Inutilizzabili le intercettazioni autorizzate per corruzione ma per un fatto di traffico di influenze illecite

In tema di intercettazioni, la riqualificazione del fatto-reato per il quale sono state autorizzate in fattispecie che non le ammette comporta l’inutilizzabilità dei risultati, se i presupposti per disporre tale mezzo di ricerca della prova mancavano già al momento in cui il procedimento autorizzativo si è svolto.

La vicenda La vicenda giudiziaria si caratterizza per il fatto che il giudice per le indagini preliminari aveva autorizzato le intercettazioni per il reato di corruzione in atti giudiziari, nonostante negli stessi decreti del g.i.p. il fatto fosse descritto come sussumibile nel delitto di traffico di influenze illecite, per il quale l'impiego delle intercettazioni non era consentito a causa dei limiti di pena edittali. Il comportamento del giudice per le indagini preliminari è inqualificabile e censurabile, avendo egli adottato un provvedimento limitativo della segretezza delle comunicazioni al di fuori dei casi previsti dalla legge. La giurisprudenza La giurisprudenza della Corte di cassazione è consolidata nell'affermare il principio della irrilevanza del mutamento dell'addebito ed in tal senso si valorizza la valenza decisiva della verifica c.d. statica da parte del giudice – di quella cioè da collocare nel momento genetico della intercettazione, ovvero in quelli successivi di autorizzazione di proroghe – della sussistenza del rispetto dei presupposti previsti dalla legge per disporre il mezzo di ricerca della prova e, in particolare, della esistenza dei gravi indizi della esistenza del reato. Pertanto, in caso di modifica, a seguito delle captazioni, della struttura giuridica del fatto-reato autorizzato e, a maggior ragione, della sussistenza di una circostanza aggravante, l'inutilizzabilità delle intercettazioni consegue solo se i presupposti per disporre il mezzo di ricerca della prova mancassero già al momento in cui il procedimento autorizzativo si è compiuto e perfezionato attraverso il controllo del giudice. I risultati della captazione correttamente autorizzata restano invece immuni rispetto al successivo sviluppo fisiologico del procedimento, atteso che in tal caso non rileva la sopravvenuta mancanza del presupposto legittimante per effetto della riqualificazione del fatto autorizzato o di una modifica del quadro degli elementi circostanziali (Cass., Sez. VI, n. 48320/2022). La S.C. ha in più occasioni ritenuto utilizzabili i risultati delle operazioni disposte in riferimento ad un titolo di reato per il quale le stesse sono consentite, anche quando vi sia stata una successiva diversa qualificazione giuridica del fatto (Cass., Sez. VI, n. 23244/2021; Cass., sez. I, n. 12749/2021; Cass., Sez. 1, n. 24163/2010; Cass., Sez. VI, n. 50072/2009). Successivamente, la S.C. ha affermato il principio secondo cui, qualora si tratti di una riqualificazione in una fattispecie di reato per la quale non erano autorizzabili le intercettazioni, l'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni è condizionata alla sussistenza, al momento dell'emissione del decreto autorizzativo, dei presupposti per l'autorizzazione del mezzo di ricerca della prova (in questo senso v. già Cass., Sez. VI, n. 23148/2021). Ne consegue che, qualora tali presupposti erano ab origine insussistenti, i risultati delle intercettazioni sono inutilizzabili, non costituendo la riqualificazione il risultato del successivo sviluppo fisiologico del procedimento, quanto, piuttosto, un modo per aggirare i limiti di ammissibilità del mezzo di ricerca della prova. Pertanto, qualora il giudice proceda alla riqualificazione giuridica del fatto originariamente contestato, per il quale le intercettazioni erano consentite, in una fattispecie di reato per la quale le stesse non erano autorizzabili, l'utilizzabilità delle intercettazioni è condizionata alla sussistenza, al momento dell'emissione del decreto autorizzativo, dei presupposti per l'autorizzazione del mezzo di ricerca della prova (fattispecie in cui i risultati delle intercettazioni sono stati dichiarati inutilizzabili, atteso che la riqualificazione da omicidio doloso in colposo sulla cui base erano state disposte le originarie intercettazioninon era frutto delle risultanze delle indagini, ma di una rivisitazione statica degli elementi agli atti, tanto che la stessa informativa ipotizzava i reati di omicidio colposo e di epidemia colposa). In altre parole, la Corte di Cassazione ha espresso il principio di diritto secondo il quale la valutazione dei requisiti autorizzativi previsti dalla legge ai fini dell'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni consisterebbe in un giudizio allo stato degli atti, da effettuarsi al momento dell'emissione del decreto autorizzativo. Di conseguenza, nelle ipotesi di successiva riqualificazione del fatto in una fattispecie di reato che, se fosse emersa sin dall'origine, non avrebbe consentito l'autorizzazione delle intercettazioni, l'utilizzabilità delle stesse non è preclusa tout court, ma dipende dal motivo della riqualificazione: qualora questa rappresenti il risultato di uno sviluppo fisiologico del procedimento, le intercettazioni autorizzate sulla base della originaria ipotesi di reato erano e rimangono legittime; qualora, invece, la riqualificazione del fatto sia il risultato di una diversa valutazione giuridica dei medesimi elementi fattuali che sin dall'origine non avrebbero dovuto far ritenere seria la tesi investigativa sulla base della quale le intercettazioni sono state invece (erroneamente) autorizzate, queste ultime sono colpite da inutilizzabilità patologica, ex articolo 271 c.p.p. (Cass., Sez. VI, n. 22390/2023). Perciò, qualora sulla base del compendio probatorio a disposizione al momento del decreto di autorizzazione del giudice fosse stato corretto ritenere la sussistenza di un reato per cui le intercettazioni sono consentite, il giudice non potrebbe dichiarare la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni solo perché, successivamente, sono emersi altri e diversi elementi che inducono a qualificare diversamente la fattispecie per cui si procede (riqualificazione giuridica “fisiologica”). Viceversa, allorché emerga che il reato originariamente ritenuto, sin dal principio, non avrebbe potuto rientrare nelle fattispecie per le quali è possibile ricorrere alle intercettazioni (riqualificazione giuridica “patologica”), le relative risultanze dovrebbero ritenersi senz'altro inutilizzabili perché assunte in violazione di un divieto stabilito dalla legge. Tale giudizio spetterebbe al giudice che utilizza e/o valuta la prova. A nostro parere, in caso di modifica del titolo del reato in altro che non consente l'intercettazione, deve sempre operare l'inutilizzabilità. Né potrebbe effettuarsi una “verifica ora per allora”, per accertare se al momento dell'autorizzazione sussistessero gli elementi del reato contestato oppure quelli del nuovo titolo del reato, giacché è impossibile per il giudice della cognizione o di legittimità effettuare una tale verifica postuma nel fascicolo delle indagini. Il presupposto dell'autorizzazione, per cui occorre che il reato oggetto d'indagine rientri tra quelli indicati dagli articolo 266 e 266-bis c.p.p., deve non solo sussistere al momento dell'autorizzazione, ma essere anche riconosciuto dal giudice che utilizza la prova, per cui, se il decreto che dispone il giudizio (o la citazione diretta a giudizio) o le successive sentenze ravvisano nel fatto contestato un reato non compreso nelle citate