Il figlio superstite maggiorenne ha diritto alla pensione di reversibilità se riconosciuto inabile al lavoro ed a carico del genitore – anche se non necessariamente convivente - al momento del decesso di quest’ultimo.
La Corte di Cassazione con la pronuncia in esame ha chiarito quali siano i requisiti necessari per il riconoscimento della pensione di reversibilità in capo al figlio maggiorenne inabile, soffermandosi in particolare sul tema della convivenza a carico con la pensionata poi deceduta e del relativo onere della prova. La pensione di reversibilità Ai sensi dell'articolo dell'articolo 13 del r.d.l. n. 636/1939 come modificato dall'articolo 22 della legge n. 903/1965, nel caso di morte del pensionato spetta, al coniuge e ai figli superstiti che al momento del decesso del congiunto non abbiano superato l'età di 18 anni ed ai figli di qualunque età purché inabili al lavoro ed a carico del genitore al momento del decesso, una pensione di reversibilità nella misura percentuale stabilita secondo aliquote gradate in ragione del rapporto di coniugio e filiazione e della compresenza e del numero di altri eventuali superstiti. Il Giudice di primo grado aveva respinto la domanda di riconoscimento della pensione di reversibilità promossa dal figlio della pensionata defunta per la mancata documentazione sullo stato di accertata inabilità e di vivenza a carico. La Corte d'Appello invece aveva disposto CTU dalla quale era stata accertata la condizione del figlio di inabile al lavoro alla data del decesso della madre. Inoltre, i giudici di secondo grado ai fini della convivenza e del mantenimento del figlio, hanno attribuito rilevanza decisiva alla documentale percezione da parte dello stesso di redditi inferiori al limite massimo stabilito dalla legge per il diritto alla pensione di invalido civile. Il requisito della vivenza a carico La Suprema Corte, nel ribadire come il diritto alla pensione di reversibilità spetti al figlio superstite maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro ed a carico del genitore al momento del decesso dello stesso, ha chiarito cosa debba intendersi per “vivenza a carico”. In particolare, richiamando un proprio orientamento giurisprudenziale, la Corte di Cassazione ritiene che il requisito della vivenza a carico non si debba identificare indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, ma vada comunque considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile (cfr. Cass. n.9237/2018; Cass. 15041/2024; Cass. n. 23225/2024). Non è, dunque, necessaria la materiale convivenza del figlio maggiorenne ed inabile con il genitore pensionato (desumibile, ad esempio, dalla comune residenza al momento del decesso), né tantomeno la soggezione finanziaria assoluta del figlio, ma è, tuttavia, è richiesto il mantenimento continuativo e prevalente da parte del genitore. L'onere della prova incombe sul figlio Proprio con riguardo alla dimostrazione della prevalenza e continuità del mantenimento del figlio inabile, la Corte di Cassazione ha ribadito che l'onere della prova del fatto costitutivo del diritto alla pensione di reversibilità incombe ai sensi dell'articolo 2697 c.c. sul figlio, non potendo il giudice sopperire alle eventuali carenze probatorie di quest'ultimo, in quanto il potere di cui all'articolo 421 c.p.c. di ammettere d'ufficio mezzi di prova è ammissibile e finalizzato solo ad integrare un quadro probatorio già tempestivamente delineato dalle parti. La Suprema Corte, pur ricordando come l'accertamento, in concreto, del sostentamento in via continuativa e in misura quanto meno prevalente del figlio inabile, da parte del genitore, è un giudizio di fatto demandato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (cfr Cass. n. 15041/2024, ovvero Cass. n. 19485/2024, ha ritento che la Corte d'Appello avesse omesso ogni verifica circa la sufficienza o meno del reddito percepito documentato a soddisfare le reali esigenze di vita del figlio non convivente, così da giustificare l'intervento di sostentamento della madre in misura prevalente e se il figlio avesse beneficiato o meno di altra assistenza materiale derivante da un eventuale status coniugale). In ragione di ciò, la Suprema Corte ha cassato la sentenza rinviando ai giudici di appello l'accertamento rigoroso del requisito della vivenza a carico.
