espletare l'attività professionale secondo canoni di diligenza e di perizia scientifica, il giudice, accertata l'omissione di tale attività, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell'evento stesso (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 16123 del 08/07/2010). Anche in tempi più recenti, Cass. Civ., Sez. 3 -, Ordinanza n. 21008 del 23/08/2018, ha ribadito che occorre accertare il nesso causale secondo la regola del più probabile che non : La prova dell'inadempimento del medico non è sufficiente ad affermarne la responsabilità per la morte del paziente, occorrendo altresì il raggiungimento della prova del nesso causale tra l'evento e la condotta inadempiente, secondo la regola della riferibilità causale dell'evento stesso all'ipotetico responsabile, la quale presuppone una valutazione nei termini del c.d. più probabile che non . 3. Il caso in esame. Premesso quanto sopra in linea generale, si procede ora all'esame del caso di specie. Dalla consulenza medico legale eseguita e dai chiarimenti forniti dal CTU della fase di a.t.p., le cui conclusioni questo Giudice condivide in quanto le considerazioni svolte dal perito risultano il frutto di seria e completa valutazione degli elementi in atti e dalle stesse non emergono incoerenze ovvero contraddizioni logiche, emerge l'esistenza di un danno per perdita di chance con i requisiti richiesti dalla giurisprudenza più recente (si vedano Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28993; Cass. n. 5641/2018). Come chiarito nella pronuncia n. 28993/2019, è ravvisabile un danno da perdita di chance di sopravvivenza solo alle seguenti condizioni: La condotta colpevole del sanitario ha avuto, come conseguenza, un evento di danno incerto: le conclusioni della CTU risultano, cioè, espresse in termini di insanabile incertezza rispetto all'eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze, ritenute soltanto possibili alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo. Tale possibilità - i.e. tale incertezza eventistica (la sola che consenta di discorrere legittimamente di chance perduta) - sarà risarcibile equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità perduta - se provato il nesso causale, secondo gli ordinari criteri civilistici tra la condotta e l'evento incerto (la possibilità perduta) - ove risultino comprovate conseguenze pregiudizievoli (ripercussioni sulla sfera non patrimoniale del paziente) che presentino la necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza. L'incertezza del risultato, va ribadito, è destinata ad incidere non sulla analisi del nesso causale, ma sulla identificazione del danno, poiché la possibilità perduta di un risultato sperato (nella quale si sostanzia la chance) è la qualificazione/identificazione di un danno risarcibile a seguito della lesione di una situazione soggettiva rilevante (comunque afferente al diritto alla salute), e non della relazione causale tra condotta ed evento, che si presuppone risolta positivamente prima e a prescindere dall'analisi dell'evento lamentato come fonte di danno. In tali sensi, pertanto, la chance risulta un diminutivo astratto dell'illecito, inteso come sinonimo di possibilità priva di misura (ma non di contenuto), da risarcirsi equitativamente, e non necessariamente quale frazione eventualmente percentualistica del danno finale (omissis). La risarcibilità della perdita di chance non si pone in alcun modo come conseguenza di una insufficiente relazione causale con il danno (come erroneamente ipotizzato nella sentenza n. 21619 del 16/10/2007 di questa stessa Corte), ma come incertezza eventistica conseguente al previo accertamento di quel nesso con la condotta omissiva. A quanto sinora esposto consegue che, provato il nesso causale secondo le ordinarie regole civilistiche, rispetto ad un evento di danno accertato nella sua esistenza e nelle sue conseguenze, il risarcimento di quel danno sarà dovuto integralmente. Sul