disposizioni, i risultati dell'intercettazione sono inutilizzabili ex articolo 271 c.p.p. perché questa venne eseguita per un reato che non ammette l'intercettazione, cioè “fuori dei casi consentiti dalla legge”. Facendo un paragone con un'altra libertà fondamentale, sarebbe come dire che la motivazione di un'ordinanza cautelare per il reato “x” potrebbe giustificare la protrazione della limitazione della libertà personale dell'imputato anche dopo che il tribunale, la Corte d'appello o la Corte di cassazione escluda il reato “x” e vi ravvisi il diverso reato “y” che non consente la limitazione della libertà personale; allo stesso modo, se il g.i.p. avesse ritenuto utilizzabili i risultati di un'intercettazione che invece il giudice del dibattimento dichiara inutilizzabili, a nessuno verrebbe in mente di sostenere che prevale la valutazione effettuata dal g.i.p. in fase di indagini rispetto a quella del giudice nel procedimento principale. Pertanto, non si comprende perché l'“inviolabile” segretezza delle comunicazioni dovrebbe patire una simile mutilazione in spregio alla riserva di legge, che indica tassativamente i casi di intercettazione, e al principio della prevalenza del giudizio principale, perché basato sull'intero compendio probatorio, rispetto a quello formulato nella fase delle indagini o in quella incidentale. È principio generale, infatti, che la qualificazione giuridica data al fatto in fase di indagini soccomba rispetto a quella del giudice della cognizione: si pensi al mutamento della qualificazione giuridica del fatto, prima ritenuto procedibile d'ufficio e poi riqualificato come fatto procedibile a querela, che impone di non doversi procedere se manca la condizione di procedibilità. Proprio il principio espresso dalle Sezioni Unite Cavallo, cioè l'inutilizzabilità delle intercettazioni per provare altro reato connesso, emerso nel medesimo procedimento, ma che per legge non ammette l'intercettazione, convince della tesi dell'inutilizzabilità. Infatti, alla base della correttezza di un'autorizzazione degli inquirenti ad intercettare vi è sempre il rispetto della riserva di legge e quindi l'ammissibilità delle intercettazioni soltanto nelle ipotesi tassative previste per legge e l'espletamento di un esame da parte del giudice, incentrato sul contemperamento tra esigenze investigative per la persecuzione di reati di grave allarme sociale e la tutela del diritto costituzionalmente garantito alla segretezza della corrispondenza.  Pertanto, la riqualificazione di un'ipotesi di reato, per il quale siano autorizzabili le intercettazioni telefoniche, in altro reato che non consente tale strumento di indagine, rende le captazioni automaticamente inutilizzabili  anche se i fatti posti alla base della richiesta sono i medesimi. Infatti, non è sufficiente, come afferma la pronuncia annotata, che «l'autorizzazione del giudice all'originaria intercettazione sia stata fondata sui presupposti di necessità e gravità che regolano tale strumento di grande potenza invasiva nella sfera privata degli indagati». La riserva di legge prescrive tassativamente i “casi” e quindi i fatti di reato per i quali soltanto l'intercettazione è ammessa e la corretta qualificazione giuridica del fatto è quella riconosciuta dal giudice che utilizza la prova, non da quello che autorizza l'intercettazione. La fattispecie concreta Ma la fattispecie oggetto della pronuncia è diversa da quelle finora esaminate in giurisprudenza. La sentenza, infatti, osserva al riguardo correttamente che, nel caso di specie, non si è trattato di una riqualificazione giuridica dei fatti conseguente allo sviluppo fisiologico del procedimento e alle acquisizioni probatorie emerse di volta in volta ma di una divergenza tra quanto disposto e ciò che obiettivamente emergeva dagli atti e di cui lo stesso giudice delle captazioni risulta aver dato atto. La sentenza sottolinea che si è trattato di una verifica che ha investito l'accertamento della conformità di ciò che era stato richiesto e di ciò di cui si disponeva (cioè, gli atti del procedimento). E si è trattato di una verifica che, fin dall'inizio, faceva emergere la diversità storica del fatto rispetto al reato di corruzione in atti giudiziari e la sua sussumibilità, da parte dello stesso giudice autorizzante, in un'altra fattispecie di reato che, tuttavia, non consentiva l'intercettazione per i limiti di pena. In conclusione, del reato ipotizzato mancavano sin dall'origine i gravi indizi della sua esistenza e, in difetto dei “gravi indizi di reato”, i risultati dell'intercettazione sono inutilizzabiliex articolo 271 c.p.p. in relazione all'articolo 267 c.p.p.

Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma in riforma della sentenza di primo gradoha dichiarato la nullità del decreto di giudizio immediato quanto al reato contestato al Capo 0) nei confronti di Ca.Al. e ha confermato il giudizio di responsabilità nei riguardi dello stesso Ca.Al., di Di.An., di Li.Gi. e di Ca.Va., quanto ai reati di cui ai capi f)g) (per Ca.Al.), h) (per Ca.Al. e per Ca.Va.) k (per tutti gli imputati) m) (per Ca.Al., Di.An. e Ca.Va.), n) (per Di.An.), ricondotti i fatti originari di corruzione in atti giudiziari al reato di traffico di influenze illecite, di cui all'articolo 346, commi 3-4, cod. pen., e quello di corruzione propria di cui al capo m), contestato a Ca.Va., Ca.Al. e Di.An., al reato di tentato traffico di influenze illecite. Secondo la prospettazione accusatoria originaria, il dott. Ca.Al., giudice in servizio presso il Tribunale di Napoli, avrebbe posto la propria funzione a disposizione di Io.Al., Di.An., Ca.Va. e Li.Gi. in contesti e ambiti diversi ricevendo in cambio utilità. In particolare, secondo l'impostazione accusatoria, il dott. Ca.Al. avrebbe gestito una fitta rete di rapporti interpersonali in ragione dei quali sarebbero stati conclusi plurimi patti corruttivi. La Corte di appello ha ritenuto invece configurabile il diverso delitto di traffico di influenze illecite perché il dott. Ca.Al., nelle vicende contestategli, non avrebbe fatto uso dei propri poteri funzionali ma si sarebbe limitato ad un ruolo di intermediario rispetto ad altri pubblici ufficiali, risultati, tuttavia, estranei all'ipotizzato originario patto corruttivo e rispetto ai quali l'imputato non avrebbe potuto esercitare in concreto la sua funzione di giudice. 2. Ha proposto ricorso per cassazione Ca.Al. Si tratta di un ricorso articolato in numerosi motivi, a loro volta suddivisi in sotto motivi. 2.1. Quanto ai motivi processuali, con il primo si deduce vizio di motivazione in ordine alla ritenuta utilizzabilità degli esiti delle captazioni per il reato di traffico di influenze illecite, disposte, tuttavia, per il diverso reato di corruzione in atti giudiziari. Vengono richiamati i principi affermati dalla sentenza delle Sezioni unite Cavallo , la valenza costitutiva del provvedimento autorizzatorio e, in particolare, il divieto di utilizzazioni delle captazioni per reati non autorizzabili a norma dell'articolo 266 cod. proc. pen. Viene altresì richiamata la giurisprudenza secondo cui la utilizzabilità delle captazioni per il diverso reato, derivante dalla riqualificazione del fatto per il quale le captazioni sono state disposte, è subordinata alla sussistenza, al momento della emissione del decreto autorizzativo, dei presupposti per l'autorizzazione del mezzo di ricerca della prova, sicché ove tali presupposti siano sin dall'inizio insussistenti, le intercettazioni sono inutilizzabili. In tale contesto, la Corte di appello non avrebbe preso in considerazione e valutato il contenuto dei decreti autorizzativi al fine di verificare se, già al momento in cui la captazioni furono disposte, i fatti fossero sussumibili in quello di corruzione in atti giudiziari ovvero nell'ambito del diverso reato di cui all'articolo 346-bis cod. pen. che, si evidenzia, non avrebbe consentito il ricorso al mezzo di ricerca della prova. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge processuale prevista a pena di inutilizzabilità; il tema attiene alla legittimità dei decreti autorizzativi delle captazioni da cui sarebbe derivata in modo decisivo la prova della colpevolezza. Si fa in particolare riferimento ai Rit 7326/18, 895/19, 1478/19. Si premette che non sarebbe corretta l'affermazione contenuta in sentenza secondo cui le conversazioni intercettate sarebbero state riconosciute dagli imputati, atteso che, si sostiene, nella motivazione non si farebbe riferimento a detta fonte di prova (così il ricorso), ma esclusivamente agli esiti delle captazioni. In punto di fatto si assume che il presente procedimento n. 53706/18 RGNR-costituisce un procedimento derivato da altri procedimenti aventi ad oggetto altri reati e altri indagati; di ciò si avrebbe prova attraverso il raffronto tra i fatti, i soggetti e le contestazioni per cui si procede e i fatti e le contestazioni che emergono dalle motivazioni dei decreti autorizzativi, che sarebbero del tutto diversi e avrebbero in comune con quelli oggetto del procedimento in esame la sola persona di Di.An. Anche in questo caso si richiamano i principi della sentenza delle Sezioni Unite Cavallo e, in particolare, la necessità, ai fini della qualificazione della nozione di stesso procedimento , che il reato diverso per cui si procede sia legato da un vincolo di connessione con quello per il quale le captazioni sono state autorizzate Si afferma che: tra il reato per cui fu disposta l'autorizzazione, qualificato prima in termini di tentata estorsione e poi di corruzione in atti giudiziari nei riguardi di Sb., Bo., Pa. e Di.An., e quello attribuito a Ca.Al. non vi sarebbe nessun nesso di connessione, essendo stati, peraltro, i due procedimenti separati già in sede di indagini preliminari, allorquando Ca.Al. non era stato nemmeno iscritto nel registro degli indagati; nel presente procedimento le captazioni sarebbero state autorizzate facendo sempre riferimento ai fatti, ai soggetti e ai reati già in precedenza oggetto di separazione, cioè a quelli del diverso procedimento; nella motivazione posta a fondamento dei decreti autorizzativi e di proroga vi sarebbe riferimento sempre all'indagine non collegata per il reato addebitato a Sb. e ad altri. Sotto altro profilo si sostiene che tutti i decreti autorizzativi disposti nel corso delle indagini preliminari sarebbero privi di motivazione idonea quanto alla sussistenza dei gravi indizi del reato di corruzione in atti giudiziari per cui si procede. Un vizio, si argomenta, frutto di un errore giuridico, atteso che tutti i fatti di corruzione ipotizzati nel presente procedimento avrebbero fatto riferimento ad un atto promesso dal magistrato (Ca.Al.), che non rientrava nella esplicazione delle proprie funzioni ma consisteva, al più, nel segnalare il caso ad altro giudice di altro ufficio. Dunque, una condotta riferibile sin dall'inizio al reato di traffico di influenze illecite-per il quale non sarebbe consentito il ricorso al mezzo di ricerca della prova in esame-piuttosto che al delitto di corruzione. Sostiene l'imputato, sotto ulteriore profilo, che si sarebbe proceduto ad intercettare le conversazioni senza una notizia di reato e senza una iscrizione e si sarebbe proseguito usufruendo di una motivazione esterna per ricercare reati collegati. In tale contesto si ripercorrono i contenuti dei decreti autorizzativi e di proroga del Rit 7325, relativo alla utenza dell'avv. Bonaiuto, e del Rit 7326 relativi alla utenza di Di.An. che rivelerebbero il vizio di motivazione di cui si è detto. Si sottolinea come solo con il quarto decreto di proroga del 13.2.2019 si sarebbe fatto riferimento al reato di corruzione in atti giudiziari, che, però, avrebbe riguardato fatti relativi allo stesso dott. Sb. e non al dott. Ca.Al., il quale, nella occasione, sarebbe stato nominato nelle conversazioni in relazione ai rapporti con Io. e Fe.Cl. (il tema è quello dell'intervento del magistrato in un procedimento pendente davanti alla Corte di appello civile di Napoli e relativo alla possibile sospensione della procedura di abbattimento di un immobile, poi in concreto eseguito); si aggiunge che anche nei successivi decreti, pur facendosi riferimento a Ca.Al. e a fatti di corruzione, non vi sarebbe stata iscrizione e nemmeno si sarebbe motivato quanto alla soglia di gravità indiziaria per detto reato. Si evidenzia come tutti i decreti abbiano una motivazione in cui non si indica alcun elemento che permetta di cogliere la sussistenza dei gravi indizi del reato di corruzione in atti giudiziari e/o di istigazione alla corruzione afferenti a Ca.Al., e come in essi mancherebbe qualsiasi coinvolgimento delle funzioni giudiziarie di questi il quale sarebbe individuato quale possibile intermediario e non quale pubblico ufficiale titolare del processo da condizionare . Vengono poi esaminati i Rit n. 895 del 2019, avente ad oggetto le captazioni delle conversazioni intercettate con il captatore informatico inserito nel telefono di Di.An., e n. 896 del 2019, relativo alle captazioni intercettate con captatore informatico introdotto nel telefono di tale Pa.; anche in questo caso gli atti sarebbero riferibili alle indagini esperite con riguardo alla vicenda del dott. Sb., che non avrebbe un rapporto di connessione con i fatti per cui si procede. Il reato diverso, cioè, non sarebbe quello diversamente qualificato all'esito delle captazioni, ma sarebbe stato lo stesso sin dall'inizio, quello cioè riconducibile al reato di traffico di influenze illecite: dunque, le intercettazioni non sarebbero state consentite. 2.3. Con il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo si deducono plurime violazioni di legge processuale e vizio di motivazione. Anche in questo caso si tratta di motivi molto articolati, ciascuno dei quali scomponibile in sotto motivi. Sì premette che durante la fase istruttoria di primo grado la difesa era venuta a conoscenza che alcuni dirigenti della società RCS s.p.a . la stessa utilizzata dalla Procura della Repubblica in questo processo per le operazioni di captazione erano indagati in relazione ad alcune ipotesi di reato per le forniture dei servizi resi alla stessa Procura della Repubblica; sulla base di tale presupposto, la difesa aveva conferito un incarico di consulenza all'ing. Re.Pa. al fine di: a) descrivere il funzionamento del sistema di captazione utilizzato da RCS, di poter individuare dove fossero materialmente ubicati i server intermedi 'CSS' e 'HdM'; b) analizzare la copia forense effettuata dal consulente del Pubblico Ministero di un determinato telefono i-Phone in uso al dott. Ca.Al. al fine di comprendere le modalità di inaculazione del trojan; c) analizzare la copia forense effettuata dal consulente del Pubblico Ministero relativa allo smartphone in uso a Di.An. Dalla consulenza sarebbe emerso che: i dirigenti della società risultavano indagati per i reati di frode informatica, accesso abusivo a sistema informatico, falsità ideologica e che la società aveva utilizzato un sistema fondato su tre macchine, successivamente modificate quanto all'architettura dei server; nell'aprile del 2019 si era verificato uno spostamento