La collaborazione lavorativa priva di progetto si converte ex lege in un rapporto di lavoro subordinato

«La conversione ex lege del contratto di collaborazione coordinata e continuativa in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ai sensi dell'articolo 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, rappresenta una sanzione concernente il tipo negoziale, che va coordinato, quanto al periodo di svolgimento effettivo della collaborazione, con il principio di corrispettività tra obbligazione retributiva e prestazione di lavoro».

Con l'ordinanza in commento, la Corte Suprema di Cassazione ha affrontato il tema della qualificazione del rapporto di lavoro in assenza di un progetto specifico per le collaborazioni coordinate e continuative. Il caso di specie riguardava un rapporto di collaborazione instaurato tra un soggetto e un'associazione a cui ha fatto seguito un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Tale conversione è stata disposta ai sensi dell'articolo 69, comma 1, del d.lgs. n. 276/2003, il quale sancisce una presunzione assoluta di subordinazione per collaborazioni non formalizzate tramite progetto. La Corte, ribadendo il principio di corrispettività tra prestazione lavorativa e retribuzione, ha determinato che, per il periodo di collaborazione, al lavoratore spettano le differenze retributive commisurate all'orario di lavoro effettivamente svolto. È stata sottolineata inoltre, la necessità che il rapporto, anche se convertito, mantenga obblighi corrispettivi per entrambe le parti. Nella decisione, la Corte ha ribadito che, in mancanza di un progetto, la collaborazione coordinata e continuativa si configura come un rapporto di lavoro subordinato, indipendentemente dalla natura autonoma o meno della stessa. Questo principio, già affermato in precedenti pronunce, tra cui Cass. n. 12820/2016 e Cass. n. 32160/2021, stabilisce che la sanzione della conversione ex lege opera sin dalla costituzione della collaborazione. Inoltre, la Corte ha chiarito che, nella determinazione dell'imponibile previdenziale, si deve fare riferimento alla retribuzione effettiva solo se non inferiore a determinati livelli, garantendo così prestazioni adeguate ai principi solidaristici sanciti dall'articolo 38 della Costituzione. Così statuendo il seguente principio di diritto: «La conversione ex lege del contratto di collaborazione coordinata e continuativa in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ai sensi dell'articolo 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, rappresenta una sanzione concernente il tipo negoziale, che va coordinato, quanto al periodo di svolgimento effettivo della collaborazione (periodo precedente l'applicazione del meccanismo della conversione), con il principio di corrispettività tra obbligazione retributiva e prestazione di lavoro; per tale periodo spettano, pertanto, al lavoratore le (eventuali) differenze retributive da commisurarsi sulla base dell'effettivo orario di lavoro osservato». Il suddetto stabilisce che, in base all'articolo 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa privi di un progetto si convertono automaticamente in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Tale conversione non è una semplice formalità, ma rappresenta una sanzione normativa mirata a garantire una maggiore tutela per i lavoratori. La norma richiede infatti, che, per il periodo in cui la collaborazione è stata effettivamente svolta, le retribuzioni siano calcolate in base all'effettivo orario di lavoro osservato. Questo implica che, anche se il rapporto viene convertito retroattivamente, il datore di lavoro è obbligato a corrispondere al lavoratore eventuali differenze retributive non pagate o inferiori al dovuto durante il periodo della collaborazione. In sintesi, il principio si fonda sull'applicazione del meccanismo sanzionatorio per garantire il rispetto del principio di corrispettività tra il lavoro prestato e il compenso ricevuto, proteggendo così i diritti economici del lavoratore.

