Demanio marittimo occupato illecitamente: irrilevante l’ottenimento della concessione suppletiva

Condanna definitiva per la titolare di uno stabilimento balneare. Respinta la tesi difensiva mirata a dimostrarne la buonafede.

Riflettori puntati sulla costa pugliese. A richiamare l’attenzione è l’operato della titolare di uno stabilimento balneare: nello specifico, l’imprenditrice occupa abusivamente una porzione di demanio marittimo e lo fa grazie al posizionamento di centoventi ombrelloni e duecentoquaranta sedie a sdraio. Grazie ad un rapido controllo effettuato dalla Guardia di Finanza, l’imprenditrice si ritrova sotto accusa, e il provvedimento giudiziario si conclude in Tribunale con una sua condanna. Per i giudici di merito non ci sono dubbi: la titolare dello stabilimento balneare ha invaso arbitrariamente un’area demaniale marittima dell’estensione di oltre 2.000 metri quadrati, realizzandovi anche innovazioni non autorizzate, costituite da due moduli abitativi in legno, un deposito prefabbricato, una roulotte e un parcheggio con posti auto coperti. Per il legale che difende l’imprenditrice, però, in Tribunale è stato trascurato un dettaglio non secondario: la sua cliente ha sì «consentito al posizionamento degli ombrelloni e delle sedie a sdraio sull’arenile» ma «poche ore prima dell’accesso della Guardia di Finanza» e «nella convinzione della efficacia della concessione suppletiva richiesta, incompatibile con la volontà di occupare arbitrariamente il lido marittimo». Secondo il legale, quindi, vanno ridimensionate le accuse a carico dell’imprenditrice. A mettere in dubbio la fondatezza della versione fornita dalla difesa provvede già la Procura Generale, osservando che «la concessione demaniale suppletiva, effettivamente rilasciata all’imprenditrice, è stata richiesta quando era già stato eseguito il sequestro della porzione di arenile occupata dallo stabilimento balneare». Ciò consente, sempre secondo la Procura Generale, di dedurre «l’inidoneità della concessione suppletiva a legittimare la condotta dell’imprenditrice e anche a consentire di ritenere in buona fede la titolare dello stabilimento balneare». Su questa stessa falsariga, poi, anche i magistrati di Cassazione, i quali rendono definitiva la condanna dell’imprenditrice, respingendo la tesi difensiva secondo cui la responsabilità in relazione al reato di abusiva occupazione di una porzione di demanio marittimo avrebbe dovuto essere posta in dubbio a fronte del rilascio di una concessione suppletiva a favore dello stabilimento balneare e a fronte della buonafede dell’imprenditrice, buonafede desumibile proposto dalla richiesta della ulteriore concessione. Decisivo, secondo i magistrati, un dettaglio: «la richiesta di rilascio di concessione suppletiva è stata fatta il giorno stesso del sopralluogo della Guardia di Finanza, a seguito del sequestro dell’area arbitrariamente occupata, e l’atto concessorio venne rilasciato dal Comune il giorno seguente». Di conseguenza, «la concessione suppletiva (che, peraltro, consente l’affidamento diretto di una maggiore superficie in ampliamento solo in presenza di situazioni eccezionali e nella misura in cui l’estensione della originaria concessione sia obiettivamente funzionale e necessaria per l’effettivo corretto e proficuo utilizzo del bene già concesso e abbia, in ogni caso, una minima consistenza quantitativa, e non anche quando essa riguardi un (ulteriore) bene demaniale che solo soggettivamente sia collegato al primo, ma che obiettivamente potrebbe essere oggetto di una autonoma e distinta concessione), non era certamente idonea a legittimare la condotta contestata all’imprenditrice, essendo stata rilasciata successivamente all’accertamento di tale condotta e alla sua interruzione forzata, mediante il sequestro dell’area illecitamente occupata», osservano i Giudici. Per la medesima ragione, poi, «il rilascio postumo di tale concessione non può certamente consentire di ravvisare una condizione di buonafede della imprenditrice, essendone stato domandato il rilascio successivamente alla realizzazione della condotta illecita, a seguito del suo accertamento e del sequestro dell’area abusivamente occupata, per ottenerne una sorta di legittimazione postuma, inidonea a rendere lecita la condotta, ormai perfezionata, ma anche a consentire di ravvisare la prospettata buonafede della titolare dello stabilimento balneare, posto che tale richiesta dimostra, invece, al contrario, la piena consapevolezza della illiceità della condotta» tenuta. Impossibile, di conseguenza, aggiungono i Giudici, parlare di fatti non gravi, poiché «l’azione dell’imprenditrice risulta essere non occasionale, essendo stata posta in essere nell’ambito e strumentalmente all’esercizio di una attività di impresa e con l’organizzazione a questa correlata (utilizzando centoventi ombrelloni e duecentoquaranta sedie a sdraio, dunque avvalendosi di mezzi e personale), e arrecando una lesione non certamente modesta al bene protetto, essendo stata occupata una porzione rilevante del demanio marittimo».

