Con la sentenza in esame, la Cassazione torna ad affronta il tema della liberazione condizionale, evidenziando la necessità di una valutazione completa del ravvedimento del condannato.
Nello specifico, il caso in esame trae origine dal ricorso presentato dall'imputato a seguito del rigetto dell'istanza di liberazione condizionale, in espiazione della pena residua di reclusione per più reati (partecipazione ad associazione mafiosa, estorsioni aggravate dall'articolo 7 legge n.203 del 1991, omicidio tentato e consumato con l'aggravante di cui all'articolo 7 legge n. 203 del 1991). L'occasione offre il destro alla Corte per analizzare il requisito del ravvedimento , elemento di per sé di difficile verifica, essendo legato al mondo interiore del soggetto condannato: in genere, per ravvedimento si intende «un riscatto morale, colto da una valutazione globale della personalità che consideri tutti gli atti o le manifestazioni di condotta, di contenuto materiale e morale, tali da assumere un valore sintomatico». Pertanto, occorre «cogliere un comportamento attivo, di pronta e costante adesione alle regole, un riguardoso e consapevole rispetto verso gli operatori penitenziari, un'azione riparatrice nei confronti delle vittime dei reati, un reale interessamento verso dette vittime, una sollecitudine verso la sorte delle persone offese». Ne deriva che «il giudizio prognostico di sicuro ravvedimento deve essere formulato sulla base di un completato percorso trattamentale di rieducazione e recupero che sia in grado di sostenere la previsione, in termini di certezza, di una conformazione al quadro ordinamentale e sociale a suo tempo violato». Dunque, la nozione di ravvedimento , che rileva ai fini della concessione della liberazione condizionale, comprende «il complesso dei comportamenti concretamente tenuti ed esteriorizzati dal condannato, durante il tempo dell'esecuzione della pena, obiettivamente idonei a dimostrare, anche sulla base del progressivo percorso trattamentale di rieducazione e di recupero, la convinta revisione critica delle pregresse scelte e a formulare, in termini di certezza, o di elevata e qualificata probabilità, confinante con la certezza, un serio, affidabile e ragionevole giudizio prognostico di pragmatica conformazione della futura condotta di vita all'osservanza della legge penale in precedenza violata». La Corte, pertanto, annulla l'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, rilevando carenze nella motivazione circa l'effettiva valutazione del percorso riabilitativo del detenuto.
Presidente Rocchi – Relatore Calaselice Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha rigettato l'istanza di liberazione condizionale proposta da B.M.C., detenuto domiciliare presso il Servizio centrale di protezione, in espiazione della pena residua di anni ventisei, mesi otto e giorni tre di reclusione per più reati (partecipazione ad associazione mafiosa, estorsioni aggravate dall'articolo 7 legge n.203 del 1991, omicidio tentato e consumato con l'aggravante di cui all'articolo 7 legge n. 203 del 1991), con concessione della speciale attenuante della collaborazione, pena di cui al provvedimento di cumulo, del 18 novembre 2019, emesso dal Pubblico ministero presso il Tribunale di Caltanisetta. Il giudicante ha motivato il rigetto evidenziando, in primo luogo, che il condannato è in stato di detenzione domiciliare da nove anni, che ha effettuato dei versamenti a favore di un'associazione senza scopo di lucro a tutela delle vittime di mafia e si è interessato ad un'adozione a distanza, mediante la vicinanza ad una Parrocchia del luogo in cui si trova, senza però intraprendere un percorso di riabilitazione e di distacco dal passato sufficiente ai fini della concessione della liberazione condizionale. In secondo luogo, si nota che B.M.C. non ha un lavoro stabile e non ha avviato un'attività risocializzante particolarmente qualificata, tale da comportare un impegno sociale qualitativamente e quantitativamente significativo, finalizzato al reinserimento nella collettività. Il condannato, infatti, non ha manifestato un comportamento dal quale emergono elementi “certi” e “tangibili” di ravvedimento, poiché l'attività riparatoria che ha intrapreso può dirsi limitatissima. In ultima analisi, il Tribunale ha evidenziato che, nonostante il condannato sia in stato di detenzione domiciliare e sia un collaboratore di giustizia dal 2011, non si sono registrati elementi dai quali si evince la cessazione dal rischio di reiterazione di condotte antisociali; egli, infatti, non ha ancora intrapreso un definitivo distacco dal crimine, idoneo a fondare la concessione della liberazione condizionale della pena, causa estintiva della sanzione penale che porta con sé la cessazione di tutte le misure di sicurezza. 2. Avverso detto provvedimento propone tempestivo ricorso il condannato per il tramite del difensore, avv. V. Giamporcaro, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli articolo 176 cod. pen. e 16-nonies legge n. 82 del 1991. La difesa si duole dello scarso rilievo che il Tribunale di Sorveglianza ha attribuito all'attività lavorativa e di quella di beneficenza che ha svolto il condannato. Il difensore vorrebbe, infine, che sia attivato un confronto tra il comportamento positivo, assunto dal condannato in quanto collaboratore di giustizia, che ha deposto in giudizio a favore dello Stato e contro i propri complici, e l'attività che il Tribunale qualifica come non sufficiente ai fini della liberazione condizionale; per il ricorrente, infatti, il primo dovrebbe nettamente prevalere sulla seconda. Il ricorrente, a sostegno delle argomentazioni svolte, ricorda che dal 2011 il condannato ha intrapreso la scelta di collaborare con la giustizia e che le sue dichiarazioni sono state sempre ampie, dettagliate e hanno agevolato l'esito di condanna di numerosi processi riguardanti soggetti appartenenti alla criminalità organizzata. Si segnala che il provvedimento impugnato non ha tenuto conto delle positive valutazioni espresse dalla DNA e dalla DDA di Caltanissetta e non ha badato a quelle riportate nelle relazioni di sintesi dell'Istituto Penitenziario in cui il ricorrente ha eseguito la detenzione intramuraria, utilizzate ai fini della concessione della detenzione domiciliare. Per il ricorrente, infatti, questi elementi dovevano essere presi in considerazione al fine di concedere la liberazione condizionale. Infine, il ricorrente sottolinea come il condannato manifesti un evidente ribrezzo e senso di repulsione per le precedenti condotte criminose e per i contesti criminali che lo hanno coinvolto precedentemente; nel ricorso si legge, infatti, che emerge chiaramente la volontà di riscatto di B.M.C., accompagnata da una grande volontà di rinascita e da un sincero impegno, finalizzato ad attenuare le conseguenze provocate da numerosi reati posti in essere. Queste valutazioni, inoltre, sono suffragate dal fatto che, durante la concessione di numerosi permessi premio, il condannato ha sempre assunto un atteggiamento positivo di rispetto delle prescrizioni disposte dal Magistrato di Sorveglianza. 3. Il Sostituto Procuratore generale di questa Corte, A. Cocomello, ha chiesto con requisitoria scritta il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 1.1. E' opportuno premettere che la liberazione condizionale, introdotta quale strumento utile a contribuire alla gestione degli stabilimenti penitenziari, costituiva l'unica possibilità per il detenuto di ottenere la scarcerazione prima del termine finale della pena; tuttavia, dopo l'entrata in vigore dell'ordinamento penitenziario del 1975, la liberazione condizionale si affianca ai nuovi istituti in quanto strumento atto a determinare la prosecuzione della pena in un regime di libertà vigilata, che si contrappone comunque alla condizione di detenuto. 1.2. L'evoluzione giurisprudenziale di questa Corte di legittimità, relativamente al detto istituto, ha seguito un arco nel corso del quale, partendo da una concezione che non configurava la liberazione condizionale come misura alternativa (dal momento che essa muove dal presupposto indefettibile del sicuro ravvedimento del condannato) è, infine, approdata ad una sostanziale parificazione alle altre misure alternative, seppure essa sia connotata dal non essere un semplice modo alternativo di espiazione della pena tendenzialmente volto al reinserimento sociale. È noto che il requisito del ravvedimento , poi, è un elemento di difficile verifica, essendo esso legato al mondo interiore del soggetto condannato. In genere, si intende per ravvedimento un riscatto morale, colto da una valutazione globale della personalità che consideri tutti gli atti o le manifestazioni di condotta, di contenuto materiale e morale, tali da assumere un valore sintomatico. Occorre cioè cogliere un comportamento attivo, di pronta e costante adesione alle regole, un riguardoso e consapevole rispetto verso gli operatori penitenziari, un'azione riparatrice nei confronti delle vittime dei reati, un reale interessamento verso dette vittime, una sollecitudine verso la sorte delle persone offese (ad esempio, per attenuare i danni e alleviarne il dolore, per chiedere loro solidarietà umana: aspetto peculiare che non va sovrapposto necessariamente con quello di un eventuale risarcimento dei danni). Secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, il giudizio prognostico di sicuro ravvedimento deve essere formulato sulla base di un completato percorso trattamentale di rieducazione e recupero che sia in grado di sostenere la previsione, in termini di certezza, di una conformazione al quadro ordinamentale e sociale a suo tempo violato (Sez. 5, n. 11331 del 10/12/2019, dep. 2020, Cesarano, Rv. 279041-01; Sez. 1, n. 486 del 25/09/2015, dep. 2016, Caruso, Rv. 265471-01; Sez. 1, n. 45042 del 11/07/2014, Minichini, Rv. 261269-01; Sez. 1, n. 34946 del 17/07/2012, Somma, Rv. 253183- 01). Dunque, la nozione di ravvedimento , che rileva ai fini della concessione della liberazione condizionale, comprende il complesso dei comportamenti concretamente tenuti ed esteriorizzati dal condannato, durante il tempo dell'esecuzione della pena, obiettivamente idonei a dimostrare, anche sulla base del progressivo percorso trattamentale di rieducazione e di recupero, la convinta revisione critica delle pregresse scelte e a formulare, in termini di certezza, o di elevata e qualificata probabilità, confinante con la certezza, un serio, affidabile e ragionevole giudizio prognostico di pragmatica conformazione della futura condotta di vita all'osservanza della legge penale in precedenza violata. 2. Ciò posto, rileva il Collegio che la motivazione dell'impugnata ordinanza non è completa e che si ravvisa manifesta illogicità nelle ragioni addotte a sostegno del diniego. Il Tribunale non ha fatto buon governo dei principi sopra esposti, effettuando una valutazione non completa del comportamento del ricorrente, omettendo di considerare, compiutamente, il percorso riabilitativo che il condannato ha svolto e che continua a svolgere, avendo peraltro, fruito da nove anni della detenzione domiciliare. In particolare, nell'ordinanza si legge che la P.N.A.A., nel parere del 3 ottobre 2024, ha ritenuto “sufficiente” quanto è stato prodotto a sostegno della domanda con cui l'istante aveva chiesto la liberazione condizionale ma che il ricorrente avrebbe dovuto allegare documenti comprovanti lo svolgimento di un'attività lavorativa o, quantomeno, il suo inizio poiché questo elemento è un presupposto indefettibile per l'applicazione della liberazione condizionale. Su questo punto, però, la motivazione non rende conto, nel caso concreto, se l'assenza di attività lavorativa sia dovuta ad un rifiuto manifestato dal ricorrente, indirizzato ad intraprendere un percorso anche di questo tipo oppure, al contrario, se B.M.C. non abbia potuto, per le circostanze che lo coinvolgono, svolgere attività lavorativa, onde verificare se il condannato si trovi in una situazione a lui non imputabile. Dunque, non si illustra, compiutamente, se l'eventuale assenza di soluzioni di continuità in questo percorso derivi o meno da una libera e arbitraria scelta del condannato. Peraltro, non va trascurato che questa Corte (Sez. 1, n. 19854 del 22/06/2020, Licata, Rv. 279321 – 01) ha esposto che, ai fini della concessione della liberazione anticipata ad un collaboratore di giustizia, il mancato adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, pur non assumendo valenza ostativa all'accoglimento dell'istanza, stante la deroga alle disposizioni ordinarie contenuta all'articolo 16-novies della legge 15 gennaio 1991, n. 8, rileva, unitamente agli altri indici di valutazione – quali i rapporti con i familiari, il personale giudiziario e gli altri soggetti qualificati nonché il proficuo svolgimento di attività di lavoro o di studio – ai fini del giudizio sul ravvedimento del condannato. Il ricorrente, peraltro, segnalava la condotta regolare tenuta nel corso dell'espiazione della pena, quale prova certa del ravvedimento, argomentazione che meritava di essere valutata compiutamente, rientrando tra i presupposti della concessione della misura, a fronte peraltro del regime di detenzione in atto da nove anni. Dunque, il Tribunale di Sorveglianza, da un lato, ha sottolineato che il ravvedimento postula una valutazione globale della condotta del soggetto, in modo da accertare se l'azione rieducativa, complessivamente svolta, abbia prodotto il risultato del compiuto ravvedimento del reo. Il Tribunale di Sorveglianza, dall'altro lato, in senso contrario rispetto alle premesse, ha considerato con ragionamento meramente apparente e, comunque, non esauriente, il comportamento complessivo del condannato e la sua richiesta, in definitiva, è stata censurata solo a causa della mancanza di una documentazione provante lo svolgimento dell'attività lavorativa di cui supra. La motivazione dell'ordinanza, pertanto, non rende conto di un esame adeguato della globalità e dell'insieme degli elementi positivi, sottolineati dall'istante e che si traggono anche dai pareri in atti degli organi preposti che, secondo la prospettazione del ricorrente, avrebbero consentito l'accesso alla misura di cui trattasi. 3. Segue a quanto sin qui esposto, l'annullamento dell'impugnata ordinanza, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma perché, nella piena autonomia dell'esito, proceda a nuovo esame, secondo le indicazioni di cui alla parte motiva. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza di Roma.