Presidente Garri – Relatore Orio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza depositata il 16/9/2024, il GIP del Tribunale di Lecce ha disposto nei confronti di Pi.Pi. l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per i delitti di cui agli articolo 74 D.P.R. 309/90 e 416 bis.l cod. pen. (capo b) e 81, 110 cod. pen. e 73 D.P.R. 309/90 commi 1 e Ibis (capi bl, b2 e b3). 2. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Lecce ha respinto la richiesta di riesame avanzata nell'interesse di Pi.Pi. condannando il medesimo al pagamento delle spese. 3. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l'indagato, a mezzo del difensore di fiducia, che con il primo motivo denuncia la violazione di legge sostanziale e processuale, stabilita anche a pena di inutilizzabilità , e il deficit di motivazione lamentando la violazione degli articolo 270 cod. proc. pen., 14 par. 1 direttiva 2014/41/UE, 8 D.Lgs. 51/2018; 6, 47 e 52 par. 1 CEDU, 24 e 111 Cost., 73 e 74 D.P.R. 309/90. Il motivo, in primo luogo, contesta l'utilizzabilità dei dati informatici relativi alle comunicazioni intercorse sulla rete criptata Sky-Eec acquisiti mediante l'ordine europeo di indagine per le ragioni di seguito sintetizzate non era certo che l'attività d'intercettazione in territorio francese che aveva permesso l'acquisizione dei dati fosse stata disposta per l'accertamento di reati rientranti nel novero di quelli di cui all'articolo 266 cod. proc. pen. ; erano rimasti ignoti gli elementi che avevano permesso di associare i codici IMEI con i codici identificativi e con i pin e gli username ; l'algoritmo di decifratura e il software di selezione; le modalità con cui il rappresentante della pubblica accusa è pervenuto alla messaggistica versata nel relativo fascicolo ; gli elementi integranti i presupposti della necessità e della proporzione delle attività d'indagine nonché le modalità di gestione dei dati . Si era, quindi, in presenza di informazioni ed elementi di prova , in relazione ai quali gli indagati non erano stati in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni, la cui utilizzazione violava l'articolo 14 par. 7 della direttiva 2014/41/UE; si faceva discendere l'esito del giudizio da un trattamento automatizzato non regolato da una normativa che preveda garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell'interessato siccome previsto dall'articolo 8 D.Lgs. 51/2018; l'utilizzazione dei dati violava i principi sanciti dalla Grande Camera della Corte EDU nel caso Yuksel Yalcinkaya c. Turchia e della Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella decisione n. 171/2024 del 4/10/2024 C-548/21. 3.1 Venendo poi agli elementi integranti il requisito dei gravi indizi, il ricorso contesta, in primo luogo, il rigetto delle osservazioni difensive concernenti l'impossibilità di comprendere l'entità della cassa del gruppo e le modalità di spartizione dei proventi . Si assume, ancora, che era illogico ed erroneo il processo inferenziale che aveva desunto la partecipazione di Pi.Pi. all'associazione dal coinvolgimento nei reati fine attribuitigli e ciò in quanto Pi.Pi. risultava aver effettuato forniture di droga in favore del gruppo di So.Pi. solo nei mesi di novembre e dicembre 2020; non era rimasto provato la capacità drogante della sostanza ceduta al clan So.Pi., risultando essere stata sequestrata la droga in una sola occasione mentre per la fornitura contestata al capo b2) dalle chat emergevano le lamentele formulate da Pr. a Cl.; l'uso dei cripto-telefonini trovava logica spiegazione anche al di fuori dell'ipotesi associativa mentre insignificante risulta la confidenza fra Cl. e Pi.Pi.; le transazioni disvelate dalle indagini non presentavano peculiarità alcuna che potesse essere valorizzata in chiave associativa; la motivazione del Tribunale del riesame in ordine all'aggravante di cui all'articolo 416 bis.l non spiega le modalità con le quali l'indagato aveva agevolato la consorteria mafiosa o la ragione per la quale si ipotizza che fosse stato animato dal fine specifico di favorire l'attività dell'associazione mafiosa e avesse la consapevolezza dell'ausilio prestato al sodalizio. 3.2 Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli articolo 274 e 275 comma 3 cod. proc. pen. e il deficit di motivazione. Si lamenta che il Tribunale non aveva considerato il considerevole lasso temporale intercorso tra la commissione dei presunti episodi illeciti e l'esecuzione della misura cautelare (più di tre anni e mezzo) ; il percorso di cambiamento intrapreso dall'indagato con l'affidamento ai servizi sociali cui era stato ammesso in altro procedimento; l'ottemperanza da parte di Pi.Pi. alle prescrizioni lui imposte dai provvedimenti che l'avevano ammesso ai benefici penitenziari premiali. Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato risultando articolato in motivi a tratti inammissibili e comunque infondati. Le eccezioni sollevate in relazione all'utilizzabilità delle conversazioni acquisite tramite gli ordini europei di indagine risultano o ignorare del tutto le risposte date ai corrispondenti motivi di gravame dal Tribunale oppure riproporre temi che le pronunce delle Sezioni unite in tema di acquisizione all'estero di messaggistica su sistemi criptati (n. 23755 del 29/2/2024, Gjuzi e n. 23756 del 29/2/2024, Giorgi), richiamate nell'ordinanza impugnata, hanno esaminato giungendo a conclusione opposte rispetto a quelle del ricorrente. 2. Alla combinazione dei codici IMEI con i codici identificativi dei soggetti che si erano avvalsi dell'applicazione Sky-Ecc il Tribunale dedica quattordici pagine dell'ordinanza che richiamano i dati trasmessi dall'autorità giudiziaria francese e li confrontano con quelli forniti dai servizi di osservazione, dalle intercettazioni ambientali e telefoniche, dai sequestri e dai tracciati degli spostamenti rilevati dai GPS installati sulle vetture in uso ad alcuni degli indagati per sottolineare la perfetta coerenza delle informazioni derivanti dalle differenti fonti di prova. E, in effetti, la parte dell'ordinanza relativa ai gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati fine rileva la piena convergenza delle informazioni acquisite dalla polizia giudiziaria e quelle ricavabili dalle comunicazioni della messaggistica Sky-Ecc. A mero titolo esemplificativo può farsi riferimento all'asportazione da parte della polizia giudiziaria dei due chili di cocaina dal nascondiglio ove Pr. l'aveva occultata, intervento che trova riscontro il 4/1/2021 nella chat criptata, avendo Pr. avvertito Cl. che era sparito tutto e nei messaggi inviati da Cl. e Pi.Pi. per chiedere il timbro della droga sottratta ; nei filmati ripresi dalle telecamere installate dalle forze di polizia, che registrarono l'arrivo di Pr. e So.Pi. nel luogo ove la sostanza era stata occultata e le ricerche effettuate nel tentativo di recuperarla. L'apparato argomentativo esposto nell'ordinanza è però ignorato dal ricorrente che si limita a riproporre il tema dell'abbinamento dei codici IMEI agli username senza però individuare concrete ragioni di criticità in ordine i risultati cui l'ordinanza impugnata perviene. 3. Viene ancora individuata una lesione del diritto di difesa, che avrebbe impedito di assolvere l'onere di allegazione imposto dalle Sezioni unite, nella impossibilità per i difensori di disporre dell'algoritmo che aveva permesso di decriptare le chat e del software che aveva selezionato i messaggi significativi associandoli agli identificati degli utilizzatori sull'assunto che tali programmi erano indispensabili per esercitare un controllo effettivo sulle operazioni di estrazione e selezione dei messaggi. Tali doglianze, tuttavia, non risultano ignorate dal Tribunale che le ha superate richiamando i principi enunciati dalle Sezioni unite nonché dalla Corte di giustizia UE nella causa C-670/22 del 30/4/2024. Militano a sfavore degli argomenti difensivi anche considerazione di ordine tecnico, già valorizzate in due sentenze di questa Corte (Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022 dep. 2023, Calderon e Sez. 1, n. 6363 del 13/10/2022 (dep. 2023), Minichino), che le Sezioni Unite ripropongono osservando che l'impossibilità per la difesa di accedere all'algoritmo, utilizzato nell'ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse, non determina una violazione dei diritti fondamentali di difesa, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, e l'utilizzo di una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Rv. 286589 - 05). 4. Inconferente risulta, poi, il richiamo fatto dal ricorrente all'articolo 8 D.Lgs. 51/2018, non potendo il complesso processo valutativo che ha determinato la custodia cautelare in carcere essere equiparato al trattamento automatizzato dei dati definito dalla norma richiamata dalla difesa e dall'articolo 22 del RE n. 679 del 2016. 