Violazione degli obblighi di assistenza familiare: sulle verifiche relative all’incapacità di adempimento

Nell’ipotesi di violazione ex articolo 570 c.p., ai fini dell’accertamento della sussistenza dell'elemento soggettivo, cioè della coscienza e volontà di sottrarsi, senza giusta causa, ai propri obblighi di assistenza familiare, con riferimento ai casi di detenzione dell'imputato, il giudice deve svolgere valutazioni più approfondite.

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte ha annullato la sentenza di condanna emessa dalla Corte d'Appello di Torino nei confronti del ricorrente per l’omesso pagamento dell'assegno di mantenimento per i figli minori. L'imputato aveva sostenuto la propria impossibilità di adempiere agli obblighi economici durante un lungo periodo di detenzione, evidenziando una condizione di indigenza riconosciuta anche dal Tribunale, che aveva ridotto l'importo dell'assegno. Tuttavia, la Corte territoriale aveva ritenuto che l'impossibilità di adempiere fosse dovuta a colpa dell'imputato, richiamando un principio giurisprudenziale consolidato secondo cui l'assenza di mezzi non esclude la responsabilità penale se derivante da negligenza o comportamenti volontari. Tale principio, secondo la Cassazione, deve essere oggetto di ulteriori approfondimenti sia in presenza di una situazione di detenzione prolungata (come nel caso di specie), e in gran parte coincidente con l'inadempimento, sia in presenza di concorrenti circostanze (nel caso la detenzione domiciliare, presso l'abitazione dei genitori, in mancanza di autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa) «ai fini della verifica della sussistenza dell'elemento soggettivo, cioè della coscienza e volontà di sottrarsi, senza giusta causa, agli obblighi inerenti alla propria qualità e nella consapevolezza dello stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo.» I Giudici hanno, dunque, annullato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello, la quale dovrà approfondire l'incidenza sull'elemento soggettivo del reato, richiedendo, al di fuori di meccanicistiche applicazioni, la verifica che l'obbligato non abbia percepito comunque dei redditi e che lo stesso si sia attivato per procurarsi legittimamente dei proventi.

Presidente De Amicis - Relatrice Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la condanna, con sentenza del 14 giugno 2022, di B.P.M. alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 600 di multa per il reato di cui all'articolo 570, comma due numero 2, cod. pen., in esso assorbito il reato di cui all'articolo 570-bis cod. pen., perché non ottemperando all'obbligo di versare alla ex moglie M.C.B. la somma di 600 € mensili oltre alle spese mediche, scolastiche, sportive e ricreative quale contributo in relazione al mantenimento dei tre figli minori, quindi non contribuendo in alcun modo al loro mantenimento, faceva mancare i mezzi di sussistenza ai figli medesimi, condotte commesse in Torino dal maggio 2017 con condotta perdurante. 2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'articolo 173 del disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, l'imputato chiede l'annullamento della sentenza impugnata e denuncia quanto segue. 2.1. Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità (articolo 195, comma 7, cod. proc. pen.). A carico del ricorrente sono state evidenziate le dichiarazioni rese dalla ex moglie a tenore delle quali questi svolgeva attività lavorativa pressoché in via permanente presso i banchi del mercato di (OMISSIS). La dichiarante, tuttavia, non aveva voluto indicare quali fossero le fonti che le avevano riferito tali notizie, che sono, pertanto, utilizzate in violazione di legge. 2.2. Manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto che l'imputato non avesse dimostrato la propria oggettiva incolpevole impossibilità di adempiere. Evidenzia che l'imputato è stato a lungo detenuto come attestato nella stessa sentenza (dal 5 giugno 2018 al 23 settembre 2021); è stato ammesso al beneficio del patrocinio spese dello Stato; ha eseguito la misura alternativa di detenzione domiciliare presso l'abitazione dei genitori, anziché presso un proprio alloggio, perché impossibilitato a corrispondere il canone di locazione e che, fin dal 30 gennaio 2018, il Tribunale competente aveva rideterminato (in euro 300 mensili) l'importo dell'assegno per l'impossibilità dell'imputato di farvi fronte, Da tali circostanze, pure indicate in sentenza, la Corte non ha tratto le dovute conseguenze, incorrendo così, in una motivazione viziata. 2.3. Con il terzo e quarto motivo denuncia l'erronea applicazione della legge penale e l'omessa motivazione nella valutazione dello stato detentivo del B.P.M. allegato dalla difesa, condizione che la Corte ha del tutto illogicamente ritenuto di ricondurre alla volontarietà dell'inadempimento richiamando una risalente sentenza laddove la giurisprudenza di legittimità è orientata in senso contrario. 2.4. Omessa motivazione ovvero manifesta illogicità della sentenza per avere rigettato la richiesta di applicazione della sostituzione della pena detentiva irrogata con il lavoro di pubblica utilità sostitutivo (chiesta con i motivi aggiunti depositati il 21 giugno 2024). La motivazione della Corte di merito è illogica e indeterminata quanto al rilievo che l'imputato avesse dimostrato l'assenza di autocontrollo e l'incapacità di attenersi alle prescrizioni richiamando genericamente le risultanze del certificato dei carichi pendenti. Rileva, inoltre, che tale motivazione tradisce la ratio della applicazione delle pene sostitutive brevi e che la carenza di documentazione è anch'essa erronea poiché solo quando l'imputato sia stato ammesso allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità possono essere attivate le procedure per l'attuazione delle prescrizioni relative. 3.Il ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell'articolo 611, comma 1-bis cod. proc. pen. modificato dall'articolo 11, comma 3, d.l. n. 29 del 6 giugno 2024, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 120 del 8 agosto 2024n. 120. Considerato in diritto 1. La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, in accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso. Il motivo di ricorso sull'applicazione della pena sostitutiva è assorbito e dovrà essere riesaminato alla luce delle conclusioni alle quali la Corte perverrà sul punto della colpevole, o meno, impossibilità di adempimento e della sua durata. 2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato poiché non risulta che la difesa, a fronte della dichiarazione resa dalla teste de relato , abbia richiesto l'audizione del teste diretto (Sez. 6, n. 12982 del 20/02/2020, L., Rv. 279259), tenuto conto che le persone alle quali la teste stessa aveva fatto riferimento, in quanto datori del lavoro dell'ex marito, avrebbero potuto, comunque, essere identificate. 3. La questione sulla quale si riscontra una carente motivazione della sentenza impugnata è quella relativa alla sussistenza delle condizioni che l'imputato aveva allegato a giustificazione della situazione di incolpevole impossibilità di adempiere tenuto conto, da un lato, del provvedimento (risalente al 30 gennaio 2018) che aveva comportato la riduzione dell'importo dell'assegno fissato per il mantenimento e, dall'altro, della coincidenza tra la data della contestazione (dal maggio 2017 fino alla data della sentenza di primo grado, intervenuta il 14 giugno 2022) e quella dello stato di detenzione dell'imputato, che la stessa sentenza ha collocato tra il 5 giugno 2019 e il 23 settembre 2021. La sentenza impugnata ha richiamato, per negare il fondamento della scriminante allegata con i motivi di appello, un precedente di questa Corte secondo cui non è configurabile un'oggettiva incapacità di adempimento quando la indisponibilità dei mezzi necessari sia dovuta, anche parzialmente, a colpa dell'obbligato e si sia protratta per tutto il periodo in cui sono maturate le inadempienze (Sez. 6, n. 41697 del 15/09/2016, B., Rv. 268301). Si tratta di un principio ricorrente nelle affermazioni di questa Corte, soprattutto con riferimento all'allegazione della condizione di disoccupazione (fra le tante, Sez. 6, n. 10085 del 15/02/2005, Pegno, Rv. 231453), ma che, con riferimento allo stato detentivo dell'imputato, deve essere oggetto di più approfondite valutazioni sia in presenza di una situazione di detenzione prolungata (come nel caso in esame), e in gran parte coincidente con l'inadempimento, sia in presenza di concorrenti circostanze (nel caso la detenzione domiciliare, presso l'abitazione dei genitori, in mancanza di autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa) ai fini della verifica della sussistenza dell'elemento soggettivo, cioè della coscienza e volontà di sottrarsi, senza giusta causa, agli obblighi inerenti alla propria qualità e nella consapevolezza dello stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo. I principi affermati da questa Corte, proprio in materia di inadempimento collegato allo stato di detenzione, hanno sottolineato la necessità di approfondirne la incidenza sull'elemento soggettivo del reato, richiedendo, al di fuori di meccanicistiche applicazioni, la verifica che l'obbligato non abbia percepito comunque dei redditi e che lo stesso si sia attivato per procurarsi legittimamente dei proventi (ad es. presentando all'amministrazione penitenziaria la domanda per essere ammesso al lavoro all'interno o all'esterno del luogo di detenzione o, se detenuto agli arresti domiciliari, richiesta al giudice di essere autorizzato allo svolgimento di attività lavorativa) (cfr. Sez. 6, n. 2381 del 15/12/2017, dep. 2018, L., Rv. 272024), verifiche nel caso del tutto carenti nella sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.