Presidente Pagetta - Relatore Boghetich Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 1 ottobre 2024 la Corte di Appello di Salerno ha confermato la sentenza in data 26 gennaio 2024 del Tribunale della medesima città con la quale era stata affermata la penale responsabilità di Di.Ma. in relazione ai reati di ricettazione (articolo 648 cod. pen.) e di detenzione per la vendita di accessori di abbigliamento con marchi e segni distintivi, nazionali ed esteri, contraffatti (articolo 474 comma 2, cod. pen.) e, previo riconoscimento all'imputato della attenuante di cui all'articolo 648, comma 4, cod. pen., ritenuta la continuazione tra i reati in contestazione, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo stesso era stato condannato a pena ritenuta di giustizia. 2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza nonché avverso l'ordinanza del Tribunale in data 11 novembre 2022, il difensore dell'imputato, deducendo con un unico articolato motivo: violazione di legge penale e processuale e vizi di motivazione ex articolo 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. 2.1. Eccepisce, innanzitutto, la difesa del ricorrente la nullità del decreto introduttivo del giudizio di appello essendo detta notifica stata effettuata contestualmente al difensore ed all'imputato secondo le modalità di cui all'articolo 161, comma 4, cod. proc. pen. in data 23 luglio 2024, benché nessun tentativo di notificazione fosse stato previamente effettuato all'imputato presso il domicilio eletto. Rileva al riguardo la difesa del ricorrente che soltanto in data 2 agosto 2024 si procedeva ad un tentativo di notifica anche nei confronti dell'imputato ma ciò sarebbe avvenuto in epoca successiva alla notifica ex articolo 161, comma 4, cod. proc. pen. presso il difensore, con la conseguenza che vi sarebbe stata una sostanziale inversione cronologica delle modalità di effettuazione di tale notificazione. A ciò si aggiunge il fatto che, considerato il termine di sospensione feriale, non sarebbero neppure rispettati i termini a comparire all'udienza previsti dalla legge. 2.2. Eccepisce, poi, la difesa del ricorrente la nullità del decreto di citazione a giudizio per vaghezza del capo di imputazione, non essendo, sulla base del contenuto dello stesso, l'imputato stato posto nella condizione di ben comprendere l'accusa. 2.3. Rileva, ancora, la difesa del ricorrente vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto: a) i giudici avrebbero apoditticamente ritenuto non credibile la versione dei fatti fornita dall'imputato senza spiegarne le ragioni; b) già il Tribunale aveva omesso di motivare in ordine alla configurabilità del contestato reato di cui all'articolo 474 cod. pen. così determinando una deminutio delle prerogative difensive e di impugnazione dell'imputato; c) la Corte di appello non avrebbe tenuto in debito conto che ci si trovava in presenza di un falso grossolano; d) la stessa Corte di appello avrebbe errato nel non ritenere sussistente il reato di cui all'articolo 712 cod. pen. in luogo di quello di ricettazione; e) sarebbe privo di supporto motivazionale il rigetto della richiesta di conversione della pena detentiva inflitta nella corrispondente sanzione pecuniaria laddove la Corte territoriale ha sostenuto che l'imputato è soggetto dedito precipuamente alla vendita di prodotti contraffatti, non emergendo da alcun atto tale elemento così come è censurabile la motivazione nella parte in cui si sostiene che il ricorrente, in quanto ammesso al patrocino a spese dello Stato, è un soggetto insolvibile. 2.4. Rileva, infine, la difesa del ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nel non riconoscere applicabile all'imputato la causa non punibilità di cui all'articolo 131 - bis cod. pen. fondando tale decisione in relazione al numero dei beni caduti in sequestro oltretutto senza tenere conto della, comunque, ritenuta applicazione dell'ipotesi lieve della ricettazione di cui all'articolo 648, comma 4, cod. pen. e senza spiegare sulla base di quali elementi la Corte ha fatto riferimento ad un ipotizzato ma non documentato valore di 30/40 Euro di ciascuno dei beni sequestrati. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Risulta, infatti dagli atti: a) che l'imputato con atto di nomina e procura ad impugnare rilasciato in data 29 gennaio 2024 aveva anche espressamente dichiarato il proprio domicilio per le notificazioni in P (S), via (Omissis) revocando ogni precedente dichiarazione di domicilio; b) che al difensore in data 23 luglio 2024 sono stati notificati per via telematica sia l'avviso al difensore della udienza di appello, sia il decreto di citazione relativo all'imputato; c) che la notifica del decreto di citazione dell'imputato presso il difensore ai sensi dell'articolo 161, comma 4, cod. proc. pen. non è stata preceduta dal tentativo di notifica presso il domicilio dichiarato dall'imputato; d) che la notifica presso il domicilio dichiarato dall'imputato è stata tentata (con esito negativo) solo in data 2 agosto 2024 ma non è stata poi seguita da altra notifica al difensore. Rileva, innanzitutto, l'odierno Collegio che è manifestamente infondata l'eccezione difensiva relativa al mancato rispetto del termine di 40 giorni per comparire in sede di appello riservato all'imputato, ciò in quanto le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità hanno chiarito che La disciplina dell'articolo 