Presidente Ramacci – Relatore Liberati Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 1 febbraio 2024 il Tribunale di Foggia ha condannato D.N.L. alla pena di 300,00 euro di ammenda in relazione al reato di cui agli articolo 54 e 1161 cod. nav., ascrittole per avere, quale titolare dell'impresa individuale (OMISSIS), invaso arbitrariamente un'area demaniale marittima dell'estensione di oltre 2.000 mq., realizzandovi anche innovazioni non autorizzate, costituite da due moduli abitativi in legno, un deposito prefabbricato, una roulotte e un parcheggio con posti auto coperti. 2. Avverso tale sentenza l'imputata ha proposto ricorso per cassazione, mediante l'Avvocato Antonio Laprocina, che lo ha affidato a tre motivi. 2.1. Con il primo motivo ha lamentato, ai sensi dell'articolo 606, primo comma, lett. b), cod. proc. pen., l'errata applicazione degli articolo 54 e 1161 cod. nav., con riferimento al capo della sentenza relativo alla affermazione di responsabilità, cui il Tribunale era pervenuto omettendo di valutare la mancanza dell'elemento soggettivo in capo alla ricorrente, che aveva consentito al posizionamento sull'arenile degli ombrelloni e delle sedie a sdraio poche ore prima dell'accesso della Guardia di Finanza e nella convinzione della efficacia della concessione suppletiva richiesta, incompatibile con la volontà di occupare arbitrariamente il lido marittimo, stante la struttura tipicamente dolosa della fattispecie, rientrante nelle ipotesi di cosiddetta illiceità speciale, desumibile dalla presenza nella descrizione normativa della condotta illecita dell'avverbio arbitrariamente. 2.2. In secondo luogo, ha lamentato, a norma dell'articolo 606, primo comma, lett. b) et e), cod. proc. pen., l'errata applicazione degli articolo 54 e 1161 cod. nav. e 131-bis cod. pen., a causa dell'immotivato diniego della applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, non essendo desumibili dagli atti elementi da cui ricavare, implicitamente, l'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di detta causa di esclusione della punibilità, essendo, tra l'altro, state riconosciute le circostanze attenuanti generiche proprio in considerazione della non particolare gravità del fatto, evidenziata dallo stesso Tribunale di Foggia nel riconoscere tale beneficio. 2.3. Infine, con un terzo motivo, ha lamentato una ulteriore violazione di legge penale, ai sensi dell'articolo 606, primo comma, lett. b), cod. proc. pen., con riferimento alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla pubblicazione della sentenza a cura della condannata, non essendo stato chiarito se la pubblicazione sia stata disposta a titolo risarcitorio o come sanzione accessoria, ai sensi dell'articolo 36, commi 2, 3 e 4, cod. pen., né specificati termini e modalità della pubblicazione stessa. 3. Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata con riferimento al secondo e al terzo motivo e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso nel resto, sottolineando che la concessione demaniale suppletiva, rilasciata il 12 agosto 2021, era stata richiesta il giorno precedente, quando era già stato eseguito il sequestro della porzione di arenile occupata dallo stabilimento balneare della ricorrente, con la conseguente inidoneità della stessa a legittimare la condotta e anche a consentire di ritenere l'imputata in buona fede; è stata, poi, evidenziata, la mancanza di motivazione, neppure implicita, sia in ordine alla richiesta di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, formulata dalla ricorrente nel corso della discussione innanzi al Tribunale, sia riguardo alla subordinazione della sospensione condizionale alla pubblicazione della sentenza a cura della condannata, non essendovi neppure stata costituzione di parte civile. 