La Cassazione chiarisce come funziona la ripartizione del risarcimento danni di due coobbligati nel caso in cui una parte di responsabilità sia stata accertata dal giudice di merito in capo ad un terzo soggetto, che però non è stato evocato in giudizio da parte attrice
La signora Ma.Gi., durante il suo soggiorno presso una casa di cura per la riabilitazione post-intervento al femore, cadeva dalla sedia a rotelle. Tale caduta rendeva necessario un ulteriore intervento, a seguito del quale la donna veniva ricoverata presso un'altra casa di cura. La riabilitazione non dava i suoi frutti e si richiedeva un terzo intervento: nei giorni successivi a quest'ultimo, tuttavia, la paziente contraeva una grave infezione da staphilococco che la conduceva alla morte. La figlia citava in giudizio l'ospedale e la casa di cura Villa Fulvia, ritenendole responsabili della morte della madre e chiedendo il risarcimento dei danni iure proprio e iure haereditatis. Il Tribunale accoglieva la domanda dell'attrice e riteneva responsabile l'ospedale e la prima casa di cura nella misura del 90% e il restante 10% veniva attribuito alla nuova casa di cura, che però non era passibile di condanna non essendo stata citata dall'attrice. In tema di ripartizione di responsabilità, la Corte d'Appello confermava la sentenza resa in prime cure e specificava inoltre che i condebitori erano da ritenersi solidali con riferimento alla percentuale di responsabilità accertata (il 90%) e che, nei rapporti interni, restava definitivamente fissata quella del 45% per ciascuno di essi. Per ciò che qui rileva, la società subentrata alla prima casa di cura proponeva ricorso sostenendo che la Corte d'appello avesse omesso di pronunciarsi sulla graduazione interna delle reciproche percentuali di responsabilità addebitate ai condebitori solidali. La Cassazione ha ritenuto il motivo infondato, sostenendo che fosse frutto di «una assai poco attenta lettura della terz'ultima pagina della sentenza impugnata, che ha chiaramente evocato, predicandone la sussistenza nella specie, i principi generali dettati in tema di solidarietà passiva ex articolo 2055 c.c., specificando, in particolare, del tutto correttamente, che il vincolo solidale tra la Giunone e la Asl Roma era limitato al 90% della complessiva quota di corresponsabilità (stante l'attribuzione del residuo 10% ad un soggetto non evocato in giudizio), a sua volta ripartita nella misura del 45% nel rapporto interno tra ciascuno dei condebitori». Di conseguenza, la Suprema Corte ha enunciato, ai sensi dell'articolo 384, comma 1 c.p.c., essendo stato il ricorso esaminato e deciso (anche) ai sensi dell'articolo 360 n. 3 c.p.c., il seguente principio di diritto: «la condanna di due coobbligati al risarcimento del danno in una percentuale inferiore del 100%, poiché un terzo (potenziale) coobbligato, benché ne sia stata astrattamente riconosciuta la corresponsabilità (nella specie, in misura del 10%), non è stato evocato in giudizio dal danneggiato, comporta che i due soggetti ritenuti responsabili e condannati al risarcimento dei danni (nella specie, in percentuale pari al 90%) debbano ritenersi vincolati in solido entro i limiti della accertata responsabilità, salvo riparto interno pro quota (nella specie, paritariamente riconosciute nella misura del 45%)». Fonte: IUS/Responsabilità civile
Presidente Rubino Relatore Travaglino I fatti 1. La signora Ma.Gi., ricoverata dal 17 al 26 agosto del 2009 presso il reparto di ortopedia dell'ospedale romano Sandro Pertini per essere sottoposta alla riduzione della frattura del collo del femore della gamba destra, venne trasferita, per la riabilitazione post-intervento, presso la Casa di cura Villa Fulvia , dove, il successivo 29 agosto, sarebbe caduta da una sedia a rotelle. 2. Si rese necessario un secondo ricovero, sempre presso l'ospedale Pertini, per la sostituzione del perno posto in sede femorale, all'esito del quale, dal 23 settembre al 13 ottobre, la signora venne trasferita presso la (diversa) struttura Nuova Clinica Latina per un nuovo trattamento riabilitativo. 3. A seguito di un esame radiografico, emerse la necessità di un terzo intervento chirurgico, eseguito il 21 ottobre, sempre presso lo stesso ospedale. 4. Nei giorni successivi, fu diagnosticata alla paziente un infezione acuta da staphilococco epidermico che, aggravandone il già precario quadro clinico, avrebbe condotto a morte, dopo meno di un mese, la signora Ma.Gi. Il giudizio di merito 1. La signora Ma.Ri., figlia della defunta, citò in giudizio le strutture sanitarie l'ospedale Pertini e la (sola) Casa di cura Villa Fulvia – ritenute responsabili del decesso della congiunta. 