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall'articolo 34, comma 1, lett. g), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nei giudizi di appello, è applicabile ai soli atti di impugnazione proposti a far data dal 1 luglio 2024 (Sez. U, n. 42125 del 27/06/2024, Cirelli, Rv. 287096 - 01) mentre nel caso in esame l'atto di impugnazione risulta essere stato depositato in data 21 maggio 2024. E', altresì, manifestamente infondata, per le ragioni che si esporranno, l'eccezione relativa alle modalità di notificazione all'imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello. Questa Corte di legittimità ha, infatti, avuto modo di chiarire che In tema di notificazione della citazione dell'imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall'articolo 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all'articolo 184 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, dep. 2005, Palumbo, Rv. 229539 - 01). Orbene, rileva l'odierno Collegio che nel caso in esame, non ci si trova in presenza di una omissione di notifica all'imputato dell'atto di citazione che avrebbe comportato una nullità assoluta ed insanabile ex articolo 179 cod. proc. pen., situazione che sarebbe stata ravvisabile qualora fosse stata del tutto omessa la notificazione dell'atto all'imputato presso il domicilio dichiarato, ovvero qualora la notificazione fosse stata eseguita in un luogo errato o mediante la consegna del documento a soggetti diversi da quelli indicati dalla legge, bensì ci si trova in presenza di una mera irregolarità legata inversione dell'ordine logico e cronologico nell'esecuzione delle modalità notificatorie in quanto la notificazione (con esito negativo) all'imputato presso il domicilio avrebbe dovuto precedere quella ex articolo 161, comma 4, cod. proc. pen. al suo difensore di fiducia. Del resto, è sufficiente rilevare che qualora fosse stato rispettato l'ordine processuale nelle attività di notificazione, essendo state comunque effettuate le notificazioni sia presso il domicilio dell'imputato (come detto con esito negativo per irreperibilità) sia ex articolo 161, comma 4, cod. proc. pen. presso il difensore di fiducia, il risultato finale circa la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato della data di celebrazione del giudizio di appello avrebbe portato al medesimo risultato. Ne consegue che, non potendosi configurare una omessa citazione dell'imputato rilevante ex articolo 179 cod. proc. pen., si potrebbe al più configurare nel caso in esame una nullità relativa che avrebbe dovuto essere eccepita dal difensore di fiducia in sede di giudizio di appello, eccezione che, invece, non risulta essere stata formulata. 2. Manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso con il quale si è eccepita la nullità per genericità dell'imputazione contenuta nel decreto di citazione a giudizio dell'imputato innanzi al Tribunale. La Corte di appello, rispondendo alla predetta eccezione, già disattesa anche dal Tribunale, ha correttamente evidenziato che la circostanza che non siano indicati nell'imputazione ex articolo 474 cod. pen. i marchi illecitamente riprodotti non è idonea a vanificare il diritto di difesa dell'imputato il quale ha comunque reso interrogatorio innanzi alla P.G. in data 31 maggio 2018 allorquando ebbe a ricevere una contestazione identica a quella poi cristallizzata nel capo di imputazione. Del resto, osserva l'odierno Collegio, risultano indicati elementi quali le norme di legge violate, il numero e la tipologia dei beni contraffatti e la data di accertamento dei fatti che ben consentivano (e di fatto hanno consentito) l'esercizio del diritto dì difesa dell'imputato. E', infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità quello secondo il quale In tema di citazione a giudizio, non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all'imputato di difendersi (ex multis: Sez. 5, n. 16993 del 02/03/2020, Latini, Rv. 279090 - 01; Sez. 5, n. 6335 del 18/10/2013, dep. 2014, Morante, Rv. 258948 - 01). A ciò si aggiunge che già in tempi remoti questa Corte di legittimità ha avuto modo di chiarire che La nullità del decreto di citazione in dipendenza della incertezza sui fatti che determinarono l'imputazione ricorre solo quando l'imputato non abbia potuto esercitare pienamente il diritto di difesa. Ne deriva che, se l'imputato ha, nella fase istruttoria, conosciuto esattamente i termini dell'addebito, esplicando la più ampia attività difensiva, non sussiste la nullità del decreto di citazione ancorché l'imputazione in esso enunciata sia generica (Sez. 1, n. 8836 del 06/06/1983, Messa, Rv. 160851 - 01). 3. Manifestamente infondate sono, poi, anche le deduzioni difensive nelle quali si lamentano i vizi di motivazione sopra riassunti ai superiori punti 2.3.a, 2.3.b e 2.3.c. Quanto al fatto che i giudici, secondo parte ricorrente, avrebbero apoditticamente ritenuto non credibile la versione dei fatti fornita dall'imputato senza spiegarne le ragioni, va detto che la Corte di appello alle pagine 5 e 8 della relativa sentenza ha dato adeguata risposta alla questione dedotta dalla difesa e che l'affermazione della non credibilità della versione fornita dall'imputato impone una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità. Anche quanto al motivo di gravame riguardante il fatto che il Tribunale ha omesso di motivare in ordine alla configurabilità del contestato reato di cui all'articolo 474 cod. pen. così, asseritamente, determinando