medesimo piano d'indagine, che si estende dal nesso al danno, ove quest'ultimo venisse morfologicamente identificato, in una dimensione di insuperabile incertezza, con una possibilità perduta, tale possibilità integra gli estremi della chance, la cui risarcibilità consente (come scelta, hic et nunc, di politica del diritto, condivisa, peraltro, anche dalla giurisprudenza di altri Paesi di Common e di Civil law) di temperare equitativamente il criterio risarcitorio del cd. all or nothing, senza per questo essere destinata ad incidere sui criteri di causalità, né ad integrarne il necessario livello probatorio . Nel caso di specie il CTU ha accertato che nel caso in esame, con riferimento a quanto previsto dalle Linee Guida, il paziente doveva essere considerato affetto da trauma cranico minore a rischio evolutivo almeno medio (terapia anticoagulante, età avanzata, pluripatologie preesistenti). Quindi secondo le linee guida andava tenuto in osservazione per almeno sei ore e doveva essere praticato esame TAC. Appare di solare evidenza l'imprudenza, l'imperizia e la negligenza dei Sanitari che hanno avuto in cura il fu E. presso il P.O. L. per aver limitato l'osservazione a circa 20 minuti e per non aver praticato alcuna indagine radiografica. Il comportamento censurabile ha impedito di diagnosticare e trattare tempestivamente il grave evento emorragico. Va segnalato inoltre che l'approccio neurochirurgico riservato al paziente presso l'Ospedale (omissis) non fu corretto, essendo stata effettuata craniotomia mediante singolo foro, intervento NON indicato in presenza di un ematoma sottodurale acuto emisferico sinistro per il quale doveva essere praticato lembo di craniotomia sufficientemente ampio da poter identificare e controllare l'eventuale fonte emorragica, svuotare del tutto la raccolta ematica sottodurale ed ottenere una buona decompressione del parenchima cerebrale, tale da ridurre lo shift della linea mediana descritta in TAC. Sussistono profili di colpa per negligenza, imprudenza e imperizia a carico dei Sanitari intervenuti del P.O. (omissis) e dell'Ospedale (omissis). Tuttavia, tenuto conto della gravità del quadro emorragico, dell'età avanzata del paziente e del serio quadro pluripatologico preesistente (pregresso IMA, cardiopatia ipertensiva, aneurisma aorta addominale prerenale, B. severa, IRC 3 stadio, in terapia con cardirene, antiaggregante piastrinico), anche se il trattamento dei Sanitari del P.O. L. e dell'Ospedale (omissis) fosse stato corretto il paziente con elevata probabilità non sarebbe sopravvissuto. Non sussiste pertanto nesso di causalità materiale tra il decesso del paziente e i comportamenti censurabili dei Sanitari del P.O. L. e dell'Ospedale (omissis) . Viceversa, si può ammettere il nesso di causalità materiale tra i predetti comportamenti censurabili e la perdita di chances di sopravvivenza del paziente che può essere quantizzata nella misura del 40%. La perdita di chances è ascrivibile in maniera largamente preponderante alla prima Struttura (perdita di chances 35%) e in maniera residuale alla seconda Struttura (perdita di chances 5%) in considerazione che il paziente all'ingresso era in condizioni neurologiche gravi (GCS 3) (cfr. CTU). Il CTU ha inoltre adeguatamente dato riscontro alle osservazioni delle parti, replicando - quanto alle osservazioni del CTP dei ricorrenti, il quale ha obiettato circa l'esclusione del nesso eziologico tra la colpa medica e il decesso - che nel caso in esame non si tratta di semplice ESD ma di un quadro neuropatologico più complesso in cui alla emorragia subdurale si associano multiple emorragie intraparenchimali, non trattabili chirurgicamente, che si correlano con una prognosi più severa. Inoltre, si tratta di paziente ultraottantenne affetto da un grave quadro di pluripatologie (pregresso IMA, cardiopatia ipertensiva, aneurisma aorta addominale prerenale, B. severa, IRC 3 stadio, in terapia con