2. Il Tribunale di Roma, in accoglimento delle domande proposte dall'attrice in proprio e nella qualità di erede di Ma.Gi., condannò la USL Roma 2 e la Giunone Srl (rispettivamente subentrate alle originarie convenute) al pagamento della complessiva somma di 742.470 euro, di cui: 698.832 euro e 8640 euro, iure haereditatis, liquidate rispettivamente a titolo di invalidità permanente al 100% e a titolo di invalidità temporanea della defunta: 20.000 euro per danno biologico psichico 15.000 euro per danno alla vita di relazione entrambi liquidati iure proprio all'attrice. 3. L'importo risarcitorio così determinato fu ripartito nella misura del 45% ciascuna tra le due convenute. Il Tribunale, difatti, ritenne altresì responsabile, nella misura del residuo 10%, anche la Casa di Cura Nuova Clinica Latina, peraltro non evocata in giudizio dall'attrice e, conseguentemente, non passibile di alcuna pronuncia di condanna. 4. In dispositivo, la condanna venne estesa, a titolo di manleva, alla Unipol Spa, compagnia assicuratrice della Usl Roma 2. 5. La Unipol Assicurazioni propose appello, al pari de La GIUNONE Spa. Le due impugnazioni, originariamente separate, vennero riunite. 6. Si costituirono in giudizio la Asl e la signora Ma.Ri., proponendo (solo quest'ultima) anche appello incidentale. 7. La Corte di appello di Roma, esaminando prioritariamente l'impugnazione dalla Giunone Spa – pur avendo questa assunto, ratione temporis, la veste di appellante incidentale rispetto a quello della Unipol, all'esito della riunione dei due giudizi – nel ripercorrere le tappe del complesso iter terapeutico della defunta, come puntualmente ricostruito in sede di CTU (della quale valutò analiticamente il contenuto, confermando e facendo motivatamente proprie le relative conclusioni), ritenne corretta la paritaria attribuzione (al 45%) della responsabilità di ciascuna delle due strutture sanitarie evocate in giudizio, volta che l'infezione correlata all'assistenza da cui era risultata affetta la paziente andava ricondotta, sia pur in misura sensibilmente ridotta, anche al comportamento omissivo della casa di cura NCL, peraltro rimasta estranea al giudizio. Quanto alla corresponsabilità della Giunone, questa andava ricondotta tanto ad un comportamento omissivo (mancata sorveglianza di una paziente -affetta da conclamati problemi di demenza senileche ne avrebbe provocato la caduta dalla carrozzina), quanto commissivo (errore nel trattamento fisioterapico, che provocò l'aggravamento della dislocazione dei frammenti ossei e dei mezzi di sintesi). La struttura doveva, pertanto, ritenersi corresponsabile della morte della paziente, avendo a sua volta innescato la serie causale degli eventi in una dimensione di concatenazione eziologicamente paritetica rispetto alla condotta dei sanitari dell'ospedale, dove, in occasione del secondo ricovero, era stata formulata una diagnosi errata (che non tenne conto del trauma subito dalla signora Ma.Gi. a seguito della caduta dalla carrozzina), era stata adottata una metodica chirurgica inadeguata, era stata, infine, provocata l'insorgenza dell'ICA (neanche curata correttamente) nel corso del terzo ricovero. 8. Venne invece accolto il motivo di appello con il quale la Giunone Spa aveva lamentato l'erroneo riconoscimento, iure haereditatis, della somma di 698.832 euro in favore dell'attrice per effetto dell'invalidità permanente riconosciuta alla paziente poi defunta, volta che proprio l'avvenuto decesso della signora Ma.Gi. escludeva ipso facto che la stessa avesse subito danni permanenti, quali quelli che, notoriamente, residuano all'esito della guarigione, sul necessario presupposto che il danneggiato resti in vita. 9. Venne altresì esclusa, dal giudice del gravame, la risarcibilità del danno cd. terminale (non correttamente definito, ma con errore soltanto terminologico e non morfologico, come danno tanatologico , al VI foglio, IX rigo, della sentenza impugnata), volta che la stessa consulenza aveva accertata una grave forma di demenza senile in capo alla defunta, tale da far escludere qualsiasi possibilità di cd. formido mortis, ovvero di lucida consapevolezza dell'ineludibile approssimarsi della fine. 10. L'esame della censura dell'appellante principale relativa alla quantificazione del danno subito iure proprio dall'attrice venne posposta a quello dell'impugnazione incidentale proposta da quest'ultima. 11. Nel procedere all'esame dell'appello incidentale della Unipol, la Corte capitolina ne accolse, oltre alle censure coincidenti con quelle proposte (ed accolte) dalla Giunone, anche quella relativa alla quantificazione del danno da invalidità temporanea subita dalla defunta, estesa dal Tribunale all'intero arco temporale di tutti i ricoveri, nonostante la condotta tenuta dai sanitari in occasione del primo intervento fosse stata ritenuta corretta. La somma, così rideterminata, risultò pari a 9733 euro, calcolata in base alle tabelle romane (senza che, in proposito, vi fosse stata, né in questa sede vi sia, alcuna contestazione). 