5. Non maggiore rilevanza, ai fini della decisione, assume la decisione della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo nella causa Yuksel Yalcinkaya c. Turchia risultando la decisione fondata su fatto che all'imputato era stato negato il diritto a conoscere il testo e gli interlocutori dei messaggi scambiati attraverso il sistema criptato di messaggistica telefonica Bylock. 6. Non pertenente risulta, anche, la sentenza della Corte di Giustizia dell'unione europea n. 171/2024 relativa al sequestro di un telefono cellulare e ai successivi tentativi di analizzarne il contenuto effettuati dalla polizia giudiziaria senza che vi fosse stato l'intervento di un pubblico ministero o di un giudice. Dall'ordinanza del riesame si rileva che i telefoni utilizzati da Pr. e So.Pi. per comunicare attraverso il sistema criptato Sky-Ecc vennero sottoposti a sequestro il 25/2/2021 e il 13/4/2021 si procedette a un accertamento tecnico alla presenza dei difensori. 7. La censura incentrata sul titolo di reato per il quale l'autorità francese aveva disposto l'attività d'intercettazione e la loro riconducibilità al novero dei delitti di cui all'articolo 266 cod. proc. pen. confligge poi con i principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 23755 che, al paragrafo 7.5 del considerato in diritto, ha precisato che ai fini dell'utilizzabilità degli atti acquisiti mediante O.I.E. dall'autorità giudiziaria italiana è necessario garantire il rispetto dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, ma non anche l'osservanza, da parte dello Stato di esecuzione, di tutte le disposizioni previste dall'ordinamento giuridico italiano in tema di formazione ed acquisizione di tali atti . Ancora, la censura difensiva non tiene minimamente conto di quanto precisato nella medesima sentenza al punto successivo a quello appena richiamato, dove viene ribadito, riferendolo all'attività d'indagine che aveva permesso l'acquisizione dei dati in territorio estero, il principio secondo cui nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale (perché appartenenti ad altro procedimento o anche - qualora si proceda con le forme del dibattimento -al fascicolo del pubblico ministero), al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l'eccezione si accompagna l'ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali - positive o negative - addotte a fondamento del vizio processuale (così Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De Iorio, Rv. 244329 - 01, e, in termini analoghi, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229245 - 01; tra le tante successive conformi, cfr. Sez. 5, 23015 del 19/04/2023, Bernardi, Rv. 284519 -01, e Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 2018, Nunziata, Rv. 273007 - 01) . In ogni caso, sia l'ordinanza impugnata sia la sentenza delle Sezioni unite n. 23755 danno atto che l'acquisizione dei dati relative alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema criptato Sky-Ecc venne disposto dall'autorità giudiziaria estera in relazione ad indagini concernenti il narcotraffico . 8. Venendo, quindi, alle censure relative alla sussistenza del requisito dei gravi indizi, il ricorso non si confronta con lo sforzo argomentativo profuso dal Tribunale per dimostrare l'esistenza dell'associazione e il ruolo di partecipe di Pi.Pi. limitandosi a dedurre che non era rimasta provata né l'entità della cassa del gruppo né le modalità di spartizione dei proventi . Il ricorso, però, non fa menzione alla risposta che ai rilievi difensivi viene data dal Tribunale e, soprattutto, oblitera del tutto gli elementi utilizzati dai giudici di merito per configurare l'associazione, dando conto l'ordinanza di una pluralità di indizi che dimostravano l'esistenza di un sodalizio di stampo mafioso, facente capo a So.Pi. Pietro, in grado di esercitare un controllo sulle attività, lecite e illecite, che avevano luogo in un esteso territorio della Provincia di Brindisi e che aveva nel narcotraffico una delle principali fonti di proventi, tanto che per la gestione delle operazioni legate allo smercio della droga era stata creata una apposita struttura. 