Il dovere dei genitori di mantenere i figli non cessa ipso facto con il raggiungimento da parte di costoro della maggiore età, ma termina solo nel momento in cui il figlio consegue l’autonomia economica, o avrebbe dovuto farlo secondo paramenti di una diligente condotta, da accertare con riferimento al caso concreto.
Il caso Il Tribunale di Ragusa dichiarava la separazione personale di due coniugi. Respingeva le reciproche domande di addebito e la richiesta di un assegno di mantenimento avanzata dalla moglie e revocava l'assegno di mantenimento in favore della figlia, divenuta maggiorenne nelle more del giudizio, già accordato con i provvedimenti provvisori. La moglie impugnava la decisione dinanzi alla Corte di Appello di Catania, la quale respingeva il gravame, confermando anche la revoca dell'assegnazione della casa familiare. Avverso la sentenza della Corte territoriale, la donna proponeva ricorso per Cassazione sulla base di due motivi. Il marito resisteva in giudizio con controricorso. La decisione della Corte In particolare, con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta il fatto che la CdA abbia negato l'assegno di mantenimento alla figlia soltanto in base al raggiungimento della maggiore età. Deduce inoltre che la figlia, al momento della decisione del giudice di prime cure che le revocava il diritto al mantenimento, aveva raggiunto la maggiore età soltanto da un anno e non poteva di certo ritenersi che fosse economicamente indipendente, anche tenuto conto del contesto territoriale di riferimento, caratterizzato da elevato tasso di disoccupazione. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente rileva che, nonostante il raggiungimento della maggiore età della figlia, il marito, nel precisare le conclusioni, non aveva contestato il riconoscimento di un contributo a titolo di mantenimento in favore della stessa, secondo le proprie possibilità economiche. I giudici della Prima Sezione ritengono i due motivi fondati. Osservano innanzitutto che l'obbligo dei genitori di concorrere tra loro al mantenimento dei figli non cessa, ipso facto, con il raggiungimento della maggiore età ma permane fino al conseguimento della loro indipendenza economica. Tuttavia, la giurisprudenza ha osservato che il figlio maggiorenne, in forza dei doveri di autoresponsabilità che su di lui incombono, non può pretendere la protrazione dell'obbligo di mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, in quanto l'obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, tenendo conto sì delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, ma anche del dovere dello stesso di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel figlio adulto l'attesa ad ogni costo di un'occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata (Cass. civ., Sez. Un., n. 20448/2014; Cass. civ., n. 29264/2022; Cass. civ., n. 26875/2023). Come affermato già dalla Suprema Corte, spetta al giudice di merito: verificare la sussistenza del prerequisito della non autosufficienza economica del figlio maggiorenne, con opportuno bilanciamento rispetto ai doveri di autoresponsabilità che incombono sullo stesso; modulare e calibrare la protezione in relazione alle peculiarità del caso concreto, nel rispetto del principio della proporzionalità e, infine, stabilire il contenuto e la durata dell'obbligo di mantenimento. Infatti, l'età rappresenta un parametro di riferimento importante e la valutazione deve essere condotta con rigore proporzionalmente crescente, in rapporto all'età dei beneficiari, così da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura (Cass. civ., n. 2252/2024). L'onere di fornire la prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente l'assegno e verte sulla circostanza che il figlio ha curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi attivato nella ricerca di un lavoro. La prova sarà tanto più lieve per il figlio, quanto più prossima sia la sua età a quella di un recente maggiorenne: invero, qualora sussista una domanda di revoca da parte del genitore obbligato, l'onere della prova risulterà particolarmente agevole per il figlio in prossimità della maggiore età appena compiuta ed anche per gli immediati anni a seguire, quando il soggetto abbia intrapreso un percorso di studi, già questo integrando la prova presuntiva del compimento del giusto sforzo per meglio avanzare verso l'ingresso nel mondo adulto. Di converso, la prova del diritto all'assegno di mantenimento sarà più gravosa man mano che l'età del figlio aumenti, sino a configurare il c.d. “figlio adulto”. Il genitore interessato alla declaratoria di cessazione dell'obbligo di mantenimento è tenuto dunque a provare – anche avvalendosi di presunzioni - che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività produttiva di