Lavoratore portatore di handicap e licenziamento

Il datore di lavoro che intenda procedere al licenziamento del prestatore di lavoro, affetto da inidoneità fisica allo svolgimento delle mansioni, deve provare di aver ricercato accomodamenti ragionevoli, idonei a consentire lo svolgimento anche di attività lavorativa, alternativa a quella preclusa dalla disabilità. Deve altresì provare di aver compiuto uno sforzo diligente ed esigibile, al fine di reperire una soluzione organizzativa appropriata che scongiuri il licenziamento, avuto riguardo ad ogni circostanza rilevante nel caso concreto.

I fatti di causa Un dipendente, operante con la funzione di armatore ferroviario, di una società attiva nel settore dei trasporti, veniva licenziato a seguito di un accertamento medico nel quale era stata rilevata e certificata l'inidoneità allo svolgimento delle mansioni cui il lavoratore era addetto. Sempre secondo quanto espresso dalla società, non erano rinvenibili, all'interno della compagine aziendale, mansioni equivalenti od inferiori. Ne nasceva un contenzioso che, il tribunale prima e la Corte territoriale successivamente, risolvevano nel senso della declaratoria di illegittimità dell'intimato recesso. Più specificamente, i giudici d'appello precisavano che la società non aveva provato, nè chiesto di provare, di aver adottato tutti gli accomodamenti ragionevoli necessari ad evitare il licenziamento. Inoltre, la società, alla luce della patologia di cui era affetto il prestatore di lavoro, non aveva dedotto e neppure provato che il possibile mutamento dell'assetto organizzativo fosse un accomodamento irragionevole, che avrebbe comportato uno sprorzionato onere finanziario ed economico. Sotto altro profilo, l'inidoneità del lavoratore era stata accertata dalla società stessa; si trattava, nella specie, di una patologia osteoarticolare. Avverso la sentenza di secondo grado, proponeva ricorso per Cassazione l'azienda, affidando il gravame a sette motivi, cui resisteva il lavoratore con controricorso. La pronuncia Con questa sentenza, discussa in pubblica udienza, i Supremi Giudici confermano la pronuncia di secondo grado, attraverso l'analisi dei vari motivi di ricorso. In una prima parte della pronuncia, si affrontano i temi della corretta enucleazione dei motivi di gravame, ma, l'assunto di maggior interesse è quello relativo alla tematica della disabilità del lavoratore. La Corte, infatti, riprendendo un orientamento consolidato, precisa che la nozione di handicap non è ricavabile dal diritto interno, ma, dal diritto dell'Unione Europea, secondo cui la nozione in questione, alla luce della nota direttiva 2000/78, deve essere interpretata nel senso che essa include «una condizione patologica causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile, qualora tale malattia comporti una limitazione risultante in particolare da menomazioni fisiche mentali o psichiche» (Cass. n. 6798/2018; n. 9095/2023). Inoltre, deve sussistere una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche mentali o psichiche, che possano ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale e che si tratti di una limitazione di lunga durata (CGUE sentenze dell'11 aprile 2013, 18 marzo 2014 ed altre). Ad avviso del Supremo Collegio, la Corte territoriale ha mostrato di essere ben conscia della normativa sopra evidenziata e della sua corretta applicazione, allorché ha dedotto che la condizione del lavoratore era tale da ostacolare la sua piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale, su una base di uguaglianza con altri lavoratori. In sostanza, il datore di lavoro ha l'onere di dedurre il compimento di atti od operazioni strumentali rispetto al predetto accomodamento ragionevole, in modo che si possa provare come l'azienda abbia compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata che scongiuri il licenziamento. E questo anche in base ai contenuti di cui all'articolo 3, comma 3-bis, d.lgs. n. 216/2003. Il conseguente giudizio sulla ragionevolezza delle soluzioni adottate è questione di merito e, come tale, insindacabile in sede di legittimità. La sentenza in breve commento riprende, infine, proprio sul tema degli oneri probatori, precisando come la società non avesse allegato e nemmeno provato di aver compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione appropriata, tale da scongiurare il licenziamento. In conclusione, il ricorso è rigettato con condanna dell'azienda ricorrente al pagamento delle spese di giustizia e dell'ulteriore contributo unificato.

Presidente Manna – Relatore Amendola Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.