Pagamenti di modesto valore non registrati: sì all’allontanamento del cassiere

Legittimo il licenziamento del cassiere che dimentica di registrare i pagamenti di alcuni clienti. Irrilevante il fatto che si tratti di importi di modesto valore. Lo ha stabilito la Cassazione, la quale ha chiarito che ciò che conta è la perdita di fiducia del datore di lavoro nei confronti del dipendente.

A finire sotto accusa è un dipendente di Autogrill Italia s.p.a. ,  al quale viene contestata l’omessa registrazione di cassa per importi di modesto valore. Gli episodi, accertati da una società di investigazioni e confermati dal riepilogo, a fine turno, delle operazioni effettuate con il codice identificativo del lavoratore, sono sufficienti, secondo l’azienda, per ritenere non più proseguibile il rapporto di lavoro. Consequenziale, quindi, il licenziamento del dipendente, ufficializzato quasi tre anni fa. Sulla stessa linea di pensiero dell’azienda, poi, anche i giudici d’Appello, i quali respingono le obiezioni sollevate dal lavoratore e valutano i fatti a lui addebitati come palese «espressione di personalità incline all’inosservanza dell’obbligo di fedeltà» e perciò «idonei a giustificare il licenziamento, quale sanzione proporzionata». In Cassazione, però, il legale che difende il lavoratore prova a ridimensionare gli episodi utilizzati per legittimare il licenziamento e in quest' ottica sottolinea la mancanza di prove provate in merito alla presunta «appropriazione del corrispettivo delle vendite» da parte del dipendente. Chiara la tesi proposta dalla difesa: se il lavoratore non si è appropriato dei proventi delle vendite non registrate, allora il licenziamento è una sanzione assolutamente sproporzionata. Per i Giudici, però, giustamente si è data «rilevanza a diversi episodi che hanno rivelato ripetute irregolarità nella registrazione delle operazioni commerciali e nel rilascio dello scontrino, e che non hanno trovato corrispondenza in esuberi di cassa di importi corrispondenti». Più in generale, poi, per la Cassazione, i fatti accertati «assumono una obiettiva valenza lesiva del rapporto fiduciario tra le parti, e ciò a prescindere dal riferimento a precise condotte appropriative delle somme di denaro, condotte appropriative la cui dimostrazione specifica non è necessaria ai fini del venir meno della fiducia nel dipendente da parte del datore di lavoro, fiducia che «è lesa già dai fatti contestati, in quanto connotati dall’elemento doloso e inidonei a garantire per il futuro un affidamento nel puntuale ed esatto adempimento dell’obbligazione lavorativa». Ragionando in questa prospettiva, infine, i Giudici chiosano richiamando il principio secondo cui «ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, e, quindi, della sussistenza della giusta causa di licenziamento, ciò che rileva è la idoneità della condotta tenuta dal lavoratore a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti».