9. Non maggiore attenzione il ricorso riserva agli elementi valorizzati dal Tribunale per desumere il ruolo di partecipe di Pi.Pi. A tal fine l'ordinanza sottolinea le chat e le intercettazioni relative ai reati fine contestati; la frequenza dei contatti fra Pi.Pi., e i suoi collaboratori Ca. e Ro., con So.Pi., Cl. e Pr.; la stabilità del rapporto e la fiducia che ne discendeva che consentivano il trasferimento di chili di cocaina e centinaia di migliaia di Euro senza necessità di verifiche sul peso e sulla qualità della sostanza o di garanzie per i crediti derivati dalla cessione, risultando il pagamento solitamente differito rispetto alla consegna; le modalità ben collaudate di consumazione dei reati fine; l'importanza per l'associazione del canale di approvvigionamento costituito da Pi.Pi., Ca. e Ro.; la conoscenza approfondita da parte di Pi.Pi. delle dinamiche interne dell'associazione. 10. La difesa non contestata il coinvolgimento di Pi.Pi. nei reati di cessione, lamentando, come da qui a breve si dirà, solo la mancanza della prova della capacità drogante della sostanza, ma la rilevanza data a tali delitti ai fini del reato associativo. Viene, quindi, proposta una lettura alternativa degli indizi volta a ridimensionare i rapporti fra Pi.Pi., Ca. e Ro., da una parte, e Cl., Pr. e So.Pi., dall'altra, in modo da ricondurlo al rapporto sinallagmatico contrattuale inter partes senza alcun coinvolgimento dei primi nell'attuazione dei programmi criminosi dell'organizzazione, di cui gli altri erano elementi di spicco. 11. Le censure difensive, però, travalicano l'ambito del sindacato riservato a questa Corte sul provvedimento impugnato, risultando finalizzate ad ottenere una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dai giudici del merito, senza individuare profili di manifesta illogicità della motivazione in relazione al significato dimostrativo in essa assegnato agli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U., n. 11 del 22/3/2000, Audino, R.v. 215828; Sez. 5, n. 17185 del 21/3/2024, Palermo). Va ribadito, al riguardo, che allorquando sia denunciato con il ricorso per Cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 19751 del 17/4/2024, Monticelli, 286527; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976 - 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, Cuccaro e altri, Rv. 237475). Sono quindi inammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, proponendo una differente lettura delle vicende indagate o dello spessore degli indizi, mirano a ottenere una riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell'indagato in relazione all'apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate (Sez. 4, n. 19751/21; Sez. 1, n. 7445 del 20/11/2020, Lolli). Con la doverosa precisazione che, quanto alla nozione di gravi indizi di colpevolezza , la stessa non è omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, Jovanovic, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, Kolgjini, Rv. 257576). Al fine dell'adozione della misura, infatti, è sufficiente l'emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall'articolo 192 cod. pen. proc., comma 2 (per questa ragione l'articolo 273 cod. proc. pen., comma 1-bis richiama l'articolo 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi (Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, Pugiotto, Rv. 269179 - 01; conformi, ex multis Sez. 2, n. 8948 del 10/11/2022, dep. 2023, Pino, Rv. 284262 - 01; Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, Tiganciuk, Rv. 284299 - 02). 12. Ma, per completezza, non può farsi a meno di sottolineare che le censure difensive sono espressione di una valutazione frammentaria e strumentale del quadro indiziario. L'ordinanza descrive un rapporto stabile di fornitura dello stupefacente assicurato dal ricorrente all'associazione, concretizzatosi nei mesi cui si riferiscono le attività d'indagine in una pluralità di cessioni, talvolta a distanza di pochi giorni, per quantitativi di cocaina significativi, che rivelano, da una parte, l'armante capacità di Pi.Pi. e dei suoi sodali di disporre di ingenti quantitativi di cocaina e, specularmente, del clan So.Pi. di immetterla sul mercato, e, dall'altra, proietta le singole operazioni, per il contenuto economico delle transazioni, rapportabile a valori espressi in decine e talvolta centinaia di migliaia di euro, e il carattere ripetitivo degli acquisiti, in una dimensione più ampia che delinea una struttura stabile, volta a facilitare l'attività illecita della consorteria facente capo a So.Pi., garantendo alla medesima la disponibilità di un canale affidabile per l'approvvigionamento di cocaina. E difatti, la chat del 19/11/2020, la più risalente di quelle richiamate nell'ordinanza significativa in ordine alla posizione di