Persona svenuta dinanzi alla porta: condannato il medico che non esce per prestare assistenza

Nessun dubbio sulla responsabilità penale del medico di turno alla Guardia medica. Inequivocabile la situazione presentatasi, con una persona svenuta dinanzi alla porta della struttura sanitaria.

Ricostruito l’episodio, verificatosi in provincia di Messina, il medico finito sotto accusa viene ritenuto colpevole del reato di rifiuto di atti d’ufficio. Inevitabile la condanna, quindi, con sanzione fissata in appello in una pena pecuniaria sostitutiva consistente in una multa da 7mila e 200 euro. In sostanza, per i giudici di secondo grado non ci sono dubbi sul peso specifico da attribuire alla condotta tenuta dal medico, il quale, pur essendo di turno presso la Guardia medica, si è rifiutato «di visitare e prestare soccorso e assistenza ad un uomo che, a causa di un malore dovuto all’assunzione di sostanze alcoliche, era svenuto» proprio davanti alla porta della struttura sanitaria ed «aveva riportato un trauma alla testa». Secondo la difesa, però, è possibile ridimensionare i fatti e porre in dubbio il dolo del reato attribuito al medico, soprattutto tenendo presente «lo stato di torpore (riferito dai testimoni in dibattimento) in cui egli versava» in quei frangenti «a causa dell’antidolorifico assunto e della imprevedibilità dei suoi effetti» sul corpo e sulla psiche. In aggiunta, poi, la difesa pone in evidenza «il lieve danno causato alla persona offesa, l’episodicità della condotta e le complessive modalità del fatto». Per i magistrati di Cassazione, però, le obiezioni difensive sono fragilissime e non possono mettere in dubbio la colpevolezza del medico. Innanzitutto, viene negata ogni possibile rilevanza scusante alla asserita assunzione di un farmaco antidolorifico: ciò soprattutto tenendo conto «delle competenze professionali del medico» e «della condotta tenuta al momento in cui si presentò alla Guardia medica, chiedendo assistenza, la persona offesa». Ampliando l’orizzonte, poi, i magistrati osservano che, Codice Penale alla mano, «ai fini della configurabilità del reato di rifiuto di atti d’ufficio è sufficiente il dolo generico», ossia «la consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti». Ebbene, nella vicenda oggetto del processo, la consapevolezza del medico è palese, soprattutto tenendo conto della «situazione effettivamente da lui constatata nel momento in cui, guardando dallo spioncino della porta della Guardia medica, si rese conto che vi era una persona priva di sensi e sanguinante e, ciò nonostante, rifiutò deliberatamente di aprire la porta e di prestare la dovuta assistenza». Impossibile, poi, parlare di fatto non grave, poiché «il medico, nonostante le sue funzioni, ha omesso consapevolmente di prestare assistenza ad un soggetto in condizioni critiche, privo di sensi e con il volto sfregiato». Nessun dubbio, quindi, sulla condanna del medico, che può solo puntare su un nuovo processo d’appello per ottenere la sospensione condizionale della pena.