di una parte degli apparati che componevano il sistema RCS dal centro direzionale di Napoli alla sala server della Procura della Repubblica di Napoli, attuato all'insaputa del Procuratore; dunque, nel 2019 la società aveva utilizzato per le intercettazioni telematiche impianti esterni ai locali della Procura della Repubblica. Sulla base di tali presupposti era stata chiesta una perizia al fine di verificare la rispondenza del sistema RCS alla normativa, nonché l'ascolto del consulente di parte: una richiesta a prova contraria rispetto a quella del Pubblico ministero di acquisizione delle risultanze delle intercettazioni mediante captatore; in subordine, le richieste in questione erano state formulate ai sensi dell'articolo 507 cod. proc. pen. Il Tribunale, si aggiunge, rigettò entrambe le richieste con ordinanza del 8.9.2021; la Corte, a cui la questione era stata devoluta, avrebbe a sua volta rigettato il motivo di impugnazione. In particolare, la Corte, rispetto alla prospettata violazione dell'articolo 268, comma 3, cod. proc. pen., avrebbe ritenuto che, nella specie, vi fossero ragioni di urgenza e necessità trattandosi di atti indifferibili e irripetibili che legittimassero l'autorizzazione alla polizia giudiziaria di servirsi di un sistema esterno ; secondo la Corte, in particolare, il Pubblico Ministero avrebbe autorizzato la società RCS ad eseguire le operazioni mediante impianti noleggiati presso la stessa società, a prescindere dalla loro ubicazione. Secondo il ricorrente, si tratterebbe di una motivazione viziata; sono stati indicati una serie di elementi, dimostrativi dell'uso di server intermedi da parte della società al di fuori dei locali della Procura della Repubblica e in assenza di autorizzazione, che, unitamente agli sviluppi delle indagini penali a carico dei dirigenti di RCS, renderebbero illegittimo il provvedimento con cui la Corte di appello ha ritenuto inammissibile la richiesta di perizia, in quanto meramente esplorativa. Si aggiunge che il Pubblico ministero non avrebbe mai emesso alcun decreto autorizzativo del compimento della operazioni mediante impianti collocati all'esterno della Procura, tali non potendo essere considerati i decreti valorizzati alla Corte (pag. 140 sentenza). Ciò detto, il ricorrente individua per ciascun capo di imputazione le intercettazioni che, a suo dire, sarebbero inutilizzabili. 2.4. Quanto ai motivi sostanziali, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità per il capo G), in cui si contesta a Ca.Al., a fronte di forniture di materiali da parte di Fe.Cl. da impiegarsi in lavori di ristrutturazione di un centro benessere gestito dalla moglie dello stesso imputato, di aveRe svolto un'opera di intermediazione presso il Collegio della Corte di appello di Napoli interessato nella trattazione di un ricorso promosso dallo stesso Fe.Cl. volto a sospendere la esecuzione penale dell'abbattimento di un dato immobile; il fatto è stato riqualificato dalla Corte e sussunto nel delitto di cui all'articolo 346-bis cod. pen., nel testo vigente dopo la legge n. 3 del 2019: secondo la Corte di appello nella specie vi sarebbe stata una mediazione illecita onerosa, configurabile anche nel caso in cui, come nella specie, il rapporto tra mediatore e pubblico agente non sia esistente al momento del compimento della condotta e, secondo il c.d. venditore di fumo, non potrà realizzarsi nemmeno in futuro. Si aggiunge che il reato di cui all'articolo 346-bis cod. pen. richiederebbe, a differenza del reato di corruzione, una iniziativa del trafficante volta a far dare o promettere a sé o ad altri denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita o per remunerare il pubblico ufficiale: la Corte avrebbe errato nel ritenere irrilevante accertare che sia stato il committente (Fe.Cl.), ovvero il trafficante (Ca.Al.), o, ancora, l'intermediario (Io.Al.) ad assumere l'iniziativa. Sarebbe errato anche il richiamo della Corte all'istituto del concorso di persone. Sotto ulteriore profilo si deduce vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità sempre per il reato di cui al capo G). Il tema attiene alla prova dell'accordo illecito, fatta derivare dal contenuto di alcune conversazioni intercorse tra altri soggetti, intercettate sulla utenza di Fe.Cl., e dagli esiti di un'attività di appostamento della polizia giudiziaria del 5.2.2019 relativo ad un incontro tra Fe.Cl. e Ca.Al. in cui il primo avrebbe chiamato il suocero Pa. chiedendogli i nomi dei giudici che componevano il Collegio della Prima sezione della Corte di appello di Napoli competente a pronunciarsi sulla richiesta di sospensione della procedura di demolizione; nell'occasione gli operanti, che udivano le conversazioni perché intercettate, avrebbero visto Ca.Al. scrivere; in tal senso sarebbe poi stato valorizzato il contenuto di un'altra conversazione. Assume l'imputato che non si sarebbe tenuto conto ulteriori prove emerse, Si fa riferimento: alla conversazione del giorno dopo, la n. 1234 del 6.2.2016, tra Fe.Cl. e Io.Al. in cui si sarebbe chiarito che la persona con cui avrebbe dovuto parlare Ca.Al. era l'avv. Tuccillo e che Ca.Al. non avrebbe mai detto di voler avvicinare i Giudici; al fatto che in nessun altro atto del processo vi sarebbe la prova che l'oggetto dell'accordo fosse l'avvicinamento dei giudici; alla deposizione dello stesso teste Carnevali, che aveva in realtà riferito di avere solo supposto che Ca.Al. stesse annotando i nomi dei giudici; al fatto che, secondo la Corte, Ca.Al. avrebbe promesso di contattare una persona vicina ai giudici, di cui tuttavia non vi sarebbe traccia in atti; alla fornitura da parte di Fe.Cl. a Ca.Al. di sbarre, scudi in ferro o in alluminio ed altri lavori effettuati presso il centro estetico della moglie del magistrato che, tuttavia, sarebbe stata in origine smentita dalla stessa polizia giudiziaria all'esito di un sopralluogo; al rinvenimento di una fattura pagata a Io.Al. a Fe.Cl.; al fatto che Ca.Al. si rivolse nel giugno del 2019 a due diversi fabbri e allo stesso Io.Al. per far predisporre un preventivo; alle conversazioni intercettate in cui lo stesso Fe.Cl. riferiva di non avere mai realizzato nulla in favore di Ca.Al. Non diversamente, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità per il capo K), in cui si contesta a Ca.Al. di avere accettato una promessa di denaro in cambio di un intervento su uno o più componenti del Collegio della Corte di appello designato a decidere un dato processo penale a carico di Liccardo. Il tema è lo stesso di cui si è già detto e attiene alla inesistenza anche potenziale -del rapporto tra trafficante e pubblico ufficiale, nonché alla necessità che sia il trafficante a prendere l'iniziativa. Si deduce il vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità: il tema è la prova del patto illecito. La Corte ha ritenuto che nel caso di specie le risultanze delle intercettazioni consentissero di ritenere provato il patto laddove, secondo invece il ricorrente, esse rivelerebbero elementi incerti e imprecisi. 