cardirene, antiaggregante piastrinico) che rendono la prognosi più severa ; ugualmente il CTU ha ritenuto non accoglibili le doglianze del CTP della struttura sanitaria atteso che la circostanza per cui il paziente sia deceduto dopo circa un mese, non costituisce elemento significativo, tale da ipotizzare che un trattamento sanitario virtuoso sarebbe stato del tutto indifferente nell'evoluzione prognostica del caso in termini di chances di sopravvivenza. Le considerazioni a cui è giunto il perito risultano dunque del tutto condivisibili, coerenti e logiche, immuni da censure e da vizi ricostruttivi, dunque pienamente valorizzabili ai fini decisori, non rinvenendosi i presupposti per disporre alcun supplemento di indagine, come anche richiesto dalla struttura sanitaria. Il danno da perdita di chance fatto valere dagli eredi iure successionis, sarà dunque risarcibile in quanto provato il nesso causale, secondo gli ordinari criteri civilistici della relazione tra la condotta e l'evento incerto (la possibilità perduta), essendo risultate comprovate le conseguenze pregiudizievoli (quali ripercussioni nella sfera non patrimoniale del paziente) aventi necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza. Si osserva al riguardo che la risarcibilità della perdita di chance non si pone in alcun modo come conseguenza di una insufficiente relazione causale con il danno ma come incertezza eventistica conseguente al previo accertamento di quel nesso con la condotta omissiva. Ebbene, applicato il richiamato canone ermeneutico nel caso in esame, può coerentemente affermarsi che le condotte dei sanitari, benché pacificamente non abbiano cagionato il decesso, hanno tuttavia deprivato il paziente della chance di sopravvivenza determinata dal CTU nel 35% (per la parte imputabile alla convenuta azienda sanitaria). Venendo alla liquidazione di siffatta voce di danno, non può che darsi ingresso ad una stima equitativa che tenga conto, in primo luogo, dell'età del paziente e delle sue generali condizioni di salute e preesistenti comorbilità. Non esistendo criteri obiettivi per monetizzare l'ipotetico danno da perdita della propria vita, da utilizzare quale parametro per liquidare adeguatamente la chance di sopravvivenza, si ritiene equo utilizzare quale mero riferimento parametrico il valore monetario minimo posto dalla recentissima tabella unica nazionale approvata dal CDM del 25.11.2024 e pubblicata in G.U. in data 18 febbraio 2025, attualmente in vigore e dunque applicabile, per una inabilità totale del 100% in persona dello stesso sesso e della stessa età della vittima (uomo di 82 anni), riconoscendo un risarcimento in misura percentuale pari alla corrispondente entità della chance perduta (35% nel caso di specie). Partendo dunque da un valore ipotetico di euro 624.291,01, il 35% di siffatto valore consente di giungere ad una liquidazione nella misura di euro 218.501,85 all'attualità, che corrisponde dunque al danno da perdita di chance patito da E.C. in proprio e trasmesso agli eredi iure successionis. Non risultano invece documentate spese mediche sostenute in conseguenza dei fatti per cui è causa, né specificatamente dedotti, prima ancora che provati, altri pregiudizi di tipo economico. Passando al danno richiesto iure proprio dagli eredi, è ormai consolidato il riconoscimento del danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale in favore dei congiunti di persona che in conseguenza di un fatto illecito abbia subìto gravi lesioni o sia deceduta, costituendo dato di comune esperienza che eventi di siffatta portata incidano sul diritto all'intangibilità della sfera degli affetti e sulla reciproca solidarietà familiare. Quanto ai soggetti legittimati, devono considerarsi senz'altro aventi diritto al risarcimento i componenti della cd. famiglia nucleare (coniuge, figli, genitori, fratelli) mentre avuto riguardo ai parenti meno stretti (nonni, nipoti, zii, cugini, suocero e