Pi.Pi., disvela un rapporto a quella data già consolidato, caratterizzato dalla reciproca fiducia, che si sviluppava secondo modalità predefinite che rendevano superflue trattative volte a definiti i termini dell'accordo o a garantire il rispetto degli impegni assunti. Anche la disponibilità in capo a Pi.Pi. di telefoni in grado di avvalersi del sistema criptato Sky-Ecc e la disponibilità degli indirizzi su tale piattaforme utilizzati da Cl., come ha correttamente sottolineato il Tribunale, costituiscono elementi sintomatici della stabilità e durevolezza del rapporto, ricorrendo a tale modalità di comunicazione solo i soggetti posti al vertice della struttura gerarchica facente capo a So.Pi. 13. Le considerazioni innanzi esposte consentirebbero anche di disattendere le doglianze difensive relative alla configurazione dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa, desunta dal Tribunale dal consolidato rapporto di affari di Pi.Pi. con So.Pi., Cl. e Pr. e del collegamento dell'associazione dedita al traffico di stupefacenti dai medesimi rappresentata con il clan di stampo mafioso comandato da So.Pi. Sennonché l'ammissibilità delle censure difensive relative all'aggravante trova ostacolo nel principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di procedimento cautelare, sussiste l'interesse concreto e attuale dell'indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per Cassazione quando l'impugnazione sia volta ad ottenere l'esclusione di un'aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull' an o sul quomodo della misura. Incidenza in ordine alla quale il ricorso non fornisce alcun dato (Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022 (dep. 2023), Renna, Rv. 284489 - 01; Sez. 3, n. 20891 del 18/06/2020, Piccirillo, Rv. 279508; Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018, Fucito, Rv. 275028; Sez. 6, n. 50980 del 21/11/2013, Fabriano, Rv. 258502 - 01) e che il reato associativo fondante la misura, per il quale opera la presunzione di cui all'articolo 275 comma 3 cod. proc. pen., rende di non immediata constatazione. 14. Infondate risultano, anche, le censure relative ai reati scopo, avendo il Tribunale dato una interpretazione delle chat richiamate dalla difesa per mettere in dubbio la capacità drogante della sostanza ceduta aderente al testo dei massaggi scambiati e priva di palesi incongruenze. Gli argomenti difensivi, pertanto, non vulnerano, sotto il profilo della logicità, l'iter argomentativo che ha portato il Tribunale a ritenere che i messaggi dimostravano la contrarietà di Pr. e Cl. per la consistenza di alcuni panetti di cocaina senza mettere in discussione la qualità della sostanza, tant'è vero che non risulta che alcun quantitativo di sostanza sìa stato restituito a Pi.Pi. o a Ca.. Giova, anche, ricordare che la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 - 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337 - 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389 - 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650 - 01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 - 01; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, dep. 30/04/2008, Gionta, Rv. 239724). 15. Infondato risulta anche il motivo volto a contestare la sussistenza della concretezza e attualità delle esigenze cautelari e all'esigenza della tutelarne attraverso la custodia in carcere. Il Tribunale, innanzitutto, richiama, ribadendone la validità in chiave prognostica, la motivazione del provvedimento genetico in tema di esigenze cautelari che aveva fondato la pericolosità del ricorrente non soltanto sull'operatività dell'associazione in tempi prossimi alla data di adozione della misura e sul consolidamento del sodalizio mafioso collegato nel contesto territoriale dove, ormai, aveva affermato la propria egemonia ma anche sul rischio di commissione, da parte degli indagati, di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che avevano consentito i redditizi traffici dell'associazione, così recependo il consolidato orientamento di legittimità formatosi in materia (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, Amato, Rv. 281293 - 01; conf. Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, Fusco, Rv. 280243 - 01). E difatti l'ordinanza del GIP sottolinea la prossimità temporale dei fatti per cui era stata disposta la cautela, risultando l'operatività dell'associazione sino al gennaio 2022; il collegamento fra l'associazione dedita al traffico di stupefacenti con una consorteria di stampo mafioso che con il passare degli anni aveva consolidato la propria egemonia ; la pericolosità degli indagati nei cui confronti era stata disposta la custodia in carcere, anche estranei all'associazione, che, per la ripetitività e frequenza dei reati fine , del notevole lasso temporale nel quale erano stati commessi e dell'attualità dei fatti reato, avevano dimostrato di poter contare su canali di approvvigionamento e reti di smaltimento in grado di movimentare chili di cocaina in tempi assai contenuti; dell'indifferenza rispetto all'intervento delle forze dell'ordine non avendo gli arresti in flagranza e i sequestri inciso sulla prosecuzione dell'attività illecita. L'ordinanza impugnata, inoltre, opportunamente rimarca i precedenti penali di Pi.Pi., fra i quali spiccano le condanne per reati in materia di stupefacenti e i carichi pendenti per ribadire tanto la pericolosità del predetto quanto l'inadeguatezza di misure diverse da quella applicata ad assicurare il soddisfacimento delle esigenze cautelari. Si è, quindi, in presenza di un'argomentazione articolata, che valorizza non soltanto la presunzione iuris tantum discendente dal reato associativo, per escludere che sussistano elementi che ne consentano il superamento, ma anche la negativa personalità dell'indagato, lumeggiata dalla serie nutrita di precedenti penali , la cui volontà di locupletazione attraverso il delitto e, in particolare il traffico di droga, non aveva trovato argine nelle condanne riportate e dall'assenza di elementi sintomatici della rescissione del rapporto con l'associazione criminosa . Tale apparato motivazione non si discosta dall'orientamento di legittimità, richiamato dal ricorrente, che ritiene, in particolare per il reato di cui all'articolo 74 D.P.R. 309/90, notoriamente caratterizzato da un minor grado di stabilizzazione rispetto alle consorterie di stampo mafioso all'articolo 416-bis cod. pen., che l'articolo 275 comma 3 cod. proc. pen. pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari che obbliga il giudice a considerare il tempo trascorso dai fatti contestati, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell'indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari , cui si riferisce lo stesso articolo 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272; Sez. 6, n. 2719 del 10/12/2024 (dep. 2025,), Bartolomeo). 16. A tale apparato argomentativo il ricorrente oppone il lasso temporale intercorso fra la più recente delle condotte di cessione contestate nella preliminare rubrica e l'applicazione della custodia cautelare e l'affidamento ai servizi sociali ottenuto da Pi.Pi. in altro procedimento per rappresentare che l'indagato aveva intrapreso un percorso volto al cambiamento del suo stile di vita. Sennonché il Tribunale ha, con motivazione immune da vizi logici, ritenuto l'irrilevanza della pena alternativa sottolineando che era stata concessa quando ancora i fatti per cui si sta procedendo erano ignoti. Residua, quindi, quale elemento in grado di vincere la presunzione di pericolosità e di adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere il solo tempo silente che, tuttavia, sia per il carattere non risalente della condotte che per la personalità di Pi.Pi., stabilmente inserito nell'ambiente del narcotraffico con legami che gli consentivano di movimentare settimanalmente chilogrammi di cocaina, il Tribunale ha escluso, anche alla luce della scelta di non rispondere alla domande del GIP in sede di interrogatorio, essere in grado di incidere sull'attualità delle esigenze cautelari e sulla necessità di soddisfarle con la custodia in carcere. La motivazione, dunque, adempie all'obbligo di motivazione di cui all'articolo 292 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. e non si sottrae alle censure volte a contestare l'attualità e la concretezza del rischio di recidiva respingendole con argomenti che valorizzano sia le modalità della condotta che la professionalità che connota la operatività dell'indagato nel settore del narcotraffico. A fronte della logicità del ragionamento del giudice del riesame, i rilievi difensivi appaiono meramente enunciativi e inidonei a intaccare la tenuta logica del provvedimento impugnato. 17. All'infondatezza del ricorso consegue, ex articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.