2.5. Vi è un ulteriore motivo con cui si deduce violazione degli articolo 521522 cod. proc. pen. in ordine al capo M), contestato a Ca.Al., Di.An., e Ca.Va. Di.An., in rappresentanza di Ca.Al., avrebbe istigato Tu.Br. a corrispondere una somma di denaro da definirsi per il compimento da parte dello stesso Ca.Al. di un intervento presso un altro giudice volto a propiziare una dilazione dei termini di versamento del prezzo in un'asta fallimentare riguardante un dato complesso aziendale; atto, quest'ultimo da qualificarsi corruttivo perché contrario ai doveri di ufficio (così l'imputazione). Il tema attiene alla riqualificazione da parte della Corte del reato di istigazione alla corruzione in quello di tentativo di traffico di influenze illecite. Si assume che mentre nella imputazione Ca.Al. assumerebbe il ruolo di istigatore e mandante di Di.An. che, a sua volta, avrebbe dovuto istigare alla corruzione Tu.Br., in sentenza il fatto sarebbe stato in realtà stravolto perché Di.An. e Ca.Va. avrebbero istigato il Tu.Br. a corrispondere una somma affinchè Ca.Al., in qualità di trafficante mediatore, intervenisse presso il giudice, tale Gr.. Si segnala come la Corte di cassazione abbia in passato già ravvisato la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nella ipotesi inversa e cioè di imputato rinviato a giudizio per millantato credito e condannato per istigazione alla corruzione. Si ripropongono anche rispetto a tale capo di imputazione le questioni dedotte per gli altri capi, di cui si è detto. Si deduce inoltre vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità fondato senza considerare le prove a discarico e, in particolare, le dichiarazioni testimoniali dello stesso Gr., dell'avv. Carrano, dell'ing. Fo. e le risultanze delle conversazioni captate tra Di.An. e Ca.Al. 2.6. Con ulteriore motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al capo 0); la Corte avrebbe accolto l'eccezione di nullità del decreto che dispone il giudizio, ma non si sarebbe pronunziata sulla richiesta di assoluzione nel merito che discendeva dalla ricostruzione dei fatti. 2.7. Con un ulteriore motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio. 2.8. Con l'ultimo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. 3. Ha proposto ricorso per cassazione Li.Gi. Il ricorso è strutturalmente sovrapponibile con quello proposto nell'interesse di Ca.Al. 4. Ha proposto ricorso per cassazione Ca.Va., Anche in questo caso le questioni sono sostanzialmente le stesse già descritte 5. Ha proposto ricorso per cassazione Di.An. Si tratta di un ricorso con cui vengono proposte questioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle già esaminate. In particolare, si assume che le intercettazioni compiute con captatore informatico sarebbero inutilizzabili perché, all'epoca in cui furono eseguite, non potevano essere disposte per il delitto in contestazione in quanto tale forma di captazione sarebbe riferibile solo ai procedimenti iscritti dopo il 31 agosto 2020; per i procedimenti iscritti prima il captatore avrebbe potuto essere utilizzato solo per reati di criminalità organizzata Si tratterebbe di prova decisiva. 6. Sono stati presentati motivi nuovi nell'interesse di Ca.Al., Il tema attiene alla intervenuta modifica normativa dell'articolo 346-bis cod. pen. ad opera della L. 9 agosto 2024, n. 114. Si evidenzia come, in ragione della intervenuta modifica, ai fini della configurabilità del reato sia necessario: -che vi sia lo sfruttamento di una relazione esistente con il pubblico ufficiale; che la dazione o la promessa siano destinate a remunerare il pubblico ufficiale per l'esercizio delle sue funzioni ovvero siano destinate a remunerare una mediazione illecita, e cioè che siano funzionali ad indurre il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai doveri di ufficio costituente reato e dal quale possa derivare un indebito vantaggio; l'uso intenzionale della relazione esistente. In tale contesto, si argomenta che già in passato si era affermato che la relazione tra il trafficante e il pubblico ufficiale dovesse essere non solo esistente ma portatrice di un reale potere di influenza del trafficante sul pubblico agente. In tale quadro di riferimento si esaminano gli effetti della modifica normativa rispetto ai fatti per cui si procede. Considerato in diritto 1.I ricorsi sono fondati quanto al tema pregiudiziale della utilizzabilità delle conversazioni intercettate. 2. Il tema attiene innanzitutto al se ed in che limiti il richiamo alla sentenza delle Sezioni unite Cavallo sia dirimente nel caso di specie. L'oggetto della sentenza delle Sezioni unite n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, attiene alle ipotesi in cui, rispetto al fatto-reato per cui sono state autorizzate le captazioni, emergano fatti reato diversi ed ulteriori a seguito degli esiti delle captazioni eseguite; in tale contesto, le Sezioni unite hanno fissato le condizioni necessarie per utilizzare i risultati delle captazioni al fine di provare il fatto reato diverso ed ulteriore rispetto a quello oggetto di autorizzazione. In tal senso depone il principio di diritto affermato dalle stesse Sezioni unite, secondo cui in tema di intercettazioni, il divieto di cui all'articolo 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex articolo 12 cod. proc. pen., a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall'articolo 266 cod. proc. pen. (Sez. U., n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395). In tal senso depone chiaramente la motivazione della sentenza Cavallo nella parte in cui, richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale, chiarisce testualmente che: l'articolo 270, comma 1, cod. proc. pen. pone una norma del tutto eccezionale ; la possibilità di utilizzare i risultati delle intercettazioni disposte nell'ambito di un determinato processo limitatamente ai procedimenti diversi, relativi all'accertamento di reati per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza, risponde all'esigenza di ammettere una deroga alla regola generale del divieto di utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti, giustificata dall'interesse dell'accertamento dei reati di maggiore gravità ; in altri termini, la norma che eccezionalmente consente, in casi tassativamente indicati dalla legge, l'utilizzazione delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi, limitatamente all'accertamento di una categoria predeterminata di reati presuntivamente capaci di destare particolare allarme sociale, costituisce indubbiamente un non irragionevole bilanciamento operato discrezionalmente dal legislatore fra il valore costituzionale rappresentato dal diritto inviolabile dei singoli individui alla libertà e alla segretezza delle loro comunicazioni e quello rappresentato dall'interesse pubblico primario alla repressione dei reati e al perseguimento in giudizio di coloro che delinquono (Corte cost., sent. n. 63 del 1994); l'autorizzazione del giudice non si limita a legittimare il ricorso al mezzo di ricerca della prova, ma circoscrive l'utilizzazione dei suoi risultati ai fatti-reato che all'autorizzazione stessa risultino riconducibili: essa, infatti, deve dar conto dei soggetti da sottoporre al controllo e dei fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede (Corte cost., sent. n. 366 del 1991); riferimento, quest'ultimo, che rende ragione della delimitazione dell'utilizzabilità probatoria dei risultati dell'intercettazione ai reati riconducibili all'autorizzazione giudiziale, delimitazione che, a sua volta, è condizione essenziale affinché l'intervento giudiziale abilitativo non si trasformi, come si è visto, in una autorizzazione in bianco . Hanno chiarito le Sezioni unite che: -al di là degli eccezionali casi, tassativamente previsti dalla legge ed afferenti all'accertamento di reati di maggiore gravità presuntivamente capaci di destare particolare allarme sociale, l'autorizzazione del giudice si connota per una piena portata abilitativa e, dunque, costituisce non solo il fondamento di legittimazione del ricorso all'intercettazione, ma anche il limite