4. Con memoria del 24 marzo 2025 la ricorrente ha replicato a tali richieste, insistendo per l'accoglimento del ricorso, ribadendo la fondatezza di tutti i motivi, in particolare del secondo e del terzo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato solamente in relazione al terzo motivo. 2. Il primo motivo, mediante il quale è stata censurata l'affermazione di responsabilità della ricorrente in relazione al reato di abusiva occupazione di una porzione di demanio marittimo, per non essere stati considerati né il sopravvenuto rilascio di una concessione suppletiva a favore dell'impresa della ricorrente, né la sua condizione di buona fede, desumibile dalla richiesta di tale concessione, è manifestamente infondato. Non è contestato, ed emerge, comunque, univocamente, dagli accertamenti descritti nella motivazione della sentenza impugnata, che la ricorrente, nello svolgimento della sua attività d'impresa di gestione di uno stabilimento balneare, occupò abusivamente 2.000,00 mq. di arenile demaniale, posizionandovi 120 ombrelloni e 240 sedie a sdraio. La richiesta di rilascio di concessione suppletiva venne fatta il giorno stesso del sopralluogo della Guardia di Finanza, ossia il 15 agosto 2021, a seguito del sequestro dell'area arbitrariamente occupata, e l'atto concessorio venne rilasciato dal Comune di (OMISSIS) il giorno seguente. E' evidente, dunque, che la concessione suppletiva, che, peraltro, non è neppure stata allegata al ricorso e di cui, comunque, non sono stati illustrati i presupposti legittimanti (posto che la concessione suppletiva, prevista dall'articolo 24 d.P.R. n. 328 del 1952, consente l'affidamento diretto di una maggiore superficie in ampliamento solo in presenza di situazioni eccezionali e nella misura in cui l'estensione della originaria concessione sia obiettivamente funzionale e necessaria per l'effettivo corretto e proficuo utilizzo del bene già concesso e abbia, in ogni caso, una minima consistenza quantitativa, e non anche quando essa riguardi un (ulteriore) bene demaniale che solo soggettivamente sia collegato al primo, ma che obiettivamente potrebbe essere oggetto di una autonoma e distinta concessione , Consiglio di Stato, sez. VII, 24 giugno 2022, n. 5225; v. anche Sez. 3, n. 31969 del 26/06/2024, Carnuccio, non mass., nella quale sono stati diffusamente illustrati i limitati presupposti di applicabilità dell'istituto della concessione suppletiva), non era certamente idonea a legittimare la condotta contestata, essendo stata rilasciata successivamente all'accertamento di tale condotta e alla sua interruzione forzata, mediante il sequestro dell'area illecitamente occupata dalla ricorrente. Per la medesima ragione il rilascio postumo di tale concessione, pur prescindendo da quanto osservato a proposito della sua mancata allegazione e della omessa illustrazione degli stringenti presupposti richiesti per il suo rilascio, non può certamente consentire di ravvisare una condizione di buona fede della ricorrente, essendone stato domandato il rilascio successivamente alla realizzazione della condotta illecita, a seguito del suo accertamento e del sequestro dell'area abusivamente occupata, per ottenerne una sorta di legittimazione postuma, inidonea a rendere lecita la condotta, ormai perfezionata, ma anche a consentire di ravvisare la prospettata buona fede della ricorrente, posto che tale richiesta dimostra, invece, al contrario, la piena consapevolezza da parte della ricorrente medesima della illiceità della sua condotta. Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza dei rilievi sollevati con il primo motivo di ricorso. 