Presidente Manna - Relatore Buffa Fatti di causa 1. Con sentenza del 14.6.24 la corte d'appello di Palermo, in riforma della sentenza del tribunale della stessa sede del 7.12.23, ha rigettato il ricorso del lavoratore indicato in epigrafe avverso licenziamento intimatogli il (OMISSIS) da (OMISSIS). 2. In particolare, la corte ha rilevato che il lavoratore era responsabile dell'omessa registrazione di cassa per importi di modesto valore, come accertato da società di investigazioni e dal riepilogo a fine turno delle operazioni effettuate con il codice identificativo del lavoratore medesimo; ha ritenuto quindi i fatti espressione di personalità incline all'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, idonei a giustificare il licenziamento, quale sanzione proporzionata. 3. Avverso tale sentenza ricorre il lavoratore per cinque motivi, cui resiste con controricorso, illustrato da memoria, il datore di lavoro. 4. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta chiedendo il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 5. Il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge articolo 132 comma 2, n. 4 c.p.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per essere la sentenza affetta da nullità in ragione della manifesta illogicità della motivazione, meramente apparente, limitata al rinvio ad altra sentenza della medesima corte emessa in altro giudizio con considerazioni di carattere generico, slegate dal caso concreto che era chiamata a giudicare, e senza fornire alcuna indicazione circa il ragionamento logico giuridico seguito per addivenire alla propria decisione. 6. Il motivo è infondato. Invero, la motivazione della corte territoriale garantisce il minimo costituzionale imposto per l'esternazione delle argomentazioni a sostegno del decisum, atteso che la sentenza impugnata richiama e fa proprie le conclusioni di altra pronuncia relativa a caso diverso: tale richiamo non riguarda l'accertamento fattuale (che riposa invece sulle prove dichiarative acquisite nel presente processo), ma la sola valutazione del mancato rilascio dello scontrino. 7. Come precisato in sede di legittimità in numerose occasioni, (tra le tante, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 – 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018, Rv. 650880 - 01) è denunciabile per cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. 8. Il secondo motivo deduce violazione di legge e falsa applicazione degli articoli 2727,27292697 c.c., dell'articolo 5 legge 604 del 66, il tutto in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto provati gli addebiti mossi nei confronti del lavoratore in forza di un ragionamento presuntivo applicato a diverse risultanze istruttorie prive dei requisiti di gravità precisione e concordanza, e che anzi risulta contraddetto da diversi elementi probatori. 9. Anche tale motivo è privo di pregio: invero, mentre non risulta un giudizio inferenziale di conclusioni non logicamente connesse ai fatti accertati come premesse, deve rilevarsi che, in sostanza, il motivo tende essenzialmente ad una nuova valutazione del merito della controversia, che contrappone alla valutazione della corte territoriale altra valutazione dei fatti solo astrattamente plausibile, il che è precluso in sede di legittimità. 10. Il terzo motivo deduce violazione degli articoli 2967 c.c., 115, 116 e 416 in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per omesso esame di fatti decisivi del giudizio e, in particolare, dell'asserita appropriazione del corrispettivo delle vendite, fatto che nel corso del processo è stato rinunciato dal datore di lavoro e che è comunque rimasto indimostrato. 11. Il quarto motivo deduce violazione dell'articolo 2697 c.c., 5 legge 604 del 66, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che il lavoratore si fosse appropriato dei proventi delle vendite non registrate. 12. I motivi terzo e quarto possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione: essi sono infondati. 13. Invero, la corte territoriale ha attribuito rilevanza a diversi episodi che hanno rivelato, per come emersi dalle prove testimoniali raccolte, ripetute irregolarità nella registrazione delle operazioni commerciali e nel rilascio dello scontrino, come prescritto dalle vigenti disposizioni, fatti che non hanno trovato corrispondenza in esuberi di cassa di importi corrispondenti. 14. Tali fatti assumono una obiettiva valenza lesiva del rapporto fiduciario tra le parti, e ciò a prescindere dal riferimento – meramente aggiuntivo nella sentenza impugnata - a precise condotte appropriative delle somme in questione, la cui dimostrazione specifica non è necessaria ai fini del venir meno della fiducia nel dipendente da parte del datore di lavoro, fiducia che secondo la valutazione della corte territoriale (che questo Collegio condivide, anche alla luce dei propri precedenti su casi analoghi: Sez. L, Sentenza n. 4212 del 14/05/1997, Rv. 504274 – 01; Sez. L, Sentenza n. 1145 del 19/01/2011, Rv. 616256 - 01) è lesa già dai fatti contestati in quanto connotati dall'elemento doloso e inidonei a garantire per il futuro un affidamento nel puntuale ed esatto adempimento dell'obbligazione lavorativa (v. anche Sez. L, Sentenza n. 5434 del 07/04/2003, Rv. 561954 – 01, secondo la quale ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, e, quindi, della sussistenza della giusta causa di licenziamento, ciò che rileva è la idoneità della condotta tenuta dal lavoratore a porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento della prestazione lavorativa, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti). 15. Il quinto motivo, che deduce violazione dell'articolo 91 c.p.c. in realtà presuppone l'accoglimento dei precedenti motivi, il che non è. 16. Spese secondo soccombenza. 17. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto. P.Q.M. Rigetta il ricorso.