all'utilizzabilità probatoria dei relativi risultati ai soli reati riconducibili alla stessa autorizzazione; il giudice, nella verifica della esistenza dei presupposti legittimanti il ricorso al mezzo di ricerca della prova, esercita una funzione di controllo e di garanzia, essendogli riservato il potere di autorizzare l'atto, ovvero di convalidarlo, nel caso peculiare in cui l'urgenza non consenta un suo intervento preventivo (Relazioni al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, in Supp. Ord. n. 2 alla G.U. n. 250 del 24 ottobre 1988 Serie generale). Le Sezioni unite hanno inoltre affrontato il problema della necessità o meno che il reato accertato sulla base dell'intercettazione autorizzata in specifica relazione ad altro reato rientri nei limiti di ammissibilità del mezzo di ricerca della prova e chiarito che consentire, in caso di connessione dei reati o di emersione del nuovo reato nel procedimento ab origine iscritto, l'utilizzazione probatoria dell'intercettazione in relazione a reati che non rientrano nei limiti di ammissibilità fissati dalla legge si tradurrebbe.... nel surrettizio, inevitabile aggiramento di tali limiti, con grave pregiudizio per gli interessi sostanziali tutelati dall'articolo 266 cod. proc. pen. che intende porre un limite alla interferenza nella libertà e segretezza delle comunicazioni in conformità all'articolo 15 della Costituzione . Ciò, dunque, ha giustificato l'affermazione secondo cui l'utilizzabilità dei risultati di intercettazioni disposte nell'ambito di un medesimo procedimento (nell'accezione di seguito delineata...) presuppone che i reati diversi da quelli per i quali il mezzo di ricerca della prova è stato autorizzato rientrino nei limiti di ammissibilità delle intercettazioni stabiliti dalla legge (sul tema cfr., anche, Sez. U, n. 36764 del 18/04/2024, Pisaniello, in motivazione). 3. Dunque, le Sezioni unite sono intervenute nelle ipotesi in cui dalle captazioni emergano reati diversi ed ulteriori rispetto a quello oggetto di autorizzazione per i quali non è consentito l'arresto obbligatorio in flagranza, atteso che, diversamente, opererebbe chiaramente l'articolo 270 cod. proc. pen. e che sono in connessione con quello per il quale le intercettazioni sono state autorizzate; in caso di connessione, tuttavia, l'utilizzabilità delle intercettazione disposte per altro reato è pur sempre subordinata alla condizione che il nuovo reato sia a sua volta autorizzabile. Si è precisato che, in caso di imputazioni connesse ex 12 cod. proc. pen., il procedimento relativo al reato per il quale l'autorizzazione è stata espressamente concessa non può considerarsi diverso rispetto a quello relativo al reato accertato in forza dei risultati dell'intercettazione. Questo è il senso e la portata dei principi affermati dalle Sezioni unite con la sentenza Cavallo . 4. Chiarito ciò, la prima questione che si pone rispetto ai fatti di causa è se i principi affermati dalla sentenza Cavallo , nella parte in cui si richiede che anche il diverso, ulteriore reato connesso con quello per cui l'autorizzazione è stata disposta sia autorizzabile, si applichi anche ai casi in cui vi sia un altro reato che si aggiunge a quello per cui si procede ma si tratti del fatto-reato sin dall'inizio autorizzato , seppur diversamente qualificato in seguito alle risultanze delle captazioni. Sul tema la giurisprudenza della Corte, che, a parere del Collegio, conserva rilevanza nei limiti di cui si dirà anche dopo la sentenza delle Sezioni unite, è consolidata nell'affermare il principio della irrilevanza del mutamento dell'addebito ed in tal senso si valorizza la valenza della verifica c.d. statica da parte del giudice di quella, cioè, da collocare nel momento genetico della intercettazione, ovvero in quelli successivi di autorizzazione di proroghe della sussistenza del rispetto dei presupposti previsti dalla legge per disporre il mezzo di ricerca della prova, e, in particolare, della esistenza dei gravi indizi della esistenza del reato per il quale captazioni sono richieste (articolo 267 cod. proc. pen.). La Corte di cassazione ha in più occasioni ritenuto utilizzabili i risultati delle operazioni disposte in riferimento ad un titolo di reato per il quale le stesse sono consentite, anche quando vi sia stata una successiva diversa qualificazione giuridica del fatto (Sez. 6, n. 48320 del 12/04/2022, Manna, Rv. 284072; Sez. 6, n. 23148 de 20/01/2021, Bozzini, Rv. 281501; 5Sez. 1, n. 12749 del 19/03/2021, Cusumano, Rv. 280981; Sez. 1, n. 24163 del 19/05/2010 Rv. 247943; Sez. 6, n. 50072 del 20/10/2009, Rv. 245699). 5. Si tratta dì un principio che deve essere esplicitato. 5.1. La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni affermato, in tema di intercettazioni telefoniche (Sez. 6, n. 36874 del 13/06/2017, Romeo, in motivazione; Sez. 6, n. 12722 del 12/02/2009, Lombardi Stronati, Rv. 243241; Sez. 5, n. 1407 del 17/11/2016, dep. 2017, Nascetti, Rv. 268900), che la motivazione dei decreti autorizzativi, nel chiarire le ragioni della sussistenza dei presupposti che legittimano il ricorso a detto intrusivo mezzo di ricerca della prova, deve necessariamente spiegare i motivi che impongono l'intercettazione di una determina utenza telefonica che fa capo ad una specifica persona, indicando la base indiziaria del reato per il quale si procede ed il collegamento tra l'indagine in corso e la persona che si intende intercettare, affinchè possa esserne verificata, alla luce del complessivo contenuto informativo e argomentativo del provvedimento, l'adeguatezza del mezzo rispetto alla funzione di garanzia prescritta dall'articolo 15, comma 2, Cost. Si tratta di una verifica che deve essere compiuta al momento in cui la captazione è richiesta ed autorizzata, non rilevando, come detto, ai fini della utilizzabilità dei risultati della attività di intercettazione, la circostanza che, all'esito delle indagini, l'originaria ipotesi accusatoria non sia stata confermata. La motivazione del provvedimento autorizzativo assolve ad una ineliminabile funzione di garanzia perché, attraverso essa, deve essere esplicitato il collegamento tra l'indagine e la persona le cui comunicazioni si intendono intercettare e, più in generale, la sussistenza dei presupposti che legittimano l'adozione del mezzo di ricerca della prova. Ciò che è indispensabile, in ossequio ai canoni di proporzione e ragionevolezza a fronte della forza intrusiva del mezzo usato, è, innanzitutto, che la qualificazione, pure provvisoria, del fatto risulti ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari che ne sorreggano, per un verso, la corretta formulazione da parte del pubblico ministero e, per altro verso, la successiva, rigorosa, verifica dei presupposti da parte del giudice chiamato ad autorizzare le relative operazioni intercettative; fermo restando il sindacato di legittimità della Corte di cassazione in ordine all'effettiva sussistenza di tali presupposti (così testualmente, Sez. U., n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, in motivazione). Tale verifica si articola su due direttrici, occorrendo distinguere il caso in cui il destinatario della intercettazione sia un soggetto indagato, da quello in cui l'intercettato sia una persona terza, non indagata. Nel primo caso, ciò che deve essere verificato, soprattutto nelle ipotesi in cui si faccia riferimento a reati di criminalità organizzata, è la consistenza della ipotesi accusatoria, della qualificazione del fatto ipotizzato, della struttura della base indiziaria, prescindendo dal quantum di colpevolezza; si