12. Venne ancora accolta la censura mossa alla sentenza di primo grado in punto di liquidazione degli interessi, che venne ricondotta ai noti criteri indicati dalle sezioni unite di questa Corte fin dal 1995. 13. Anche l'appello incidentale proposto dalla signora Ma.Ri. verrà ritenuto fondato dalla Corte capitolina. Oltre al risarcimento del danno biologico psichico e del danno relazionale disposto in primo grado, difatti, l'appellata in via incidentale aveva lamentato il mancato riconoscimento, anche del danno parentale: il giudice di appello, premessa l'indubitabile intensità del vincolo che legava la signora Ma.Ri. alla madre, le riconoscerà, ancora in applicazione delle tabelle romane, un ulteriore risarcimento, pari alla somma di 244.157 euro – somma dalla quale sarebbero stati poi detratti 25.389 euro, quale percentuale del 10% posta a carica della casa di cura rimasta estranea al giudizio, nonché l'importo degli acconti versati medio tempore dalla compagnia assicurativa – sino a giungere ad una complessiva liquidazione di 176.121 euro, salva rivalutazione ed interessi. Quanto alla censura di mancato riconoscimento della solidarietà tra condebitori, infine, la Corte di appello ne rilevò la fondatezza, specificando, da un canto, che tale solidarietà doveva limitarsi alla già indicata percentuale di responsabilità dei condebitori (il 90%), e che, nei rapporti interni, restava definitivamente fissata quella del 45% per ciascuno di essi. I ricorsi per cassazione 1. Avverso la sentenza della Corte romana ha proposto ricorso principale la signora Ma.Ri., illustrato da due motivi di censura. a) Con il primo motivo, si lamenta la violazione e la falsa applicazione delle norme di diritto, ex articolo 360 n. 3 c.p.c., in riferimento all'articolo 113 c. 1 n. 4 c.p.c. Si duole parte ricorrente del mancato riconoscimento, in appello, della posta risarcitoria riconosciutale in primo grado iure haereditario (698.832 euro) a titolo di invalidità permanente patita dalla madre. Pur prendendo atto (f. 3 del ricorso) che tale somma era stata esclusa dal risarcimento in ragione del decesso della signora Ma.Gi., la difesa della ricorrente lamenta che la Corte d'Appello non avrebbe considerato che tale somma doveva ritenersi liquidata a titolo di danno biologico, e che il principio di unitarietà imponeva di valutare il danno biologico quale entità complessa e non rigidamente frazionabile nelle diverse categorie che giurisprudenza e dottrina hanno da tempo adottato per definirne la natura e delimitarne i confini . b) Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e la falsa applicazione delle norme di diritto, ex articolo 360 n. 3 c.p.c., in riferimento all'articolo 113 c. 1 n. 4 c.p.c., laddove la Corte aveva ritenuto che il danno catastrofale non si fosse realizzato in capo alla de cuius e dunque non si sia potuto trasmettere agli eredi, fondando la Corte la propria decisione sul punto mediante una documentazione inidonea a dare certezze circa l'effettivo stato e circa le effettive capacità cognitive della signora Ma.Gi. 2. La Giunone Spa resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale (al quale resiste la Unipol), affidato ad un unico motivo, con il quale si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell'articolo 112 c.p.c. per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sul motivo di appello che aveva ad oggetto la graduazione interna delle reciproche percentuali di responsabilità addebitate ai condebitori solidali. 3. Resistono al ricorso principale, con controricorso, la Unipol e la Asl Roma 3. La decisione della Corte Entrambi i ricorsi, principale e incidentale, sono manifestamente infondati. Il ricorso principale In premessa, osserva il collegio che i motivi di censura saranno esaminati a prescindere dalla erronea (ed altrimenti incomprensibile) indicazione, contenuta nella rubrica di entrambi, dell'articolo 113 c.p.c. quale norma violata, indicazione che (si presume) costituisca un mero lapsus calami, alla luce della illustrazione in fatto delle censure mosse alla sentenza d'appello. 