reddito, o il mancato compimento del corso di studi, dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso. Per i Giudici della Prima Sezione, la Corte territoriale non ha attribuito alcun valore alla circostanza che l'assegno in favore della figlia era già stato riconosciuto, sia pure in via provvisoria, né ha dato risalto all'età della ragazza (vent'anni) al momento del giudizio di appello, limitandosi ad affermare che la figlia è «ormai autonoma» e a rilevare che la stessa non proseguiva gli studi, senza valutare interamente la sua condizione, e cioè la sua capacità lavorativa in relazione alla sua formazione professionale e alle possibilità concrete date del mercato del lavoro locale in generale e per l'occupazione femminile in particolare. I Giudici della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, pertanto, accolgono il ricorso, cassano la sentenza impugnata e rinviano per un nuovo esame della controversia alla Corte d'Appello di Catania, in diversa composizione, la quale dovrà provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Presidente Giusti – Relatore Russo Fatti di causa Il Tribunale di Ragusa ha pronunciato la separazione dei coniugi respingendo le rispettive domande di addebito nonché la richiesta di assegno di mantenimento avanzata dalla moglie e revocando l'assegno di mantenimento in favore della figlia, divenuta nelle more del giudizio maggiorenne, già accordato con i provvedimenti provvisori. As.Vi. ha proposto appello che la Corte d'Appello di Catania ha respinto osservando -per quanto qui di interesseche la figlia maggiorenne aveva nelle more raggiunto l'età di 20 anni e che ella non ha fornito alcuna prova di aver completato gli studi, che anzi secondo la madre ha del tutto abbandonato e non è stata neppure dedotta la sussistenza di eventuali ragioni che le abbiano impedito di svolgere attività lavorativa; la Corte di merito ha di conseguenza confermato anche la revoca dell'assegnazione della casa familiare. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione As.Vi. affidandosi a due motivi. Ma.Sa. ha svolto difese con controricorso e successivamente depositato memoria. Ragioni della decisione 1.Con il primo motivo del ricorso si lamenta nullità della sentenza per violazione degli articolo 147 -316 bis c.c. nonché dell' articolo 2967 c.c. in relazione all'articolo 360 comma 1 n. 3 c.p.c. La ricorrente deduce che la Corte di merito è incorsa in errore nel negare l' assegno di mantenimento alla figlia solo sulla base della raggiunta maggiore età. La ricorrente deduce che la figlia Gi., (nata il (Omissis)) alla data della pronuncia della statuizione di primo grado (21/06/2022) che le revocava il diritto al mantenimento (accordato in via provvisoria in esito alla prima udienza, tenutasi nell'anno 2019) aveva raggiunto la maggiore età da un solo anno, e da una ragazza appena diciannovenne non può certo pretendersi, in un territorio (provincia di R) con percentuali altissime di disoccupazione, specie femminile, quale è l'estremo sud Italia, di essere economicamente indipendente. Deduce che sarebbe stato onere del genitore interessato alla revoca dell'assegno provare la condizione di autosufficienza economica della figlia. 2.Con il secondo motivo del ricorso si deduce la violazione dell'articolo 112 c.p.c. in relazione all'articolo 360 comma 1 n. 4 c.p.c. Parte ricorrente rileva che nonostante il raggiungimento, nel corso della causa di primo grado, della maggiore età da parte della figlia, il Ma.Sa., nel precisare le conclusioni non ha contestato il riconoscimento di un importo a titolo di mantenimento in favore della figlia. Osserva che nel foglio di precisazione delle conclusioni si legge (con un refuso in ordine al nome della figlia) disporre un assegno di mantenimento solo nei confronti della figlia Me.La., maggiorenne, secondo le possibilità economiche del Ma.Sa. che pertanto il diritto all'assegno di mantenimento non solo non era contestato ma era domanda condivisa e la Corte d'Appello avrebbe dovuto rilevare tale error in procedendo. 3.I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono fondati nei termini di cui appresso. 3.1.Si rende necessaria una breve premessa in ordine al diritto al mantenimento dei figli maggiorenni. 3.2.La norma centrale sui diritti del figlio, che correlativamente definisce anche i doveri dei genitori, è l'articolo 315 bis c.c. introdotto dalla legge di riforma della filiazione 10 dicembre 2012 n. 219, che non distingue tra i diritti del figlio maggiorenne e del figlio minorenne se non al comma terzo, per il diritto di ascolto, proprio solo del figlio minorenne perché quest'ultimo non ha la capacità di agire e attraverso l'ascolto è comunque ammesso ad esprimere la propria opinione e le proprie esigenze sulle questioni che lo riguardano. Analogamente né l'articolo 316 c.c. (responsabilità genitoriale) né l'articolo 316 bis c.c. (concorso nel mantenimento) distinguono tra figli minorenni e figli maggiorenni e nessuna distinzione opera l'articolo 30 della nostra Costituzione, il quale afferma che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio . 3.3.La ragione della mancata distinzione ben si comprende ove si consideri che la riforma della filiazione, operata con la legge 219/2012 e completata con il D.Lgs. 28 dicembre 2013 n. 154, diretta a dare piena attuazione al disposto costituzionale, ha sostituito l'obsoleto istituto della potestà genitoriale con quello della responsabilità genitoriale, sostituzione che non è, come la più avveduta dottrina ha osservato, meramente terminologica, ma costituisce un cambio di rotta e una innovazione che testimonia una mutata considerazione del rapporto tra genitori e figlio nella quale vengono posti in primo piano i diritti di quest'ultimo. La dottrina ha infatti sin dal primo momento evidenziato un particolare elemento di differenziazione sostanziale che caratterizza la responsabilità genitoriale rispetto alla potestà e ne testimonia il carattere più ampio e che si coglie sotto il profilo dell'assenza di una limitazione temporale, che era originariamente era fissato dall'articolo 316 c.c. al compimento della maggiore età dei figli o alla loro emancipazione. Pertanto, pur cessando i poteri di rappresentanza, la cura che il genitore deve prestare al figlio prosegue ben oltre il raggiungimento della maggiore età e fino al conseguimento della indipendenza economica. L'adempimento degli obblighi corrispondenti ai diritti previsti dall'articolo 315 bis c.c., tenendo conto delle capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni del figlio, costituisce l'oggetto principale della responsabilità genitoriale; per cui, come sottolinea la relazione illustrativa, la responsabilità genitoriale non viene meno con la maggiore età, ma perdura, quantomeno nella sua componente economica, sino a che il figlio non abbia raggiunto l'indipendenza. 3.4.In questo contesto, l'articolo 337-septies c.c. non costituisce la fonte dell'obbligo dei genitori, ma piuttosto la norma che specifica la modalità con il quale il dovere di mantenimento si assolve in caso di scissione della coppia genitoriale nei confronti dei figli maggiorenni: e cioè con il pagamento di un assegno periodico, qualora non sia ancora conseguita l'autonomia economica, versato direttamente all'avente diritto, salvo diversa determinazione del giudice. 3.5.A questi principi si giustappone il principio di autoresponsabilità, cui richiamare il figlio per impedirgli di abusare del suo diritto, poiché il diritto del figlio si giustifica, come emerge anche dal dettato costituzionale, all'interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo, tenendo conto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, ma anche del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel figlio adulto l'attesa ad ogni costo di un'occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata (si vedano Cass. 12952/2016; Cass. n. 5088/2018; Cass. n. 29264/2022; Cass. 26875/2023; Cass. n. 12123/2024). 3.6.Le sezioni unite di questa Corte, pronunciandosi in tema di assegnazione della casa familiare in comodato, hanno fatto riferimento a questo principio, affermando che il figlio, in forza dei doveri di autoresponsabilità che su di lui incombono, non può pretendere la protrazione degli obblighi parentali oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché l'obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione (Cass. s.u. n.20448/2014). 3.7.-Pertanto, pur se l'obbligo di mantenimento non cessa ipso facto con il raggiungimento della maggiore età da parte dei figli (Cass. n. 19589/2011), può essere accertato il venir meno del diritto al mantenimento, qualora il figlio, abusando di quel diritto, tenga un comportamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato di occasioni di lavoro (ovvero di colpevole negligenza nel compimento del corso di studi intrapreso) e, quindi, di disinteresse nella ricerca dell'indipendenza economica (v. Cass. n. 18076/2014, in parte motiva) 4.Da una lettura contestuale e costituzionalmente orientata delle norme che regolano la filiazione, si desume quindi che il ruolo di supporto dei genitori, pur diversamente modulandosi al conseguimento della maggiore età, termina solo nel momento in cui il figlio si inserisce (o avrebbe dovuto farlo secondo i paramenti di una diligente condotta) in modo indipendente ed autonomo nella società e comunque non può protrarsi oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe in forme di parassitismo, in spregio al dovere di solidarietà di cui è richiesto l'adempimento a tutti i consociati (articolo 2 Cost.), a maggior ragione all'interno della formazione sociale famiglia. 