tratta di una verifica che deve essere compiuta in relazione all'indagine nel suo complesso e non con riferimento alla responsabilità di ciascun indagato (Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017, Di Palma, Rv. 270565; Sez. 2, n. 42763 del 20/10/2015, Rv. 265127); si è osservato in maniera condivisibile che il presupposto dei gravi indizi di reato , infatti, non ha una connotazione probatoria , in chiave di valutazione prognostica della colpevolezza, ma esige un vaglio di particolare serietà delle esigenze investigative, che vanno riferite ad uno specifico fatto costituente reato, in modo da circoscrivere l'ambito di possibile incidenza dell'interferenza nelle altrui comunicazioni private (cosi, Sez. 6, n. 36874 del 2017, cit.). Il giudizio prognostico che deve effettuare il magistrato è sulla probabilità che sia stato commesso uno dei reati previsti per legittimare un'intercettazione, ed ovviamente il vaglio del giudice deve essere eseguito in modo idoneo ad indicare l'attendibilità della fattispecie probatoria e la necessità del mezzo di ricerca della prova de quo . Una gravità oggettiva che degrada a sufficienza indiziaria nel caso di fattispecie criminose che attengono ai delitti di criminalità organizzata ai sensi della L. n. 203/1991, atteso che in questa ipotesi lo spirito del legislatore è quello di ritenere prevalente l'esigenza di tutela della collettività, rispetto alla garanzia dei diritti dei singoli alla comunicazioni, per delitti di grave allarme sociale; ciò spiega perché, allorchè si proceda per delitti di criminalità organizzata° sono sufficienti frammenti probatori idonei ad indicare l'esistenza di elementi essenziali di indagine, per consentire e legittimare l'autorizzazione dell'intercettazione. Anche rispetto ad un soggetto indagato, è necessario inoltre che il mezzo di ricerca della prova in questione sia indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini: per giustificare l'indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini, la motivazione deve necessariamente dar conto delle ragioni che impongono l'intercettazione di una determinata utenza telefonica che fa capo ad una specifica persona e, perciò, non può omettere di indicare il collegamento tra l'indagine in corso e l'intercettando. Tale obbligo incombe in maniera espressa e diretta sull'autorità giudiziaria (articolo 15 Cost. e articolo 267 c.p.p., comma 1) (Così, Sez. 6, n. 12722 del 12/02/2009, Lombardi Stronati, Rv. 243241; nello stesso senso, più recentemente, Sez. 5, n. 1407 del 17/11/2016, dep. 2017, Nascetti, Rv. 268900). Il collegamento può essere riferito non necessariamente ad uno specifico soggetto intercettando (magari neppure coinvolto nelle indagini, come si diceva, né tanto meno gravato da pesanti indizi di colpevolezza), ma ad una determinata utenza, indipendentemente dal titolare della stessa, rispetto alla quale potrebbero anche essere diversi i soggetti intercettandi . Al di là delle parole impiegate, è importanteai fini di una corretta motivazione del provvedimento autorizzativo che vengano in essa indicate le ragioni sulla cui base il giudice ritenga di dover autorizzare le intercettazioni richieste dal pubblico ministero, in quanto proprio quelle intercettazioni, relative a quella particolare utenza, risultano indispensabili per il completo accertamento del fatto specifico cui si riferiscono le indagini, nonché per la individuazione dei responsabili. Peraltro, nelle ipotesi in cui il collegamento sia riferito ad un soggetto non indagato, la necessità di motivare la correlazione tra l'indagine in corso e l'intercettato è oltremodo maggiore; in tali casi, oltre alla verifica di cui si è detto, relativa alla base indiziaria oggettiva, è necessario che il giudice indichi ed espliciti chiaramente l'interesse investigativo sottostante, chiarisca cioè le ragioni di collegamento diretto o indiretto (conoscenza) tra il soggetto ed il fatto di reato oggetto di accertamento; è necessario che si indichino i motivi per i quali il soggetto terzo che si intende intercettare dovrebbe essere informato sui fatti e perché si ritiene che vi possano essere conversazioni o comunicazioni attinenti a quei fatti. 5.2. Dunque, in caso di modifica, a seguito delle captazioni, della qualificazione giuridica del fatto-reato autorizzato in altro reato non autorizzabile, l'inutilizzabilità delle intercettazioni opera solo se i presupposti per disporre il mezzo di ricerca della prova mancassero già al momento in cui il procedimento autorizzativo si è compiuto e perfezionato attraverso il controllo del giudice. I risultati della captazione correttamente autorizzata restano invece immuni rispetto al successivo sviluppo fisiologico del procedimento, atteso che, in tal caso, non rileva la sopravvenuta mancanza del presupposto legittimante per effetto della riqualificazione del fatto autorizzato. Certo, esiste una forte esigenza di contemperamento tra la necessità di non ritenere inutilizzabili i risultati delle intercettazioni in presenza di un fatto storico rimasto sostanzialmente immutato rispetto a quello autorizzato° ma solo non completamente riscontrato° per effetto di fisiologici mutamenti emersi proprio a seguito degli esiti della intercettazione, e quella di evitare abusi, che potrebbero configurarsi con il ricorso pretestuoso alla descrizione di un fatto reato autorizzabile al fine di aggirare i limiti legali stabiliti dagli articolo 266 267 cod. proc. pen. Si tratta di situazioni in cui, come detto, assume centrale rilievo il controllo del giudice al momento della autorizzazione del mezzo di ricerca della prova. La questione non riguarda tanto le ipotesi in cui la divergenza tra fatto-reato di cui si chiede l'autorizzazione ad intercettare ed il fatto emergente dalle risultanze investigative si manifesti già al momento in cui l'intercettazione è richiesta, atteso che in tali casi il giudice è tenuto a non autorizzare l'intercettazione se non vi sia rigorosa conformità tra ciò che si richiede e le risultanze delle indagini: ciò impedisce la elusione delle regole poste dal legislatore e delle garanzie dei diritti. La situazione è diversa nei casi in cui la elusione non è configurabile perché vi è corrispondenza tra quanto si richiede e ciò che emerge dalle indagini in ordine al fatto reato per cui si procede, ma l'addebito si modifica per motivi fisiologici sopravvenuti, legati, cioè, alla naturale evoluzione del procedimento che può determinare una modifica del fatto storico e della sua qualificazione giuridica. In tali casi la fattispecie non è patologica, considerando la provvisorietà dell'addebito, la fluidità degli elementi raccolti, la loro possibile modificazione; ciò che rileva è che al momento in cui viene disposta la intercettazione vi siano i presupposti previsti dalla legge. Una verifica da parte del giudice che investe l'accertamento della conformità di ciò che si richiede rispetto agli atti, al fine di verificare se fin dall'inizio emerga la diversità storica del fatto ovvero sia seriamente prospettabile una differente qualificazione giuridica del fatto, più corretta sotto il profilo della sussunzione nella fattispecie. 