nuora, cognati), occorre fornire la prova della qualità e intensità del rapporto affettivo e quindi della perdita che la lesione o il decesso hanno comportato in termini di sostegno morale. Trattasi di danno che trova collocazione nella previsione dell'articolo 2059 c.c. e che, sfuggendo ad una valutazione economica vera e propria, deve essere liquidato in via equitativa ai sensi degli articolo 1226 e 2056 c.c., facendo ricorso ai criteri enucleati nelle tabelle del Tribunale di Milano, ritenute dalla Cassazione del tutto conformi ai dettami ermeneutici enucleati dalla Suprema Corte (si legge in Cass. Civ. n. 6026/2025 le nuove tabelle milanesi consentono - al pari di quelle romane - una liquidazione rispettosa dei criteri indicati da questa Corte con le citate pronunce 10579 e 26300 del 2021, onde la loro applicazione in sede di giudizio di rinvio, come invocata espressamente da parte dei ricorrenti nel corso del giudizio di merito, dovrà ritenersi del tutto conforme a diritto nel caso di specie ). Nella specie, tuttavia, in base a quanto fin qui esposto, viene in primo luogo in rilievo un danno da perdita di chance di godere del rapporto parentale, data la rilevata incertezza sulla effettiva sopravvivenza del de cuius in caso di corretta diagnosi e di diversa scelta terapeutica, sicché dovrà tenersi conto ai fini della liquidazione del pregiudizio non patrimoniale sofferto dai congiunti della sola percentuale pari alla corrispondente entità della chance perduta (35% nel caso di specie per la parte imputabile all'O.M.A.). Anche in tal caso si tratta di danno la cui liquidazione va effettuata in via equitativa e la cui sussistenza richiede l'accertamento degli stessi presupposti richiesti per il riconoscimento del danno da perdita o lesione del rapporto parentale. Tali tabelle prevedono un sistema di attribuzione di un punteggio numerico che varia in ragione della presumibile entità del danno, sulla base di una serie di parametri di riferimento, ovvero la relazione di parentela con il de cuius (dovendo presumersi che il danno sarà tanto maggiore quanto più stretto è tale rapporto), l'età della vittima e l'età del congiunto (il danno sarà tanto maggiore quanto minore è l'età di vittima e congiunto, siccome il pregiudizio è destinato a protrarsi per un tempo maggiore), la convivenza con la vittima e la composizione del nucleo familiare. Si è dunque ritenuto di fare ricorso ad un sistema di calcolo non fondato su un'entità risarcitoria di base da variare in più o in meno, ma sul modello a punto , vale a dire attribuendo un certo numero di punti per ciascuno dei parametri di riferimento sopra considerati e moltiplicando il punteggio finale per una somma di denaro (valore del punto) che costituisce il valore ideale di ogni punto di danno non patrimoniale. Il valore a punto (da moltiplicarsi, come si è detto, per un'entità numerica variabile a seconda dei cinque parametri sopra menzionati), è convenzionalmente stabilita nella tabella elaborata per il 2024, in via equitativa, sulla base della media di un campione di decisioni adottate dal Tribunale di Milano. Orbene, nel procedere all'esame della fattispecie concreta sottoposta all'esame del Tribunale occorre considerare l'età della vittima (anni 82 al momento del decesso) e di quella dei congiunti (77 anni per il coniuge, 55 anni per il figlio L., 53 anni per il figlio G. al momento dell'evento). Dagli importi così determinati va poi considerata la sola percentuale (pari al 35 %) imputabile alla perdita della chance di sopravvivenza, non potendosi addebitare alla struttura sanitaria la perdita del rapporto parentale (in quanto non imputabile l'evento morte) quanto piuttosto la perdita della possibilità di sopravvivenza del congiunto. Pertanto, alla luce dei criteri sopra menzionati appare equo liquidare in favore di: - M.R., coniuge convivente non separata, la somma complessiva di euro 86.237,55 (pari al 35 % di euro 246.393,00); - L.E., figlio