3. Il secondo motivo, relativo al diniego del riconoscimento della applicabilità della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, è, anch'esso, manifestamente infondato, in quanto la condotta realizzata dalla ricorrente risulta chiaramente, per come descritta nella sentenza impugnata, non occasionale, essendo stata posta in essere nell'ambito e strumentalmente all'esercizio di una attività di impresa e con l'organizzazione a questa correlata (utilizzando 120 ombrelloni e 240 sedie a sdraio, dunque avvalendosi di mezzi e personale), e arrecando una lesione non certamente modesta al bene protetto, essendo stata occupata una porzione rilevante del demanio marittimo, cosicché, stante l'evidenza della insussistenza dei presupposti per l'applicabilità della invocata causa di esclusione della punibilità, per la non occasionalità della condotta e la gravità della stessa e dell'offesa al bene protetto, la mancata risposta sul punto da parte del Tribunale non determina un difetto di motivazione della sentenza impugnata, sulla scorta del consolidato principio secondo cui il giudice non è obbligato a motivare in ordine al mancato accoglimento di istanze, richieste o motivi quando essi siano improponibili per genericità o, come nel caso in esame, per manifesta infondatezza (Sez. 6, n. 20522 del 08/03/2022, Palumbo, Rv. 283268 - 01; Sez. 3, n. 53710 del 23/02/2016, C., Rv. 268705 - 01; Sez. 2, n. 49007 del 16/09/2014, lussi, Rv. 261423 - 01). 4. Il terzo motivo, relativo alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla pubblicazione della sentenza, è, invece, fondato. La pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna di cui all'articolo 36 cod. pen. è disposta nei casi di condanna all'ergastolo e negli altri casi stabiliti dalla legge, ossia nelle ipotesi di cui agli articolo 165,186,347,448,475,498,501-bis, 518 e 722 cod. pen., fra i quali non rientra la fattispecie in esame, esulando il reato ascritto alla ricorrente da quelli per i quali è prevista l'applicazione di tale pena accessoria. La pubblicazione della sentenza prevista dall'articolo 186 cod. pen., avendo natura di sanzione civile e non di pena accessoria, può, poi, essere disposta a carico del colpevole, per riparare il danno non patrimoniale, solo a seguito di domanda della parte civile (Sez. 3, n. 23719 del 08/04/2016, Calise, Rv. 267979 - 01, che, in motivazione ha anche precisato che la sospensione condizionale della pena non può essere subordinata alla pubblicazione della sentenza ai sensi dell'articolo 186 cod. pen., in considerazione della natura di quest'ultima, e che l'eventuale violazione dell'articolo 543 cod. proc. pen. - per essere stato applicato l'istituto in difetto della richiesta della parte civile - può essere dedotta solo nel giudizio di cognizione ma non anche in sede di esecuzione; conf. Sez. 6, n. 12974 del 08/01/2020, Zanola, Rv. 279264 - 02). Ne consegue che, in mancanza di costituzione di parte civile, non poteva essere ordinata la pubblicazione della sentenza, né, tantomeno, essere subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena all'adempimento di tale obbligo, che, quindi, è stato indebitamente posto a carico della ricorrente e va quindi eliminato. 5. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio limitatamente alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla pubblicazione della sentenza a cura della imputata, eliminando tale obbligo e la relativa condizione, di cui non ricorrono i presupposti. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza delle censure sollevate con il primo e con il secondo motivo di ricorso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla pubblicazione della sentenza, condizione che elimina. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.