1. Il primo motivo del ricorso principale, prima ancora che manifestamente infondato, appare di assai oscura comprensibilità. A fronte di una sintetica quanto cristallina motivazione adottata dalla Corte di appello circa la irrisarcibilità iure haereditario dell'invalidità permanente in caso di morte del paziente – decisione conforme, prima ancora che alla consolidata e univoca giurisprudenza di legittimità, ad elementari criteri di logica, aristotelica e forse anche quantistica (affinché si possa discorrere di invalidità permanente è ovviamente necessario che il paziente guarisca, non che muoia) il motivo di ricorso si avvolge su se stesso, da un canto, sostenendo che la somma di circa 700 mila Euro doveva ritenersi liquidata (non a titolo di invalidità permanente ma) di danno biologico (così che sorge spontanea la domanda su cosa intenda la difesa della ricorrente per invalidità permanente diversa dal danno biologico); dall'altro, rappresentando al collegio una morfologia di quello stesso danno attraverso una contorta evocazione di un (malinteso) principio di unitarietà e di una (incomprensibile) natura di entità complessa non frazionabile in categorie (così mostrando di ignorare del tutto la più recente evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale sul tema della duplice morfologia contenutistica del danno biologico e, più in generale, del danno non patrimoniale). 1.2. Il tema incautamente introdotto da parte ricorrente imporrebbe una più approfondita disamina della (assai complessa) questione circa i rapporti tra danni da perdita del rapporto parentale e conseguenze di tali perdite sub specie di un diagnosticato (e nella specie liquidato) danno biologico psichico nelle sue due forme, dinamico-relazionale e sofferenziale (come assai più correttamente individuate dal Tribunale in sede di liquidazione). Difatti, in mancanza di una esplicita impugnazione incidentale sul punto della (pur ipotizzabile) duplicazione risarcitoria del danno parentale e del danno biologico psichico – entrambi conseguenza di un medesimo fatto illecito – non è consentito al collegio di approfondire ulteriormente la questione. 2. Del tutto inammissibile risulta, poi, il secondo motivo di censura, con il quale si pretende di sovrapporre la propria, personale, difforme ricostruzione delle condizioni di salute mentale della signora Ma.Gi. a fronte dell'altrettanto cristallina motivazione adottata dalla Corte territoriale sulla base delle risultanze della CTU ove si discorreva espressamente di una grave forma di demenza senile , irredimibilmente ostativa a qualsivoglia risarcimento di danno cd. catastrofale . Il ricorso incidentale Con l'unico motivo di ricorso incidentale, la Giunone Spa lamenta (a sua volta, assai poco comprensibilmente) il mancato riparto interno delle percentuali di responsabilità tra coobbligati da parte del giudice di appello. La censura appare (a voler essere generosi) frutto di una assai poco attenta lettura della terz'ultima pagina della sentenza impugnata, che, accogliendo il secondo motivo dell'appello incidentale Ma.Ri., ha chiaramente evocato, predicandone la sussistenza nella specie, i principi generali dettati in tema di solidarietà passiva ex articolo 2055 c.c., specificando, in particolare, del tutto correttamente, che il vincolo solidale tra la Giunone e la Asl Roma era limitato al 90% della complessiva quota di corresponsabilità (stante l'attribuzione del residuo 10% ad un soggetto non evocato in giudizio), a sua volta ripartita nella misura del 45% nel rapporto interno tra ciascuno dei condebitori. Risulta, pertanto, del tutto ininfluente, ai fini della conferma di tale decisione, l'affermazione che si legge in sentenza secondo cui il quarto motivo afferente alla erronea valutazione della responsabilità della Giunone va disatteso in quanto già esaminato in precedenza . Il principio di diritto Ai sensi dell'articolo 384, I comma c.p.c., essendo stato il ricorso esaminato e deciso (anche) ai sensi dell'articolo 360 n. 3 c.p.c., la Corte enuncia il principio di diritto che segue: La condanna di due coobbligati al risarcimento del danno in una percentuale inferiore del 100%, poiché un terzo (potenziale) coobbligato, benché ne sia stata astrattamente riconosciuta la corresponsabilità (nella specie, in misura del 10%), non è stato evocato in giudizio dal danneggiato, comporta che i due soggetti ritenuti responsabili e condannati al risarcimento dei danni (nella specie, in percentuale pari al 90%) debbano ritenersi vincolati in solido entro i limiti della accertata responsabilità, salvo riparto interno pro quota (nella specie, paritariamente riconosciute nella misura del 45%). P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Condanna Ma.Ri. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore di Unipolsai e Asl Roma 2, che si liquidano in complessivi euro 9.250,00 ciascuno, oltre euro 200,00 per spese. Condanna Giunone Spa al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore di Unipolsai e Asl Roma 2, che si liquidano in complessivi euro 5.270,00 ciascuno, oltre euro 200,00 per spese. Dichiara compensate le spese tra Ma.Ri. e Giunone Spa Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-quater, dell'articolo 13 del D.P.R. n. 115/2002.