5.Muovendo da queste considerazioni, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che compete al giudice di merito: a) verificare la sussistenza del prerequisito della non autosufficienza economica, con opportuno bilanciamento rispetto ai doveri di auto-responsabilità che incombono sul figlio; b) modulare e calibrare la protezione in relazione alle peculiarità del caso concreto, nel rispetto del principio della proporzionalità; c) stabilire il contenuto e la durata dell'obbligo di mantenimento. In particolare, l'età è un importante parametro di riferimento e la valutazione deve essere condotta con rigore proporzionalmente crescente, in rapporto all'età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, benché non possa ritenersi automaticamente cessato con il raggiungimento della maggiore età (Cass., n. 2252/2024, in parte motiva). È stato altresì precisato che, in tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l'onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro (Cass. n. 26875/2023). 5.1.Questa ultima affermazione, condivisa dal Collegio, richiede peraltro talune precisazioni in relazione a quei casi in cui il richiedente non è il figlio maggiorenne, che per la prima volta faccia valere il suo diritto, o il genitore con lui convivente in virtù della sua legittimazione concorrente a richiedere assegno (Cass. n. 17380/2020), ma è piuttosto il genitore che, già gravato di un assegno di mantenimento, richiede che si accerti il venire meno dell'obbligo già posto a suo carico. Il principio di cui all'articolo 2697 c.c., invocato dalla ricorrente, opera infatti nel senso di far gravare sull'attore e non sul convenuto la prova dei fatti costituitivi del diritto e occorre considerare che il fatto estintivo della obbligazione legale che grava sui genitori non è la maggiore età, ma il conseguimento dell'indipendenza economica (o il mancato conseguimento per negligenza dell'interessato) che, come tutti i fatti estintivi del credito, deve essere provato dal debitore. 5.2.Ciò non significa che non operi una semplificazione probatoria in favore del genitore, il quale si può avvalere di presunzioni, e segnatamente di quella legata al decorso del tempo, che opera a favore oppure contro il persistere del diritto al mantenimento, a seconda se il figlio sia prossimo oppure lontano dalla minore età. In tal senso il Collegio intende dare continuità al già richiamato arresto di Cass. n. 12952/2016 ove (in parte motiva) si afferma che l'onere della prova ben può essere assolto, in siffatti casi, mediante l'allegazione di circostanze di fatto da cui desumere in via presuntiva l'estinzione dell'obbligazione dedotta. Più specificamente, questa Corte ha affermato che in materia di mantenimento del figlio maggiorenne e non autosufficiente i presupposti su cui si fonda l'esclusione del relativo diritto sono integrati: dall'età del figlio, destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all'età progressivamente più elevata dell'avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento; dall'effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (Cass. n. 38366/2021); ed ancora si è affermato che se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell'ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il figlio adulto in ragione del principio dell'autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa (Cass. n. 26875/2023). 6.A questi orientamenti il Collegio intende dare continuità. Ne consegue che se è il genitore già gravato di un assegno di mantenimento ad agire per far accertare la estinzione dell'obbligo, la prova che il figlio maggiorenne (o il genitore con lui convivente) è tenuto a dare è la prova contraria rispetto all'operare delle presunzioni di cui si è detto; viceversa se è il figlio maggiorenne ad agire per il riconoscimento (per la prima volta) del diritto ad un assegno periodico, oppure se in questi termini agisce, in qualità di legittimato concorrente, il genitore con lui convivente, la prova è a carico del soggetto richiedente, che può comunque anch'egli avvalersi di presunzioni. 6.1.Pertanto, anche in tema di mantenimento dei figli maggiorenni, in conformità ai principi generali sull'onere della prova, spetta a chi agisce in giudizio invocando la sussistenza del diritto o all'opposto il venir meno dei presupposti della sua persistenza (ovvero una estinzione o modificazione dei fatti costitutivi che avevano sorretto il suo riconoscimento) in primo luogo un onere di allegazione, ed in secondo luogo l'onere della dimostrazione delle circostanze allegate ed in ipotesi contestate, onere quest'ultimo che si giova della possibilità di invocare presunzioni precise e univoche, che, laddove presenti, determinano nel controinteressato l'onere di dimostrare il contrario, secondo l'ordinario meccanismo processuale della prova per presunzione semplice. 