una deminutio delle prerogative difensive e di impugnazione dell'imputato, risulta che la Corte territoriale vi ha dato adeguata risposta nella sentenza impugnata (pagg. 4 e 5) correttamente richiamando il principio secondo il quale La mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall'articolo 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez. 6, n. 58094 del 30/11/2017, Amorico, Rv. 271735 - 01), adempimento poi regolarmente posto in essere con la sentenza impugnata. Quanto, poi, al motivo di ricorso relativo al fatto che la Corte di appello non avrebbe tenuto in debito conto che ci si trovava in presenza di un falso grossolano non possono che richiamarsi e condividersi anche in questa sede le ampie argomentazioni in fatto e in diritto spese sul punto nella sentenza impugnata (pagg. 6 e 7). 4. Manifestamente infondato è, inoltre, il motivo di ricorso nel quale la difesa del ricorrente ha sostanzialmente invocato la riqualificazione del contestato reato di cui all'articolo 648 cod. pen. in quello di cui all'articolo 712 cod. pen. La Corte territoriale (così come aveva fatto il Tribunale) ha debitamente motivato sulla ricorrenza nel caso in esame dell'elemento soggettivo del reato di ricettazione in capo all'imputato il che porta ad escludere la configurabilità del reato di cui all'articolo 712 cod. pen. Del resto, nel momento in cui è pacifico che l'imputato è stato trovato in possesso di beni all'evidenza provenienti dal delitto di cui all'articolo 473 cod. pen. e non ha fornito alcuna (idonea e credibile) giustificazione circa il modo di acquisizione di tali beni ciò comporta la qualificazione della condotta come violazione dell'articolo 648 cod. pen. Del resto, è giurisprudenza consolidata di questa Corte che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell'elemento soggettivo può essere desunta anche dall'omessa - o non attendibile - indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (ex multis: Sez. 2, n. 25756 del 11/6/2008, Nardino, Rv. 241458). 5. Manifestamente infondato è, infine, il motivo di ricorso nel quale la difesa dell'imputato lamenta il mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all'articolo 131 - bis cod. pen. Anche in questo caso ci si trova in presenza nella sentenza impugnata di una motivazione adeguata e logica (come tale insindacabile in sede di legittimità) nella quale la Corte di appello ha legato alle modalità della condotta, in particolare in relazione al numero dei prodotti detenuti per la vendita, ed alla conseguente capacità del Di. (gravato da un precedente specifico che come evidenziato dalla stessa Corte territoriale avrebbe legittimato la contestazione della recidiva specifica) di metterli in circolazione. Deve solo aggiungersi che all'imputato è stata comunque riconosciuta la particolare tenuità del fatto di cui all'articolo 648, comma 4, cod. pen. e che dal riconoscimento di tale attenuante non può comunque conseguire automaticamente anche l'applicazione dell'articolo 131 - bis cod. pen., trattandosi comunque di istituti fondati su diverse prospettive, tra le quali le modalità della condotta e gli altri elementi di cui all'articolo 133 cod. pen. 6. Fondato è, invece, da ritenersi il motivo di ricorso nel quale si lamenta un vizio di motivazione della sentenza impugnata con riguardo al rigetto della richiesta di sostituzione della irrogata pena detentiva con una pena pecuniaria ai sensi dell'articolo 20 - bis cod. pen. La Corte di appello, nel rigettare l'istanza, si è limitata ad affermare che l'imputato vive vendendo merce contraffatta ed è ammesso al patrocinio a spese dello Stato, da ciò desumendo che non sarebbe in grado di pagare la pena pecuniaria oggetto di eventuale sostituzione. La motivazione sul punto adottata dalla Corte di appello è indubbiamente carente nella parte in cui si argomenta che la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria non può essere operata alla luce dell'indisponibilità reddituale dell'imputato ma non tiene conto che, alla luce del vigente disposto dell'articolo 56 - quater l. n. 689/81, il valore giornaliero di conversione prevede un range che va da un minimo di 5 Euro ad un massimo di 2.500 Euro, situazione che quindi potrebbe, in astratto, essere compatibile con le indicate condizioni patrimoniali dell'indagato. Ne consegue che la Corte di appello per valutare l'eventuale indisponibilità reddituale dell'imputato avrebbe dovuto prima evidenziare, alla luce della personalità dell'imputato e della gravità della condotta posta in essere, un potenziale indice di conversione della pena detentiva in quella pecuniaria (nell'ambito della forbice edittale di legge) e poi valutare se le condizioni personali e reddituali dell'imputato fossero incompatibili con la possibilità di adempimento della pena sostitutiva. Non avendo provveduto a ciò, si impone l'annullamento in parte qua della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Napoli (individuata ex articolo 623, lett. c), cod. proc. pen.) per un nuovo giudizio sul punto. 7. Il ricorso dell'imputato deve, invece, essere dichiarato inammissibile nel resto e, ai sensi dell'articolo 624 cod. proc. pen., deve dichiararsi irrevocabile il giudizio di responsabilità di Di.Ma. in ordine ai reati allo stesso ascritti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sanzione sostitutiva con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e irrevocabile il giudizio di responsabilità.