6. I Giudici di merito non hanno fatto corretta applicazione dei principi indicati. Rispetto alle articolate deduzioni difensive, la Corte di appello si è limitata, da una parte, a richiamare l'ordinanza del Tribunale emessa il 23.1.2020 e, dall'altra, ad affermare che dall'esame del decreto autorizzatorio del 19.4.2019 sarebbe emerso che Io.Al. si era offerto di fare da intermediario tra Fe.Cl., interessato ad ottenere la sospensione della procedura esecutiva civile di abbattimento di un suo immobile, e il dott. Ca.Al., che, a sua volta, si sarebbe reso disponibile ad intervenire sul Presidente del Collegio della Corte di appello, che si occupava del procedimento. Ha aggiunto la Corte di appello che dagli sviluppi investigativi sarebbe inoltre emerso che Di.An. era in contatto con tale Raiola Antonio, al quale avrebbe prospettato di fargli ottenere ad Ischia un appalto grazie all'appoggio di un magistrato influente, indicandolo come un GIP importantissimo e che dovrebbe identificarsi nel dott. Ca.Al.; sarebbe altresì emerso che questo avrebbe inoltre promesso l'intercessione presso il Presidente della commissione per l'accesso in magistratura per la figlia di Di.An.. Ciò, a parere della Corte, avrebbe correttamente indotto il Giudice per le indagini preliminari a ritenere sussistenti i gravi indizi del reato di corruzione (così la Corte a pag. 133 e ss. della sentenza impugnata). 7. Si tratta di un ragionamento viziato. Pur volendo prescindere dalla constatazione che molti dei decreti autorizzativi hanno ad oggetto fatti e soggetti del tutto estranei al processo, dalla lettura degli atti e, in particolare, dei decreti autorizzativi °captazioni e di quelli riguardanti le rispettive proroghe, emerge chiaramente come, da una parte, le intercettazioni furono disposte in relazione al reato di corruzione in atti giudiziari, ma, dall'altra, il fatto corruttivo descritto nei rispettivi decreti sia stato, sin dall'origine, strutturato e costruito in relazione non all'inquinamento delle funzioni svolte dal dott. Ca.Al., giudice penale in servizio presso il Tribunale di Napoli (Ischia), non, cioè, in ragione dell'esercizio delle funzioni di magistrato, e neppure in relazione al compimento di atti del suo ufficio, quanto, piuttosto, in considerazione delle supposte capacità dell'imputato di condizionare, di avvicinare altri soggetti, di avvantaggiare i propri interlocutori presso soggetti terzi, tra cui, alcuni, del tutto esterni rispetto alle funzioni di magistrato svolte dallo stesso ricorrente e, altri, che svolgevano le funzioni di magistrato presso la Corte di appello di Napoli, cioè in un ufficio diverso da quello dello stesso imputato. Un chiaro ruolo di intermediario, di mediatore, che ha indotto successivamente la Corte di appello a ricondurre correttamente i fatti originariamente sussunti della fattispecie di corruzione in atti giudiziari in quella di traffico di influenze illecite, non essendo stato in nessun modo provato né il patto corruttivo e, tantomeno, la partecipazione ad esso del terzo. Il reato di corruzione rientra tra i reati propri funzionali, nel senso che il comportamento oggetto del mercimonio deve rientrare nella sfera di competenza o di influenza dell'ufficio cui appartiene il soggetto corrotto (Sez, 6, n. 1245 del 08/06/2023, Alessandri, Rv. 285886; Sez. 6, n. 17973 del 22/01/2019, Caccuri, rv. 275935; Sez. 6, n. 33435 del 4/5/2006, Battistella, Rv. 234359; in senso analogo, Sez. 6, n. 23355 del 26/2/2016, Margiotta, rv. 267060 e Sez. 6, n. 20502 del 2/3/2010, Martinelli, rv. 247373, secondo cui ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria, non è determinante il fatto che l'atto d'ufficio o contrario ai doveri d'ufficio sia ricompreso nell'ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, ma è necessario e sufficiente che si tratti di un atto rientrante nelle competenze dell'ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto ). Ciò che, in particolare, deve essere processualmente accertato, è se il pubblico ufficiale corrotto abbia accettato una utilità e se quella utilità sia collegata all'esercizio della sua funzione. Nel caso di specie il dott. Ca.Al. era un magistrato che esercitava funzioni penali, presso il Tribunale di Napoli, e, secondo la stessa prospettazione, si sarebbe dovuto rivolgere, per assecondare i favori a lui richiesti, alla Corte di appello civile di Napoli -cioè ad un ufficio del tutto diverso dal suo, per far sospendere una procedura di demolizione ovvero alla Corte di appello penale, ovvero ad altri soggetti per far ottenere ai suoi interlocutori l'assegnazione di un appalto ovvero per condizionare il concorso di accesso in magistratura. I fatti, obiettivamente gravi, per come descritti nei decreti con cui furono disposte le captazioni, non potevano in realtà essere sussunti nel reato di corruzione, quanto, piuttosto, sin dall'inizio, nel diverso delitto di traffico di influenze illecite per il quale, tuttavia, non era consentito, in ragione dei limiti edittali di pena, il ricorso alle intercettazioni. Del reato di corruzione in atti giudiziari non esistevano, per come il fatto veniva descritto nei decreti autorizzativi, i gravi indizi perché di detto reato non vi erano i requisiti strutturali: dell'ipotizzato patto corruttivo non era chiaro l'oggetto, la composizione soggettiva, come i fatti attenessero alla competenza , all'ufficio dell'imputato e ai suoi doveri funzionali. Il pubblico agente corrotto non poteva essere considerato il dott. Ca.Al. perché tutte le vicende non riguardavano l'operato di questi; né l'atto contrario ai doveri di ufficio poteva essere ritenuto l'interessamento del dott. Ca.Al. verso soggetti terzi. Né, ancora, è obiettivamente stato spiegato perché sono state disposte proroghe alle captazioni continuando a fare riferimento ad un reato, quello di corruzione in atti giudiziari, che non solo, come detto, non era configurabile in astratto all'inizio sulla base del fatto naturalistico descritto nei suddetti decreti, ma continuava a non essere configurabile nemmeno in ragione degli esiti delle intercettazioni acquisiti nel tempo, di volta in volta. 8. Nel caso di specie, non si tratta, dunque, di una riqualificazione giuridica dei fatti conseguente allo sviluppo fisiologico del procedimento e alle acquisizioni probatorie emerse di volta in volta, ma di una divergenza tra quanto disposto e ciò che obiettivamente emergeva dagli atti, e di cui lo stesso Giudice delle captazioni risulta aver dato atto. Una verifica che ha investito l'accertamento della conformità di ciò che era stato / richiesto Èciò di cui si disponeva (cioè gli atti del procedimento); una verifica che, fin dall'inizio, faceva emergere la diversità storica del fatto rispetto al reato di corruzione in atti giudiziari e la sua sussumibilità in un'altra fattispecie di reato che, tuttavia, non consentiva di autorizzare le captazioni. Quelle intercettazioni non potevano essere autorizzate perché del reato ipotizzato mancavano sin dall'origine i gravi indizi della sua esistenza. 9. Ne deriva che quelle captazioni sono inutilizzabili in relazione ai reati per cui si procede. La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio. La Corte di appello di Napoli, escluse le risultanze delle captazioni, verificherà se e in che limiti sia possibile formulare un giudizio di colpevolezza nei riguardi degli imputati ovvero se si imponga il loro proscioglimento e, a tal fine, terrà conto anche delle modifiche normative intervenute in relazione alla fattispecie di cui all'articolo 346-bis cod. pen ad opera della legge n. 114 del 2024. L'annullamento per le ragioni indicate assorbe, dunque, il tema sul quale il Procuratore Generale ha chiesto in udienza di sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nella legge n. 114 del 2024 che ha modificato l'articolo 346-bis cod. pen.; un tema che, se necessario, la Corte di appello affronterà. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.