7.Rese queste premesse, deve osservarsi che la Corte di merito non si è attenuta a questi principi. In primo luogo la Corte di merito non ha attribuito alcun valore alla circostanza che l'assegno in favore della figlia era già stato riconosciuto, sia pure in via provvisoria, dal momento che il giudizio era iniziato quando ella era ancora minorenne. Né la Corte ha valutato la circostanza che nella precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado il padre non solo non ha chiesto di accertare il venir meno dell'obbligo, ma ha egli stesso chiesto che gli venisse imposto un assegno in favore della figlia neomaggiorenne, così omettendo di valutare se quantomeno fino ad una certa data operasse il principio di non contestazione sui fatti dedotti a fondamento del diritto. Ancora, la Corte di merito ha dato risalto alla età della giovane (vent'anni) al momento del giudizio di appello, senza considerare però che il giudizio era iniziato quando ella era minorenne e si è concluso in primo grado quando la stessa aveva ancora soltanto diciannove anni e quindi la presunzione legata all'età operava in suo favore e non tenendo conto che in siffatti casi il giudice deve accertare in quale momento si estingue il diritto e non semplicemente prendere atto che al momento in cui si conclude il giudizio è stata raggiunta l'età della (presunta) indipendenza economica. Sul punto la Corte si è limitata ad affermare che la figlia è ormai autonoma senza chiarire se l'autonomia dovesse intendersi conseguita al compimento dei venti anni di età, ovvero alla data della decisione d'appello, oppure in altro momento temporale. Inoltre, la Corte si è limitata a rilevare che la giovane non proseguiva gli studi, senza valutare interamente la sua condizione e cioè la sua capacità lavorativa in relazione alla sua formazione professionale e alle possibilità concrete date del mercato del lavoro locale in generale e per la occupazione femminile in particolare. 8.Ne consegue, in accoglimento per quanto di ragione dei motivi del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte d'Appello di Catania in diversa composizione per un nuovo esame attenendosi al seguente principio di diritto: 8.1.Il dovere dei genitori di mantenere i figli, stabilito dall'art 315-bis c.c. e correlato alla responsabilità genitoriale, non cessa ipso facto con il raggiungimento da parte di costoro della maggiore età ma termina solo nel momento in cui il figlio consegue l'autonomia economica, o avrebbe dovuto farlo secondo i paramenti di una diligente condotta, da accertare con riferimento al caso concreto. 8.2.In tema di mantenimento dei figli maggiorenni, in conformità ai principi generali sull'onere della prova, spetta a chi agisce in giudizio invocando la sussistenza del diritto o, all'opposto, il venir meno dei presupposti della sua persistenza, ovvero una estinzione o modificazione dei fatti costitutivi che avevano sorretto il suo riconoscimento, in primo luogo un onere di allegazione ed in secondo luogo l'onere della dimostrazione delle circostanze allegate ed in ipotesi contestate, onere quest'ultimo che si giova della possibilità di invocare presunzioni precise e univoche, che, laddove presenti, determinano nel controinteressato l'onere di dimostrare il contrario, secondo l'ordinario meccanismo processuale della prova per presunzione semplice. 8.3.In tale ambito sono destinate a operare semplificazioni probatorie e presunzioni giurisprudenziali, ben potendosi il genitore, ai fini dell'assolvimento dell'onere probatorio a suo carico, avvalere di presunzioni che, in ragione del decorso del tempo, operano contro il persistere del diritto al mantenimento, quando il figlio sia lontano dalla minore età. Per contro, in fattispecie di figlio maggiorenne ancora vicino alla minore età (vent'anni), va cassata la pronuncia di merito che, nell'escludere il contributo di mantenimento a carico del padre separato, si limiti a rilevare che la giovane non proseguiva gli studi, senza valutare affatto la sua condizione concreta e cioè la sua capacità lavorativa in relazione alla sua formazione professionale e alle possibilità concrete del mercato del lavoro locale in generale (in Sicilia, nella provincia di Ragusa) e alla occupazione femminile in particolare, senza neppure considerare che, nel giudizio di separazione personale iniziato quando la figlia era ancora minorenne, in sede di precisazione delle conclusioni il padre stesso aveva chiesto che gli venisse imposto un assegno in favore della figlia neomaggiorenne. P.Q.M. accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell'articolo 52 D.Lgs. 196/2003.