non convivente, la somma complessiva di euro 52.016,30 (pari al 35 % di euro 148.618,00); - G.E., figlio non convivente, la somma complessiva di euro 52.016,30 (pari al 35 % di euro 148.618,00). Per quanto concerne l'intensità della relazione per i figli del de cuius si è ritenuto di attribuire il valore minimo, in mancanza di prova della convivenza e di prova di un persistente e continuativo legame affettivo, anche tenuto conto dell'età adulta dei figli ((omissis) e (omissis) anni) e della residenza degli stessi in Comuni diversi da quello del padre da svariati anni (cfr. certificato di famiglia); per la moglie invece si è ritenuto di considerare, ai fini dell'intensità della relazione, il valore medio, non essendo stati dedotti né provati elementi tali da giustificare il discostamento dal parametro medio e dunque in mancanza di prova di una diversa qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale. Sulle somme di cui sopra vanno altresì riconosciuti sulla somma dovuta a titolo risarcitorio gli interessi - quale ristoro per il mancato godimento dell'equivalente monetario del bene perduto (lucro cessante) dalla data del fatto lesivo alla sua liquidazione, in ossequio ai principi dettati dalla Suprema Corte (Cass. SS.UU. n. 1712/1995), ovvero in ragione dei seguenti criteri: la base di calcolo degli interessi non può essere costituita dalla somma liquidata a titolo di risarcimento per equivalente e già rivalutata, ma dalla somma corrispondente alla sorte capitale, come sopra liquidata, svalutata all'epoca del fatto illecito e via via rivalutata anno per anno secondo gli indici ISTAT; su tale importo, in difetto di elementi che consentano di ritenere un impiego più remunerativo, va applicato, in via equitativa, un tasso corrispondente alla media degli interessi legali per il periodo di indisponibilità della somma. Dalla pubblicazione della sentenza e fino all'effettivo pagamento, convertendosi il debito di valore in debito di valuta per effetto dell'intervenuta liquidazione del danno (articolo 1282 c.c.), sul totale delle somme liquidate decorrono gli interessi legali. Atteso l'esito del giudizio, la struttura convenuta, quale parte soccombente, va condannata al pagamento delle spese di lite del presente giudizio di merito, nonché della pregressa fase di ATP. Le spese di consulenza tecnica vanno definitivamente poste a carico della convenuta, nella misura già liquidata in fase di ATP. Spese di lite compensate rispetto alla terza interventrice, il cui intervento è stato dichiarato improcedibile, in ragione della natura del tutto preliminare della pronuncia. P.Q.M. definitivamente pronunciando, nella causa iscritta al n. 1983/2022 del R.G.A.C., avente ad oggetto responsabilità professionale, pendente tra L. e (omissis) , in proprio e quali eredi di C.E. e M.R., e Azienda O.M.A., in persona del l.r.p.t. ogni contraria istanza disattesa così provvede: 1. Dichiara improcedibile l'intervento spiegato da C.E.; 2. Accoglie nei limiti di cui in parte motiva le domande risarcitorie proposte dai ricorrenti in qualità di eredi e per l'effetto condanna la struttura sanitaria, in persona del l.r.p.t., alla corresponsione in ciascuno di essi pro quota dell'importo di euro 204.385,99 (comprensivo dei danni iure successionis e iure proprio nonché della quota di M.R., come ripartita tra i due eredi), oltre interessi e rivalutazione come in parte motiva; 3. Condanna la resistente, in persona del l.r.p.t. alla rifusione in favore dei ricorrenti delle spese di lite della fase di ATP liquidate in euro 5.916 per compenso professionale e in euro 14.000 per compenso professionale della presente fase, tutto oltre esborsi, spese generali, Iva e Cpa come per legge se dovuti; 4. Pone definitivamente a carico della Azienda (omissis) , in persona del l.r.p.t., le spese di CTU, come liquidate con separato decreto nella fase di ATP; 5. Compensa le spese di lite tra l'interventrice e l'O.M.A.