Presidente Aprile – Relatore Tripiccione Rilevato in fatto 1. V.D. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Messina che, in parziale riforma della sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 328 cod. pen., ha rideterminato la pena pecuniaria sostitutiva in euro 7.200 di multa. La ricorrente è stata ritenuta responsabile del reato in quanto, come medico di turno presso la Guardia medica di S. M. D., rifiutava di visitare e prestare soccorso e assistenza a F.C., il quale, a causa di un malore dovuto all'assunzione di sostanze alcoliche, era svenuto riportando un trauma alla testa. Nel ricorso si deducono tre motivi di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione. 1.1 Illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha ritenuto sussistente il dolo del reato, senza considerare lo stato di torpore (riferito dai testi in dibattimento) in cui versava la ricorrente a causa dell'antidolorifico assunto e l'imprevedibilità dei suoi effetti. 1.2 Apparenza della motivazione sulla richiesta di applicazione della causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis cod. pen., stante la mancata considerazione del lieve danno causato alla persona offesa, della episodicità della condotta e delle complessive modalità del fatto. 1.3 Erronea applicazione degli articolo 58 legge n. 689 del 1981 e 163 cod. pen. nella parte in cui è stata rigettata la richiesta di sospensione condizionale della pena. La sentenza, infatti, ha negato il beneficio richiamando il divieto di reformatio in peius, ma ha omesso di considerare sia la disciplina transitoria prevista dall'articolo 95 d.lgs. n. 150 del 2022 sia la circostanza che, risalendo i fatti al 2017, la disciplina all'epoca vigente consentiva il cumulo della sanzione sostitutiva (oggi pena sostitutiva) e della sospensione condizionale. Il beneficio richiesto era sicuramente più favorevole se si considerano le conseguenze correlate al mancato pagamento della pena pecuniaria. 2. Il ricorso è stato inizialmente assegnato alla Settima sezione per l'udienza camerale del 29/11/2014. Con memoria del 13/11/2024 la ricorrente ha insistito per l'ammissibilità del ricorso. Con decisione del 29/11/2024 la Settima sezione ha disposto la trattazione del ricorso da parte di questa Sezione. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si limita a reiterare acriticamente la medesima doglianza di merito dedotta in appello, senza alcun confronto con la sentenza impugnata che, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha escluso ogni rilevanza scusante, tenuto conto anche delle competenze professionali della ricorrente, della asserita assunzione del farmaco antidolorifico, sottolineando, peraltro, che la tesi difensiva appare in contrasto con la condotta tenuta al momento in cui si presentò alla guardia medica la persona offesa chiedendo assistenza (cfr. pagina 4). Va, peraltro, ribadito che ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 328 cod. pen. è sufficiente il dolo generico, in quanto l'avverbio indebitamente , inserito nel testo della disposizione, qualificando l'omissione di atti di ufficio come reato ad antigiuridicità cosiddetta espressa o speciale, connota l'elemento soggettivo, non nel senso di comportare l'esigenza di un dolo specifico, ma per sottolineare la necessità della consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti (Sez. 6, n. 33565 del 15/06/2021, Esposito, Rv. 281846; Sez. 6, n. 2274 del 15/11/1984, dep. 1985, Rv. 168219). Tale consapevolezza è stata ben evidenziata dalla Corte territoriale che ha posto l'accento sulla situazione effettivamente constatata dalla ricorrente nel momento in cui, guardando dallo spioncino della porta della guardia medica, si rese conto che vi era una persona priva di sensi e sanguinante e, ciò nonostante, rifiutò deliberatamente di aprire la porta e di prestare la dovuta assistenza. 2. Anche il secondo motivo non supera il vaglio di ammissibilità in quanto manifestamente infondato e generico. La Corte territoriale, infatti, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, con la quale la ricorrente omette ogni confronto critico, insistendo sull'assenza di conseguenze pregiudizievoli per la persona offesa e sulla episodicità del fatto, ha negato l'applicazione della causa di non punibilità in ragione della non tenuità del fatto, avendo la ricorrente, nonostante le sue funzioni, omesso consapevolmente di prestare assistenza ad un soggetto in condizioni critiche, privo di sensi e con il volto sfregiato. 3. Il terzo motivo di ricorso è, invece, fondato. La Corte territoriale ha erroneamente escluso la concedibilità della sospensione condizionale della pena sostitutiva applicando alla fattispecie in esame, relativa a un reato commesso nel 2017, la più sfavorevole disciplina oggi prevista dall'articolo 61-bis, legge 24 novembre 1981, n. 689, introdotto dall'articolo 71, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Ad avviso del Collegio, tale norma ha natura sostanziale in quanto incide sia sulla specie che sulle modalità di esecuzione della pena; ne consegue, pertanto, che la decisione in esame ha violato l'articolo 2, comma quarto, cod. pen., che, in caso di successione di norme penali nel tempo, prevede l'applicazione della disciplina più favorevole al reo, da individuarsi, nel caso di specie, nella previgente disciplina (Sez. 5, n. 45583 del 03/12/2024, Tronco, Rv. 287354). Va, infatti, considerato che tale disciplina è stata costantemente interpretata da questa Corte nel senso della piena compatibilità tra la sostituzione della pena detentiva e la sospensione condizionale della pena, riconoscendo, da un lato, la natura di sanzione penale della sanzione sostitutiva e, dall'altro, l'interesse del condannato ad ottenere entrambi i benefici (Sez. 4, n. 46157 del 24/11/2021, Solazzi, Rv. 282551; Sez. 2, n. 40221 del 10/07/2012 Sgroi ed altro, Rv. 253447; Sez. 3, n. 46458 del 22/10/2009, Mbengue, Rv. 245618). 4. Alla luce di quanto sopra esposto, va disposto l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla sospensione condizionale della pena, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Messina. Il ricorso va, invece, dichiarato inammissibile nel resto. Per l'effetto, l'imputata va condannata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile C.F. che, tenuto conto del limitato contributo offerto con la memoria trasmessa, contenente le sole conclusioni, si liquidano in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Messina. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.  Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile C.F. che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge.