Il mancato deposito da parte del ricorrente della relata di notifica della sentenza comporta la sanzione di improcedibilità?

Al fine di evitare la sanzione della improcedibilità di cui all’articolo 369, c.1 c.p.c., l’onere per il ricorrente di depositare, unitamente a copia autentica della sentenza o della decisione impugnata, la relazione di notificazione, sorge solo se il ricorrente stesso alleghi espressamente oppure implicitamente che la sentenza, contro cui ricorre, è stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione e non ha, invece, rilievo se, nel silenzio del ricorrente sul punto o a fronte della sua esplicita affermazione della mancata notifica della sentenza, l’avvenuta notifica sia soltanto affermata nel controricorso da alcuno dei controricorrenti [...].

[...] In tal caso, è piuttosto il controricorrente, che alleghi l'avvenuta notifica della sentenza ai fini del decorso del termine breve per impugnare, ad essere tenuto a comprovare tale affermazione depositando la detta relata nel termine concesso per il deposito del controricorso o in quello più ampio di cui all'articolo 372 c.p.c., con la conseguenza che: a) se il controricorrente assolve tale onere e risulta effettivamente provata la tardività del ricorso, questo dovrà dirsi non improcedibile ma inammissibile; b) se il controricorrente assolve detto onere ma risulti comunque confermata la tempestività del ricorso, non ne seguirà alcuna conseguenza sul piano processuale per il ricorrente; c) se, infine, il controricorrente si limiti ad affermare l'avvenuta notifica ma non supporti tale affermazione tramite il deposito della relata, della sua allegazione non potrà tenersi alcun conto, in quanto non provata, nemmeno ai fini della valutazione della tempestività del ricorso. Questo il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame. Nel caso di specie, si trattava di dirimere la questione preliminare, posta con l'ordinanza interlocutoria n. 28486/2024, relativa alle conseguenze da attribuirsi all'affermazione, da parte del controricorrente, dell'avvenuta notifica della sentenza impugnata, nel caso in cui, come in quello de quo, la parte ricorrente nessuna indicazione offra al riguardo (non dica, cioè, né se la sentenza impugnata fu notificata, né se non lo sia stata) e manchi altresì la produzione in giudizio, da alcuna delle parti, della copia notificata della sentenza. Secondo la Cassazione, la questione posta dall'ordinanza interlocutoria trova ragione risolutiva nel c.d. «principio di autoresponsabilità», riflesso del generale criterio di riparto dell'onere della prova di cui all'articolo 2697 c.c., tale per cui la dichiarazione di avvenuta notificazione della sentenza, costituendo l'attestazione di un «fatto processuale», impegna la parte che la rende (non la controparte) e fa sorgere, dunque, in capo alla stessa, l'onere di darne la prova (cfr. Cass. Sez. Un. n. 21349/2022). L'onere per il ricorrente, infatti, di depositare la relata di notifica della sentenza è funzionale alla verifica (da compiersi in limine litis) della tempestività del ricorso nell'ipotesi in cui tale verifica vada parametrata al termine breve ex articolo 325 c.p.c. decorrente dalla notificazione della sentenza. Esso sorge solo «se questa è avvenuta». La norma, dunque, non impone al ricorrente di prendere espressa posizione in ricorso sul punto, di precisare, cioè, esplicitamente, se vi è stata oppure no notifica della sentenza idonea a far decorrere il termine breve per impugnarla, né sanziona con la improcedibilità il silenzio del ricorrente sul punto. Né tanto meno richiede la prova del fatto negativo (l'omessa notifica della sentenza). Ben diversamente prevede la suddetta sanzione per il solo caso in cui, risultando avvenuta la notifica della sentenza, il ricorrente ometta di depositare la relata. Un tale onere, allora, presuppone logicamente due condizioni: la prima è che tale verifica si imponga dal momento che è lo stesso ricorrente ad aver dato ragione di ritenere, per quanto dallo stesso affermato o per quanto ha prodotto, che la sentenza gli è stata notificata; la seconda è che la data di notifica del ricorso si collochi in data posteriore di oltre sessanta giorni rispetto a quella di pubblicazione della sentenza, perché in caso contrario la tempestività del ricorso sarebbe comunque, per ovvie ragioni, fuori discussione (c.d. «prova di resistenza»). In mancanza della prima condizione, e dunque se il ricorrente afferma che la sentenza non è stata notificata da alcuno o anche solo tace del tutto al riguardo, tale verifica non si richiede atteso che, in tali termini prospettando la propria impugnazione, deve darsi per acquisito che il ricorrente ha inteso esercitare il diritto di impugnazione entro il c.d. «termine lungo». Il silenzio del ricorrente sul punto, o a fortiori l'affermazione della mancata notifica della sentenza, non possono considerarsi, dunque, processualmente un dato neutro ai fini dell'applicazione della norma, assumendo al contrario il significato di veicolare una precisa prospettazione del regime processuale che si chiede sia applicato alla proposta impugnazione. Orbene, nel caso di specie, a fronte del silenzio sul punto serbato dal ricorrente, la controricorrente si è limitata ad affermare nel proprio controricorso l'avvenuta notifica della sentenza ed in base agli esposti principi di tale allegazione non può tenersi conto in quanto non provata.

Presidente Frasca -  Relatore Iannello Fatti di causa 1. Con sentenza n. 1877 del 2015 il Tribunale di Roma accolse la domanda risarcitoria proposta da Ca.Ca. nei confronti del Ministero della Giustizia, riconoscendo la responsabilità dell'amministrazione per violazione delle norme sull'ordinamento penitenziario(articolo 11 e 13 L. n. 354 del 1975), nonché ai sensi degli articolo 32 Cost. e 2059 c.c. per il danno alla salute derivato all'attore durante il lungo periodo di detenzione in carcere, per non aver potuto usufruire con continuità e regolarità dei trattamenti riabilitativi fisioterapici resi necessari da una pregressa paraparesi spastica degli arti inferiori (derivata da una lesione midollare provocatagli nel 1981 da un colpo d'arma da fuoco). Condannò dunque il Ministero, per tale causale, al pagamento della somma di Euro 473.394,07 (importo corrispondente a quello di Euro 144.556,78, pari alla misura del danno al momento del sopravvenuto aggravamento della patologia, rivalutato e maggiorato di interessi legali), oltre accessori e spese del giudizio. 2. Con sentenza n. 6582/2020, resa pubblica in data 22 dicembre 2020, la Corte d'Appello di Roma, confermata nell'an la responsabilità del Ministero, ha parzialmente accolto il gravame interposto dall'Amministrazione in ordine alla determinazione del quantum debeatur. Sulla base dei chiarimenti chiesti e ottenuti dai cc.tt.uu. ha al riguardo osservato che: la pregressa lesione mielica derivata dal colpo di arma da fuoco, in larga parte recuperata all'atto del primo ingresso in carcere del Ca.Ca., si era mano a mano aggravata in conseguenza della discontinuità del trattamento riabilitativo praticatogli nel corso del regime detentivo; in particolare, a causa di ciò, il Ca.Ca. aveva subìto un aggravamento della spasticità ed un ulteriore decremento della funzione deambulatoria, che si (era) aggiunto a quello che si sarebbe avuto quale conseguenza diretta ed ineludibile del trauma primario (la lesione midollare occorsagli nel 1981); più precisamente, al momento dell'accertamento peritale il Ca.Ca. era stato valutato soggetto non deambulante se non per brevissimi tratti e solo con l'ausilio di due bastoni canadesi, a causa di un quadro di paraplegia spastica di grado importante con completa compromissione della deambulazione autonoma, valutabile secondo gli attuali baremes nella misura percentuale del 75-80% . Ciò premesso, ai fini della quantificazione del danno effettivamente ascrivibile al fatto del Ministero, al netto di quello invece riferibile alla lesione pregressa, la Corte ha ritenuto di dover procedere, conformemente alle indicazioni dei cc.tt.uu., sottraendo dalla accertata attuale percentuale di invalidità effettivamente accertata del 75%, quella del 35% dalla quale era concretamente ipotizzabile che il Ca.Ca. sarebbe stato comunque affetto a seguito del trauma, causa anche la deiscenza legata al trascorrere del tempo, anche se avesse potuto accedere a regolari cure. Posta, dunque, la percentuale di invalidità del 40% a base del calcolo secondo le Tabelle di Milano, la Corte ha liquidato al predetto in relazione all'età che egli aveva non al momento del primo ingresso nel carcere di Taranto nel febbraio 1990 ma piuttosto a quella che egli aveva nell'agosto 2000 (trentotto anni), allorché dalla perizia medico-legale disposta dalla Corte d'Assise di Taranto venne constatato il peggioramento degli arti inferiori con la diagnosi, per la prima volta effettuata, di paresi spastica irreversibile (così testualmente in sentenza, pag. 12, penultimo cpv.) il complessivo importo di Euro 307.478,00 (di cui Euro 257.478,00 per danno permanente alla salute ed Euro 50.000,00 per danno morale), oltre interessi compensativi del danno da ritardo nel pagamento (da quantificarsi con riferimento agli interessi al tasso legale annuo maturati sul capitale, devalutato alla data intermedia tra l'agosto 2000 e la data di pubblicazione della sentenza) ed oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al soddisfo. 3. Avverso tale sentenza Ca.Ca. propone ricorso per cassazione affidandolo a un solo motivo, cui resiste il Ministero della Giustizia, Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, con controricorso. 4. All'esito dell'adunanza camerale del 17 ottobre 2024, questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 28486 del 05/11/2024, ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo, perché fosse trattata in pubblica udienza, in relazione alla questione processuale rilevata d'ufficio relativa alle conseguenze da attribuirsi all'affermazione, da parte del controricorrente, dell'avvenuta notifica della sentenza impugnata, nel caso in cui come nella specie la parte ricorrente nessuna indicazione offra al riguardo (non dica, cioè, né se la sentenza impugnata fu notificata, né se non lo sia stata) e manchi altresì la produzione in giudizio, da alcuna delle parti, della copia notificata della sentenza . 6. Il P.M. ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi l'improcedibilità del ricorso. Ragioni della decisione I. Soluzione della questione preliminare posta con l'ordinanza interlocutoria. 1. Lo scrutinio della questione posta con l'ordinanza interlocutoria al quale ovviamente occorre dare priorità per il suo rilievo potenzialmente assorbente richiede che siano preliminarmente precisati, come segue, i dati di fatto con i quali occorre misurarsi: a) nel ricorso per cassazione il ricorrente si limita a indicare i dati relativi alla pubblicazione della sentenza impugnata e al numero di raccolta generale (n. 6582/2020, depositata in data 22 dicembre 2020); tace del tutto sul fatto che la stessa fosse stata o meno notificata: non dice, cioè, né che la stessa era stata notificata in una certa data, né che non lo era stata; b) nella intestazione del proprio controricorso l'Amministrazione descrive il ricorso al quale replica come proposto per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Roma, Sez. I, n. 6582/2020 del 22.12.20, notificata il 4.5.21 ; nella struttura redazionale dell'atto quest'ultima indicazione trova, dunque, marginalmente posto nella sola parte dedicata alla intestazione dell'atto ed ai suoi dati identificativi, anteposta a quella relativa all'oggetto della causa ed alla esposizione delle ragioni in fatto e in diritto contrapposte alle censure del ricorrente; c) alla circostanza che la sentenza fosse stata notificata in quella certa data l'amministrazione non correla alcun rilievo di tipo processuale ostativo all'esame del ricorso: non ne eccepisce, cioè, né l'inammissibilità per tardiva notifica rispetto al termine breve (del resto non predicabile, essendo stato il ricorso notificato il 21 giugno 2021), né la improcedibilità; d) successivamente all'ordinanza interlocutoria, e nel termine per il deposito delle memorie ex articolo 380-bis.1 cod. proc. civ., l'amministrazione ha depositato, in data 24 gennaio 2025, copia informatica della sentenza, della relata di notifica e del messaggio p.e.c. che la veicolava, dalla quale risulta confermata l'avvenuta notifica, con modalità idonee al decorso del termine breve per impugnare, in data 4 maggio 2021. 2. Nel descritto contesto fattuale reputa il Collegio che per le ragioni che saranno qui di seguito esposte alla questione debba darsi soluzione nel senso di escludere che al mancato deposito da parte del ricorrente della relata di notifica della sentenza possa seguire la sanzione di improcedibilità. 3. Occorre muovere dal rilievo che nella giurisprudenza di questa Corte è ripetutamente affermato tanto da essere ascritto a consolidato insegnamento il principio secondo cui in tema di notificazione del provvedimento impugnato ad opera della parte, ai fini dell'adempimento del dovere di controllare la tempestività dell'impugnazione in sede di giudizio di legittimità, assumono rilievo le allegazioni delle parti, nel senso che, ove il ricorrente non abbia allegato che la sentenza impugnata gli è stata notificata, si deve ritenere che il diritto di impugnazione sia stato esercitato entro il c.d. termine 'lungo' di cui all'articolo 327 c.p.c., procedendo all'accertamento della sua osservanza, mentre, nella contraria ipotesi in cui l'impugnante abbia allegato espressamente o implicitamente che la sentenza contro cui ricorre gli sia stata notificata ai fini del decorso del termine breve di impugnazione (nonché nell'ipotesi in cui tale circostanza sia stata eccepita dal controricorrente o sia emersa dal diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d'ufficio), deve ritenersi operante il termine di cui all'articolo 325 c.p.c., sorgendo a carico del ricorrente l'onere di depositare, unitamente al ricorso o nei modi di cui all'articolo 372, comma 2, c.p.c., la copia autentica della sentenza impugnata, munita della relata di notificazione, entro il termine previsto dall'articolo 369, comma 1, c.p.c., la cui mancata osservanza comporta l'improcedibilità del ricorso, escluso il caso in cui la notificazione del ricorso risulti effettuata prima della scadenza del termine breve decorrente dalla pubblicazione del provvedimento impugnato e salva l'ipotesi in cui la relazione di notificazione risulti prodotta dal controricorrente o presente nel fascicolo d'ufficio (v. ex plurimis, tra le più recenti, Cass. Sez. 3, Ord. n. 8463 del 2025; Sez. 3, Ord. n. 6112 del 2025; Sez. 1, Ord. n. 32203 del 2024; Sez. 1, Ord. n. 32196 del 2024; Sez. 2, Ord. n. 31803 del 2024; Sez. 2, Ord. n. 29346 del 2024; Sez. 3, Ord. n. 28441 del 2024; Sez. 3, Ord. n. 27883 del 2024; Sez. 1, Ord. n. 25247 del 2024; Sez. 1, Ord. n. 25190 del 2024; Sez. 3, Ord. n. 20755 del 2024; Sez. 2, Sent. n. 17557 del 2024; Sez. 1, Ord. n. 10809 del 2024; Sez. 3, Ord. n. 10151 del 2024; Sez. 2, Ord. n. 7641 del 2024; Sez. 1, Ord. n. 7625 del 2024; Sez. 3, Ord. n. 4136 del 2024; Sez. 3, Ord. n. 3429 del 2024; Sez. 3, Ord. n. 2727 del 2024; Sez. 2, Sent. n. 671 del 2024; Sez. 3, Ord. n. 31842 del 2023; Sez. 3, Ord. n. 31576 del 2023; Sez. 1, Ord. n. 30502 del 2023; Sez. 3, Ord. n. 28574 del 2023; Sez. 3, Ord. n. 28423 del 2023; Sez. 2, Ord. n. 26604 del 2023; Sez. 3, Ord. n. 16192 del 2023; Sez. 1, Ord. Interl. n. 12015 del 2023; Sez. 3, Ord. n. 9589 del 2023; Sez. 6 2, Ord. n. 8722 del 2023; Sez. 6 2, Ord. n. 8682 del 2023; Sez. 2, Sent. n. 7540 del 2023; Sez. 3, Ord. n. 7181 del 2023; Sez. 2, Ord. n. 6283 del 2023; Sez. 3, Ord. n. 4996 del 2023; Sez. 6 3, Ord. n. 3282 del 2023; Sez. 3, Sent. n. 36819 del 2022; Sez. 2, Ord. n. 36247 del 2022; Sez. 3, Ord. n. 31254 del 2022; Sez. 2, Ord. n. 29002 del 2022; Sez. 6 2, Ord. n. 24364 del 2022; Sez. 2, Ord. n. 23249 del 2022; Sez. 2, Ord. n. 22576 del 2022; Sez. 2, Ord. n. 20796 del 2022; Sez. 1, Ord. n. 20752 del 2022; Sez. 6 2, Ord. n. 18472 del 2022; Sez. 1, Ord. n. 14849 del 2022; Sez. 1, Ord. n. 11245 del 2022; Sez. 6 2, Ord. n. 7528 del 2022; Sez. 2, Ord. n. 2328 del 2022; Sez. 2, Ord. n. 40324 del 2021; Sez. 2, Ord. n. 37730 del 2021; Sez. 5, Ord. n. 35927 del 2021; Sez. 6 2, Ord. n. 29273 del 2021). 4. Precisato che nessuna delle citate pronunce si riferisce a casi in cui la notifica della sentenza costituiva oggetto di allegazione della sola parte controricorrente (ma tutte, anzi, al contrario postulano che la relativa indicazione era contenuta in ricorso), va detto che in esse il richiamato principio nel quale, con frase incidentale tra parentesi, si attribuisce alla eccezione del controricorrente il ruolo di possibile fonte alternativa di tale informazione e, correlativamente, dell'onere per il ricorrente di depositare la relata di notifica viene dichiaratamente ricavato dalla massima (Rv. 661874 01) di Cass. Sez. 6, ordinanza n. 15832 del 07/06/2021, richiamata anche dal P.G. nelle proprie conclusioni. Questa ordinanza emessa dallo speciale collegio della ora soppressa Sesta Sezione Civile, composto dal Presidente Titolare e dai Coordinatori delle sottosezioni e previsto dal paragrafo 46.2 delle allora vigenti tabelle di organizzazione di questa Suprema Corte e deputato alla decisione delle questioni di natura esclusivamente processuale che implichino l'enunciazione di principi di diritto di portata generale limitatamente ai profili di stretta competenza della sezione si occupava della diversa (e qui non rilevante) questione della emendabilità o revocabilità della dichiarazione resa dal ricorrente, in seno al ricorso, circa l'avvenuta notifica della sentenza impugnata dinanzi a questa Corte, seguita poi dalla contraria dichiarazione, formulata con la memoria, dopo la comunicazione della proposta di improcedibilità del ricorso, di erroneità della prima dichiarazione di avvenuta notifica: questione risolta negativamente dal Collegio che concluse dunque nel senso della improcedibilità del ricorso per il mancato deposito della relata. Nella motivazione di detta pronuncia si afferma effettivamente che essendo la notificazione della sentenza, ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, ... un atto della parte destinato esclusivamente alla controparte, che rimane di per sé ignoto al giudice, il quale non ha modo di venirne a conoscenza, se non mediante le dichiarazioni rese dalle stesse parti nel giudizio di impugnazione o mediante i documenti dalle medesime prodotti assume ... un ruolo fondamentale, ai fini della conoscenza da parte della Corte della decorrenza del termine breve di impugnazione, la posizione assunta dalle parti, con le loro allegazioni e con le loro produzioni . È a questo punto dell'ordinanza (par. 2.2., pag. 6) che si legge l'affermazione dichiaratamente tratta da Cass. Sez. U. n. 9005 del 16/04/2009 secondo cui qualora il ricorrente per cassazione non alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, la Corte di cassazione deve ritenere che il medesimo abbia esercitato il diritto di impugnazione entro il c.d. termine lungo di cui all'articolo 327 cod. proc. civ., procedendo all'accertamento della sua osservanza. Quando, invece, il ricorrente alleghi espressamente (enunciando la circostanza nel ricorso) oppure implicitamente (producendo copia autentica della sentenza impugnata, recante la relata di notificazione idonea ai fini del decorso del termine per l'impugnazione) che la sentenza, contro cui ricorre, è stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione ovvero quando l'avvenuta notificazione della sentenza risulti dalla eccezione del controricorrente o dalle emergenze del diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d'ufficio, deve intendersi che il ricorrente abbia esercitato l'impugnazione nel termine breve, cosicché sorge a carico dello stesso l'onere di depositare la copia autentica della sentenza impugnata munita della relata di notificazione, unitamente al ricorso ovvero separatamente da esso, ai sensi dell'articolo 372, secondo comma, cod. proc. civ., purché entro il termine di cui al primo comma dell'articolo 369 cod. proc. civ. 5. Nella motivazione dell'ordinanza dello speciale Collegio della Sesta Sezione il riferimento a tale principio, là dove in particolare menziona l'eccezione del controricorrente quale presupposto alternativo dell'onere di deposito della relata, non ha, però, rilievo fondante della decisione, ma costituisce un mero obiter dictum, dal momento che in quel caso l'affermazione della avvenuta notifica della sentenza impugnata non proveniva dal controricorrente, ma dallo stesso ricorrente, e il problema che si poneva circa l'applicabilità della sanzione di cui all'articolo 369 n. 2 c.p.c. per il mancato deposito della relata discendeva solo dal fatto che quella dichiarazione era stata poi revocata. 6. Per verificare le reali ragioni e il significato di quella incidentale affermazione occorre dunque risalire alla sua fonte originaria che, come esplicitamente indicato nel precedente della Sesta Sezione, è rappresentata dalla sentenza di Cass. Sez. U. n. 9005 del 16/04/2009 e, più precisamente, dal primo dei principi ivi enunciati. Tale principio è in tale pronuncia espresso nei seguenti termini: nell'ipotesi in cui il ricorrente per cassazione non alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, la Corte di cassazione deve ritenere che il ricorrente abbia esercitato il diritto di impugnazione entro il cd. termine lungo e procedere all'accertamento della sua osservanza. Tuttavia, qualora o per eccezione del controricorrente o per le emergenze del diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d'ufficio emerga che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, la Corte, indipendentemente dal riscontro della tempestività o meno del rispetto del termine breve, deve rilevare che la parte ricorrente non ha ottemperato all'onere del deposito della copia notificata della sentenza impugnata entro il termine di cui al primo comma dell'articolo 369 c.p.c. e dichiarare improcedibile il ricorso, atteso che il riscontro della improcedibilità del ricorso per cassazione precede quello dell'eventuale sua inammissibilità . Ebbene, un attento esame di tale precedente (così come delle pronunce gemelle nn. 9004 e 9006 recanti la stessa data) rende evidente che il riferimento all'eccezione del controricorrente non può essere inteso nel senso che l'onere per il ricorrente (il quale per parte sua non dica che la sentenza impugnata sia stata notificata) di depositare la relata di notifica possa trovare fonte nella mera affermazione del controricorrente dell'avvenuta notifica della sentenza impugnata. L'esposto principio là dove afferma che la sanzione di improcedibilità ex articolo 369 n. 2 per il mancato deposito della relata segue anche all'ipotesi in cui, nel silenzio del ricorrente, la notifica della sentenza fosse eccepita dal controricorrente muove, infatti, dalla premessa che il controricorrente, nell'eccepire (o comunque dedurre) l'avvenuta notifica della sentenza impugnata, abbia anche (ex necesse) documentato tale affermazione. Il principio, dunque, venne affermato non perché a fronte di quella eccezione non risultava prodotta da alcuno la relata ma al contrario perché, risultando prodotta quella relata dal controricorrente proprio quale necessario supporto della propria eccezione, occorreva stabilire se tale produzione potesse oppure no considerarsi adempimento equipollente o comunque sanante dell'omesso deposito della relata medesima da parte del ricorrente. Era questo il quesito a cui le Sezioni Unite erano chiamate a rispondere. Lo dimostra il fatto che, nel dar conto delle ordinanze interlocutorie da cui originava la questione esaminata, la sentenza citata riferisce (v. pagg. 16 17) che in esse si osservava quanto segue: per come la disposizione è formulata, la norma non impone al ricorrente di dichiarare, nel ricorso, a pena di inammissibilità, se la sentenza gli è stata notificata, ma solo, ed a pena di improcedibilità, di depositare la sentenza con la relazione di notificazione, se questa sia avvenuta. Di qui il possibile verificarsi di una serie di situazioni definite paradossali: a) la parte non dice che la sentenza le è stata notificata, sebbene lo sia stata, e non la produce; l'altra parte non solleva questione circa l'ammissibilità, perché il termine per l'impugnazione è stato rispettato, né pone la questione dell'improcedibilità per mancato deposito della copia della sentenza notificata; il rilievo di ufficio dell'improcedibilità e l'applicazione della sanzione sarebbero in questo caso impedite dall'atteggiamento processuale della parte che ne potrebbe profittare; b) la parte non dice che la sentenza le è stata notificata e non la produce; l'altra parte, che lo allega, ha l'onere di dimostrare che la sentenza è stata notificata; la sentenza notificata è prodotta e ne risulta che il termine per l'impugnazione è stato rispettato: se risultasse il contrario il ricorso sarebbe da dichiarare inammissibile; se si attribuisce in questo caso rilievo al fatto in sé che il ricorrente non ha depositato la copia nel termine stabilito dall'articolo 369 c.p.c., comma 1, si perverrebbe al risultato paradossale che si deve considerare la Corte impedita dall'esame del fondo del ricorso, nel momento stesso in cui è messa in grado di riscontrare che è ammissibile . Ancor più chiaramente l'ipotesi considerata è descritta nei detti termini alla pag. 34 della motivazione, ove si legge: Qualora o per eccezione dell'unica o di alcuna delle parti controricorrenti (che rilevino che, invece, era avvenuta la notificazione e producano la copia della sentenza con la relata della stessa) o, anche in difetto di tale eccezione, sulla base dell'esame delle produzioni delle parti (cioè sia del ricorrente, sia di parti controricorrenti) o anche dello stesso fascicolo d'ufficio, la Corte riscontri che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, indipendentemente dal riscontro della tempestività o meno dell'esercizio del diritto di impugnazione rispetto al termine breve decorrente da quella notificazione, essa deve rilevare che la parte ricorrente non ha ottemperato all'onere di deposito della copia notificata della sentenza e dichiarare la improcedibilità del ricorso (rilievo che precede quello dell'eventuale inammissibilità dell'impugnazione, eccepita o meno che sia, per l'intempestività del ricorso in relazione al termine breve dalla notificazione decorso) . Ribadito, dunque, che la questione allora vagliata era (non se bastasse la mera affermazione del controricorrente circa l'avvenuta notifica ad attivare la norma di cui all'articolo 369 n. 2 c.p.c. là dove fa riferimento al deposito della relata, ma ben diversamente) se il deposito da parte del controricorrente della relata (quale necessario fondamento della opposta eccezione) valesse come equipollente dell'assolvimento dell'onere imposto al ricorrente, la soluzione che ne diedero le Sezioni Unite fu -come notonegativa, avendo esse ritenuto anche in tal caso il ricorso improcedibile, pur a fronte del deposito della relata da parte del controricorrente, con prevalenza sulla inammissibilità nel caso quella produzione dimostrasse la tardività del ricorso e ad onta della sua dimostrata tempestività nel caso contrario. 7. È altresì noto che il rigore di quell'orientamento motivato essenzialmente dal triplice rilievo che: a) l'improcedibilità è la sanzione per la mancata osservanza di una regola imposta ai fini della prova delle condizioni di ammissibilità; b) non potrebbero introdursi in via pretoria ipotesi di sanatoria per raggiungimento dello scopo senza venir meno alla lettera della norma; c) la regola predetta si sottrae a dubbi di incostituzionalità in quanto giustificata dalla specialità del giudizio di cassazione che richiede meccanismi selettivi d'accesso che ne favoriscano il rapido esito , anche alla luce del principio di ragionevole durata del processo ha trovato un rilevante temperamento nella giurisprudenza delle Sezioni Unite, successivamente giunte ad ammettere la possibilità di equipollenti nell'ipotesi in cui la relata stessa risulti comunque agli atti, vuoi perché rinvenuta nel fascicolo d'ufficio (ove la legge prescriva un dies a quo del termine d'impugnazione decorrente dalla comunicazione del ricorso), vuoi perché prodotta dal resistente (che a detta notifica della sentenza aveva provveduto) all'atto della propria costituzione (v. Cass. Sez. U. 02/05/2017, n. 10648; Sez. U. 16/11/2017, n. 27199). Peso determinante hanno avuto in tale direzione i principi che la giurisprudenza della Corte EDU ha nel tempo ricavato dall'articolo 6 C.E.D.U., con i quali in particolare è stato più volte rimarcato che le condizioni di ricevibilità di un ricorso giudiziale, previste dalla legge nazionale, possono limitare l'accesso al giudizio della parte unicamente se la limitazione tende ad uno scopo legittimo e se sussiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito (v. Corte EDU, 15/09/2016, Trevisanato c. Italia; Corte Edu 28/10/2021, Succi c. Italia; Corte Edu 23/05/2024, Patricolo and Brutti c. Italia): si è, infatti, riconosciuto che non vi sarebbe né ragionevolezza né proporzionalità nel precludere l'esame del merito in presenza della prova della data di notifica della sentenza e della possibilità, quindi, di controllare la tempestività del ricorso. 8. Nella specie, tuttavia, non può essere questo più recente e liberale indirizzo a fornire la chiave di lettura (e di risoluzione) della questione posta. Basti osservare che, proprio alla luce di esso, se dovesse ammettersi che, nelle condizioni descritte, sussisteva l'onere per il ricorrente di depositare la relata di notifica della sentenza impugnata, la sanzione della improcedibilità non potrebbe risultare impedita dal deposito di tale relata da parte dell'amministrazione resistente, poiché operato, come detto, non al momento del deposito del controricorso, né nei termini previsti per esso, ma ben diversamente solo con la memoria ex articolo 380-bis.1 c.p.c. L'esposto indirizzo attribuisce, infatti, rilievo equipollente al deposito della relata da parte del controricorrente a condizione che esso avvenga nell'ambito della medesima fase iniziale dell'impugnazione e, dunque, nel rispetto dei termini per il deposito del controricorso. Molto chiara al riguardo Cass. Sez. U. 06/07/2022, n. 21349, che, nel riprendere e precisare il dictum delle precedenti citate pronunce, ha enunciato il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, è esclusa la dichiarazione di improcedibilità ex articolo 369, comma 2, n. 2), c.p.c., quando l'impugnazione sia proposta contro una sentenza notificata, di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica (o le copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notifica a mezzo p.e.c.), ove tale documentazione risulti comunque nella disponibilità del giudice, per essere stata prodotta dal controricorrente nel termine di cui all'articolo 370, comma 3, c.p.c., ovvero acquisita nei casi in cui la legge dispone che la cancelleria provveda alla comunicazione o alla notificazione del provvedimento impugnato (da cui decorre il termine breve per impugnare ex articolo 325 c.p.c.) mediante l'istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio . 9. Il quesito posto dall'ordinanza interlocutoria trova piuttosto ragione risolutiva nel c.d. principio di autoresponsabilità (evocato anche nella più recente pronuncia di Cass. Sez. U. n. 21349 del 2022 e riflesso del generale criterio di riparto dell'onere della prova di cui all'articolo 2697 cod. civ.: onus probandi incumbit ei qui dicit), tale per cui la dichiarazione di avvenuta notificazione della sentenza, costituendo l'attestazione di un fatto processuale , impegna la parte che la rende (non la controparte) e fa sorgere dunque in capo alla stessa l'onere di darne la prova. 10. A tale soluzione conducono le seguenti considerazioni di ordine esegetico e logico. 10.1. L'onere per il ricorrente di depositare la relata di notifica della sentenza è funzionale alla verifica (da compiersi in limine litis) della tempestività del ricorso nell'ipotesi in cui tale verifica vada parametrata al termine breve ex articolo 325 c.p.c. decorrente dalla notificazione della sentenza. Esso sorge solo se questa è avvenuta . La norma, dunque, non impone al ricorrente di prendere espressa posizione in ricorso sul punto, di precisare, cioè, esplicitamente, se vi è stata oppure no notifica della sentenza idonea a far decorrere il termine breve per impugnata, né sanziona con la improcedibilità il silenzio del ricorrente sul punto. Né tanto meno richiede la prova del fatto negativo (l'omessa notifica della sentenza). Ben diversamente prevede la suddetta sanzione per il solo caso in cui, risultando avvenuta la notifica della sentenza, il ricorrente ometta di depositare la relata. Un tale onere, allora, presuppone logicamente due condizioni: a) la prima è che tale verifica si imponga perché è lo stesso ricorrente ad aver dato ragione di ritenere, per quanto dallo stesso affermato o per quanto ha prodotto, che la sentenza gli è stata notificata; b) la seconda è che la data di notifica del ricorso si collochi in data posteriore di oltre sessanta giorni rispetto alla data di pubblicazione della sentenza, perché in caso contrario la tempestività del ricorso sarebbe comunque, per ovvie ragioni, fuori discussione (c.d. prova di resistenza: v. Cass. 10/07/2013, n. 17066). Se manca la prima condizione e dunque se il ricorrente afferma che la sentenza non è stata notificata da alcuno o anche solo tace del tutto al riguardo tale verifica non si richiede atteso che, in tali termini prospettando la propria impugnazione, deve darsi per acquisito che, come già avvertivano Cass. Sez. U. nn. 9004-9006 del 2009, il ricorrente ha inteso esercitare il diritto di impugnazione entro il cd. termine lungo. Il silenzio del ricorrente sul punto, o a fortiori l'affermazione della mancata notifica della sentenza, non possono considerarsi dunque processualmente un dato neutro ai fini dell'applicazione della norma, ma hanno al contrario il significato di veicolare una precisa prospettazione del regime processuale che si chiede sia applicato alla proposta impugnazione. La verifica andrà parametrata rispetto a tale termine e, ovviamente, non richiederà la produzione di altro se non della sentenza in copia autentica (v. ora, in regime di processo telematico, l'articolo 196-octies disp. att. c.p.c.). 10.2. Versando in tale ipotesi e supponendo dunque che, come nella specie, nulla deduca il ricorrente circa la notifica della sentenza o addirittura neghi che essa sia avvenuta l'affermazione del controricorrente (o di alcuno dei controricorrenti) che al contrario deduca che la sentenza è stata notificata ha il significato di opporre, alla stregua di una vera e propria eccezione, la necessità che nella fattispecie trovi applicazione un diverso regime quanto al termine per impugnare. In quanto tale, come qualsiasi allegazione di un fatto idoneo in astratto a paralizzare la domanda di controparte, è il controricorrente che deve darne la prova. Una siffatta prospettazione può, però, eventualmente incidere, se fondata, solo sul piano della ammissibilità del ricorso, ma non più su quello della sua procedibilità. La dichiarazione della notifica della sentenza, impegnando solo la parte che la rende, se effettuata dal controricorrente non può considerarsi per ciò stesso condivisa anche dal ricorrente, il quale nemmeno ha, nel sistema, alcun onere di contestare quanto affermato nel controricorso; né detta dichiarazione può di per sé far rivivere un onere di deposito che rimane inevitabilmente parametrato, anche per evidenti ragioni temporali, solo a ciò che poteva ricavarsi dal ricorso o dalla documentazione eventualmente depositata unitamente ad esso. È piuttosto il controricorrente che, se intende opporre alla prospettazione del ricorrente una diversa disciplina regolatoria dei termini per impugnare, è tenuto a darne prova depositando conferente documentazione (e dunque la relata di notifica della sentenza). Se ne trae indiretta conferma nel disposto di cui all'articolo 370 c.p.c. là dove, da un lato, si evidenzia, al primo comma, che scopo del controricorso è quello di contraddire quanto (esplicitamente o implicitamente) affermato nel ricorso e, dall'altro, al terzo comma, che il controricorso è depositato insieme con gli atti e i documenti , con ciò intendendosi ovviamente far riferimento ai documenti necessari a supportare le controdeduzioni svolte. Va al riguardo precisato peraltro che, se il deposito della relata della sentenza è strumentale alla verifica della tempestività del ricorso, anche il controricorrente può beneficiare del più lungo termine previsto dall'articolo 372 c.p.c. 10.3. Va dunque ribadito che, anche alla luce delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte EDU e in conformità agli sviluppi di cui si è fatto cenno, ciò che venga eccepito dal controricorrente (o da alcuno dei controricorrenti), o emerga aliunde dalla produzione dello stesso, non può che assumere rilievo sul piano della ammissibilità del ricorso e non della sua improcedibilità, che resta dunque sanzione necessariamente correlata agli oneri che possono ritenersi attivati (solo) da ciò che emerge dal ricorso e/o dalla documentazione depositata unitamente ad esso. Così, dunque, se il controricorrente eccepisce la tardività del ricorso: a) egli avrà l'onere di depositare la relata della sentenza per comprovare tale eccezione; b) se rispetta tale onere e ne risulti effettivamente provata la tardività del ricorso, questo sarà inammissibile, non improcedibile; c) se rispetta tale onere ma ne risulti comunque confermata la tempestività del ricorso, non ne seguirà alcuna conseguenza sul piano processuale per il ricorrente; d) se, infine, il controricorrente si limita ad affermare l'avvenuta notifica ma non supporta tale affermazione tramite il deposito della relata, della sua allegazione non potrà tenersi alcun conto, in quanto non provata, nemmeno ai fini della valutazione della tempestività del ricorso. 10.4. Si consideri del resto, che, ad opinare diversamente si perverrebbe, nel caso in esame, al seguente esito paradossale, tanto più inaccettabile alla luce dei ricordati principi della Corte EDU. Posto che la data che nel controricorso è indicata come di avvenuta notifica della sentenza attesta comunque, come detto, la tempestività del ricorso si avrebbe che: a) se la controricorrente avesse tempestivamente depositato, unitamente al controricorso, la relata della notifica, il ricorso avrebbe dovuto ritenersi ammissibile e anche procedibile; b) non avendolo fatto dovrebbe invece dichiararsi improcedibile; si dovrebbe, cioè, applicare la drastica sanzione della improcedibilità a fronte di una allegazione incompleta del controricorrente e la si dovrebbe invece escludere ove tale allegazione fosse stata doverosamente accompagnata dalla produzione della relata; c) tanto più paradossalmente dovrebbe dirsi il ricorso improcedibile pur in presenza della relata comprovante la perfetta tempestività del ricorso, in quanto tardivamente acquisita al di là del termine fissato per il deposito del controricorso dall'articolo 370, terzo comma, c.p.c. 10.5. Né può obiettarsi che la ricostruzione accolta potrebbe prestarsi al comportamento strumentale della parte o del suo difensore che, avendo ricevuto (o effettuato) la notifica della sentenza ma avendo omesso di proporre ricorso entro il termine breve da quella data decorrente, lo proponga ugualmente (nel rispetto del termine lungo), senza nulla dire della notifica della sentenza e confidando sulla eventuale disattenzione di controparte che nulla eccepisca al riguardo od ometta di comprovare l'eccezione di tardività. È questa infatti una evenienza che solo in minima parte, nella sua ultima variante, può dirsi favorita dalla soluzione accolta, atteso che se, a fronte della dichiarazione silente o mendace del ricorrente circa l'avvenuta notifica della sentenza, il controricorrente a sua volta nulla obietta, il fatto dell'avvenuta notifica resterebbe comunque non rilevabile né sanzionabile in alcun modo, mentre se il controricorrente solleva l'eccezione e la prova basterebbe ampiamente a darne seguito processualmente esaustivo -e sarebbe più appropriato sul piano della logica del sistemail rilievo dell'inammissibilità. Si tratta comunque di una conseguenza in certo modo rientrante nella fisiologia del sistema, nel quale non si dimentichi il giudicato ha bensì rilevanza pubblicistica che ne giustifica il rilievo officioso da parte del giudice, ma richiede pur sempre che esso risulti ex actis e da ciò, dunque, che le parti abbiano offerto in produzione o che comunque sia stato ritualmente acquisito al processo. 10.6. È piuttosto l'opposta soluzione a potersi prestare a comportamenti strumentali ancor meno accettabili come quello del controricorrente che si limiti ad affermare che la sentenza sia stata notificata in una certa data senza darne alcuna dimostrazione, per ottenerne da ciò solo (dunque anche quando tale notifica non sia in realtà avvenuta) una sanzione di improcedibilità del ricorso, e ciò persino quando (come accade nella specie) la data indicata non si collochi in data anteriore di più di sessanta giorni e non vi sia ragione di dubitare della sua tempestività. 11. Deve dunque essere affermato, conclusivamente sul punto, il seguente principio di diritto: Al fine di evitare la sanzione della improcedibilità di cui all'articolo 369, primo comma, c.p.c., l'onere per il ricorrente di depositare, ai sensi del numero 2 del secondo comma di tale disposizione, unitamente a copia autentica della sentenza o della decisione impugnata, la relazione di notificazione, sorge solo se il ricorrente stesso alleghi espressamente oppure implicitamente che la sentenza, contro cui ricorre, è stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione e non ha invece rilievo se, nel silenzio del ricorrente sul punto o a fronte della sua esplicita affermazione della mancata notifica della sentenza, l'avvenuta notifica sia soltanto affermata nel controricorso da alcuno dei controricorrenti; in tal caso è piuttosto il controricorrente, che alleghi l'avvenuta notifica della sentenza ai fini del decorso del termine breve per impugnare, ad essere tenuto a comprovare tale affermazione depositando la detta relata nel termine concesso per il deposito del controricorso o in quello più ampio di cui all'articolo 372 c.p.c., con la conseguenza che: a) se il controricorrente assolve tale onere e risulta effettivamente provata la tardività del ricorso, questo dovrà dirsi non improcedibile ma inammissibile; b) se il controricorrente assolve detto onere ma risulti comunque confermata la tempestività del ricorso, non ne seguirà alcuna conseguenza sul piano processuale per il ricorrente; c) se, infine, il controricorrente si limiti ad affermare l'avvenuta notifica ma non supporti tale affermazione tramite il deposito della relata, della sua allegazione non potrà tenersi alcun conto, in quanto non provata, nemmeno ai fini della valutazione della tempestività del ricorso . 12. Nel caso di specie, come detto, a fronte del silenzio sul punto serbato dal ricorrente, la controricorrente si è limitata ad affermare nel proprio controricorso l'avvenuta notifica della sentenza. In base agli esposti principi di tale allegazione non può tenersi conto in quanto non provata. Poiché inoltre la controricorrente non ha mai eccepito la tardività del ricorso (e per vero la data in cui, secondo detta indicazione, la notifica è avvenuta è tale per cui la notifica del ricorso si rivelerebbe comunque tempestiva anche rispetto al termine breve), la successiva produzione della relata da parte della stessa controricorrente, in data 24 gennaio 2025, deve dirsi tardiva e inammissibile, in quanto da presumersi effettuata solo ai fini del vaglio della (im)procedibilità del ricorso -comunque per quanto detto non predicabilee, dunque, al di fuori dei casi in cui tale produzione è consentita nel diverso termine di cui all'articolo 372 c.p.c. Esclusa dunque l'improcedibilità del ricorso può ora procedersi allo scrutinio dei motivi che ne sono posti a fondamento. II. Scrutinio del motivo di ricorso. 1. Con l'unico motivo il ricorrente denuncia violazione ex articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione alla degli articoli 2043,2059 c.c.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 comma 1 n. 5) c.p.c., quanto alla motivazione omessa ovvero apparente, perplessa ed incomprensibile sul punto del quantum del risarcimento complessivo ed al grado di invalidità . Dalla complessa illustrazione del motivo si ricavano due distinte censure. 1.1. Con la prima il Ca.Ca. lamenta che la Corte abbia assunto quale riferimento temporale del danno da risarcire la data della diagnosi di irreversibilità della malattia certificata otto anni dopo l'inizio della reclusione. Censura al riguardo la motivazione siccome contraddittoria e contrastante con fatti accertati per avere, da un latro, riconosciuto la mancata prestazione di cure adeguate sin dall'inizio della detenzione, dall'altro, in modo comunque anche iniquo, negato poi il nesso eziologico tra questa trascuratezza e l'irreversibilità determinata dall'aggravamento della malattia 1.2. Con la seconda il ricorrente denuncia l'erroneità del calcolo del danno differenziale, in quanto operato in contrasto con i criteri dettati da Cass. 11/11/2019, n. 28986. 2. La prima censura è infondata. Ai fini del risarcimento o, meglio, del suo ammontare, è rilevante il momento in cui il danno si produce, poiché è in quel momento che il bene leso è peggiorato, subisce la diminuzione che deve essere risarcita. Ai fini della stima del danno rileva, in sostanza, il momento in cui si è prodotto e si è determinato il peggioramento, non quello in cui si è verificato o ha iniziato a verificarsi il fatto lesivo. Varrà rammentare che, anche in caso di danno cosiddetto lungolatente, quale tipicamente quello derivante da trasfusioni di sangue infetto, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il diritto al risarcimento del danno biologico sorge solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell'infezione, in quanto esso non consiste nella semplice lesione dell'integrità psicofisica in sé e per sé considerata, bensì nelle conseguenze pregiudizievoli per la persona, sicché, in mancanza di dette conseguenze, difetta un danno risarcibile, altrimenti configurandosi un danno in re ipsa, privo di accertamento sul nesso di causalità giuridica tra evento ed effetti dannosi (Cass. 29/01/2024, n. 2725; 17/02/2023, n. 5119; 02/09/2022, n. 25887). In virtù dello stesso ragionamento, nel caso di specie, ai fini della liquidazione del danno da invalidità secondo il criterio tabellare del calcolo a punto è all'età che il danneggiato aveva al momento dell'emergere delle menomazioni che occorre aver riguardo, non certo a quello del fatto lesivo o dell'inizio di esso nel caso di comportamento lesivo protrattosi nel tempo, atteso che è il danno-conseguenza ad essere risarcito non l'evento (vale a dire la lesione arrecata all'interesse tutelato), né tanto meno il fatto produttivo di danno. 3. La seconda censura è invece manifestamente fondata. In materia di danno differenziale deve darsi continuità ai principi affermati da Cass. 11/11/2019, n. 28986 (e ribaditi ex aliis da Cass. 29/09/2022, n. 28327; 21/08/2020, n. 17555; 06/05/2021, n. 12052; 27/09/2021, n. 26117; 29/09/2022, n. 28327; 29/11/2022, n. 35025; 04/12/2024, n. 31044), secondo cui in tema di risarcimento del danno alla salute, la preesistenza della malattia in capo al danneggiato costituisce una concausa naturale dell'evento di danno ed il concorso del fatto umano la rende irrilevante in virtù del precetto dell'equivalenza causale dettato dall'articolo 41 c.p. sicché di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno. Può costituire concausa dell'evento di danno anche la preesistente menomazione, vuoi coesistente vuoi concorrente rispetto al maggior danno causato dall'illecito, assumendo rilievo sul piano della causalità giuridica ai sensi dell'articolo 1223 cod. civ. In particolare, la menomazione coesistente è, di norma, irrilevante rispetto ai postumi dell'illecito apprezzati secondo un criterio controfattuale (vale a dire stabilendo cosa sarebbe accaduto se l'illecito non si fosse verificato) sicché anche di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno; viceversa, secondo lo stesso criterio, quella concorrente assume rilievo in quanto gli effetti invalidanti sono meno gravi, se isolata, e più gravi, se associata ad altra menomazione (anche se afferente ad organo diverso) sicché di essa dovrà tenersi conto ai fini della sola liquidazione del risarcimento del danno e non anche della determinazione del grado percentuale di invalidità che va determinato comunque in base alla complessiva invalidità riscontrata in concreto, senza innalzamenti o riduzioni. In tema di liquidazione del danno alla salute, l'apprezzamento delle menomazioni policrone concorrenti in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall'illecito va compiuto stimando, prima, in punti percentuali, l'invalidità complessiva, risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall'illecito e poi quella preesistente all'illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro, con la precisazione che in tutti quei casi in cui le patologie pregresse non impedivano al danneggiato di condurre una vita normale lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere considerato pari al cento per cento; procedendo infine a sottrarre dal valore monetario dell'invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l'esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto. Nello specifico, pur dando atto che il c.t.u. aveva correttamente sottolineato che la mancata prestazione delle necessarie terapie riabilitative aveva inciso in termini peggiorativi su una patologia preesistente, la Corte di merito ha quantificato il danno, come detto, ponendo a base del calcolo tabellare una percentuale invalidante del 40% pari alla differenza tra quella del 75% effettivamente riscontrata dai cc.tt.uu. e quella ascrivibile alle menomazioni preesistenti concorrenti. La Corte capitolina ha dunque disatteso il criterio sopra individuato, che avrebbe comportato la necessità di calcolare il valore monetario dall'invalidità complessivamente accertata e di sottrarre da tale valore quello corrispondente al grado di invalidità derivante dalle menomazioni preesistenti concorrenti, fatta salva la possibilità di esercizio del potere discrezionale di applicare la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto (Cass. n. 28896 del 2019, cit.). Così operando essa non ha effettuato una quantificazione rapportata alla invalidità complessiva successiva al sinistro (comprensiva delle menomazioni preesistenti e di quelle causate dal sinistro che, in rapporto policrono concorrente, hanno aggravato la precedente condizione dell'appellante) per poi pervenire, tramite sottrazione del valore monetario corrispondente alla patologia originaria, a determinare il differenziale risarcitorio spettante al danneggiato. Le ragioni che rendono necessaria l'adozione di tale corretto metodo di calcolo, in funzione del diritto all'integrale risarcimento del danno ascrivibile a responsabilità dei sanitari, sono le seguenti. Sono le funzioni vitali perdute dalla vittima e le conseguenti privazioni a costituire il danno risarcibile, non il grado di invalidità, che ne è solo la misura convenzionale; tali privazioni (e le connesse sofferenze) progrediscono con intensità geometricamente crescente rispetto al crescere dell'invalidità; la misura convenzionale cresce invece secondo progressione aritmetica. Ciò si riflette nel metodo di liquidazione che, dovendo obbedire al principio di integralità del risarcimento (articolo 1223 cod. civ.), opera necessariamente, sia quando è disciplinato dalla legge, sia quando avvenga coi criteri introdotti dalla giurisprudenza, con modalità tali che il quantum debeatur cresce in modo più che proporzionale rispetto alla gravità dei postumi: ad invalidità doppie corrispondono perciò risarcimenti più che doppi. Tale principio resterebbe vulnerato se, nella stima del danno alla salute patito da persona già invalida, si avesse riguardo solo all'incremento del grado percentuale di invalidità permanente ascrivibile alla condotta del responsabile. Un punto di invalidità è uguale a quello cui si somma solo nella sua espressione numerica (che progredisce aritmeticamente), non nel sostrato reale (l'entità delle rinunce corrispondenti) che concorre a rappresentare, né, parallelamente, nella sua traduzione monetaria. III. Conclusioni. 1. La sentenza impugnata deve essere pertanto sul punto cassata e la causa rinviata al giudice a quo, il quale, in diversa composizione, dovrà provvedere ad una nuova liquidazione del danno c.d. differenziale in conformità al principio sopra enunciato. 2. Al riguardo mette conto avvertire che, quanto ai valori da porre a base del calcolo a punto, il giudice di rinvio resta vincolato all'applicazione delle Tabelle di Milano nella versione più aggiornata. Per effetto del giudicato interno sul punto formatosi in mancanza di impugnazione incidentale, la Corte territoriale non potrebbe infatti comunque fare applicazione della Tabella approvata con D.P.R. 13 gennaio 2025, n. 12 ( Regolamento recante la tabella unica del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità tra dieci e cento punti, comprensivo dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso, ai sensi dell'articolo 138, comma 1, lettera b), del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 ), pubblicato nella Gazz. Uff. n. 40 del 18 febbraio 2025 ed entrato in vigore il 5 marzo 2025, applicazione cui può incidentalmente notarsi non sarebbero altrimenti d'ostacolo né il riferimento ai soli danni derivanti da sinistri stradali, né la previsione contenuta nell'articolo 5 del citato D.P.R. circa l'applicabilità delle disposizioni ai sinistri verificatisi successivamente alla data della sua entrata in vigore , valendo entrambi ad escludere solo un'applicazione diretta delle dette tabelle ma non anche un loro utilizzo indiretto quale parametro di riferimento nella ricerca di valori il più possibile idonei ad assicurare quella uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi che costituisce indispensabile declinazione della regola equitativa di cui all'articolo 1226 cod. civ. (Cass. n. 12408 del 07/06/2011). 3. Va infine rimarcato che la sentenza impugnata ha inteso risarcire separatamente il danno morale pur riconosciuto esistente, liquidando l'importo di Euro 50.000, con statuizione non fatta segno di alcuna censura. Nel rivedere la liquidazione del danno biologico da invalidità permanente secondo i criteri sopra esposti il giudice di rinvio dovrà quindi applicare gli importi risultanti dalle Tabelle di Milano avuto riguardo alla sola parte di essi riferibili al danno dinamico relazionale. 4. Il regolamento delle spese va demandato al giudice di rinvio. P.Q.M. accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza in relazione; rinvia la causa ad altra Sezione della Corte d'Appello di Roma, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere al regolamento delle spese del presente giudizio.